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Dall'accumulazione originaria all'Egemonia. Dall'Egemonia all'accumulazione originaria.

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Indice

Introduzione...3

1 - Equilibri sociali ed Egemonia quadripartita...8

1 – I quattro campi dell’Egemonia...9

2 – Temporalità dell’Egemonia 2.1 – Tempo egemonico...27

2.2 – Tempo politico...32

2.3 – Tempo «culturale»...37

3 – Soggettività sociali e organizzazione dell’Egemonia...41

2 - Accumulazione originaria ed Egemonia – Nessi, indizi, ipotesi

Premessa teorico-metodologica...61

1 – L’accumulazione originaria in Marx e oltre Marx 1.1 L’accumulazione originaria inglese...69

1.2 Temporalità dell’accumulazione originaria...73

1.3 Lo Stato, Robinson e il «peccato originale»...76

1.4 «Nessuno ammassò filatoi e telai»...82

1.5 Accumulazioni originarie...85

2 – Stato espropriatore, stato minimo, stato imprenditore 2.1 Processi complementari...90

2.2 Stato ed egemonia in Giovanni Arrighi...93

2.3 Sviluppo ineguale...98

2.4 Convivenza pacifica...100

3 – Accumulazioni originarie: fatti storici, tracce e congetture 3.1 Potenza analitica e limiti teorici dell’analisi harveyana...109

3.2 Landgrabbing(s) e statualità in transizione...115

3.3 La «crisi» come strumento governamentale...118

4 – L’accumulazione originaria come strumento di dominio...125

Conclusioni...138

(2)

2

2

«Accumulazione originaria» ed Egemonia

Nessi, indizi, ipotesi

(3)

3

Tutto ciò che di forte e vitale i Tedeschi innestarono nel mondo romano fu la barbarie. Infatti solo dei barbari sono in grado di ringiovanire un mondo che soffre di civiltà morente.

Friedrich Engels - L’origine della famiglia

A un certo Sullivan viene accordato un contratto di fornitura d’oppio al momento della sua partenza – per incarico pubblico – per una parte dell’India lontanissima dai distretti dell’oppio. Sullivan vende il suo contratto a un certo Binn per 40.000 sterline; Binn lo rivende lo stesso giorno per 60.000 e l’ultimo compratore, che poi eseguì il contratto, dichiara di averne tratto ancora un guadagno enorme. Secondo una lista presentata al parlamento, la compagnia e i suoi funzionari si erano fatti regalare dagli indiani fra il 1757 e il 1766 6 milioni di sterline! Fra il 1769 e il 1770 gli inglesi produssero una carestia acquistando tutto il riso e rifiutando di rivenderlo fuorché a prezzi favolosi.

Karl Marx, «Genesi del capitalista industriale» - Il Capitale.

(4)

4

Premessa teorico-metodologica

Come già annunciato dal titolo del capitolo l’obiettivo della seconda parte

della tesi è quello di indagare il nesso che, secondo chi scrive, pare intercorrere tra l’accumulazione originaria e il momento egemonico. Cosa si intenda col termine

«momento egemonico» lo si è detto nel primo capitolo del lavoro, ovvero «quel

momento temporalmente limitato in cui i conflitti in seno alla società si fanno

maggiormente espliciti diventando forieri di scontri radicali tra i gruppi sociali».

Tali scontri possono assumere forme concrete variabili, ma che siano esse

violente, puramente simboliche, ideologiche, discorsive, mediatiche o legate a

«smottamenti» elettorali, il dato caratterizzante del momento egemonico è che, all’interno di questa parentesi gli equilibri socio-politici risultano essere più

contendibili e tale contendibilità può portare a un rinnovamento dei rapporti di

forza tra i grupppi sociali in campo.

Qualcuno potrebbe individuare una sostanziale identità tra il «momento

egemonico» e la gramsciana «crisi organica», chi scrive però non vuole

sovrapporre questi due concetti e per quanto il momento egemonico possa porre le premesse per passaggi d’epoca molto profondi esso non deve per forza essere il

risultato di una crisi organica della società. Il concetto di momento egemonico

permette quindi di analizzare i conflitti e i riassestamenti politico-economici a

livelli variabili di radicalità e di profondità sociale.

In sintesi si può dire che a tutte le crisi organiche corrisponda l’apertura di un

(5)

5

parallelamente ad una cirisi organica della società. Come detto precendentemente

il momento egemonico è quindi il momento in cui emergono nuovi equilibri

politico-sociali, il momento in cui le forze in campo «giocano le proprie carte» per

riassestare in parte o del tutto gli equilibri egemonici.

Ciò che si vuole indagare da qui in poi è se il concetto marxiano di

«accumulazione originaria» possa invece essere (rimanendo nella stessa metafora)

il momento di «distribuzione» delle carte. La risposta a tale domanda non è

univoca ed è da tale non univocità che deriva il sottotitolo del capitolo: «nessi,

indizi, ipotesi». Muovendoci in maniera disorganica, su temporalità discontinue e

su ordini di grandezza economico-sociali variabili, l’obiettivo non è quindi quello

di delineare un quadro teorico organico ma quello di mostrare quali spie e quali

«tessere sparse del puzzle» abbiano portato chi scrive ad ipotizzare un nesso tra

accumulazione originaria e «momento egemonico». Tale disorganicità

storico-analitica caratterizza in particolare il terzo paragrafo e il punto 2.4.

***

Il capitolo si apre indagando da prospettive diverse, ma complementari, la

categoria marxiana di «accumulazione originaria». Spesso utilizzata per

descrivere l'insieme di eventi che hanno posto le premesse economico-sociali

della rivoluzione industriale in Inghilterra, si cercherà qui, pur partendo da una

prospettiva storica, di cogliere il nucleo teorico essenziale che sottende ad essa. Una volta spogliata delle sue determinazioni concrete, l’accumulazione originaria

(6)

6

apparirà, più semplicemente, come un momento fondativo necessario dei cicli di

accumulazione capitalistici, quale che sia la loro specifica rilevanza economica. Durante il procedere dell’argomentazione ci si allontanerà progressivamente

dall’accumulazione originaria intesa come fenomeno storico circoscritto per

coglierne una natura più profonda, una natura che caratterizza l’accumulazione

originaria come un processo cangiante e multiforme, il quale assume, di volta in

volta, la forma storica concreta di «prassi con cui il capitale si fa strada in uno

spazio economico-sociale da omologare a sé». Come vedremo, già nelle

argomentazioni dello stesso Marx si possono cogliere le premesse per conferire all’accumulazione originaria lo status di categoria analitica oltre che quello di

semplice fatto storico.

L'accumulazione originaria fa quindi continuamente irruzione sulla scena

della storia, ma, per converso, pressoché mai irrompe sulla scena della storiografia

o più in generale nel dibattito politico-culturale. Ed è questa assenza a rivelarne

l'importanza capitale, in quanto essa rappresenta un dato di violenza e

prevaricazione tanto necessario, quanto impronunciabile, per lo sviluppo

capitalistico.

Secondo chi scrive, sul piano delle relazioni conflittuali concrete interne all’economia politica, la narrazione dell’accumulazione originaria è qualcosa di

simile al concetto di «linguaggio delle idee senza parole»1 che Furio Jesi teorizza

in Cultura di destra. Essa, analogamente al linguaggio delle idee senza parole

agisce senza lasciare traccia sul piano narrativo condiviso e in virtù della sua

1 Furio Jesi, Cultura di destra. Con tre inediti e un’intervista [1979], a cura di Andrea Cavalletti,

(7)

7

carica brutale gode quindi di una sorta di perpetuo «diritto all’oblio» che si può

interrompere solo con una altrettanto perpetua «anamnesi della genesi».2

Vero e proprio convitato di pietra, l'accumulazione originaria rimane quindi

costantemente celata nei meandri della mitologia sociale e politica, attraverso un

continuo processo di naturalizzazione di quelli che invece sono processi sociali

specifici e intrinsechi al sistema capitalistico.

Risulta quindi abbastanza chiaro come attorno alla questione

dell’accumulazione originaria si giochi un’importante battaglia simbolica ed

ideologica, dove per «ideologia» si deve intendere (gramscianamente) «visione

del mondo» ed in questo caso il termine «visione» riguarda in senso stretto l’orizzonte di senso che si vuole imporre, specificamente la cornice visiva che i

gruppi sociali dominanti tentano di imporre al resto della società. A titolo

evocativo riporto una citazione di Ludwig Von Mises in cui il celebre economista

austriaco non fa mistero di come determinate nozioni marxiane andrebbero, a suo

dire, «cancellate» dal vocabolario economico:

i termini Capitalismo e sistema di produzione capitalistico sono termini di lotta propri delle contese politiche. Sono stati coniati dagli scrittori socialisti, non per servire alla conoscenza, ma per criticare, accusare giudicare. Basta oggi ricordarli per far nascere la visione di un sanguinoso sfruttamento di poveri schiavi salariati a favore di ricchi spietati, e vengono infatti raramente menzionati se non con l’intenzione di

2

È con questa espressione che Adorno, dialogando con Alfred Sohn-Rethel, definisce il materialismo storico. 12 Notizien von einem Gespräch zwischen Th. W. Adorno und A. Sohn-Rethel am 16. 4. 1965, in A. Sohn-Sohn-Rethel, Geistige und körperliche Arbeit. Zur Epistemologie der abendländischen Geschichte, Weinheim, VCH, 1989, p. 223.

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8

biasimare moralmente ciò che indicano. Dal punto di vista concettuale sono talmente oscuri e multivoci da non possedere alcun valore conoscitivo. Coloro che li impiegano, s’accordano soltanto nel fatto di usarli per la conoscenza dell’economia del tempo moderno. Dove appaiono però i segni caratteristici di questo modo di produzione è pure un fatto su cui i giudizi sono difformi. Perciò i termini Capitalismo e capitalistico hanno prodotto soltanto danni; la proposta di cancellarli da vocabolario economico e di lasciarli ai «mattatori» della letteratura popolare rivolta a suscitare l’odio, merita perciò la più alta considerazione3

***

Come detto sopra l’accumulazione originaria è quindi un momento

fondativo necessario dei cicli di accumulazione capitalistici e coeretemente con

tale assunto, nel procedere del capitolo, vedremo come concretamente essa opera. In particolare nel paragrafo 3 ci concentreremo sull’emersione del ruolo dello

Stato come sanzionatore formale quando dell’accumulazione originaria, quando

del regime di accumulazione nel suo complesso e l’osservare lo Stato nel suo

ruolo di «collaboratore» del capitale risulta particolarmente utile in quanto, se si

definisce lo Stato come la «principale agenzia sovrastrutturale» questo permetterà,

alla luce dei fatti storici, di tenere insieme con maggior solidità teorica

accumulazione originaria ed Egemonia, nella misura in cui lo Stato risulta essere la «cerniera», il processo anfibio, che tiene legata l’Egemonia nelle sue

3 Ludwig Von Mises, Die Gemeinwirtschaft, Jena 1922, pp. 110 e seguenti, citato in Giulio

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9

componenti più strutturali e l’accumulazione orginaria nelle sue componenti più

sovrastrutturali. Per chiarezza è bene specificare che quando si parla degli

elementi più sovrastrutturali della «struttura» si fa riferimento al regime di

accumulazione mentre (semplificando) gli elementi più «strutturali» della struttura sono rappresentati appunto dall’accumulazione originaria e dalla violenza

extra-economica e quanto ci dice Alberto Burgio, sia nella citazione che nel resto del

saggio citato, può aiutarci a individuare alcuni esempi di «punti di incontro» tra

dimensione strutturale e sovrastrutturale:

l’egemonia del dominante si dispiega dunque anche nelle (e a cominciare dalle) relazioni che interessano direttamente il piano strutturale (la sfera della produzione e dell’accumulazione). Anzi, in taluni casi l’egemonia si sprigiona essenzialmente nella sfera della produzione immediata, come mostrano gli Stati Uniti all’epoca del fordismo, dove – in forza di una connotazione ancora prevalentemente «economico-corporativa» della società - «l’egemonia nasce dalla fabbrica e non ha bisogno per esercitarsi che di una quantità minima di intermediari professionali della politica e della ideologia»45

Ed uno dei vari ruoli dello Stato è quello appunto di collocarsi come arbitro (non

imparziale) su questi livelli intermedi di modo da «gerarchizzare ed ordinare le

varie spinte eterogenee, sulla base di un orientamento socio-economico volto alla

4 Antonio Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica a cura di Valentino Gerratana [1975],

Einaudi, Torino 2007, p. 2146.

5 Alberto Burgio, Il nodo dell’egemonia in Gramsci. Appunti sulla struttura plurale di un concetto,

contenuto in Egemonie a cura di Angelo D’Orsi e Francesca Chiarotto, Edizioni Dante & Descartes, Napoli 2008, p. 260.

(10)

10

perpetuazione delle posizioni di comando in cui si trovano i gruppi sociali

egemoni in una determinata fase storica» (cap. 1).

***

Termino questa premessa riportando le parole dello storico March Bloch

in quanto possibile monito contro il rischio di portare avanti tentativi esasperati

nel cercare ostinatamente, nei fatti storici, «causalità», «necessità logiche» ed

«evidenti tendenze».

La spiegazione del più recente tramite il più remoto logicamente cara ad uomini che nel passato vedono il principale campo della loro ricerca, ha talvolta dominato i nostri studi sino all’ipnosi. Nella sua forma più caratteristica, quest’idolum tribus degli storici ha un nome: ossessione delle origini.6

Si può sempre inciampare nei rischi che sottolinea Bloch in Apologia della storia

ed è particolarmente facile inciamparvi in una ricerca come questa. Una delle

possibili vie di fuga sta proprio nel «moltiplicare», nel rendere maggiormente

eteorogenee le astrazioni analitiche di cui si fa uso per accomunare fenomemi

molto diversi tra loro. Questo è quello che cerco di fare in questo capitolo ovvero cercare di «eterogeneizzare» dove non è possibile giungere ad un’astrazione

univoca e complementarmente approfodire i livelli di astrazione dove possibile, di

(11)

11

modo di dotarsi di strumenti analiticamente più elastici ma, va da sé, meno

«stringenti».

Il cercare di far convergere queste due metodologie analitiche parzialmente

contrapposte ci consegna, contemporaneamente, un quadro di risposte e un quadro

(12)

12

1

L’accumulazione originaria in Marx e oltre Marx

1.1 – L’accumulazione originaria inglese

Come in altre occasioni in cui Marx vuole svelare un arcano ideologico su

cui poggia la narrazione che la borghesia propone di sé stessa, anche all'inizio del

capitolo XXIV del primo libro del Capitale, il filosofo tedesco ricorre a

un'esposizione volta a rendere espliciti quei presupposti esterni a sé di cui il

capitale (inteso come processo) si appropria. Storicamente antecedenti a uno

sviluppo «compiuto» del capitale, i presupposti di questo vengono da esso

tramutati in propri prodotti, continuando a reiterarli ciclicamente nel proprio

svolgersi (sussunzione). Complementarmente, negando la funzione genetica di

questi presupposti il capitale finisce così per porre i propri prodotti peculiari, su

tutti il lavoro astratto, come suoi presupposti naturali.

Marx ci propone quindi una catena di categorie la cui determinatezza (e

immediata «operatività») è data dall'essere esposte tramite un processo che si

muove solo apparentemente a ritroso, dalle determinazioni più semplici del

capitale fino a giungere via via a quella visione d'insieme che per necessità si è

cominciato ad esporre partendo da categorie apparentemente parziali.7 Tale

7 «L'anatomia dell'uomo è una chiave per l'anatomia della scimmia». K. Marx, Lineamenti fondamentali della Critica dell'Economia politica 1857-1858, La Nuova Italia, Firenze 1968, p.

(13)

13

visione d'insieme si poggia però sulla natura storica del modo di produzione che si

va indagando, e sulla consapevolezza che le categorie utilizzate assumono senso

solo all'interno di tale determinatezza.8

Per Marx l'economia politica borghese è sì un'ideologia, e pertanto una

mistificazione, ma è al contempo adeguata alla logica interna di quei processi

storici e sociali che deve appunto mistificare e naturalizzare. Sottoporre a critica la

genesi delle categorie di cui fa uso l'economia politica borghese è quindi opera di

denuncia e svelamento ma al contempo di ricerca e scoperta. Proprio questo

doppio carattere conferisce all'indagine marxiana una natura, filosofica e

letteraria, non declaratoria bensì dialettica.9

***

Ed è appunto nel penultimo capitolo del Capitale che Marx ci parla (a

coronamento di un'esposizione «circolare») dell'accumulazione originaria, ovvero

di quel presupposto che storicamente permette il realizzarsi della merce, cioè la

«cellula» parlando della quale Marx ha invece aperto il testo.

L'accumulazione del capitale presuppone il plusvalore, e il plusvalore la produzione capitalistica, e questa presuppone a sua volta la presenza di masse di capitale e di forza-lavoro di entità considerevole in mano ai produttori di merci. Tutto questo movimento pare dunque aggirarsi in un

8 «Il concreto è concreto perché sintesi di molte determinazioni, quindi unità del molteplice». Ivi,

p. 27.

9

«Marx non cercava di ridurre ogni cosa in termini economici. Egli piuttosto si sforzava di scoprire le effettive relazioni tra i fattori economici e quelli non-economici nella totalità della vita sociale» - Paul M. Sweezy e altri, Teoria dello sviluppo capitalistico e discussione del pensiero

(14)

14

circolo vizioso dal quale riusciamo ad uscire soltanto supponendo un'accumulazione «originaria» precedente l'accumulazione capitalistica: un'accumulazione che non è il risultato, ma il punto di partenza del modo di produzione capitalistico.10

Partendo da questo assunto, apparentemente tutto teorico, inaspettatamente Marx

ci catapulta in mezzo alla sarabanda di violenze e scorrerie che hanno reso

possibile l'accumulazione originaria in Inghilterra, quell'accumulazione originaria

che il moro11 non si perita a definire

una storia di espropriazione dei lavoratori, scritta negli annali dell'umanità a tratti di sangue e di fuoco.12

Recinzioni, espulsione dei contadini dalle loro terre, deportazioni, stermini,

distruzione di villaggi, abolizione degli usi comuni di boschi e corsi d'acqua,

diffusione della forma moderna del lavoro salariato, legislazioni per la

compressione dei salari, isolamento obbligato di poveri e vagabondi rimasti

disoccupati, privatizzazione forzosa di quantità smisurate di beni demaniali: fu

questo il volto della nascente borghesia inglese che Marx tiene particolarmente a

mostrarci al fine di rompere «l'idillio che da sempre ha regnato nella mite

economia politica».13 Ed è della stessa contraddizione tra rappresentazione

idilliaca e tragica realtà di cui parla Pierre Bourdieu nel testo Il senso pratico:

10 Karl Marx, Il Capitale. Critica dell'economia politica. Libro primo. Il processo di produzione del capitale (1863-1890), a cura di Roberto Fineschi, traduzioni di D. Cantimori, R. Fineschi, G.

Sgrò. La Città del Sole, Napoli 2011, p. 787.

11 Soprannome con cui era noto Karl Marx nelle sue cerchie di amicizia. 12 K. Marx, Il Capitale cit., p. 789.

(15)

15

L’economia precapitalistica è il luogo per eccellenza della violenza simbolica [...] non bisogna dunque vedere una contraddizone nel fatto che la violenza è ad un tempo più presente e più mascherata14

La violenza extraeconomica in questa fase la fa da padrona, in quanto la borghesia

ha bisogno di spezzare la resistenza (reale e potenziale) di quei settori delle classi

subalterne che vedranno di lì a poco distruggere le loro comunità e le loro

tradizioni in tempi rapidissimi.

1.2 – Temporalità dell’accumulazione originaria

Si deve però specificare che quando si parla di «tempi rapidissimi» si tratta

in ogni caso di temporalità stratificate su vari livelli. La prima temporalità è quella dell’imposizione del «nuovo modello sociale» ed è appunto quella appena

descritta, ovvero la temporalità della violenza economica pura e semplice dove il

dato rilevante (dal punto di vista del potere) è quello di imporre il nuovo corso ad

ogni costo. Passando se necessario anche per il massimo grado di coercizione

unito al minor grado possibile di consenso tra i gruppi sociali subalterni.

Ovviamente il nuovo corso non potrà riportare una vittoria integrale, e se non

potrà riportarla sul piano della conflittualità sociale esplicita (per quanto la vittoria sia sostanziale) ancora meno tale transizione d’epoca riuscirà ad imporre una

normalizzazione e una riconversione generale (in tempi rapidi) delle culture dei

gruppi sociali subalterni.

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16

Emergono così, in linea con quanto teorizzato nel primo capitolo, tre «macro-temporalità», qualitativamente e «ritmicamente» diverse ed interagenti l’una con

l’altra: 1) la «temporalità dell’Egemonia», che in parte si accosta alla «guerra di

movimento» e la cui ritmicità è caratterizzata da un momento di conflitto aperto

che una volta risolto darà luogo a un nuovo ordine socio-economico il quale, per

quanto temporaneo e contendibile, vedrà comunque alcuni gruppi sociali in una

posizione di vantaggio oggettivo e potenzialmente perpetuabile; 2) la «temporalità

del conflitto sociale» (o temporalità «politica») che trova il suo fondamento nelle

peculiari contraddizioni socio-economiche del modello di produzione e la cui

ritmicità è discontinua. Questa discontinuità discende dalla «vittoria» sostanziale,

ma non integrale, rappresentata dalla temporalità egemonica. Tale ritmo è dettato

da un conflitto latente che, in base alle fasi e alla capacità di proiezione egemonica

dei soggetti socio-politici, può divenire coflitto reale; 3) una temporalità

«culturale» che si incentra sul tentativo da parte dei gruppi sociali egemoni di

riconvertire le culture dei gruppi sociali subalterni omologandole alla propria

cultura. Come detto nel primo capitolo questa terza temporalità è quella più

«lenta» ed agisce su tempi più lunghi e si gioca su una dinamica di azione e

reazione in cui non solo i gruppi dominanti agiscono sui gruppi dominati ma

anche questi ultimi reatroagiscono sulla cultura dei gruppi dominanti, per quanto

in misura minore rispetto all’incidenza dei gruppi dominanti.

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17

Ritornando alle conseguenze dell’accumulazione originaria è interessante

vedere come le culture dei gruppi sociali subalterni si conservino su tempi lunghi

proprio perché la capacità di sussunzione reale da parte del capitale è inizialmente più limitata e al contempo perché la transizione d’epoca imposta dall’avvento del

capitalismo (che in parte si poggia sull’emancipazione tendenziale dell’uomo dai

fenomeni naturali) impone ai soggetti sociali trasformazioni culturali più

«traumatiche» i cui tempi di assestamento sono più lunghi.

Una moltitudine di indizi in questa direzione ce li dà il celeberrimo testo di E. P.

Thompson Società patrizia cultura plebea. Uno dei tanti esempi riportati da

Thompson riguarda i cacciatori i quali devono utilizzare determinate ore della

notte per tendere le loro trappole analogamente a come pescatori e naviganti

debbono far quadrare la loro vita con le maree. Ed è proprio parlando dei pescatori

che Thompson riporta una petizione del 1800 proveniente dal Sunderland,

petizione che in mezzo a varie «lagnanze» dice:

questo è un porto di mare dove molta gente è costretta a stare sveglia a tutte le ore della notte per badare alle maree e ai propri affari sul fiume. 15

Come fa ben notare lo storico inglese «la frase significativa è «badare alle maree» in quanto nel porto il modello del tempo sociale all’epoca si poggiava ancora sui

ritmi del mare. Ciò risulta naturale ai pescatori e ai marinai i quali si esprimono

sulla base delle proprie coordinate socio-culturali e questo continua ad avvenire a

15 Edward Palmer Thompson, Società patrizia cultura plebea. Otto saggi di antropologia storica sull'Inghilterra del settecento, Einaudi, Torino 1981, p. 7. Il saggio citato, Tempo e disciplina del lavoro, venne pubblicato per la prima volta nel 1967.

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18

distanza di quarant’anni dall’avvento della rivoluzione industriale e a distanza di

secoli dalla traumatica rottura esercitata dall’accumulazione originaria.

Si possono però riscontrare esempi ancor più interessanti per quanto riguarda la

stratificazione temporale e la capacità di «resistenza» delle culture subalterne. Ed

è sempre Thompson a raccontarci di come varie figure religiose, a cavallo tra

cristianesimo e paganesimo, abbiano continuato ad essere presenti nella vita culturale dei gruppi sociali subalterni. Riporto qui l’esempio di «San Lunedì»

onorato quasi universalmente ovunque esistevano industrie su piccola scala, a conduzione familiare, basate sul lavoro a domicilio [...]. A Sheffield, dove i coltellinai festeggiavano tenacemente il Santo da secoli, questa finì per diventare «una consuetudine e un costume radicato», rispettato persino nelle acciaierie16

Il dato delle acciaierie di Sheffield risulta particolarmente interessante in quanto

mostra come i tempi della «sussunzione culturale reale» possano essere molto

lunghi anche in fasi storiche in cui il modello sociale dominante è più vicino e

qualitatitavamente più simile alla concezione odierna di «modernità».

1.3 – Lo Stato, Robinson e il «peccato originale»

Torniamo però alla temporalità dell’Egemonia, alla fase di «guerra di

movimento» rappresentata dal momento dell’accumulazione originaria, e

(19)

19

concentriamoci su quello che di solito è il principale «complice» dell’accumulazione originaria, il sanzionatore formale che veglia sulla sua

formalizzazione giuridica: lo Stato. L’accumulazione originaria inglese, che

appare come una sequenza di violenze atroci ed inumane, si poté realizzare in

quanto fu coscientemente avallata dallo stato inglese, quando votando leggi che

legalizzavano o favorivano le espropriazioni, quando ignorando le brutalità dei privati e molto spesso questo «avallare» si tramutava nell’organizzazione diretta

delle espropriazioni tanto che

sotto la restaurazione degli Stuart i proprietari fondiari riuscirono a imporre in forma legale una usurpazione che sul continente fu attuata dappertutto anche senza lungaggini giuridiche. Essi abolirono la costituzione feudale del suolo, cioè scaricarono sullo Stato gli obblighi di servizio che essa comportava, «indennizzarono» lo Stato per mezzo di tasse sui contadini e sulla restante massa della popolazione, rivendicarono la proprietà privata moderna su quei fondi, sui quali possedevano soltanto titoli feudali [...] La glorious revolution portò al potere, con Guglielmo III di Orange, facitori di surplus fondiari e capitalistici, che inaugurarono l’era nuova, esercitando su scala colossale il furto ai danni dei beni demaniali che fino a quel momento era stato perpetrato solo su scala modesta. Le terre demaniali venivano regalate, vendute a prezzo irrisorio, oppure annesse a fondi privati per usurpazione diretta.17

Il ruolo dello Stato, come si può intuire, gioca un ruolo centrale nell’accumulazione originaria, in primis perché ne garantisce la tenuta giuridica.

17 K. Marx, Il Capitale cit., pp. 796-797.

(20)

20

In ogni caso torneremo specificamente a parlare del ruolo dello stato nel secondo

paragrafo del capitolo.

***

In parallelo a questa polarizzazione della ricchezza nazionale Marx

individua un altro elemento comune delle espropriazioni e caratterizzante

l'accumulazione originaria: l'alienazione dei mezzi di produzione a danno di una

classe di contadini ormai integralmente affrancata dalla servitù della gleba:18

così il movimento storico che trasforma i produttori in operai salariati si manifesta, da un lato, come loro liberazione dalla servitù e dalla coercizione corporativa; e per i nostri storiografi borghesi esiste solo questo lato. Ma dall'altro lato questi neoaffrancati diventano venditori di sé stessi soltanto dopo essere stati derubati di tutti i loro mezzi di produzione e di tutte le garanzie per la loro esistenza offerte dalle antiche istituzioni feudali.19

Ed è probabilmente sulla scorta di Marx che successivamente Friedrich Engels

descriverà la genesi della schiavitù rifancendosi a una tanto dura quanto

«normale» immagine, mutuata dal più celebre romanzo di Daniel Defoe:

Robinson, «la spada in pugno», ha fatto di Venerdì il suo schiavo. Ma per riuscire a questo, Robinson ha bisogno di qualche altra cosa oltre la spada

18 Ivi, pp. 790-791, nota 190. 19 Ivi, p. 789.

(21)

21

[...] in primo luogo gli oggetti e gli strumenti per il lavoro dello schiavo e in secondo luogo i mezzi necessari per il suo mantenimento20

Per quanto Marx non si peritasse a descrivere il rapporto che intercorreva tra

capitalisti ed operai come un rapporto in molti casi simil-schiavile, nel capitolo

XXIV del Capitale il filosofo di Treviri vuole però dedicare particolare attenzione alla naturalizzazione di quei processi sociali che portarono all’affermazione del

sistema di produzione capitalistico facendo prevalere, sul piano analitico

personale, la figura dello scienziato sociale su quella del polemista politico. Al

contempo però la feroce critica politica che Marx muoveva alla contemporaneità lo aveva portato a cogliere un’analogia significativa tra la figura sociale dello

schiavo e quella dell’individuo che si trovava socialmente «spiantato» in quanto

vittima dei processi derivanti dalle espropriazioni che tramutarono

improvvisamente un popolo composto in larga parte di piccoli produttori

autosufficienti, in una miriade di novelli «Venerdì» in cerca, obtorto collo, del

loro Robinson Crusoe.

Ed è così che nell’incedere della narrazione marxiana ci troviamo di colpo

di fronte all’emergere del libero mercato e, contestualmente, ad orde di free hands

che non possono far altro che aspettare, e desiderare, di essere reimpiegate. Come accennato precedentemente è però particolarmente rilevante nell’ottica marxiana

lo strappare la narrazione di questi fenomeni sociali a qualunque forma di

naturalizzazione. Ed è proprio a fronte di questa drammatica dinamica,

integralmente sociale, che il Marx polemista riemerge con tutta la sua forza:

(22)

22

già un po' si trasforma - così pare - la fisionomia delle nostre dramatis

personae. Quello che era il possessore di denaro marcia in testa come

capitalista, il possessore della forza-lavoro lo segue come suo lavoratore; il primo è sorridente e significativamente compiaciuto, bramoso d'affari, l'altro è timido, riluttante, come qualcuno che ha portato al mercato la propria pelle e ora non ha da aspettarsi altro che la - concia21

***

Questa «liberazione» di mani, insieme all'espropriazione dei mezzi di

produzione ed alla redistribuzione verso l'alto della ricchezza nazionale,

rappresentò il polanyiano «peccato originale» caratterizzante il sistema

capitalistico, ovvero l'applicazione dei principi di libero scambio alle tre «merci

fittizie»: lavoro, denaro e terra.22 È bene però specificare che il parallelismo

appena sottolineato tra Marx e Polanyi non vuole evidenziare una sorta di

continuità «politica» tra i due autori, nella misura in cui secondo Marx il lavoro

(la forza-lavoro), il denaro e la terra non sono merci in alcun modo fittizie bensì

merci «normali». Il fatto che il libero scambio di queste merci generi una

mutazione antropologica dell’individuo non pone un effettivo problema teorico all’autore del Capitale, in quanto nell’ottica del Marx «maturo» la natura sociale

dell’individuo corrisponde tendenzialmente alla sua natura tout-court. Secondo

Marx non c’è quindi nulla di «peccaminoso» nell’applicazione dei principi di

libero scambio a tali valori d’uso, nella misura in cui la loro mercificazione è

21 K. Marx, Il Capitale cit., p. 194.

22 Karl Polanyi, La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca

(23)

23

connaturata allo sviluppo capitalistico. Non a caso per Marx le merci sono tutte

omologhe se analizzate dal punto di vista del «valore» incorporato e tutte sono

prodotte al fine di realizzarne il valore di scambio.23 Questo non vuol dire però

che tutte le merci siano «uguali» e rimanendo nel perimetro degli strumenti

analitici marxiani è comunque possibile individuare delle «gerarchie» rispetto al ruolo che un determinato valore d’uso gioca nella geografia economico-sociale

del mercato e delle relazione umane. Le peculiarità delle «tre merci» sono quindi

evidenti al filosofo tedesco: la forza-lavoro è l’unica merce che può annoverare tra i suoi valori d’uso la capacità di produrre valore; il denaro è il medium tramite il

quale si scambiano universalmente le merci; la terra permette di produrre il cibo e le materie prime, oltre ad essere «l’originario arsenale di mezzi di lavoro del

genere umano».24 Ed è proprio alla luce di tale capacità «gerarchizzatrice» che

Marx può individuare la mutazione antropologica dettata dalla nascita del capitale.

In ogni caso, al di là delle valutazioni etico-politiche elaborate da Marx e Polanyi, rimane rilevante la convergenza dei due scienziati sociali nell’individuare in

questa transizione storica una cesura sia quantitativa che qualitativa epocale.

23 «Per esercitare praticamente l’azione di un valore di scambio la merce deve spogliarsi del

proprio corpo naturale, trasformarsi da oro solo rappresentato in oro effettuale, benché questa transustanziazione le possa risultare più “amara” di quanto sia al “concetto” hegeliano il passaggio dalla necessità alla libertà o ad un’aragosta sgusciarsi, o al padre della chiesa Girolamo spogliarsi del vecchio Adamo». K. Marx, Il Capitale. Libro primo, cit., p. 116.

24 Ivi, p. 199. Cfr. inoltre K. Marx, Forme economiche precapitalistiche, Editori Riuniti, Roma

(24)

24

1.4 – «Nessuno ammassò filatoi e telai»

Come anticipato nella «premessa teorico-metodologica» l’obiettivo di

questo secondo capitolo è mostrare come il concetto di accumulazione originaria

possa divenire, passando da una serie di processi di astrazione, una categoria dalla

notevole potenza analitica, utile a interrogare e comprendere fenomeni sociali che

vanno ben al di là del singolo caso storico affrontato da Marx nel Capitale. Come vedremo più avanti, già sulla scia di Marx, si potrà inquadrare l’accumulazione

originaria come una delle condizioni storiche necessarie affinché si possa mettere in moto l’accumulazione capitalistica in generale.

Dovendo però approfondire la nostra comprensione del fenomeno risulterà

nuovamente utile analizzare queste dinamiche socio-economiche sulla base di

temporalità multiple e ritmicamente discontinue. Temporalità multiple che trovano un minimo comun denominatore nell’oggettiva capacità da parte del

capitale di accumulare in vari momenti successivi un potere che gli permetta di

agire concretamente sui soggetti sociali sussumendoli progressivamente.

Riprendiamo quindi Maurice Dobb per comprendere meglio il «ritmo», l’andatura, dell’accumulazione originaria. L’economista inglese, nella sua opera

Problemi di storia del capitalismo, ci dice una cosa tanto ovvia quanto illuminante:

non v’è alcuna testimonianza di capitalisti che abbiano prima ammassato filatoi, telai, torni o scorte di materie prime in giganteschi magazzini,

(25)

25

finchè, nella pienezza dei tempi non ce ne fosse abbastanza per dare il via alla produzione di fabbrica. 25

Leggere queste poche righe è particolarmente utile, in quanto uno dei principali rischi insiti nel cercare di «sviscerare» analiticamente l’accumulazione originaria

è quello di rimanere impigliati in una dinamica prettamente binaria caratterizzata

da un «grado zero» dei rapporti sociali capitalistici (l’accumulazione originaria) e

da un non meglio precisato grado successivo in cui i rapporti capitalistici

«esplodono» e fioriscono realizzandosi coerentemente. Così non è e se proprio

vogliamo andare a cercare un qualche grado zero questo potrebbe essere

rappresentato dai movimenti economico-sociali derivanti da quella «temporalità

Egemonica» in virtù della quale una determinata «massa critica» di potere si

concentra attorno a determinate figure sociali ponendole nella speciale condizione

politica di agire concretamente sul futuro sviluppo sociale. Ed è sempre Dobb a

venirci incontro nel chiarificare quella che potrebbe apparire come una serie di

definizioni fumose:

l’«accumulazione originaria» è quindi accumulazione di titoli capitali – diritti su beni esistenti che vengono accumulati in primo luogo per motivi speculativi; secondariamente accumulazione nelle mani di una classe che, in virtù della sua speciale posizione nella società, è in grado di trasformare quei titoli tesoreggiati in effettivi mezzi di produzione. 26

25 Maurice Dobb, Problemi di storia del capitalismo[1946], Editori Riuniti, Roma 1974, pp.

213-214.

(26)

26

Questo frazionamento temporale permette di scorgere in maniera più chiara come l’accumulazione originaria abbia sì un suo grado zero, ma che questo da un certo

momento in poi cominci gradualmente a sfumare nell’accumulazione tout-court dando il via a una dinamica dialettica in cui l’accumulazione originaria produce il

potere che a sua volta permette l’accumulazione del capitale e che a sua volta

deve realizzarsi al fine di poter continuare ad implementare un processo di

accumulazione originaria che non si esaurisce nella fase della violenza

extra-economica ma che mantiene una sua vita in tutta la fase iniziale di un nascente

ciclo di accumulazione. Dobb arriva così alle sue conclusioni storiche dicendoci

che

in altre parole, parlare di accumulazione in senso storico significa necessariamente parlare di proprietà di beni, e del suo trasferimento, e non delle quantità di tangibili strumenti di produzione esistenti a un certo momento.27

L’accumulazione originaria, e l’accumulazione, analizzate su un piano storico

finiscono quindi per confondersi contribuendo l’una alla perpetuazione dell’altra e

rimanendo fattivamente legate dalla capacità, e dalla possibilità storica concreta, dell’appropriarsi di beni e titoli da parte di quei gruppi sociali che aspirano

all’Egemonia.

Fatto economico complesso, l’accumulazione originaria, se osservata in questa

prospettiva, ci apparirà scomposta sulle sue direttrici politiche e sociali evocando

27 Ibidem.

(27)

27

(almeno nella mente di chi scrive) un’astrazione tanto semplificatoria, quanto

analiticamente potente di Fernand Braudel:

la storia ammette solo due piani generali, quello politico da una parte, quello sociale dall’altra. Come nella geometria descrittiva, è su entrambi i piani che bisgona proiettare tutto il corpo della storia.28

1.5 – Accumulazioni originarie

Facciamo ora un ulteriore passo avanti utile a comprendere la potenziale

«varietà» del concetto di accumulazione originaria. Il fatto che tale concetto

emerga dall’analisi di un autore che ne mostra specificamente la funzione

espropriatrice ai danni di gruppi sociali già subalterni non implica però un legame obbligato tra l’accumulazione originaria e un suo agire dall’alto verso il basso

nella scala sociale.

Come vedremo negli ultimi due paragrafi del capitolo questo legame c’è ed è

indubbiamente un tratto ricorrente e tendenzialmente caratterizzante dell’accumulazione originaria. Ciò non toglie che se associamo l’accumulazione

originaria a una «temporalità egemonica» delle dinamiche socio-economiche

(quella temporalità in cui si esprime uno scontro aperto tra soggetti sociali in competizione per l’Egemonia) allora l’accumulazione originaria non dovrà

obbligatoriamente concretizzarsi in un atto di guerra di classe dall’alto verso il

basso. Essa potrà esprimersi anche attraverso dinamiche che vedono coinvolti

(28)

28

soggetti sociali che non per forza occupano posizioni particolarmente distanti e

«strutturalmente conflittuali» nella gerarchia economico-sociale. Una serie

eterogenea di movimenti e contromovimenti, solo apparentemente «atipici», ce la

porta Valerio Castronovo ne La rivoluzione industriale:

la dissoluzione dei monasteri, il sequestro e la vendita delle terre dei «realisti» durante il periodo di Cromwell, le recinzioni di feudi, le pressioni usuraie, i cambiamenti di mano nella proprietà fondiaria in seguito ai prestiti su ipoteca e a ristrettezze finanziarie avrebbero avuto ognuno la sua parte [nell’accumulazione originaria].29

Come si può vedere stiamo parlando di una varietà di movimenti e contromovimenti tutti interni al processo innescato dall’accumulazione originaria

inglese che ne mostrano una volta di più la notevole eterogeneità mentre al

contempo emerge quanto teorizzato subito sopra, ovvero la possibilità di assistere a conflitti che, pur esprimendosi nella cornice dell’accumulazione originaria, non

rappresentano obbligatoriamente un conflitto di classe dall’alto verso il basso.

Chiarito questo passaggio risulterà quindi facilmente comprensibile come l’accumulazione originaria possa (in alcuni casi particolari) agire addirittura da

vettore del conflitto di classe dal basso verso l’alto. Ciò può però avvenire

all’interno di fasi storiche rivoluzionarie, caratterizzate da un sostanziale

riassestamento dell’ordine sociale in una prospettiva anti-gerarchica. Un esempio

su tutti ci è dato da quel colossale rivolgimento sociale che Georges Lefebvre in

(29)

29

un suo celebre testo definì la grande paura del 1789. 30 Si trattò di una catena di jacqueries di proporzioni fino a quel momento mai viste che coinvolse pressoché tutte le campagne francesi. Nell’arco di sole due settimane i contadini insorsero in

ogni dove contro i feudatari ma, distinguendosi dalla dinamica ricorrente della

jacquerie «normale», non si limitarono (quando gli fu possibile) ad uccidere i signori e a bruciarne i castelli ma in molti luoghi i contadini distrussero i

documenti che provavano il rapporto servile che li legava al proprio feudatario.

Dopo due settimane di insurrezioni apparentemente inarrestabili, il 4 Agosto 1789, l’Assemblea Nazionale Costituente sancì l’abolizione di ciò che restava dei

diritti feudali accettando di fatto il gigantesco passaggio di proprietà terriera che

ciò implicava. Si trattò di una vera e propria «accumulazione originaria ribaltata».

Inoltre tale redistribuzione proprietaria risulterà, in prospettiva, uno dei fattori di

stabilizzazione della Francia napoleonica nel momento in cui, attorno alla figura

di Bonaparte, convergeranno gli interessi economico-sociali (e l’aspirazione alla

pace sociale) delle campagne e della borghesia appena emersa dalla temperie

rivoluzionaria come nuova classe dirigente.

Anche in questo caso (sulla falsa riga di quanto ci dice Castronovo poco sopra) si

potrebbero individuare movimenti e contromovimenti generati dal passaggio di proprietà sanzionato legalmente con l’abolizione dei diritti feudali,

contromovimenti che oscillano fra tre poli: 1) l’approfondimento radicale delle

espropriazioni durante il periodo del Terrore; 2) i «passi indietro» fatti dall’Assemblea Costituente e dalle assemblee rivoluzionarie locali dettati da

rapporti di forza solo in parte ribaltati; 3) le rivendicazioni da parte degli antichi

(30)

30

proprietari che spesso durante la Restaurazione riuscirono a far rivalere i loro

diritti ante 1789.

***

Quanto detto finora non basta a definire il momento dell’accumulazione

originaria come momento «necessario» del momento egemonico e d’altra parte,

come anticipato nella premessa, non è questa l’intenzione di chi scrive. Chi scrive

vuole provare ad aprire delle piste teoriche e analitiche rivolte in tale direzione, in

quanto i nessi tra i due «momenti» appaiono abbastanza evidenti ed anche senza

arrivare a postulare una «necessarietà» dell’accumulazione originaria è comunque ragionevole vedere nel momento dell’accumulazione originaria un momento di

distribuzione e redistribuzione delle «carte» nelle mani degli attori sociali in conflitto. Il momento dell’accumulazione originaria è quindi un momento di

cambiamento, di mutamento radicale della distribuzione di potere all’interno della

geografia economico-sociale.

Parallelamente questo primo paragrafo è servito a mostrare come l’accumulazione

sia un fenomeno ben più complesso, diffuso e variabile rispetto a quella che è la percezione che spesso se ne ha nell’ambito delle scienze sociali. Essa non solo si

presenta sotto forme apparentemente inaspettate (ma questo avremo modo di

vederlo meglio nel terzo e nel quarto paragrafo) ma soprattutto va a intersecarsi e a sommarsi, in un movimento complessivo, con l’accumulazione capitalistica

(31)

31

alle pluriformi e interrelate modalità economiche, politiche, sociali, culturali, diverse da un’epoca all’altra in rapporto allo sviluppo del capitalismo, in cui l’accumulazione avviene; modalità che quest’ultima produce e da cui è riprodotta31

(32)

32

2

Stato espropriatore, stato minimo, stato imprenditore

In questo secondo paragrafo analizzeremo il ruolo di quello che al punto 1.3 abbiamo definito «il principale complice» ed avallatore dell’accumulazione

originaria: lo Stato. Come recita il titolo stesso del paragrafo lo Stato sarà

analizzato alla luce delle varie funzioni che sul piano storico ha ricorrentemente ricoperto in relazione al regime dell’accumulazione originaria e più in generale

nel regime di accumulazione. Funzioni che spesso non vengono attribuite allo

Stato, sia nella vulgata politica che nell’ambito delle scienze sociali.

2.1 – Processi complementari

Lo Stato «complice» dell’accumulazione originaria è quindi in prima

battuta uno stato espropriatore, uno stato che nel momento della temporalità

Egemonica si schiera risolutamente a fianco del gruppo sociale in ascesa:

la borghesia, al suo sorgere, ha bisogno del potere dello stato, e ne fa uso, per «regolare» il salario, cioè per costringerlo entro limiti convenienti a chi vuol fare del plusvalore, per prolungare la giornata lavorativa e per

(33)

33

mantenere l'operaio stesso a un grado normale di dipendenza. E' questo un momento essenziale della cosiddetta accumulazione originaria.32

Lo Stato diviene quindi la prima e più importante «agenzia sovrastrutturale» in

quanto al suo interno si realizzano spinte «ibride» frutto di pulsioni e interessi

sociali eterogenei. Come visto nel primo capitolo della tesi il ruolo dello Stato è

proprio quello di gerarchizzare ed ordinare tali spinte sulla base di un

orientamento socio-economico volto alla perpetuazione delle posizioni di

comando in cui si trovano i gruppi sociali egemoni in una determinata fase storica.

Uno stato contemporaneamente «minimo» e «massimo»: minimo nel regolare l’agire dei gruppi sociali in ascesa; «massimo» nello sconvolgere i percorsi di

sviluppo e la vita sociale dei gruppi subalterni decadenti.

Per capire meglio tale dinamica può essere utile partire dalla definizione

che Suzanne de Brunhoff dà della relazione tra Stato e capitale. Definizione che

per quanto possa risultare in parte semplificatoria offre egualmente delle utili

coordinate teoriche:

lo Stato in Marx non è solo violenza, né solo diritto, è collocato al suo posto e al suo ruolo relativamente al capitale. Né estraneo né funzionale, ad un tempo immanente e differenziato esso non può essere analizzato indipendentemente dai conflitti sociali e politici, ed anche dalla storia del proprio passato.33

32

Karl Marx, Il Capitale. Libro primo cit., p. 812

33 Suzanne de Brunhoff, Teoria dello Stato e teoria del potere in Marx, contenuto in AA. VV.,

Discutere lo stato. Posizioni a confronto su una tesi di Louis Althusser, De Donato Editore, Bari

(34)

34

Reputo al contempo funzionale e semplificatoria tale definizione nella misura in

cui la De Brunhoff nel corso del saggio citato mi pare che tenda a subordinare

eccessivamente il funzionamento dello Stato a quello del capitale e il dire che esso

si colloca «relativamente al capitale» ne è una spia linguistica. Complementarmente però, l’idea di uno Stato «né estraneo né funzionale» al

capitale apre alcune piste interpretative, in primis quella per cui a sua volta il capitale possa essere anch’esso «ad un tempo immanente e differenziato» dallo

Stato, allontanandoci così da possibili letture economiciste del ruolo dello Stato.

Lo Stato quindi (in regime capitalistico) collabora attivamente col capitale e i due

«processi» si informano reciprocamente, perpetuandosi e sostenendosi

vicendevolmente. Lo Stato rappresenta quindi gli interessi del capitale? Sì, ma al

contempo il capitale non potrebbe esistere, per come lo conosciamo, in assenza

dello Stato.

Un esempio lampante di tale dinamica è dato dalla condizone di monopolio che in

molte situazioni lo Stato garantisce a vantaggio di forze economiche private. In un

interessante dialogo con Fernand Braudel, Immanuel Wallerstein riporta l’esempio che segue:

in un sistema di economia-mondo capitalistica non si può detenere il monopolio, o qualcosa di simile, senza l’aiuto dello Stato. Questo aiuto può assumere molte forme. Per esempio lo Stato può istituire

(35)

35

formalmente il monopolio: in questo caso eliminando la concorrenza all’interno o all’esterno del paese.34

La dinamica monopolistica appena descritta ben rappresenta quanto affermato

finora ma sempre nello stesso intervento Wallerstein propone uno spunto

ulteriore:

oppure lo Stato fornisce un aiuto alla creazione di nuove tecnologie lasciando poi liberi i capitalisti di avvantaggiarsene.35

Su questa specifica questione avremo modo di ritornare al punto 2.4 quando

analizzeremo il ruolo di «imprenditore» che in determinati contesti lo Stato

assume.

2.2 – Stato ed egemonia in Giovanni Arrighi

Il Capitalismo, come sopraffazione dialettica della forma economica, è sempre stato. Altra cosa è, per così dire, il Capitalismo storico che è soltanto una questione di più e di meno, di prevalenza più o meno diffusa di tale sopraffazione36

34

Fernand Braudel, Una lezione di storia. Châteauvallon. Giornate Fernand Braudel. 18, 19, 20

ottobre 1985 [1986], Einaudi, Torino 1988, p. 131. 35 Ibidem.

(36)

36

Collocando a più riprese l’accumulazione originaria nella «preistoria del

capitale», ad una prima lettura, Marx potrebbe dare l’impressione di individuare

nell'accumulazione originaria inglese un unicum.37 Come abbiamo però visto nel

primo paragrafo tale impressione non ci deve trarre in inganno in quanto ciò che

rende «unica», agli occhi del tedesco, l'accumulazione originaria inglese non è

tanto l'inaugurare il capitalismo con la «C» maiuscola, quanto il porre le

condizioni materiali per la realizzazione di un capitalismo agrario che a sua volta

darà i natali al primo esempio storico di capitalismo industriale compiuto.

Con tale posizione sembra concordare, facendo un passo avanti ulteriore,

anche Giovanni Arrighi; il quale dopo averci narrato le grandiose epopee dei cicli

sistemici di accumulazione genovese ed olandese,38 ci dice che a quel punto

il capitalismo in quanto sistema mondiale si era affermato. D'ora in avanti, il territorialismo avrebbe potuto conseguire i suoi obiettivi solo «internalizzando» le tecniche di potere capitalistiche. Questa, come vedremo, sarebbe stata la caratteristica principale del terzo ciclo sistemico di accumulazione (quello britannico).39

Durante tutta l’opera di Arrighi non mancano però i continui riferimenti al ruolo

che lo Stato svolse di volta in volta nel dare il via e nell’accompagnare i cicli

37 K. Marx, Il Capitale. Libro primo cit., p. 789. 38

«Ciò che intenderemo per "ciclo sistemico di accumulazione" sarà un'importante espansione materiale dell'economia-mondo, realizzata mediante la costituzione di nuove rotte di traffico e l'incorporazione di nuove zone di sfruttamento commerciale, seguita da un'espansione finanziaria che rafforza il dominio del capitale sulla più vasta economia-mondo. Inoltre una classe capitalistica chiaramente identificabile deve risultarne favorita traendo beneficio da entrambe le espansioni in virtù di una struttura di accumulazione del capitale in gran parte già sorta quando l'espansione materiale ha avuto inizio». G. Arrighi, Il lungo xx secolo, denaro potere e le origini

del nostro tempo [1994], il Saggiatore, Milano 2014 p. 141. 39 Ivi, p. 160.

(37)

37

sistemici di accumulazione, sia nelle loro fasi espansive che in quelle recessive. Il

sociologo italiano più volte sostiene l’idea per cui il capitale e il «libero mercato»

da soli non sarebbero capaci di produrre una reale espansione e un radicale approfondimento dell’economia-mondo. Questa possibilità, secondo Arrighi, si dà

solo se questo processo viene «scortato» dallo Stato il quale deve garantire l’apertura di spazi, al suo interno legalmente e al suo esterno militarmente, dentro

i quali il capitale possa inserirsi e prosperare.

Non è un caso che nel descrivere le similitudini tra il ciclo ibero-genovese e

quello olandese Arrighi individui una particolare rilevanza nella

analogia tra la strategia olandese e la precedente strategia italiana [ibero-genovese] di utilizzazione dei capitali eccedenti in investimenti nelle attività belliche e in quelle di formazione dello stato.40

Ecco quindi che emergono nella costruzione arrighiana le due dimensioni

principali dello stato, particolarmente rilevanti nelle sue fasi di ascesa e di

«rodaggio»: quella organizzativa, logistica, burocratica e quella militare.

Tramite questa evoluzione delle funzioni dello Stato si delinea un movimento (simbolicamente) parallelo all’espropriazione dei mezzi di produzione

(vedi 1.3). Se da una parte i gruppi sociali subalterni durante le accumulazioni

originarie devono essere messi in condizione di dipendenza economica di modo

che si immettano volontariamente sul mercato, in maniera analoga, di fronte

40 Ivi, p. 150.

(38)

38

all’emergere dello stato moderno, essi devono essere messi in condizione di non

nuocere venendo espropriati della possibilità di possedere armi. Questa incapacità

di nuocere è la conseguenza di una delle varie risposte che Jared Diamond dà alla

domanda: «Cosa deve fare un’élite per avere il consenso popolare e allo stesso

tempo mantenere il suo stile di vita?»:

disarmare le masse e trasformare l’esercito in una casta elitaria. Questo è molto più facile oggi, perché si può avere il monopolio delle armi tecnologiche prodotte in modo industriale; in passato chiunque poteva fabbricarsi da sè una lancia o una mazza. 41

Come si può intuire il regime di accumulazione e lo sviluppo produttivo

rafforzano ulteriormente il monopolio della forza statale nella misura in cui col

passare del tempo diverrà via via più difficile produrre privatamente armi che

possano competere con quelle prodotte industrialmente.

***

È proprio sulla base delle riflessioni di Arrighi (e di Gramsci) che nel

primo capitolo di questa tesi si è parlato di «egemonia burocatico-militare» come della «garanzia in ultima istanza» per la tenuta dell’Egemonia nel suo complesso.

Riprendendo quindi quanto detto da Arrighi nella penultima citazione «il

territorialismo avrebbe potuto conseguire i suoi obiettivi solo «internalizzando» le

tecniche di potere capitalistiche». Complementarmente il capitalismo, per imporsi

41 Jared Diamond, Armi, acciaio e malattie. Breve storia del mondo negli ultimi tredicimila anni

(39)

39

su un livello più profondo e duraturo delle strutture sociali dell’economia, avrebbe

dovuto di lì in avanti poggiarsi a sua volta sulle tecniche di potere territorialistico,

burocratico e militare. In sintesi le tecniche di potere dello Stato «moderno».

Questo ulteriore salto di qualità a cui sarà costretto il capitale non deve

però farci pensare ad uno Stato che prima di quello inglese si caratterizzava per

strutture «semplici» o poco complesse. Come ci spiega Arrighi i limiti del

capitalismo «pre-moderno» erano principalmente una conseguenza (soprattutto

nel caso genovese) di una costantemente crescente esternalizzazione dei costi

delle Difesa e conseguentemente il non poter concretizzare un territorialismo

funzionante. Salto di qualità che invece riuscirà agli olandesi i quali però non

poterono sfruttarne a pieno le conseguenze come invece successe per il ciclo

britannico che per questioni territoriali e e militari poté godere di territori e risorse

incomparabilmente maggiori. Al contrario dal punto di vista della della

sofisticazione burocratico-finanziaria Arrighi sostiene che

con la formazione della Casa di San Giorgio nel 1407 [Genova] creò un'istituzione per il controllo delle finanze pubbliche da parte dei creditori privati la cui efficacia e sofisticazione, sotto questo aspetto, non furono eguagliate fin quando, quasi tre secoli dopo, fu fondata la Banca d'Inghilterra.42

42 Giovanni Arrighi, Il lungo xx secolo, denaro potere e le origini del nostro tempo, il Saggiatore, Milano 2014, pag. 123.

(40)

40

2.3 – Sviluppo ineguale

Uno spunto per comprendere questo salto di qualità ce lo dà Marx nel

terzo libro del Capitale. Secondo il filosofo tedesco il capitalismo, per affermarsi,

non solo avrebbe dovuto superare la dimensione angusta del predominio del

capitale commerciale, ma avrebbe dovuto farlo dopo essersi appropriato di quelle

tecniche che gli avrebbero permesso di legare indissolubilmente il profitto alla

sfera della produzione. Complementarmente a quanto ci dice Arrighi, Marx

sottolinea con forza la necessità del capitale (nella fase discendente del ciclo

olandese) di dotarsi di una base produttiva materiale la cui prosperità doveva essere garantita dall’azione legislativa e commerciale dello Stato. Marx quindi, in

maniera forse anche eccessiva, individua una sorta di correlazione inversa tra

«sviluppo autonomo del capitale commerciale» e sviluppo della «produzione

capitalistica» in senso stretto:

la forma del capitale che deriva direttamente dalla circolazione - il capitale commerciale - appare qui ancora unicamente come una delle forme del capitale nel suo movimento di riproduzione. La legge secondo la quale lo sviluppo autonomo del capitale commerciale è in ragione inversa al grado di sviluppo della produzione capitalistica, trova la sua più evidente manifestazione nella storia del commercio di transito (carryng trade), ad es. presso i veneziani, i genovesi, gli olandesi, ecc. nel quale quindi il guadagno principale non proviene dall'esportazione dei prodotti della propria terra, ma dal mediare lo scambio dei prodotti di

(41)

41

comunità meno sviluppate dal punto di vista commerciale ed economico e dallo sfruttare entrambi i paesi di produzione.43

Alla luce di queste ulteriori considerazioni di Marx può apparire forse maggiormente comprensibile l’«affezione scientifica» che il Moro provava per

l’accumulazione originaria inglese. Quel «capitalismo agrario che darà i natali al

primo esempio storico di capitalismo industriale compiuto» non rappresenta

solamente la tragica violenza della nascente borghesia inglese, ma anche, e

soprattutto, la convergenza burocratica, legale e militare di Stato e capitale

produttivo. A Marx appariva quindi chiaro (all’altezza del XIX secolo) che tale

convergenza aveva dato il via ad un epoca che si sarebbe potuta concludere solo con «la sparizione della Società politica e l’avvento della Società regolata».44

Da

quel momento infatti

i grandi magazzini, più vasti e costosi delle grandi navi, dove si riusciva a immettere una quantità di grano equivalente a dieci o dodici anni del consumo delle Province Unite45

non sarebbero più bastati per costruire un'egemonia globale, come non sarebbe più

bastato «appropriarsi della tratta dell'Øre Sund o delle nicchie di mercato più

strategiche dell'economia-mondo al fine di drenare capitali eccedenti».46 Adesso

quelle nicchie le si doveva poter immaginare, e se ne doveva pianificare la

43

K. Marx, Il Capitale. Critica dell'economia politica. Libro Terzo, trad. it. Maria Luisa Boggeri, Editori Riuniti, Roma 1974, p. 393.

44 «Marx inizia intellettualmente un’età storica che durerà probabilmente dei secoli, cioè fino alla sparizione della Società politica e all’avvento della Società regolata. Solo allora la sua concezione del mondo sarà superata (concezione della necessità, superata da concezione della libertà)». Antonio Gramsci, Quaderni del carcere cit., Q 7, § 33.

45 G. Arrighi, Il lungo xx secolo, cit., p. 153. 46 Ivi, p. 149.

(42)

42

costruzione, coscienti che un nuovo sistema di produzione (capace di generare

merci e continuo sviluppo tecnologico) avrebbe potuto concretamente realizzarle.

Inoltre, chi avesse raggiunto per primo questa condizione di vantaggio avrebbe

potuto godere a lungo dei frutti di quello «sviluppo ineguale» tanto necessario allo

sviluppo capitalistico.47 Per Marx coloro che avessero voluto raccogliere il

testimone degli olandesi, o più in generale dei «popoli commerciali», avrebbero

dovuto essere divinità non più epicuree ma protestanti, capaci di abbandonare i

propri intermundia 48 e, armate di vapore, acciaio e milizie, trasformare l'economia-mondo in «un'immane raccolta di merci».49

Come già detto, perché ciò si potesse realizzare c’era bisogno di un affiancamento

sistemico di stato territoriale e capitale al fine di far fiorire quel regime di

accumulazione che al punto 1.5 abbiamo lasciato ben descrivere dalle parole di

Luciano Gallino.

2.4 – Convivenza pacifica

Sulla scia di quanto dettoci da Wallerstein al termine del punto 2.1 in quest’ultimo paragrafo andremo ad analizzare alcuni comportamenti peculiari che

mostrano degli ulteriori gradi di integrazione e compenetrazione tra Stato e

capitale. Come nel caso del terzo paragrafo ci atterremo a quanto detto nella

47

Samir Amin, Lo sviluppo ineguale. Saggio sulle formazioni sociali del capitalismo periferico

[1973], Einaudi, Torino 1977. Si veda in particolare la terza sezione, pp. 136-207.

48 K. Marx, Il Capitale. Libro terzo, cit., pp. 395 e 696. 49 K. Marx, Il Capitale. Libro primo, cit., p. 45.

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