CAPITOLO 3. MATERIALI E METOD
4.1. Caratteristiche cliniche della popolazione
4.2.2. Correlazioni con le variabili vascolar
È stato trovato che la FMD, ma non la PWV e lo IMT, risultava correlata inversamente con la PA sistolica notturna (r = -0.58, p = 0.01) (Figura 7) e con la PA sistolica delle 24 ore (r = -0,59, p = 0,01). Non è stata trovata nessun’altra correlazione tra la FMD e alti parametri di funzione vascolare e pressori.
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La PWV era correlata direttamente con l’età (r = 0,83, p < 0,001) e la PA sistolica (r = 0,44, p = 0,04); invece, correlava inversamente con la WASO (r = -0,56, p = 0.04). Inoltre la PWV era direttamente correlata alla PA sistolica centrale (r = 0,53, p = 0,01), alla PA centrale media (r = 0,52, p = 0,01), alla PA sistolica diurna (r = 0,55, p = 0,02) e alla FC notturna (r = 0,61, p = 0,01). Non sono state trovate altri tipi di correlazioni tra la PWV e gli altri parametri pressori misurati.
La PWV, infine, correlava direttamente con lo IMT carotideo (r = 0,76, p < 0,001). Quest’ultimo, a sua volta, correlava in maniera diretta con l’età dei soggetti (r = 0,670, p = 0,001), con la PA sistolica diurna (r = 0,56, p = 0,02) e con la FC notturna, anche se quest’ultima non era un’associazione statisticamente significativa (r = 0,45, p = 0,06). Viceversa, lo IMT correlava inversamente con la WASO (r = 0,758, p = 0,003). Non sono state trovate altre correlazioni coinvolgenti lo IMT.
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CAPITOLO 5. DISCUSSIONE
Lo scopo della tesi è stato quello di studiare alcuni parametri di funzione e struttura vascolare, in relazione alla durata e alla qualità del sonno e al profilo pressorio delle 24 ore, in una popolazione di individui esposti a elevati livelli di rumore aeroportuale e residenti nella città di Pisa, in Via Cariola e Carrareccia.
Il risultato principale che è emerso da nostri risultati è che i soggetti in cui la durata media di sonno è maggiore tendono ad avere sia valori pressori sistolici nelle 24 ore che valori pressori sistolici e diastolici notturni più elevati. È stata trovata, infatti, una correlazione diretta tra la durata del sonno e i suddetti valori di pressione arteriosa. Inoltre, è stata trovata una correlazione inversa tra il fenomeno del dipping pressorio e la durata media di sonno. Invece, non sono state trovate correlazioni con i valori pressori presenti durante il giorno. Questi dati suggeriscono che vi sia un’associazione tra un’aumentata durata del sonno e i valori di pressione arteriosa notturna nella popolazione studiata.
Vi è un ampio numero studi che forniscono prove sufficienti a sostegno del fatto che il rumore degli aerei disturbi il sonno e, a seconda dei livelli di rumore, possa compromettere il benessere anche durante il giorno.5,27,78,192 Anche se i disturbi clinici del sonno hanno dimostrato di essere associati ad un aumentato rischio di malattie cardiovascolari, gli effetti a lungo termine dei disturbi del sonno correlati al rumore aeroportuale sulla salute non sono ancora noti.
In letteratura si ritrovano studi che esprimono risultati contrastanti sulla relazione tra durata del sonno e pressione arteriosa. Infatti diversi grandi studi hanno dimostrato che sia una diminuita che un’aumentata durata di sonno media è associata ad un incremento del rischio di ipertensione e di malattie cardiovascolari negli adulti.193,194 Una meta-analisi di 15 studi che comprendevano 474 684 partecipanti con un follow-up di 6.9-25 anni ha valutato la relazione tra durata del sonno e morbilità e la mortalità per malattia coronarica, l'ictus e
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malattie cardiovascolari.195 La durata del sonno è stata valutata mediante questionari. La ridotta durata del sonno (< 5 - 6 ore) è stata associata con un maggior rischio di infarto e ictus fatale e non fatale. Anche una durata aumentata del sonno (> 8 - 9 ore) è stata associata ad un maggior rischio di malattia coronarica, ictus e malattie cardiovascolari, senza evidenza di bias di pubblicazione. Dunque, secondo questa meta-analisi, sia una ridotta che un’aumentata durata di sonno sono predittori, o marcatori, di eventi cardiovascolari.195
I possibili meccanismi sottostanti la relazione esistente tra una ridotta durata del sonno e l’ipertensione potrebbero coinvolgere l’attivazione del sistema endocrino, l’aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico e l’attivazione della cascata pro-infiammatoria, portando al possibile sviluppo di ipertensione.196,197 Quindi una ridotta durata del sonno potrebbe essere un fattore di rischio significativo per l'ipertensione.198
L'associazione tra una minore durata del sonno e l’ipertensione appare più forte negli adulti di mezza età e nelle donne.199 L'associazione tra durata del sonno e ipertensione, dimostrata
da numerosi studi, solleva l'ipotesi che gli interventi volti a estendere e migliorare la qualità del sonno potrebbero agire come efficaci misure preventive per l'ipertensione.195,200
Un’ipotesi simile è stata avanzata anche da Haack M. e collaboratori,201 il quale in un suo
studio di intervento ha arruolato ventidue partecipanti con pre-ipertensione o ipertensione di stadio 1 e senza una storia attuale di qualsiasi disturbo medico grave, tra cui disturbi del sonno, psichiatrici, neurologici, endocrinologici o altri disturbi cardiovascolari. Questi soggetti erano soliti avere una durata del sonno di circa 7 ore ed hanno partecipato ad uno studio di intervento di 6 settimane. I soggetti sono stati divisi in due gruppi: uno in cui la durata del sonno veniva estesa, aumentandola di un'ora circa; all’altro gruppo veniva invece consigliato di mantenere abituale durata del sonno. La pressione sanguigna delle 24 ore è stata monitorata tramite ABPM. I soggetti nel gruppo di intervento hanno aumentato il tempo totale di sonno, valutato tramite actigrafia, di 35 ± 9 min, ottenendo una significativa riduzione della pressione sistolica e diastolica media; al contrario la riduzione della pressione arteriosa nel gruppo di controllo non è stata significativa. I risultati di questo studio di intervento, seppur preliminari, incoraggiano future indagini per verificare se gli interventi comportamentali progettati per aumentare la durata del sonno possano servire come una strategia efficace nel trattamento dell'ipertensione.
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Viceversa, i meccanismi tramite cui l’aumentata durata del sonno possa causare malattie cardiovascolari non sono ancora stati documentati. Studi finora pubblicati hanno dimostrato che l'associazione tra un’aumentata durata del sonno e la morbilità e la mortalità cardiovascolare può essere spiegata da fattori di confondimento e da co-morbidità.202-204 In particolare, i sintomi depressivi, il basso status socio-economico, la disoccupazione, la poca attività fisica, e le comorbidità in generale hanno tutti dimostrato di essere associati con un’aumentata durata del sonno e di poter essere possibili fattori confondenti nell'associazione con la morbilità e la mortalità cardiovascolare.202-204 Pertanto alcuni ritengono che l’aumentata durata del sonno sia un indicatore di uno stato di salute compromesso (associato di per sé ad un’aumentata mortalità), piuttosto che la sua causa.205
Secondo altri autori tuttavia potrebbe esistere un legame causa-effetto tra aumentata durata di sonno e malattie cardiovascolari. È interessante lo studio realizzato da Hale L. et al.,206 in cui l'infiammazione e le alterazione della coagulazione sono state ipotizzate come possibili vie fisiopatologiche per spiegare questa associazione. Utilizzando i dati longitudinali di 3942 donne in post-menopausa, i livelli di fibrinogeno, una proteina infiammatoria di fase acuta, sono stati associati positivamente con un’aumentata durata del sonno (> 9 h per notte), malattia coronarica ed aumentata mortalità, anche dopo correzione per una serie di caratteristiche socio-demografiche, fattori di rischio cardiovascolare e co-morbidità. Ciò suggerisce che l’infiammazione di basso grado può essere un meccanismo attraverso il quale l’aumentata durata del sonno è associata a malattia coronarica e a mortalità cardiovascolare.
Tuttavia è possibile ipotizzare che non solamente la quantità del sonno, ma anche la sua qualità, possa influire negativamente sui valori pressori e, dunque, che anche un sonno di maggiore durata ma di qualità ridotta possa portare ad un aumento dei parametri pressori. A supporto di questa ipotesi può essere citato lo studio effettua da Vgontzas A.N. et al.,207 i quali hanno esaminato l'effetto congiunto di insonnia e ridotta durata del sonno sul rischio di ipertensione. I partecipanti a questo studio erano 1.741 uomini e donne estratti dalla popolazione generale. L’insonnia è stata definita dalla presenza di sintomi di insonnia con una durata ≥ 1 anno, mentre la ridotta durata di sonno è stata definita come una riferita difficoltà ad addormentarsi, mantenere il sonno o risvegli precoci. La durata del sonno è stata valutata tramite polisonnografia ed è stata classificata in 3 categorie: ≥ 6 ore di sonno (50% del campione); 5-6 h (25% del campione); e ≤ 5 h (25% del campione). L'ipertensione è stata
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definita in base sia a misure di pressione arteriosa che al trattamento. Dai risultati ottenuti in questo studio emerge che rispetto al sonno di qualità normale e al sonno di durata > 6 ore, il più alto rischio di ipertensione era presente nel gruppo che presentava insonnia e con una durata del sonno <5 ore, e quindi un’altrazione sia della qualità che della quantità del sonno. Dunque, l'insonnia con una ridotta durata del sonno è associata ad un aumento del rischio di ipertensione, in misura paragonabile a quella di altri comuni disturbi del sonno. Il follow-up dopo 7,5 anni sulla popolazione coinvolta nello studio precedente ha confermato che il più alto rischio di ipertensione era presente nel gruppo con insonnia associata ad una ridotta durata del sonno, in misura paragonabile ai disturbi respiratori nel sonno.208
Questi studi dimostrano che, accanto ad una durata adeguata, il sonno deve avere anche un’adeguata qualità al fine di garantire una miglior salute cardiovascolare. Infatti il controllo autonomico sul sistema cardiovascolare si modifica durante le varie fasi del sonno. La pressione arteriosa, la frequenza cardiaca e le resistenze vascolari periferiche diminuiscono progressivamente nel sonno non-REM man mano che si raggiungono gli stadi più profondi del sonno: infatti una ridotta durata del sonno a onde lente (lo stadio più profondo del sonno) è associata a elevati valori pressori indipendentemente dalla durata totale di sonno.209 Qualsiasi deterioramento della qualità del sonno può essere associato ad un aumento della PA notturna, monitorata tramite ABPM, la quale può, a sua volta, essere la causa dello sviluppo o dello scarso controllo dell'ipertensione.210-212
Dunque, basandoci sugli studi citati finora possiamo ipotizzare che la popolazione oggetto di questo studio abbia una ridotta qualità del sonno, compensata da un aumento della sua durata media, e che questa ridotta qualità possa influire sull’aumento dei valori pressori sia nelle 24 ore che notturni. È stato inoltre dimostrato che la scarsa qualità del sonno è associata in modo significativo con la resistenza al trattamento in donne ipertese, indipendentemente da fattori di confondimento cardiovascolari e psichiatrici.213 Poiché l’esposizione a lungo termine al rumore aeroportuale può causare un aumento dei valori pressori ed essere un fattore di rischio per lo sviluppo di ipertensione e di malattie cardiovascolari,162,214,215 i dati del nostro studio suggeriscono che la cattiva qualità del sonno potrebbe essere uno dei meccanismi con cui l’esposizione a rumore aeroportuale induce un’elevazione dei valori pressori. Questa ipotesi potrà essere confermata dall’analisi dei dati polisonnografici della popolazione arruolata, attualmente in corso.
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Una delle limitazioni di questo studio potrebbe essere il monitoraggio della pressione delle 24 ore tramite ABPM, il quale potrebbe causare esso stesso disturbi del sonno ed i conseguenti rialzi pressori notturni. Tuttavia, molti studi dimostrano che tale metodo per il monitoraggio della pressione influisce in maniera marginale sulla qualità del sonno e, soprattutto, non porta ad alterazioni dei valori pressori registrati.216,217
Inoltre, l’associazione tra la durata del sonno e l’ipertensione potrebbe essere influenzata dall’età. Su questa possibile diversa associazione a seconda dell’età, è molto interessante lo studio realizzato da Van Den Berg e coautori.218 Questo studio suggerisce fortemente che la durata del sonno non sia associata con l'ipertensione negli anziani. Quindi in questa categoria di persone non è valida l’associazione tra una minor durata del sonno ed un aumento dei valori pressori. La popolazione del nostro studio comprende una fascia di età molto ampia (dai 19 ai 76 anni), ma sono presenti 13 soggetti (59%) con un’età > 55 anni. Dunque, secondo quanto suggerito dallo studio precedentemente citato, nell’analizzare i nostri dati dobbiamo tener presente che i risultati da noi ottenuti potrebbero risentire della variabilità dell’associazione tra la durata del sonno e l’ipertensione arteriosa in funzione dell’età.
Nel nostro studio, i risultati actigrafici sono stati messi in relazione anche con gli score dei questionari e da ciò è emerso che i soggetti presentavano anche un aumento degli indici di sonnolenza diurna, rappresentati dallo score Epworth Sleepiness Scale (ESS), all’aumentare della durata media del sonno. In altre parole, la sonnolenza diurna aumentava all’aumentare della durata media del sonno. Anche questo dato potrebbe far ipotizzare che i soggetti del nostro studio abbiano una ridotta qualità del sonno e cerchino di compensare aumentando la durata media del sonno.
In uno studio realizzato da Jimenez-Correa U. et al., inaspettatamente, la gravità della sonnolenza diurna, valutata tramite il questionario ESS, in pazienti con disordini respiratori nel sonno (russamento e sindrome delle apnee notturne), era correlata all’aumento del tempo totale di sonno e al sonno REM.219 Quindi questi pazienti, avendo un sonno disturbato dalle problematiche respiratorie, potrebbero compensare aumentando la quantità di sonno totale, ma, non essendo quest’ultimo un sonno ristoratore, essi presentano un aumentata sonnolenza diurna. Tale meccanismo potrebbe essere presente anche all’interno della nostra popolazione, per cui l’aumento della durata media del sonno sarebbe un meccanismo di compenso ad un sonno qualitativamente ridotto, con conseguente sonnolenza diurna.
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Inoltre uno studio effettuato da Feng J. et al. suggerisce che nei pazienti con apnee ostruttive notturne (OSA) gravi, l’eccessiva sonnolenza diurna potrebbe identificare un sottogruppo di soggetti con OSA a più alto rischio di ipertensione, malattia delle arterie coronarie e malattie cardiovascolari.220 Dunque, anche nei soggetti del nostro studio, l’aumento della sonnolenza diurna potrebbe essere un indicatore di rischio cardiovascolare.
Sempre nel nostro studio, lo score ESS era a sua volta associato a maggiori livelli di stress percepito dalla popolazione, come indicato dal questionario PSS. È noto dalla letteratura come lo stress sia un fattore determinante nel possibile sviluppo di ipertensione e di altre malattie cardiovascolari.221 La stimolazione del sistema uditivo indotta dal rumore viene trasmessa tramite vie sottocorticali all'amigdala e da questa all’asse ipotalamo-ipofisi- surrene, causando il rilascio di diversi ormoni dello stress.7 Questi effetti si verificano anche al di sotto della soglia di rumore che causa il risveglio e sono principalmente senza controllo corticale. È stato evidenziato un aumento dei livelli di cortisolo nei soggetti esposti al rumore da traffico aeroportuale o stradale durante il sonno.66
Non sono state trovate correlazioni tra la durata del sonno e la Pulse Wave Velocity (PWV); invece, sorprendentemente, è stata trovata una correlazione inversa tra la Wake-time After Sleep Onset (WASO), parametro actigrafico che fornisce una valutazione sulla qualità del sonno, e la PWV. Anche lo spessore medio-intimale carotideo mostrava una correlazione inversa con il WASO. Pertanto, i nostri dati sono in contrasto con la letteratura disponibile, seppur limitata, che suggerisce che la presenza di disturbi del sonno possa essere associata a irrigidimento delle grandi arterie. Inoltre, i nostri dati necessitano di essere confermati in casistiche più ampie di individui esposti a rumore aeroportuale, poiché non esistono al momento altri studi volti a individuare l’impatto dell’esposizione a rumore ambientale sui paramentri di invecchiamento cardiovascolare precoce.
Una ridotta durata del sonno è stata associata con un maggiore IMT carotideo tra gli uomini ma non tra le donne.222 Al contrario, una durata del sonno aumentata è associata ad un aumento della rigidità arteriosa solo negli uomini.223 Al contrario la ridotta durata del sonno non è associata a un rischio significativo di aumento della rigidità arteriosa. Un ulteriore studio ha esaminato l'associazione tra la durata e la qualità del sonno con la presenza di calcificazioni dell'arteria coronarica (CAC) e con la velocità dell'onda pulsatoria (PWV) in un ampio campione di giovani e adulti asintomatici. La scarsa qualità del sonno è stata
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associata con CAC nelle donne ma non negli uomini, mentre l'associazione tra la scarsa qualità del sonno e la PWV era più forte negli uomini che nelle donne. Dunque, in questo ampio studio, l’aumentata durata e la scarsa qualità del sonno soggettivo sono stati associati ad aumento della prevalenza di CAC e ad un aumento della PWV.224 Anche lo studio svolto da Liao H. et al.225 aveva lo scopo di studiare le caratteristiche della architettura del sonno e di esaminare il suo rapporto con la velocità dell'onda pulsatoria (PWV), nei pazienti con ipertensione essenziale e in individui sani di età compresa tra 45 e 65 anni. Anche in questo caso è stato dimostrato che il valore della PWV aumenta parallelamente al ridursi delle fasi profonde del sonno. Dunque, cambiamenti nell'architettura del sonno potrebbero influire la rigidità arteriosa e peggiorare il danno d’organo nei pazienti con ipertensione. Complessivamente questi studi suggeriscono che la rigidità arteriosa sembra risentire maggiormente della scarsa qualità del sonno piuttosto che della sua durata.
Infine, come risultato secondario dello studio è interessante notare che la FMD risultava correlata inversamente con la PA sistolica notturna e con la PA sistolica delle 24 ore. Quindi, una maggiore pressione arteriosa sistolica delle 24 ore e notturna era associata ad una ridotta dilatazione flusso-mediata dell’arteria brachiale e, di conseguenza, ad una ridotta funzione vascolare. Nello studio di Schmidt F.P. et al.66 svolto su un gruppo di volontari giovani e sani, sono state trovate prove di un significativo deterioramento della funzione endoteliale dopo una sola notte di esposizione al rumore aereo. In questo studio la disfunzione endoteliale era accompagnata da aumenti significativi nei livelli circolanti di adrenalina e da una sostanziale diminuzione, dose-dipendente della qualità del sonno e da un aumento della pressione arteriosa sistolica. Questi risultati indicano che l'ipertensione osservata in risposta all'esposizione al rumore notturno potrebbe essere spiegato da una maggiore attivazione simpatica ma anche dallo sviluppo di disfunzione vascolare. La disfunzione endoteliale può essere sia una causa che una conseguenza della elevata pressione arteriosa, poiché numerosi studi hanno confermato la presenza di quest’ultima prima dello sviluppo della disfunzione endoteliale.226 In ogni caso, la presenza di disfunzione endoteliale in seguito a esposizione a rumore aeroportuale potrebbe contribuire ad un elevato rischio cardiovascolare in questa popolazione, come dimostrato in pazienti ipertesi.227
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CAPITOLO 6. CONCLUSIONI
In una popolazione di individui esposti a elevati livelli di rumore aeroportuale, un’elevata durata media di sonno è associata ad una maggiore sonnolenza diurna, suggerendo una cattiva qualità del sonno, verosimilmente associata a stress cronico. Questa ipotesi è confermata dal fatto che, maggiore è la durata di sonno, maggiori sono i valori pressori notturni. L’associazione tra FMD e PA notturna suggerisce che la disfunzione endoteliale possa essere un meccanismo fisiopatologico implicato nel rialzo pressorio in questo campione di popolazione.
Questi risultati preliminari dovranno essere confermati dal follow-up di questa popolazione dopo 6 mesi e 1 anno dal loro trasferimento in una zona più silenziosa, in cui verrà effettata la rivalutazione di tutti i parametri vascolari, pressori e del sonno riportati in questa tesi. Questo intervento rappresenta un’occasione unica dal punto di vista scientifico per dimostrare la relazione causa-effetto tra esposizione al rumore aeroportuale e salute cardiovascolare, per studiarne i meccanismi e per verificare la possibilità e la tempistica della reversibilità.
La dimostrazione della regressione delle alterazioni pressorie e vascolari riscontrate dopo trasferimento potrebbe supportare l’ipotesi che l’esposizione a rumore possa essere considerato un nuovo fattore di rischio cardiovascolare, contribuendo quindi a modificare le attuali politiche sanitarie e di prevenzione nella popolazione.
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