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5. Conclusioni

5.1 Cosa abbiamo scoperto

Il nostro viaggio di esplorazione della comunità Alibandus di Bassano del Grappa è così giunto al termine. In questo percorso abbiamo analizzato diversi pezzi del puzzle che compongono la struttura; siamo partiti illustrando la metodologia utilizzata per realizzare la ricerca, cioè l’esplorazione di documentazione storica e poi abbiamo continuato raccontando le storie delle persone che hanno composto e costituiscono la comunità attraverso undici interviste narrative a educatori, ragazzi e persone vicine alla struttura.

Abbiamo diviso il lavoro in due parti: la prima più concentrata sulla storia in cui abbiamo analizzato la comunità all’interno del contesto internazionale, nazionale e territoriale bassanese, illustrando normative e statistiche italiane e regionali, riassumendo le modalità progettuali dell’Ulss 3 (a cui la comunità appartiene) e descrivendo le realtà comunitarie presenti nel territorio. Infine abbiamo riassunto le tappe principali della storia della comunità dal 1994, anno della sua fondazione, ad oggi.

Dopo questa prima parte, siamo entrati nella fase centrale della nostra ricerca dedicata al racconto di storie che hanno permesso di far emergere aspetti più particolari e dettagliati della comunità attraverso le voci dei suoi protagonisti. Questa seconda parte è costituita da due anelli di una stessa catena che si uniscono: il primo riguarda la realtà interna e il secondo gli aspetti esterni.

Nella parte “Insid(i)e” sono protagonisti gli educatori e i ragazzi accolti in comunità, le dinamiche di gruppo e gli aspetti più rilevanti che caratterizzano la vita in Alibandus.

Siamo partiti cercando di approfondire quale sia il senso d’identità della comunità con la domanda un po’ ironica “Famiglia o non famiglia?” per tentare di capire quanto la comunità stessa si comporta da famiglia. In questa fase abbiamo scoperto come nel tempo siano esistite figure identificate come “madre” e “padre” a confermare la tesi di una grossa volontà di somigliare nello stile educativo a una famiglia; allo stesso tempo sono emersi però anche i limiti che la comunità ha nell’affermarsi completamente come una vera famiglia. Sembra emergere che la comunità più che “essere o non essere” famiglia oscilli fra queste due posizioni cercando di riprodurre ciò che avviene nelle famiglie ad esempio con regole e

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relazioni, mantenendo però delle dinamiche non riconducibili a quello che avviene in una famiglia come ad esempio i turni per lavare i piatti o per guardare la televisione.

Siamo passati poi all’esplorazione del funzionamento della comunità approfondendo prima le dinamiche legate all’equipe educativa e successivamente quelle legate ai ragazzi accolti. Molte delle interviste hanno documentato come l’entrata nell’equipe educativa sia stata il più delle volte un percorso impegnativo per gli educatori. Abbiamo paragonato l’ingresso nel gruppo di lavoro a un rito iniziatico caratterizzato da un primo momento di spaesamento, seguito da un periodo di transizione che ha portato alla successiva acquisizione a pieno titolo di appartenenza al gruppo attraverso la costruzione di una relazione molto intensa con il luogo di lavoro, in molti casi rappresentata dalla fusione del tempo di vita professionale con quello di vita privata.

Il tema dello sconfinamento e della fusione fra personale e professionale è stato poi approfondito in seguito per capire quanto e come gli operatori siano riusciti a reggere questa omologazione. Da tale analisi è emerso come, soprattutto nei primi anni, molti educatori abbiano coinvolto la loro vita privata nel lavoro e viceversa, mentre invece nel lungo periodo (anche a causa del cambiamento dei momenti di vita degli educatori) sia nata la necessità di ridefinire i confini in precedenza abbattuti. Abbiamo cercato quindi di capire se questo bisogno di distacco raccontato dagli operatori potesse trattarsi di un esempio di burn-out, facendo emergere come il tema dello sconfinamento tipico delle professioni sociali meriterebbe maggiore attenzione durante il periodo di formazione professionale (ad esempio durante gli studi universitari) affinché i futuri educatori possano arrivare “armati” alla loro futura professione.

Abbiamo successivamente analizzato le dinamiche di gruppo chiedendoci come venga gestita la leadership all’interno dell’equipe; quest’approfondimento ha permesso di capire che in passato il ruolo del leader era definito e chiaro, di rado la sua posizione veniva messa in discussione diventando invece opinione allargata di tutta l’equipe. Oggi sembra esserci in atto un mutamento: il ruolo di leader del gruppo educativo è in fase di ridefinizione e rinegoziazione poiché viene spesso messo in discussione attraverso confronti accesi fra diverse posizioni.

Anche l’aspetto normativo è stato tema di approfondimento durante le interviste e ci ha permesso di capire la rilevanza che hanno le regole, scritte e non scritte, all’interno della comunità nel rapporto sia fra adulti che fra educatori e accolti. Appare importante il momento della riunione ragazzi da dove emerge la richiesta di risposte più veloci ed esaustive da parte dei minorenni accolti.

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Gli educatori hanno raccontato anche le difficoltà che talvolta li hanno messi in crisi nel mettere in pratica regole che in realtà non condividevano, ma che erano state decise da gruppi precedenti o da altri operatori. Inoltre è stato affrontato il problema del conflitto fra regole della comunità e situazione dei pari nella società che spesso non coincidono e che mettono l’equipe educativa davanti a decisioni complesse da prendere: seguire le regole della struttura condivise da tempo o adattarsi ai cambiamenti sociali? Abbiamo capito come le regole siano il frutto del confronto fra le persone e i loro vissuti passati e pertanto si modificano e rinegoziano in base a chi compone il gruppo degli accolti e degli educatori; tale aspetto in alcune circostanze si è rivelato motivo di conflitto all’interno dell’equipe educativa.

I momenti di scontro in alcuni casi hanno portato al bisogno di cambiare e di uscire dall’equipe di lavoro; è da queste riflessioni che siamo partiti nell’approfondire le rotture e le separazioni che hanno segnato la storia della comunità, scoprendo come la causa di queste uscite sia stata spesso la maternità o la difficoltà di sostenere la richiesta di forte coinvolgimento personale nel lavoro educativo in comunità.

Doveroso a riguardo sottolineare che la comunità non registra un forte turn-over di operatori ma che chi esce lo fa dopo molti anni di lavoro, in media un periodo superiore ai cinque anni. Le uscite professionali non vengono raccontate come chiusura ma come nuova apertura; sono infatti molto frequenti i casi in cui l’uscita dalla comunità è stata occasione per l’apertura di un nuovo servizio o di un nuovo settore della cooperativa a cui la comunità appartiene. Questo concetto di rinnovamento della figura professionale, definito durante la ricerca “processo di gemmazione” ricalca ciò che storicamente è accaduto in passato con le persone che hanno fondato il progetto Zattera Blu germe originario della comunità. Il processo di gemmazione spiegato durante la ricerca dimostra come le uscite non siano state crisi che hanno portato a chiusure e a tensioni irrecuperabili, ma che hanno generato nuove energie e nuovi spazi di sviluppo.

Dopo quest’analisi concentrata sugli educatori abbiamo ritenuto importante considerare gli aspetti legati ai ragazzi accolti, coinvolti direttamente attraverso un paio di interviste; la loro partecipazione si è dimostrata infatti imprescindibile.

I ragazzi evidenziano l’importanza che la comunità ha avuto nel loro percorso di vita, descrivendola come luogo di relazioni forti e punto di riferimento stabile anche dopo la conclusione del percorso di accoglienza. Gli educatori vengono descritti come figure di riferimento con le quali confrontarsi e potersi rivolgere sempre nei momenti di difficoltà. Anche i “compagni” di comunità vengono definiti come persone importanti per affrontare la solitudine e condividere l’esperienza con dei pari età ma non vengono considerati degli amici.

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L’aspetto traumatico dell’allontanamento viene riportato dai ragazzi che sembrano chiedere di fare attenzione alla territorialità e all’ambiente d’origine per evitare strappi violenti e ulteriori sofferenze e mantenere dall’altra parte delle relazioni e rapporti già coltivati.

I racconti sottolineano come il ruolo dei ragazzi nella storia della comunità sia tutt’altro che minore. Infatti la lettura dei loro bisogni e delle loro storie nel tempo ha dato vita a trasformazioni e cambiamenti rispetto alle modalità di lavoro degli operatori o ha creato nuovi progetti realizzati proprio in base alle diverse situazioni dei ragazzi che venivano accolti. I ragazzi sono anche i protagonisti dei momenti di crisi della comunità; nei racconti degli educatori sono ricorrenti alcune storie particolari che appaiono essere state pilastri fondanti della comunità, come ad esempio l’accoglienza di un ragazzo con forte disabilità o alcuni ricongiungimenti familiari andati a buon fine.

Minorenni particolarmente difficili, sempre più presenti nelle comunità, che mettono in forte crisi gli educatori creando in loro disagio poiché si sentono responsabili di non riuscire a fare abbastanza per poterli sostenere.

Tutti questi aspetti confermano la forte relazionalità che esiste fra educatori e ragazzi e la posizione di questi ultimi, troppo spesso considerati “minori e non minorenni”, che si dimostra invece molto rilevante, di attori protagonisti della comunità di cui fanno parte. Finora abbiamo riassunto le questioni emerse in merito alle relazioni interne alla comunità; nella parte successiva abbiamo raccolto gli spunti che riguardano i rapporti esterni con le famiglie d’origine dei ragazzi e il territorio in cui la struttura è inserita.

Abbiamo così prima analizzato i cambiamenti relativi alle relazioni della comunità con l’esterno avvenuti nel tempo, scoprendo come nei primi anni fosse concentrata soprattutto su sé stessa, con pochi rapporti con il territorio mentre successivamente si è assistito alla creazione di una rete territoriale attorno alla comunità collaborando con le parrocchie, le scuole, le agenzie educative del territorio, le società sportive e i gruppi di volontariato.

Ci siamo quindi soffermati sui rapporti con le scuole e con il territorio bassanese in particolare raccontando la nascita e l’operato dell’Associazione “La Casa sull’Albero”, fondata con l’obiettivo di coinvolgere il territorio attraverso il volontariato e le famiglie di vicinanza solidale.

La famiglia d’origine è stata protagonista di un’altra evoluzione nella storia della comunità. Se infatti inizialmente la famiglia veniva vista come una presenza negativa da cui proteggere i ragazzi, col tempo è maturato un cambiamento di concezione secondo il quale è importante mantenere il legame familiare, valorizzare, promuovere la partecipazione e creare una relazione di fiducia fra famiglia e operatori.

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Infine il Servizio Sociale, ente inviante dell’accoglienza, le cui relazioni con la comunità sono fondamentali per il buon esito del progetto. Dalle interviste emerge come gli educatori si lamentino spesso della poca presenza delle assistenti sociali e come la diatriba sia spesso su ruoli e compiti dei diversi attori.

La relazione comunità-servizio sociale è cresciuta nel tempo creando un’alleanza più solida attraverso momenti di condivisione e confronto; alleanza ancora in costruzione e per la quale c’è bisogno di continuare a lavorare insieme.

La figura dell’attuale responsabile della Tutela Minori sembra essere stata determinante nei rapporti fra comunità e Servizio Sociale perché è stato uno dei fondatori della comunità. Ci ha raccontato quanto sia importante l’esperienza diretta in comunità nel suo lavoro di dirigenza pubblica (Tutela Minori e Regione Veneto) definendola un valore aggiunto. L’incrocio relazionale fra pubblico e privato ha senza dubbio influenzato le politiche pubbliche, tanto che alcune Linee guida Regionali sembrano essere partite proprio da Bassano del Grappa, dall’incontro fra realtà sociale e politica. Il ruolo della comunità nel welfare locale è stato perciò importante, ha portato cambiamento e influenzato le politiche sociali.

I rapporti fra accolti e assistenti sociali sembrano essere più problematici perché il Servizio Sociale ha la responsabilità dell’allontanamento in molti casi e perciò è considerato l’artefice dei loro problemi.

Le ultime pagine della nostra ricerca sono state dedicate al futuro dei ragazzi dopo il percorso di accoglienza e al futuro delle comunità stesse alla luce dei cambiamenti imposti dal welfare. L’uscita dei ragazzi dalla comunità sembra essere una necessità; alcuni raccontano di aver dovuto “alzare un muro appena usciti dalla comunità” per trovare la propria autonomia e riallacciare poi i rapporti solo in un secondo momento continuando però a considerare la comunità come un punto di riferimento. Gli educatori mettono in campo diverse strategie per preparare l’uscita graduale degli ospiti dalla comunità; una di queste è rappresentata dal progetto Yoda che prevede per i ragazzi la possibilità di sperimentare l’autonomia abitativa ed economica seguiti da un educatore in un appartamento vicino ma indipendente dalla comunità.

Infine abbiamo riportato due diverse posizioni che gli intervistati hanno espresso sugli scenari futuri possibili per le comunità d’accoglienza alla luce della crisi economica odierna. Educatori che ora non lavorano all’Alibandus sostengono che le problematiche psichiatriche e la specializzazione determineranno il futuro della comunità, mentre gli educatori che compongono l’attuale equipe educativa stanno ripensando il progetto educativo della comunità come flessibile, differenziato e molto più individualizzato in base ai bisogni delle

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singole accoglienze con nuovi progetti concentrati all’esterno, alla collaborazione e al coinvolgimento del territorio. A riguardo sono infatti partite alcune sperimentazioni innovative e fantasiose come il “Bed & Breakfast Protetto” o l’accoglienza diffusa coinvolgendo alcune famiglie del bassanese.

Dopo questa carrellata riassuntiva dei diversi temi emersi nella ricerca, abbiamo riunito le ricerche da cui siamo partiti per trarne le considerazioni conclusive attraverso una comparazione ci ciò che è emerso da entrambe.