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Che cosa è l’uomo perché te ne ricordi, il figlio dell’uomo perché te ne curi? (Salmo 8 – vers.5)

L’autore, presumibilmente Re Davide, di questo salmo della tradizione ebraica e cristiana associa in un versetto due caratteristiche della cura: ricordare, ovvero tenere nella mente e avere cura. Sebbene il salmo (classificato come salmo della creazione) sia destinato alla preghiera, descrive in poche parole il cuore di ogni relazione affettiva umana che sia familiare e non. La cura è una forma di umanizzazione, secondo Vanna Boffo (2010) l’aver cura è un tratto etico che rende l’uomo un essere umano. Similmente secondo Donati (2001) la famiglia va pensata come “un progetto che promette l’umanizzazione della persona e la sua maturazione” (p. 81). E’ proprio attraverso la relazione affettiva ed educativa che la famiglia diventa contesto generativo di cura. Da anni il tema della cura è stato ampiamente affrontato da filosofi e letterati e ed esperti nel campo dell’educazione. In questa sede non verrà proposta un’analisi filosofica e teoretica del concetto di cura e di “cura sui”, ma piuttosto, la cura verrà presentata come denominatore comune e, allo stesso tempo, divergente tra famiglia e nido. Entrambi, infatti, possono essere definiti contesti di una cura, più o meno consapevole e più o meno attuata nel quotidiano. Secondo Vanna Boffo, all’interno della famiglia, la relazione materna e il legame materno primario rappresentano il primo contesto di cura, in cui la genitorialità, che quotidianamente sperimenta la cura, diventa un’attività di “esistenza di cura” (2010): i familiari offrono e ricevono cura e sono immersi in essa. La costruzione del legame primario, come affermato già da Bowlby, avviene per la presenza costante e ripetuta di gesti di cura, e la consapevolezza o la ricerca di significato che ogni genitore fa del proprio sé. Il circolo virtuoso proposto da Vanna Boffo descrive la cura degli altri (in questo caso del bambino piccolo) come conseguente e co-esistente alla cura di sé (come genitore); il legame primario si caratterizza da un rispecchiamento reciproco: ansie e paure, gioie e piaceri del genitore si rispecchiano nel bambino, e contemporaneamente le gioie, le paure del bambino richiamano al momento presente quelle del genitore.

La cura all’interno dei nidi si realizza sia come pratica quaotidina, ma anche come percorso di studio, osservazione, di riflessione sul significato di cura legate al bambino e di cura alla famiglaia.

La cura in educazione27 è un insieme di azioni che riguardano la sfera emotiva-affettiva fatta di sostegno, fiducia, amore, protezione, di un dare e un avere e di maternage (Contini, 2007, p.18).

Per gli studi antropologi il denominatore comune tra famiglia, il nido, e le molteplici forme di cura è proprio l’offerta, al bambino, di un “love and affection in a warm environment” (“amore e affetto in un ambiente caldo”, (Clarke-Stewart & Allhusen, 2002, p. 225). Spesso la concetto cura28 richiama alla mente un’azione e un’interesse verso chi è più piccolo e, forse più debole, come i bambini fino a coincidere con l’accoglienza con cui si accompagnano nel mondo le nuove generazioni. In questo senso il termine “generativo” entra in campo, derivando dal concetto di generatività proposto da Erikson. L’autore affermava che, all’interno degli stadi della vita di un individuo vi è un periodo in cui l’adulto diviene psicologicamente pronto ad impegnarsi per favorire sia nella sua sfera privata (con il concepimento di un figlio) e in quella pubblica (partecipazione nella vita societaria) e guidare la generazione successiva29. Il concetto di generatività, secondo Erikson, comprende sia procreare che crescere i bambini. Tra le sette caratteristiche che definiscono la generatività, è utile soffermarsi sul “desiderio intimo” (inner desire) presente nella generatività che comprende per i genitori il desiderio di continuare a vivere nei figli e il desiderio di essere necessari per gli altri. Questo particolare aspetto viene collegato, nella rilettura proposta da McAdams e de St. Aubin30 (1992) alla tendenza degli adulti (rispetto ai bambini) di “essere con”, di allevare e prendersi cura, definita come “communion”. Considerando questi elementi, è possibile afferamre che anche all’interno del nido, come nella famiglia, si trovano adulti, anzi “adulte” che consapevolmente assumono una funzione generativa occupandosi di crescere ed educare le nuove generazioni e spesso sono guidati (anche incosapevolmente) dal desiderio di essere necessari.

27 Il testo curato da Mariagrazia Contini e Milena Manini (2007) raccoglie una serie di contributi sui

significati diversi della cura in educazione.

28 Per un ampio approfondimento, si rimanda al testo curato da Vanna Boffo sul tema de “La cura in

pedagogia” (2006).

29 “The generativity is primarily the concern in establishing and guiding the next generation” (Erikson,

1963, p. 267).

30 La ricerca di McAdams & de St. Aubin (1992) aveva lo scopo di misurare attraverso le narrazioni di

Le motivazioni che guidano l’agire generativo e la cura offerta dai genitori sono tuttavia differenti da quelle delle educatrici poiché

un connotato particolare distingue il lavoro di cura dell’educatore rispetto a

quello della madre: è intenzionale (Restuccia Saitta & Saitta, 2002, p.

112).

A differenza di quella genitoriale, la cura delle educatrici è inoltre frutto di una progettazione educativa, condivisa tra un gruppo di educatori e si basa anche sul ruolo e sulla funzione di socializzazione e imitazione che si attua nel gruppo dei bambini. Ed infine, la cura educativa al nido è una cura “con termine di scadenza” ovvero dura quanto la frequenza del bambino al nido. Il concetto di cura, attuato dalle edcuatrici ha al suo interno differenti sfumature: aquista una prima un valore di accoglienza e di integrazione (quando il bambino viene inserito), di accompagnamento e di “fare insieme” (per tutto il tempo che frequenta il nido) e, alla fine, di commiato (quando il bambino lascia il nido).

Riassumendo

La nascita e la cura di un figlio e di una figlia richiedono alla coppia e al singolo, che diventa genitore, di pensarsi famiglia. Tra genitore e bambino, nel primo anno di vita, si formano relazioni affettive, o legami di attaccamento che, secondo una vasta letteratura influenzano il comportamento futuro del bambino. I bambini sono altresì competenti nel tessere relazioni durature e significative con altri adulti diversi dai genitori questo richiede al genitore di riflettere, modificare e a volte negoziare il proprio stile educativo con l’altro genitore e con gli adulti tra cui le educatrici di nido. Le relazioni primarie tra bambino e genitore e quelle secondarie tra bambino ed educatrice, maturate in contesti differenti, hanno caratteristiche comuni come: la continuità nel tempo, la ripetitività, la vicinanza, il contatto fisico, il coinvolgimento emotivo e la cura quotidiana. Il territorio bolognese, in cui questo progetto di ricerca è stato realizzato, è caratterizzato dalla presenza di numerosi servizi per la prima infanzia (0-6 anni) e da una cultura storica sul tema della cura e della genitorialità. Nei servizi d’infanzia, l’inserimento avviene in età precocissime (prima del decimo mese di età del bambino) e per un numero significativo di ore di frequenza giornaliera. Sebbene, nel 2002 Chiara Bove affermava che

“è

ragionevole pensare che una buona esperienza d’inserimento possa avere qualche effetto anche sul

successivo sviluppo della relazione d’attaccamento madre-bambino”

(Bove, 2002, p. 91), lo spoglio della letteratura non ha portato alla luce studi specifici sulle opinioni dei genitori in merito al loro legame di attaccamento con il bambino piccolo inserito al nido d’infanzia nel primo anno di vita. Lo scopo della presente indagine è quello di esplorare la relazione tra bambino e genitore attraverso le loro narrazioni.

C

APITOLO

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L’indagine esplorativa con i genitori: