5. Conclusioni
5.2 Somiglianze e differenze fra comunità (a cura di Lazzarini e Carraro)
Questa parte conclusiva ha lo scopo di delineare le linee interpretative delle due ricerche; ci sembra di poter paragonare questo percorso all’immagine del Dna. Ogni molecola di Dna, per replicarsi, si divide nei due filamenti e ciascuno di esso ne genera uno di complementare che poi si uniscono insieme dando origine a una nuova entità e garantendo in questo modo il replicarsi e trasmettersi del patrimonio genetico nel tempo. Allo stesso modo anche il nostro lavoro ha avuto origine da un’idea comune per poi dividersi in due ricerche diverse ma complementari che sono poi confluite nell’analisi che andiamo di seguito a presentare.
In questa fase abbiamo cercato di individuare somiglianze e differenze principali fra le due comunità esaminate nello studio.
Uno dei primi aspetti che vogliamo sottolineare è il background che ha dato vita alle comunità: Contrà Fascina fondata da religiosi, mentre Alibandus aperta da operatori laici. Questo ha caratterizzato per molti anni le modalità e i valori educativi delle singole comunità. Se consideriamo gli operatori e in particolare la leadership del gruppo, è curioso come in entrambe le strutture, in diversi periodi l’una rispetto all’altra, vi siano state situazioni in cui alcuni membri dell’equipe hanno messo in discussione la figura del leader. E' doveroso sottolineare come a Vicenza la questione della responsabilità appartenga al passato e sia stata (almeno formalmente) risolta, mentre a Bassano questa fase di rinegoziazione della leadership sia ancora in corso.
Inoltre affermiamo senza esitazione che in entrambe le realtà lo stile del leader ha influenzato e generato esso stesso regole, modelli e modi d’agire all’interno del gruppo degli operatori parte dell’equipe.
Oltre a questo vi è stata anche la presenza in contemporanea di una figura materna e una paterna come responsabili assieme delle due strutture; un uomo e una donna, quindi, che hanno assunto quello che possiamo definire il comando e che per diversi motivi, ma
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soprattutto ruoli particolari, sono stati identificati come “coppia genitoriale” vera e propria, padri e madri (quasi proprietari) della Comunità.
Inoltre in tutti i casi in cui al leader è stato chiesto di lasciare il suo compito o per sua decisione ha abbandonato il ruolo di guida, la difficoltà è risultata molto evidente. Difficoltà che deriva, in entrambe le realtà, dal dover lasciare una posizione guadagnata ma anche sudata attraverso tanti sacrifici e rinunce, a volte mettendo da parte aspetti del proprio vissuto privato, dando tutto alla comunità e sentendola quasi come un proprio prodotto o creazione. Infine possiamo affermare che gli attuali responsabili delle due strutture sono proiettati verso l’esterno per proprie caratteristiche, capacità, propensioni ma anche necessità. Questo significa che alla guida delle Comunità vi sono due persone che oltre alla responsabilità che possiamo definire interna ed educativa hanno un ruolo di rappresentanza anche all’esterno, ad esempio nel Cnca Veneto.
Il compito di tessere reti, mantenere legami ed essere sul territorio a trecentosessanta gradi non è delegato solo ai responsabili ma è compito diffuso e allargato a tutti gli educatori delle comunità. Significativa la presenza in ambo le realtà di associazioni per la sensibilizzazione del territorio e la diffusione dell’accoglienza attraverso la vicinanza solidale (“Famiglie Aperte” e “Casa sull’Albero”).
Rispetto agli operatori e all’equipe è emersa la fondamentale importanza di una supervisione periodica. Anche se nelle due realtà è svolta in modo differente, è chiara l’importanza di una persona esterna che gestisca soprattutto le dinamiche emergenti all’interno del gruppo degli educatori, che spesso possono essere tese e che necessitano di essere risolte nell’immediato. Gli operatori in molti casi sono evidentemente così immersi nel proprio lavoro di relazione con ragazze e ragazzi e fra di loro che spesso non sono in grado di affrontare e passare oltre soprattutto alle questioni che emergono all’interno del proprio gruppo di lavoro.
L’ambiente, in entrambi i casi, ti assorbe così completamente che quando si entra lo si fa tramite una sorta di “rito iniziatico” per il quale poi devi permanere all’interno della realtà un tempo che è compreso fra “il più a lungo possibile” e “sempre”. Rispetto a questo rapporto professionale totalizzante è interessante sottolineare come spesso causi uscite e rotture perché la persona non è più in grado di reggere la situazione. La differenza che ci preme evidenziare rispetto alle uscite degli educatori dalle due diverse comunità è che se a Contrà Fascina chi se ne è andato è spesso visto come persona che ha mollato, che ha lasciato, che non era cioè in grado di reggere e con ha di conseguenza più rapporti con la comunità, all’ Alibandus chi è uscito nella maggior parte dei casi continua a mantenere buoni rapporti e spesso lavora in altri settori della Cooperativa.
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Il forte coinvolgimento del lavoro educativo capita che sconfini spesso dalla vita privata al lavoro e viceversa, con una partecipazione alle dinamiche della propria occupazione che possono generare sovraccarichi e pesi dovuti al tempo speso e alle energie eccessive impiegate in e per la Comunità.
Parlando di operatori e visto che abbiamo approfondito abbastanza la figura del leader, possiamo giungere a questa conclusione: il leader, il responsabile, colui o colei che possiamo pure identificare come il “creatore” della realtà rappresenta il sapere esperto, l’esperienza di una vita e la visione super partes. Il leader è cioè colui che illumina come un faro le situazioni e le zone d’ombra in cui si trovano gli accolti, i ragazzi ospiti delle strutture, che provengono a dinamiche di vita alquanto difficoltose. Perché la luce possa essere irradiata fino in fondo è necessario, però, che vi sia un tramite, qualcuno che si prenda il carico di esserne il portatore e questo è proprio il ruolo degli operatori. Essi rappresentano la via di mezzo in grado di assorbire il fascio di luce irradiato dal leader e direzionarlo a loro volta ai giovani, per cercare di far sì che anche loro possano beneficiarne e risplendere a loro volta.
Per quanto riguarda le tematiche rispetto ai ragazzi, emerge in prima battuta un dato di realtà, ossia che i progetti di vita all’interno della realtà degli ospiti sono sempre più corti e ridotto è il tempo d’azione. Per questo motivo e per favorire il rientro del ragazzo nel proprio ambiente d’origine o in un'altra famiglia, la Comunità è sempre più vista come un punto di sosta per poi avviare un’immediata ri-partenza verso qualcos’altro. Sempre rispetto ai progetti emerge inoltre la necessità che vi sia una regia da parte dei Servizi di riferimento, che però a detta degli operatori manca ancora.
Abbiamo inoltre osservato che da un’attenzione all’ascolto attivo, dal recepimento delle problematiche dei giovani ospiti e dalla considerazione di essi come soggetti attivi nella relazione, possono derivare e nascere nuove progettualità che in alcuni casi possono dare vita anche a servizi che fino a poco prima non si pensava nemmeno potessero svilupparsi.
Gli accolti, in entrambe le realtà, sono attori protagonisti del cambiamento della storia delle comunità, influenzando fortemente le scelte dell’equipe.
Per favorire la partecipazione è importante quindi tener conto, oltre che della dimensione individuale di ogni accolto, anche del gruppo dei ragazzi, che va stimolato ad esprimersi e a pensare collettivamente attraverso riunioni periodiche, che le due Comunità stanno già da anni sperimentando. Inoltre è importante sottolineare come un’equipe mista, con operatori con personalità diverse le une dalle altre, genera rapporti differenti ma singolari con ognuno degli ospiti, facendo sì che a vicenda possano emergere anche le affinità tramite le quali i ragazzi possono essere aiutati e condotti lungo il loro difficile percorso.
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Infine una considerazione di carattere attuale. In questi ultimi due o tre anni entrambe le Comunità hanno accolto ragazzi con situazioni problematiche sempre più complesse, connesse in molti casi anche a problematiche di tipo psichiatrico. Questo sta generando il bisogno della presenza di persone con competenze nuove, che prima non erano richieste. Rispetto la famiglia d’origine emergono soprattutto dei punti in comune relativi al nuovo modo di lavorare. Il percorso per arrivare alla modalità di relazione con le famiglie nel tempo è stato diverso perché se a Vicenza la famiglia è sempre stata considerata importante e fin dalla fondazione della comunità ha cercato di mantenerne il legame, a Bassano si è assistito a un cambiamento in quanto inizialmente la famiglia veniva considerata come la causa dell’allontanamento (e per questo i ragazzi necessitavano di protezione), successivamente invece il lavoro con la famiglia d’origine è diventato imprescindibile per il buon esito dei progetti.
Da entrambe le parti è visto come fondamentale l’approccio relazionale a scapito di quello assistenzialista o addirittura escludente in merito alla famiglia di provenienza dei giovani. E’ fondamentale, quindi, non solo tenerle in considerazione ma far sì che partecipino attivamente al progetto dei figli inseriti in struttura. Per fare ciò è importante l’aspetto dell’entrata nelle case di mamme e papà, nel senso di riscoprire quei momenti informali come bere un tè insieme che danno il via alla relazione fra genitore e operatore. Oltre a ciò l’entrare in casa assieme al ragazzo è un modo per far sì che prenda coscienza delle proprie origini e del suo ambiente di provenienza, oltre che della storia a cui appartiene. Le famiglie sono sempre più considerate come allargate, non solo quindi i due genitori ma più con un ottica di considerare i soggetti importanti per il ragazzo, che siano i genitori oppure la nonna, la sorella, la zia, ecc. Per quel che riguarda, l’autonomia i ragazzi sentono l’esigenza forte di uscire quasi subito dopo il raggiungimento della maggiore età. Questo genera sconcerto e precarietà nei progetti concordati fra operatore e ragazzo, perché in un certo senso è come se la necessità di uscire e di essere “finalmente liberi” sia preponderante rispetto al resto. E’ anche vero che in entrambe le realtà poi “a volte ritornano” nel senso che dopo un primo periodo dall’uscita dei ragazzi maggiorenni dei quali non si sa più nulla segue il momento in cui la maggior parte di loro si fanno sentire di nuovo o addirittura ricominciano a farsi vedere periodicamente.
Per far sì che i progetti di autonomia proseguano e che non vi sia quest’immediata chiusura a un successivo ritorno, è necessario che i ragazzi siano coinvolti il più possibile, che partecipino alla stesura del proprio progetto e che lo condividano. Questo è ritenuto di importanza fondamentale sia nella realtà bassanese che in quella vicentina; esistono infatti due progetti di avvio all’autonomia molto simili (Yoda e Paradisea).
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Il futuro delle comunità e del lavoro sociale alla luce della crisi economica in atto sembra essere un tema molto caldo in entrambe le realtà. Infatti a Bassano del Grappa si sta ridefinendo il progetto educativo cercando soluzioni innovative e diversificate, mentre a Vicenza ci si sta interrogando all’interno della cooperativa rispetto ai possibili sviluppi futuri. Possiamo concludere dicendo che ci troviamo davanti a due realtà che per certi versi sono molto simili fra loro, sia storicamente che strutturalmente. Il fatto che i responsabili e le equipe che si sono succedute nel tempo si contaminassero fra loro ha contribuito al crescere delle somiglianze, anche se le differenze sono ben evidenziabili.