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Minacciata FAO Analisi Storica

BOX 15: GLI “ALLEVATORI CUSTODI”

9. CASI STUDIO

9.1 Cos’è una razza? Gli ovini dell’Appennino tosco-emiliano

In Toscana, le aree appeniniche rappresentano da sempre terre vocate alla pastorizia. Esistono testimonianze storiche di una intensa attività pastorale, che seguiva indirizzi molto vari: da semistanziale di media e piccola dimensione a transumante di grande dimensione. Negli anni si nota una progressiva rarefazione di molti gruppi etnici, mentre alcune eccellenze, come l’ovino Massese, consolidano la propria consistenza e si espandono a livello nazionale, anche in regime stallino, accrescendo l’attitudine alla produzione del latte. Per quanto riguarda i gruppi minori, l’ovino Garfagnino viene allevato presso centri specializzati (ex ASFD) prima di Lucca e poi dell’Aquila (ex situ) e solo recentemente è tornato a popolare allevamenti privati toscani, opportunamente seguiti dagli enti pubblici locali. Da una iniziativa allevatoriale spontanea, nasce invece il recupero numerico della razza Zerasca, poco conosciuta e diffusa in territori isolati. Permangono inoltre popolazioni alquanto numerose di ovini Appenninici, formati dalla confluenza di popolazioni locali affini e sono tuttora diffusi in provincia di Pisa animali appartenenti alla popolazione ovina Pomarancina.

In Emilia Romagna, l’allevamento ovino ha da sempre avuto importanza minore rispetto all’allevamento bovino da latte. In questa Regione la pastorizia veniva condotta col sistema della transumanza: mentre in estate le greggi si portavano sulla parte più alta dell’Appennino, durante l’inverno le stesse si spostavano verso i quartieri di svernamento nella pianura Ferrarese e in provincia di Rovigo (tradizionalmente dall’8 di settembre a maggio inoltrato). Sembra che la popolazione ovina del solo comune di Fiumalbo (MO) fosse rimasta costante dai censimenti del ‘600 fino alla fine degli anni ’50, attestandosi sui 15.000 capi. La pastorizia della vicina provincia di Reggio Emilia aveva invece, come quartieri di svernamento preferenziali, i territori toscani. Da interviste e memorie storiche del territorio modenese, si sa che le poche eccezioni a questo movimento periodico si ebbero in caso di forti emergenze sanitarie, come la peste del ‘600 e la “spagnola” del primo dopoguerra, quando anche i pastori modenesi ripiegarono in Toscana. Una ulteriore eccezione si ebbe alla fine del secondo conflitto mondiale, per motivi di sicurezza dovuti agli eventi bellici.

Dalle notizie storiche, si intuisce quanto un sistema di allevamento particolarmente duro andasse a selezionare popolazioni ovine dotate di particolari caratteristiche costituzionali, decisamente

adatte a questo tipo di ambiente. Oltre a questa pressione ambientale, grande importanza avevano i pastori che, tramite le loro scelte e preferenze (selezione massale), andavano a modificare le caratteristiche somatiche degli animali.

Parlando di introduzione antica di ovini è noto, per esempio, che Traiano - vincitore della Dacia - introdusse in Italia numerosi animali domestici provenienti dalle terre ungariche fra cui la pecora Zackel, caratterizzata da lunghe corna a spira in entrambi i sessi. Introduzioni più recenti avvennero sul territorio sia per opera di grandi casate (i Borboni si occuparono di sistematiche importazioni di grandi greggi di pecore Merinos) sia da parte dei pastori, che scambiavano abitualmente i riproduttori (ad esempio con pastori lombardi e veneti durante l’inverno, con conseguente introduzione nelle greggi di pecore Bergamasche). Più recentemente (metá degli anni ’50), a Modena si è assistito all’introduzione, ad opera dell’Istituto Sperimentale di Zootecnia di Modena, di pecore di razza Karakul, allo scopo di promuovere l’allevamento di ovini da pelliccia (Astracan).

Tutte queste nuove razze andavano ad agire su una ben consolidata popolazione Appenninica primordiale, che risultava insediata su entrambi i versanti appenninici Tosco-Emiliani. Alla fine del 1800 gli ovini universalmente noti nell’Appennino settentrionale erano di razza Garfagnina e Vissana, e sembra che da questi si andassero progressivamente formando altre razze appenniniche secondarie, che differivano per caratteri di pigmentazione, produzione e rusticità. Attualmente, al recupero dell’ovino Cornigliese ad opera di allevatori dell’areale bolognese è seguito il recupero della razza Cornella bianca. E’ stato inoltre possibile reperire ancora uno sparuto gruppo di ovini riconducibili alla razza Balestra modenese, detta anche Pavullese.

Rimane tuttora molta confusione sui metodi usati per classificare le varie razze. Questo si nota anche dalla comparsa di razze che risultano poi assenti per lunghi periodi dai censimenti passati, ricomparendo di nuovo a distanza di molti anni. Vista la forte vicinanza fra territori toscani ed emiliano-romagnoli, avvenivano spesso scambi di riproduttori dalle caratteristiche fenotipiche affini.

Di seguito viene riportato un riepilogo delle razze ovine censite attraverso le fonti documentali disponibili delle Regioni Toscana ed Emilia Romagna.

Tabella 22: Riepilogo delle razze ovine censite attraverso le fonti documentali disponibili

delle Regioni Toscana ed Emilia Romagna

1925

Toscana Emilia Romagna

Garfagnina Meticcio locale montonino a corna spiralate

Maremmana (Spagnola bastarda) Corniglio (Mucca)

Casentinese Razza locale a corna piatte spiralate

Valdarno Reggiana

Valdichiana

1949

Toscana Emilia Romagna

Massese Garfagnina

Garfagnina Cornella

Appenninica Pavullese (Balestra)

Reggiana

1970 (Asso.Na.Pa.)

Toscana Emilia Romagna

Garfagnina Garfagnina

Massese Cornella Bianca

Appenninica Reggiana

Senese delle Crete Pomarancina

1976 (Asso.Na.Pa.)

Toscana Emilia Romagna

Massese Pavullese Appenninica

Senese delle Crete Pomarancina

1979 (CNR e AIA)

Toscana Emilia Romagna

Locale (anche in Liguria) Zucca modenese

Massese Nostrana

Pomarancina Cornetta

Garfagnina Pavullese

Appenninica Borgotarese

1983 (CNR)

Toscana Emilia Romagna

Locale (anche in Liguria) Cornella Bianca

Massese Zucca modenese

Pomarancina Nostrana

Garfagnina Appenninica Nostrana

1987 (CNR)

Toscana Emilia Romagna

Locale (anche in Liguria) Cornigliese

Massese Pomarancina Garfagnina Appenninica

Toscana Emilia Romagna

Locale (anche in Liguria) Cornigliese

Massese Pomarancina Garfagnina Appenninica

Zerasca (da Locale e Nostrana) (?)

2006

Toscana Emilia Romagna

Zerasca Cornigliese

Massese Cornella bianca

Pomarancina “Popolazioni relitte in fase di studio”

Garfagnina Appenninica

2010

Toscana Emilia Romagna

Zerasca Cornigliese

Massese Cornella bianca

Pomarancina Pavullese (Balestra, Modenese)

Garfagnina “Popolazioni relitte in fase di studio” (Zucca) Appenninica

Da quanto sopra esposto, si capisce come i censimenti avessero una validità relativa. Molto spesso interi gruppi etnici venivano a mancare semplicemente perché l’intero gregge veniva venduto e trasferito altrove. Esistono anche documentazioni di interi greggi trasferiti nelle regioni meridionali.

Esiste inoltre un’ampia casistica di sinonimie, che solo recentemente è stato possibile dipanare. Oltre a denominazioni di razza che differivano da località a località, esisteva un preciso gergo

classificatorio, che spesso complicava l’attribuzione, come nel caso di quello riferito al tipo di corna. Di seguito è riportato un esempio di precisa nomenclatura per il tipo di corna e per le pezzature e maculature della testa:

1) Pecora cerva: corna a spirale aperta con più volute rivolte verso l’alto. 2) Pecora rastella: corna falciformi rivolte caudalmente

3) Pecora balestra: corna che ricordano la forma della balestra (nella zona di Pavullo era nota una razza detta Balestra o Pavullese)

4) Pecora belloccia: testa bianca con occhi circondati da pezzatura nera 5) Pecora moscata: testa fittamente maculata

Attualmente, le popolazioni censite da parte delle Regioni Toscana ed Emilia Romagna risultano in buona parte presenti ed iscritte negli appositi Registri anagrafici.

Sembrano venire segnali positivi da un lento ma costante aumento degli allevamenti che cominciano ad usufruire dei mezzi di incentivazione economica messi a disposizione del PSR, precedentemente mai usufruiti. Sono stati promossi incontri e seminari che hanno più volte messo a confronto le due realtà regionali, promuovendo un costante scambio di informazioni e notizie, riguardo i possibili canali di commercializzazione e valorizzazione dei prodotti agropastorali dell’Appennino tosco-emiliano. Attualmente, il più grande limite sembra rappresentato dall’età avanzata degli addetti, che non trova un adeguato ricambio generazionale.

Per quanto riguarda il versante emiliano, molti allevamenti hanno interrotto la transumanza diventando allevamenti stanziali di pianura. E’ pertanto chiaro che si sono interrotte una serie di consuetudini, come i citati scambi di riproduttori. Molti nuclei sono oggi isolati e, di fronte ad una impossibilità di rinsanguo, si assiste a fenomeni di incrocio con rapida erosione genetica. L’uso di razze ad ampia diffusione, come Sarda, Comisana e Massese, sta determinando una progressiva degenerazione dei caratteri fenotipici, a fronte di maggior produzione delle femmine meticce derivate.

Attualmente, pertanto, oltre all’azione di sostegno economica, risulta prioritaria l’azione di collante fra i vari nuclei riproduttivi rimasti isolati, con la promozione di adeguati scambi fra i riproduttori presenti. Questa azione è però resa particolarmente difficile da fattori tradizionali che vedono spesso diffidenza e paura nell’acquisto di capi provenienti da un allevamento estraneo.