III. 1. Le traduzioni dallo spagnolo: “L’inganno fortunato” di Brigida Fedeli e “La
98 CORTESI 1665, II, III, 1.
99 BIANCHI 1959, Alla Regina, pp. nn. 100 Ivi, Avvertimento a chi legge, pp. nn. 101
163
mie passioni, Amore non sarebbe infamia; anzi potrebbe regnare unitamente con la Ragione. Ma dall’Impero d’Amore la Ragione è totalmente sbandita102.
Era poi venuto il momento in cui il Giulio di turno aveva deciso di «cacciar» loro nel cuore «qualche passione», per condurle a risolversi diversamente. Quei rapporti sembravano allora più leggeri:
FEDERICO
Non siete voi donna?
PORTIA
Son donna.
FEDERICO
E per ciò mutabile per natura.
PORTIA
Horsù siete troppo noioso.
FEDERICO
Incolpatene il vostro bello.
PORTIA
O più tosto la vostra ostinazione.
FEDERICO
Dite pure la vostra fierezza.
PORTIA
S’io son fiera fuggite, ch’io non v’uccida.
FEDERICO
Di giá m’avete ucciso.
PORTIA
Con qual armi?
FEDERICO
Con quelle della bellezza.
PORTIA
Oh voi partite, e io m’adiro.
FEDERICO
Oh voi m’amate, o io mi moro.
PORTIA
Che! Siete ancor vivo?
FEDERICO
102
164
Son vivo alla disperazione. Son morto alla speranza.
PORTIA
Cercate dunque un sepolcro?
FEDERICO
Quello del vostro seno103.
Quella delle protagoniste sembra quindi una libertà di scelta o, se il termine mi viene concesso, un ʽfemminismoʼ dalla vita breve, che cambia idea se è corteggiato, che cede alle lusinghe purché siano galanti. Ma forse non è propriamente così: Laura e Stella sono ognuna innamorata del proprio galán fin dal primo incontro e le rassicurazioni virili del gracioso104 Giulio servono solo per chi, come lui, crede che l’happy end non possa arrivare senza un intervento imposto dall’esterno e che i compromessi non portino in realtà al risultato desiderato da tutti. Su questo, le loro creatrici furono sicuramente più oneste di quei poeti che disegnavano per le proprie amate piedistalli di carta e nella realtà continuavano a trattarle come se in terra avessero dovuto starci per sempre.
La Fedeli e la Cortesi avevano una vita di lavoro alle spalle e responsabili delle proprie decisioni, di fatto, lo erano state davvero, anche quando non avevano rifiutato i premi di un protettore né respinto le sue avances. Allo stesso modo, avevano affermato di aver soltanto «cavato» storie e parole da un’altra lingua, per giunta rendendole «brutte» rispetto al «bell’originale». Poco dopo avevano «fortunatamente» scoperto «l’inganno» e precisato che la penna era sempre rimasta in mano loro.
103 Ivi, II, II, 25-41.
104 È un altro dei personaggi tipici della comedia nueva che, furbo e smaliziato, aiuta il galán nell’evolversi
dell’intreccio. Può avere un corrispondente femminile, così come accadeva per lo zanni e la servetta della commedia dell’Arte.
165 III. 2. Musica e poesia.
Dalla prima metà del Seicento, nei teatri pubblici e di corte attivi nelle diverse realtà spettacolari italiane, si esibivano cantanti ed attori professionisti che sapevano cantare105. Dal punto di vista sociale ed economico, attori e cantanti appartenevano alla stessa categoria e venivano chiamati, ricompensati e raccomandati dagli stessi committenti106. I cantanti non amavano il paragone con i comici. Apprezzavano e frequentavano i loro spettacoli, ma li consideravano un genere di teatro separato dalla loro pratica musicale ʽaltaʼ. Eppure i confini tra il mondo della commedia dell’Arte e quello della musica vocale erano così labili che la condivisione e la reciproca influenza di linguaggi e stilemi era destinata a svilupparsi naturalmente.
I cantanti guardarono infatti alle compagnie di comici in quanto gruppi itineranti di professionisti e, sul loro modello, iniziarono a riunirsi in formazioni musicali e a spostarsi alla ricerca di nuovi spettatori e di un maggior consenso107. In particolare, compositori e cantanti studiarono le declamazioni degli attori e i loro diagrammi vocali108. Ne considerarono la mimica facciale e gestuale ed iniziarono ad imparare a memoria il testo su cui dovevano esibirsi. Ancor prima dell’inizio del secolo XVII, Vincenzo Galilei scrisse il
Discorso sopra la musica antica e moderna, dove invitava i musicisti ad andare alle
commedie degli zanni, oltre che per riderne, per osservare come parlavano, «con qual voce circa l’acutezza e gravità, con che quantità di suono, con quale sorte d’accenti e di gesti» e per notare:
la differenza che occorre tra tutte quelle cose, quando uno di essi parla con un suo servo, ovvero l’uno con l’altro di questi; considerino quando ciò accade al principe discorrendo con un suo suddito e vassallo; quando al supplicante nel raccomandarsi; come ciò faccia l’infuriato, o concitato; come la donna maritata; come la fanciulla; come il semplice putto; come l’astuta meretrice; come l’innamorato nel parlare con la sua amata mentre cerca disporla alle sue voglie;
105 Sull’importanza della musica e del canto nella commedia dell’Arte si rimanda a PIRROTTA 1987, FERRONE
2011a e FERRONE 2014. Si ricorda inoltre che almeno le prime opere in musica si svolgevano in ambienti più piccoli, come ad esempio le sale di palazzi aristocratici e principeschi, dove il palcoscenico rialzato era molto vicino al pubblico e favoriva una visione migliore. Cfr. il saggio di Paola Besutti, L’actio nella produzione e nella ricezione musicale, in Il volto e gli affetti 2003, pp. 281-300.
106 Sul sistema produttivo musicale e sulle influenze tra musica e commedia dell’Arte si veda PIPERNO 1987,
PIRROTTA 1987 e FABBRI e MONALDINI 2003.
107 Si tratta delle cosiddette compagnie dei Febiarmonici. Sull’argomento cfr. BIANCONI e WALKER 1975,
PIRROTTA 1987 e PIPERNO 1987.
108 Sull’argomento si vedano, tra gli altri, i saggi presenti nei volumi: DONÀ 1967, PIRROTTA 1987,
166
come quelli che si lamenta; come quelli che grida; come il timoroso; e come quelli che esulta d’allegrezza109.
Quella che prese il nome di «teoria degli affetti» e che coinvolse anche altre discipline, oltre quella musicale, ebbe come obiettivo, per quest’ultima, uno spettacolo che suscitasse la partecipazione emotiva degli spettatori. Secondo i trattatisti contemporanei che si occuparono di arti rappresentative110, era necessaria una corrispondenza tra affetti e gesti, tra la sfera emotiva e la sua resa esteriore, con la creazione di una relazione tra sentimento e figure retorico-musicali. I cantanti guardarono alle azioni sceniche delle compagnie teatrali perché le situazioni rappresentate e la varietà dei loro repertori abbracciavano innumerevoli generi, ma anche perché le corrispondenze proposte tra sentimenti e gestualità erano già codificate nella pratica spettacolare. In altre parole, se la maggior parte delle associazioni tra azioni e affetti erano intuibili, alcuni gesti cosiddetti «culturali» erano codificati e quindi suggeriti o, al contrario, sconsigliati in vista di una miglior resa spettacolare111.
D’altro canto, le proposte spettacolari dei comici accoglievano la musica vocale e strumentale e, sebbene la recitazione facesse parte di un bagaglio trasmesso di famiglia in famiglia e di generazione in generazione, gli attori dovettero comunque guardare ai cantanti come a coloro che conoscevano e studiavano la musica. Lo stesso Galilei affermava infatti:
Nel cantare l’antico musico qualsivoglia poema, essaminava prima diligentemente la qualità della persona, l’età, il sesso, con chi e quello che per tal mezzo cercava operare; i quali concetti, vestiti prima dal poeta di scelte parole a bisogno tale opportuno, gli esprimeva poscia col musico in quel tono, con quegli accenti e gesti con quella quantità e qualità di suono, e con quel ritmo che conveniva in quell’azione a tal personaggio112.
Sempre secondo la teoria degli affetti quindi, la corrispondenza tra essi e le figure musicali si traduceva nella scelta di note,di intervalli, nel contrappunto e in un andamento
109
GALILEI 1581, p. 81.
110
I maggiori trattati furono: Il corago (FABBRI e POMPILIO 1983) e Dell’arte rappresentativa (PERRUCCI 1961).
111 Questi i consigli di Perrucci ai buffoni: «Si dispensano altresì molte cose a’ buffoni, come sarà torcere il
muso, o il naso, digrignar i denti, arrugar la fronte, contorcer le dita» mentre «i personaggi dunque della tragedia, che devono muovere a compassione, orrore, pietà, stupore e lagrime, come la sua vera definizione, sono gli Eroi, Imperadori, Re, Ministri […] non accettando le persone umili, e plebee, né ridicole, ma solo gravi […]» (PERRUCCI 1961, pp. 145-146). Sull’argomento si veda soprattutto il saggio di GUALANDRI 2001.
112
167
armonico che suscitassero una particolare suggestione, così come un pittore sceglieva e distribuiva i colori. Il canto non era semplice accompagnamento, ma doveva far comprendere le emozioni contenute nel testo intonato.
I comici avevano avuto la possibilità di condividere esperienze musicali soprattutto in occasione dei grandi spettacoli in musica. Macchineria e scenografia avevano promosso queste rappresentazioni e i loro partecipanti nello scenario internazionale, come nel già citato caso della Finta pazza, in scena al Petit Bourbon di Parigi nel 1645. Gli artisti coinvolti - attori, cantanti, ballerini, musicisti e scenografi - nonostante le polemiche e le rivendicazioni113, vennero tutti valorizzati e celebrati da questi successi.
Nel mercato italiano e parigino attori e cantanti si muovevano quindi per la creazione di spettacoli condivisi oppure, più regolarmente, con le rispettive compagnie. Gli episodi ufficiali che godettero di maggior respiro finirono però per oscurare le rappresentazioni quotidiane che erano, anch’esse, di reciproca ispirazione ed emulazione. Queste esibizioni rimasero nascoste dietro al clamore suscitato dai grands spectacles, ma fu grazie anche ad esse che le attrici-cantanti scavalcarono, nelle preferenze dei protettori, le attrici prive di un curriculum che annoverasse le capacità canore114. Si trattava di
performances individuali, che si svolgevano durante serate condite da balli115, canti o spesso da riffe e corteggiamenti, oppure di partecipazioni ad opere in musica dove attori e attrici si esibivano nel canto. Gli spettacoli dei comici in cui la recitazione conviveva con la musica vocale e strumentale erano di diverso tipo. Vi erano state attrici che avevano cantato sulle note di illustri compositori, come Virginia Ramponi, ricordata per la sua celebre interpretazione dell’Arianna di Rinuccini e Monteverdi116, attori che sapevano
113 Cfr. quanto illustrato in MONALDINI 2000 sulle lettere dell’architetto Giacomo Torelli e del comico Carlo
Cantù relativamente al diverso status delle due categorie di professionisti.
114 Si veda l’esempio di Angela Signorini Nelli che pur essendo tra le più apprezzate attrici e tra le più
avvezze a riffe e corteggiamenti rimase ad un livello inferiore rispetto ad altre, come la Fedeli o la Cortesi, proprio perché non sapeva o non era solita cantare. Per un suo profilo si veda FANTAPPIÉ 2009.
115
Un esempio è quello delle rappresentazioni private del principe di Gallicano (1659) in cui è coinvolta la Cortesi. Cfr. la lettera di Francesco Cicognini a Giovan Carlo de’ Medici, Roma 15 febbraio 1659, in ASF, MdP, f. 5334, cc. 315r-316r, in MAMONE 2003b, n. 652, p. 309: «Gran numero di commedie si fanno in casa di privati, ma poco di buono e tra le altre una ne fa il principe di Gallicano nel Palazzo de’ Conti a Monte Ciborio e perché possa sentirla la Signora Eularia comica, le fa recitare di venerdì […]». Cfr. anche la lettera dello stesso Cicognini a Giovan Carlo de’ Medici, Roma 4 febbraio 1659, in ASF, MdP, f. 5334, cc. 263r- 264r, in MAMONE 2003b, n. 650, p. 309: «La Signora Eularia comica fu una delle sere passate invitata dal Signor Principe Panfilo e principessa di Rossano a veglia da loro, la fecero vestire da uomo e ballare e poi la regalorno generosamente di vesti et altro».
116 Virginia Ramponi, prima moglie di Giovan Battista Andreini, interpretò l’Arianna di Ottavio Rinuccini e
Claudio Monteverdi nel corso delle feste mantovane, nella primavera del 1608. Durante l’assolo della scena settima, l’attrice cantò lo strazio di Arianna abbandonata da Teseo con un’intensità che colpì e commosse il pubblico del tempo, come ricorda Annibale Roncaglia a Cesare d’Este nella lettera da Mantova del 29
168
cantare e suonare (dallo Scapino Francesco Gabrielli allo Scaramouche Tiberio Fiorilli)117, altri che riproducevano il suono degli strumenti musicali attraverso la voce, come Giovanni Gherardi, detto Flautino118 e, più diffusamente, compagnie che proponevano spettacoli con balli119.
Le prime notizie di Aurelia ed Eularia sul palco risalgono a periodi distanti tra loro di quasi vent’anni, ma riguardano, per entrambe, rappresentazioni di compagnie comiche che comprendevano musica strumentale e canto. Ripercorrendo le due carriere, si ritrova Aurelia nel 1634 a Genova, dove venne lodata per le sue doti nel canto120 ed Eularia, nel 1652 a Milano, per la Maddalena lasciva e penitente di Giovan Battista Andreini, tra cori, canzonette e scherzi musicali121. Due anni dopo la Fedeli faceva parte della compagnia dei Confidenti con la qualifica di «seconda recitante e musica»122 assieme alla prima attrice e cantante Leonora Castiglioni e al marito Agostino Romagnesi, «secondo musico»123. La definizione del termine «musico» nel Vocabolario degli accademici della Crusca è quella di colui che «sa la scienzia della musica»124: il «musico» è sia chi canta sia chi sa suonare gli strumenti musicali. Quindi, nella supplica dei Confidenti, il termine potrebbe essere stato usato come semplice sinonimo di cantante oppure per informare la corte che gli attori
maggio 1608. Cfr. BURATTELLI 1999, pp. 44-45. Fonti precedenti attestano che l’attrice sapeva «cantare et sonare». Cfr. la lettera di Lelio Belloni ad Annibale Chieppio, Milano 25 settembre 1606, ASMn, Gonzaga, b. 1730, cit. nella voce sull’attrice presente in AMAtI e curata da Riccardo Lestini.
117 I due attori sono difatti rappresentati nell’iconografia con il liuto o la chitarra. Per Gabrielli si ricorda
l’incisione di Carlo Biffi del Museo internazionale e biblioteca della musica di Bologna (visibile online sul sito della stessa) in cui l’attore appare circondato da strumenti a corda. Si segnala anche un’altra immagine recuperata da Gerardo Guccini presso i Musei di Palazzo Poggi a Bologna in cui, secondo l’attribuzione proposta dallo studioso durante il convegno fiorentino Firenze e la nuova storia del teatro (Teatro della Pergola, 23-24 aprile 2015), l’attore sarebbe raffigurato con maschera di cuoio e liuto. Su Tiberio Fiorilli e sul personaggio di Scaramouche interpretato anche da altri attori, si rimanda invece all’iconografia riproposta in GUARDENTI 1990, vol. II, pp. 153-159 e FERRONE 2014, pp. 287-290.
118 Su Giovanni Gherardi si rimanda al paragrafo IV. 2.
119 Si veda ad esempio la supplica della compagnia dei Confidenti del 12 luglio 1636 alla Dogana di Firenze
in EVANGELISTA 1984, pp. 71-72 in cui i comici propongono: «balli spagnuoli et italiani».
120
Cfr. RASI 1897-1905, vol. I, p. 419. Rasi riprende la poesia da Tommaso Belgrano, Aurelia comica, in «Caffaro», 28 marzo 1886. L’autore della poesia non fornisce ulteriori precisazioni relativamente alla presenza scenica dell’attrice né alla sua estensione vocale e all’intonazione.
121 Cfr. ANDREINI 1652. Il tema della Maddalena «lasciva e penitente» si trova comune, oltre che nel teatro,
anche nella poesia spirituale del Seicento. Cfr. tra gli ultimi studi: PIANTONI 2013. Nel Seicento, a Firenze, alcuni componimenti riguardanti la santa vengono anche messi in musica (sia in monodia sia in forme oratoriali), soprattutto nel periodo della reggenza di Maria Maddalena d’Austria (1621-1628), la quale amava identificarsi col personaggio di Santa Maria Maddalena. Cfr. sull’argomento HARNESS 2006.
122
Supplica per l’autunno della compagnia dei Confidenti del 12 luglio 1636 alla Dogana di Firenze, in EVANGELISTA 1984, p. 71.
123 Ibidem.
124 La definizione è presente nella seconda edizione del vocabolario, risalente al 1623 (p. 536) e consultabile
169
in questione sapevano anche suonare degli strumenti, con i quali accompagnavano le loro
performances. Passati in rassegna tutti gli episodi musicali della carriera dell’attrice, la
seconda ipotesi, assai probabile, non può sostituirsi alla certezza documentaria.
Secondo la ricostruzione proposta nel primo capitolo di questa tesi, la Fedeli aveva poi iniziato a viaggiare col marito e con Fulvio Baroncini, formando coppie artistiche che puntavano chiaramente sulla doppia natura comica e canora. In Italia e in Francia, Aurelia e Brighella giocavano a scambiarsi e a proporsi al posto di altre coppie formate da comici- cantanti125. Due episodi del 1648 disegnano ancora più nettamente la loro particolarità nonché la dipendenza dalla protezione dei Farnese, consapevoli della loro specificità. Il primo riguarda il rifiuto da parte di Ranuccio II d’inviare la coppia in Francia, dov’era stata ripetutamente richiesta. Il secondo è la mancata partecipazione dell’attrice a delle opere in musica che dovevano svolgersi a Bologna dopo la Pasqua.
Il 12 aprile 1648, il capocomico della compagnia, Jacopo Antonio Fidenzi, scriveva alla corte parmense, rassicurandola sull’avvertimento dato alla Fedeli e a Beatrice Vitali:
Et ho detto ancora alla signora Beatrice et Aurelia che non potranno cantar ne’ teatri come han promesso, dovendosi obedire il padrone ed elleno [sic] mi han risposto che obbediranno126.
Il 28 dello stesso mese era Ferdinando Cospi ad avvisarne la corte medicea:
Queste due commedie in musica si dovevano fare fatto le tre prime feste di Pasqua, ma in tutte due sono nati sconcerti bizzarri: […] nel altro teatro le tre donne che vi cantano, che sono commedianti, cioè Ippolita, Diana et Aurelia, il Signor Duca di Parma che ha mandato a pigliare due per fare commedie di zanni e già sono andate, sì che questo resta ancora lui sconcertato, se bene dicano che Sua Altezza le lascerebbe ritornare in occasione di fare l’opera127.
Brigida Fedeli appare citata in entrambe le lettere, a conferma di come il duca, quell’anno, fosse irremovibile: Aurelia non sarebbe andata né in Francia né tanto meno a
125
Si ricorda l’episodio della Finta pazza del 1645, spettacolo al quale Fedeli e Baroncini non parteciparono e più in generale gli anni 1646-1648 quando gli stessi vennero ripetutamente chiamati in Francia. L’alternanza e le sostituzioni riguardavano loro e la coppia Domenico Locatelli (Trivellino) e la moglie Luisa Gabrielli (Diana).
126
Lettera di Jacopo Antonio Fidenzi a ignoto della corte di Parma, Bologna 12 aprile 1648, in ASPr, Teatri e spettacoli farnesiani, b. 1, II, c. 168.
127 Lettera di Ferdinando Cospi a Desiderio Montemagni, Bologna 28 aprile 1648 in ASF, MdP, f. 1501, ins.
4, cc. nn., in MAMONE 2003b, n. 907, p. 436. «Ippolita» e «Diana» sono rispettivamente Ippolita e Luisa Gabrielli.
170
Bologna perché il suo protettore aveva intenzione di vederla esibire a corte nelle «commedie di zanni».
Il giorno successivo Cospi sembrava però aprire uno spiraglio e lasciare intendere che forse alla Fedeli e alle altre era stato concesso di recitare a Bologna, una volta accontentato il duca a Parma. Vi si legge infatti:
queste due commedie in musica, che si fanno in dua [due] teatri, si comincerà la prima chiamata Bellerofonte, martedì prossimo, se bene ci è chi crede non sarà se non mercoledì, per non essere del tutto anco bene in ordine, né le donne che sono a Parma anco venute; l’altra del Teatro Nuovo titolata Le gare d’amore, si farà il giorno appresso128.
Anche se non è sicura la partecipazione di Aurelia alle due opere in musica, risulta interessante che questa fosse comunque possibile129. Sulla soglia degli anni cinquanta, la Fedeli era una di quelle attrici-cantanti capaci di esibirsi in perfomances canore assieme agli altri comici-cantanti, rendendo quegli stessi spettacoli dell’Arte più attraenti e ricercati. Allo stesso tempo, quelle doti canore le avevano fatto guadagnare il diritto di lasciare il gruppo per partecipare ad opere in musica e collaborare con compositori, cantanti e musicisti tout court130.
Questa peculiarità, pur aumentando i consensi personali e di compagnia, poteva portare ad un guadagno (economico e d’immagine) che in alcuni casi era solo individuale e perciò rischiava di trasformarsi facilmente in un intralcio per l’organizzazione spettacolare di gruppo. Così accadde per Eularia che il 5 luglio 1658 scrisse da Bologna al duca di Mantova:
La comedia in musica che si doveva fare qui non si farà per adesso, poiché volevano che vi cantassi io, ma perché non possono essere al ordine per questo mese non ho voluto per non far danno alla Compagnia accettare la parte, a ben che i compagni abino corrisposto con poco termine, poiché sapendo che questi mi stimolano a pigliar questo impiego, dissero che se io avessi recitato in questa
128 Lettera di Ferdinando Cospi a Desiderio Montemagni, Bologna 29 aprile 1648, in ivi, n. 908, pp. 436-437. 129 Le opere in musica dovettero comunque andare in scena come attesta il libretto Il Bellerofonte, dramma
musicale del signor Vincenzo Nolfi rappresentato nel Teatro degl’illustrissimi signori Guastavillani […], Bologna, del Dozza, 1648, che appare tra quelli schedati da SARTORI 1990-1994, vol. I, p. 416, mentre per Le gare dell’amore vengono citate solo edizioni di libretti risalenti al Settecento.
130 È possibile che anche in altre occasioni la Fedeli accennasse a spettacoli in musica, ma i riferimenti sono
troppo sintetici per poterlo affermare con sicurezza. Si vedano gli esempi del 1653 e del 1665. Nella lettera di Aurelia Bianchi a Ippolito Bentivoglio, Bologna 10 ottobre 1653, in ASFe, Bentivoglio, Lettere sciolte, b.