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Capitolo 1- La letteratura sull’entrepreneurial finance

1.5 Le principali alternative di finanziamento nell’entrepreneurial finance:

1.5.3 Corporate Venture Capital

Diffusasi in modo consistente a partire dal ventunesimo secolo, il Corporate Venture Capital (CVC) è l’attività di investimento, tramite capitale di rischio, in società ad alto potenziale innovativo e di crescita promossa da aziende medie e grandi.

Generalmente il CVC, oltre ai rendimenti finanziari, è interessato a obiettivi strategici come la stimolazione della domanda per i prodotti e servizi così da aumentare le vendite, il conseguimento di economie di scala, l’apertura verso nuovi segmenti di mercato o di clientela, l’accesso a nuove tecnologie anche per reagire a discontinuità dal punto di vista tecnologico: quando tali finalità sono particolarmente rilevanti, il CVC, come varie evidenze hanno notato (Ivanov, Xie, 20107), tende frequentemente a ricoprire poltrone nel board dell’impresa

finanziata e a mantenere consistenti quote di equity e di diritti di voto anche dopo che questa è stata oggetto di IPO.

La letteratura distingue tra quattro tipi di investimento di CVC, in base alla combinazione di due dimensioni quali la “technology fit”, cioè il livello al quale le imprese nel portafoglio del CVC sono legate alla capacità operativa della corporate dal punto di vista delle risorse e dei processi, e la “market fit”, relativa alla predominanza dell’obiettivo strategico o di quello finanziario (Anokhin et al., 2016). Queste tipologie si suddividono in:

➢ Incrementali, che sono caratterizzati da stretti legami tra start-up e corporate e permettono di sostenere la strategia attuale della corporate senza però aiutarla a perseguire tecnologie dirompenti;

➢ Abilitativi, che sono solo vagamente collegati alla capacità operativa della corporate e hanno come scopo principale quello di svilupparne l’ecosistema;

➢ Emergenti, che ricercano un vantaggio finanziario a breve termine con l’obiettivo di conseguire anche un ritorno strategico;

➢ Passivi, che non sono collegati alla capacità operativa della Corporate né sono capaci di espandere la sua presenza nel mercato: incentrati su obiettivi finanziari, difficilmente ne produrranno di strategici. Perciò tale ultimo tipo è più assimilabile a un investimento di VC indipendenti.

7 Capitolo presente all’interno del volume “Venture Capital, Investment Strategies, Structures, and

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Tabella 3- Tipologie di investimento di CVC. Fonte: “Guida al Corporate Venture Capital. Gennaio 2018”, AIFI.

Trattando del sostegno alle piccole imprese, i CVC possono fornire supporto tecnologico e aiuto nell’attività di ricerca e sviluppo, un miglioramento nella capacità produttiva, l’accesso a canali di distribuzione, oltre a favorire il collegamento della start-up con varie unità di business delle imprese che investono e ad aiutare a stabilire relazioni di cooperazione tra di loro, consentendo di accedere a risorse complementari che potrebbero essere costose da reperire altrimenti. Fra l’altro, spesso le imprese che investono nei CVC sono ben conosciute nei rispettivi settori e nel momento in cui finanziano una start-up potrebbe venirsi a creare un effetto di endorsement, con il quale viene inviato un segnale positivo di qualità della stessa al mercato che, tramite la riduzione delle asimmetrie informative, potrebbe facilitare le interazioni della giovane impresa con potenziali nuovi partner, anche se l’effettiva collaborazione con questi ultimi è stata dibattuta, come vedremo successivamente.

Varie analisi hanno evidenziato il contributo del CVC alla crescita dell’impresa: per primi Gompers e Lerner (2000) hanno mostrato come la partecipazione del CVC sia associata ad una più alta probabilità di un exit di successo rispetto a quanto accade con il coinvolgimento di un VC, anche se si deve precisare che si tratta dei CVC che hanno sinergie tra la capacità operativa della grande impresa e quella della start-up (Ivanov, Xie, 2010), coerentemente con il fatto che il CVC abbia un incentivo a dare sostegno alla start-up quando vi sono prodotti e obiettivi complementari che possano quindi permettere a entrambe le parti di svilupparsi.

In modo simile, anche Ivanov e Xie (2010), in uno studio su un campione di 1510 IPO relative a start-up supportate da VC, di cui 219 da CVC, tra il 1981 e il 2000, hanno rilevato come un supporto e un servizio di valore offerto dai CVC (in particolare da quelli che avevano un’alleanza strategica tra le imprese) si sia tradotto in una più alta valutazione dell’IPO per le start-up rispetto a quelle sostenute solo da VC indipendenti.

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D’altra parte sembra che il sostegno del CVC alla crescita e all’innovazione dell’impresa sia più efficace rispetto a quello del VC, in quanto l’organizzazione del CVC, simile a una filiale di una grande impresa, aumenta l’orizzonte di investimento di questi operatori e che questi, come già accennato, enfatizzano maggiormente gli obiettivi strategici oltre a quelli finanziari. A tal proposito Chemmanur et al. (2014) hanno notato come le imprese sostenute da CVC siano riuscite a conseguire più brevetti e di maggiore qualità (in base al numero di citazioni) rispetto a ciò che è avvenuto nel caso di imprese sostenute da VC e anche come i CVC si siano dimostrati più capaci nel sostenere lo sviluppo in quanto più tolleranti in relazione al rischio di fallimento dell’impresa finanziata.

Inoltre queste ricerche sono state utili anche ad approfondire un tema già emerso anche nel caso dei VC indipendenti, dato dalla considerazione della preponderanza della capacità di selezione delle migliori imprese da parte dei CVC (poiché a valutare sono operatori esperti nel settore in cui opera la target) o del contributo effettivo apportato da questi fondi, con le evidenze che sembrano andare nella seconda direzione, nonostante si richiedano comunque maggiori approfondimenti al riguardo.

Comunque, trattando del CVC, si deve precisare come il sistema di protezione della proprietà intellettuale giochi un ruolo cruciale nel favorire il rapporto tra questi e le giovani imprese. A tal riguardo uno studio di Dushnitsky e Shaver (2009) ha confermato che se questo regime è debole sarà meno probabile che un imprenditore che opera nello stesso settore della corporate si apra ad una relazione con il CVC perché i problemi di imitazione saranno più rilevanti. Al contrario, quindi, è emerso che un sistema di tutela della proprietà più forte, limitando le criticità inerenti l’esproprio della conoscenza prodotta dall’impresa, aumenterà la possibilità che si crei un legame con il CVC, dato che comunque l’interesse di quest’ultimo a investire in una start-up operante nel suo stesso settore rimane alto in entrambi i casi: con un regime debole potrà essere per lei redditizio imitare e commercializzare l’invenzione della start-up, mentre con uno più rigido i rendimenti provenienti dalla sua partecipazione nella nuova impresa potranno parzialmente compensare il negativo impatto di quest’ultima sul business della corporate.

In aggiunta, un’altra questione problematica è legata al fatto che il compenso del manager del fondo di CVC è legato alla performance dell’impresa che investe nel suddetto fondo, per cui vi potrebbero essere incentivi a soddisfare gli interessi della corporate a spese di quelli della start-

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up, tramite strategie di sfruttamento delle sue conoscenze più che di supporto alla sua innovazione.

Inoltre un coinvolgimento del CVC spesso tende a limitare fortemente la possibilità di instaurare ulteriori partnership strategiche: da un lato il CVC potrebbe impedire alle imprese in portafoglio di formare alleanze con aziende concorrenti delle partner del fondo, anche nel caso in cui queste possano portare benefici strategici alle start-up, dall’altro potrebbero indurre i competitor stessi ad allontanarsi e a rifiutare di collaborare con imprese parzialmente possedute dalle rivali.

Come dimostra uno studio di Park e Steensma (2011), questa difficoltà limita molto il contributo che il CVC tende a offrire soprattutto nel caso in cui le start-up richiedano asset complementari generici, perché la presenza del CVC tende a far perdere il beneficio di poter accedere a varie risorse alternative nel mercato; al contrario, se il contributo si riferisce ad asset complementari specifici, le esternalità positive indotte dal legame con i CVC sembrano invece avere un impatto maggiore delle limitazioni nelle opportunità di stabilire ulteriori alleanze.

Dunque, sebbene sia indubbio il contributo che il CVC può fornire all’innovazione e al supporto dell’impresa, non si devono dimenticare i costi ad esso connessi relativi soprattutto al fatto che vi potrebbero essere comportamenti opportunistici da parte della corporate e che il ricorso a questi operatori potrebbe precludere l’accesso ad altri, non permettendo così all’impresa di soddisfare totalmente le sue esigenze di finanziamento e di sostegno per l’innovazione e la crescita.

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