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Dalla sensibilità materna alla sensibilità educativa

Agli inizi degli anni ‘90, in ambito internazionale Carollee Howes e collaboratori sono stati, forse, gli autori che maggiormente hanno studiato la relazione di attaccamento dei bambini piccoli con altri caregivers differenti dalla madre nei contesti di day-care centres. Nei loro studi, un assunto essenziale è che la relazione, o meglio, la tipologia di relazione che un bambino crea con l’insegnante o caregivers è, parimenti a quella con i genitori, predittiva dello sviluppo sociale del bambino (Howes & Hamilton 1992a, 1992b; Howes & Smith, 1995). Facendo un parallelo tra la figura materna e la figura dell’educatrice-insegnante le autrici evidenziano due costrutti necessari nella pratica educativa: “adult involvement” e “adult sesitivity”22, quest’ultima definita come la tendenza a rispondere positivamente e costantemente al bambino.

In tempi più recenti i ricercatori e i teorici hanno integrato la teoria dell’attaccamento con la developmental system theory secondo cui le caratteristiche delle insegnanti e degli educatori, fra cui spicca fra tutte proprio la sensibilità, possono modificare i modelli operativi interni che il bambino e la bambina hanno maturato attraverso le relazioni con i genitori (Sabol & Pianta, 2012).

Il concetto di sensibilità materna come capacità di essere “responsive and sensitive”, pronta a rispondere, disponibile e sensibile, è stato introdotto già da Bowlby (1957) approfondito e operazionalizzato da Mary Ainsworth e colleghi per descrivere la capacità e disponibilità della madre di recepire e interpretare i segnali del bambino e di agire di conseguenza. La qualità della sensibilità materna è l’elemento determinante per la classificazione della tipologia del legame di attaccamento come previsto dalla SSP (Strange Situation Procedure) (Ainsworth, Blehar, Waters, & Wall, 1978). I tre fattori che caratterizzano la “sensitive responsiveness” materna sono: (a) la tempestività, (b) la coerenza e (c) l’appropriatezza nell’interpretare i segnali del bambino e la conseguente risposta della madre. La sensibilità materna è utilizzata come criterio per la valutazione della qualità dell’attaccamento: più chiaramente, vi è una proporzionalità diretta tra il livello di qualità della sensibilità materna con il grado di sicurezza dell’attaccamento,

all’aumentare dell’una aumenta anche l’altra (Belsky & Fearon, 2002). Seguendo questa prospettiva anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità, come descritto nel report di Richter (2004), identifica la “sensivity” e “responsiveness” come caratteristiche-chiave del comportamento di cura correlato al futuro stato positivo di salute del bambino e al suo sviluppo. Il dibattito sulla definizione e la genesi di questi due costrutti teorici “sensibilità” e “responsiveness” è ampio e dura da anni, interessante è il tentativo di Dunst e Kassow (2008, p. 43) di trovare degli indicatori per misurare il comportamento del caregiver come sensitive o not sensitive. I dieci indicatori descritti dai due autori sono: il contatto fisico, la cooperazione, il supporto, l’attitudine positiva, la stimolazione, la qualità e continuità della risposta data al bambino, la mutualità e sincronia nell’interazione tra bambino e caregiver. Quest’ultimi due aspetti, mutualità e sincronia, richiamano il concetto di dialogo e quindi di reciprocità nell’interazione e, di conseguenza, l’intenzionalità del bambino e del cargeiver di star e mantenere l’interazione: il semplice impegno del caregiver, sia esso madre, padre o educatrice non è sufficiente a garantire l’interazione e la formazione di una relazione.

Secondo Richard Bowlby (2007) l’educatrice come sostituta dalla madre, non solo deve offrire una cura sensibile al bambino piccolo, ma impegnarsi emotivamente con lui/lei. L’autore suggerisce alcune condizioni affinché si possa formare, in contesti educativi diversi dalla famiglia, un legame secondario solido e significativo.

Queste caratteristiche seguono un modello di attaccamento di cura basato sull’attaccamento che è definito come “family-type grouping” (p.314):

• l’educatrice fornisce al bambino una cura personalizzata e continuativa al bambino

• il bambino non deve essere inserito al nido prima di aver compiuto 9 mesi, e prima dei 18 mesi il bambino frequenta part-time

• l’educatrice deve avere la volontà e l’interesse a costruire un legame con il bambino

• la separazione dalla figura di attaccamento primario deve essere graduale e aumentare nel tempo, e si realizza in un ambiente confortevole e sicuro

• ogni educatrice segue non più di 3 bambini, i quali devono avere età differenti e deve avere sufficiente energia e professionalità, ed essere sostenuta per far fronte alle richieste fisiche, cognitive ed emotive dei bambini

• i genitori sono supportati nel mantenere il loro legame primario di attaccamento con i figli

La centralità della sensibilità dell’educatrice è ripresa anche nelle conclusioni del lavoro di ricerca svolto nei servizi per la prima infanzia olandesi da De Schipper e colleghi (2008) sull’influenza del temperamento dei bambini (di 24-48 mesi) e il loro legame di attaccamento con le educatrici. Secondo gli autori, all’interno di un nido, i bambini non necessitano solo di educatrici sensibili, ma più importante, hanno necessità di educatrici sensibili che “abbiano il tempo di manifestare la loro sensibilità con una frequenza

sufficiente a creare un senso di fiducia nella loro disponibilità come porto sicuro e una

base sicura” (p. 468) (il corsivo è mio). L’analisi svolta con scale di misurazione evidenzia come la qualità dell’interazione positiva dell’educatrice con il bambino non sia associata significativamente alla relazione di attaccamento sicuro tra educatrice e bambino. Il dato significativo è la frequenza delle interazioni positive, infatti, la sola presenza di interazioni positive con l’educatrice non è sufficiente a creare fiducia nel bambino se l’educatrice è obbligata a condividere, nello stesso tempo, la sua attenzione tra diversi bambini. Coerentemente a questi risultati, Ahnert e colleghi (2006) hanno evidenziato come la sensibilità dell’educatrice correlata al gruppo, piuttosto che alla specifica relazione con ogni bambino, sia maggiormente predittiva della sicurezza di attaccamento del bambino, proprio per l’ineluttabilità del gruppo all’interno del nido e della costante presenza dei compagni nell’interazione. Anche Cambi e colleghi (2013) annoverano la personale sensibilità educativa dell’individuo come una delle competenze del professionista dell’educazione, non come elemento vocazionale e trascendente la realtà lavorativa, ma come il risultato della storia personale e soprattutto della sua formazione. In una prospettiva comunicativa, la sensibilità educativa è lo strumento con cui il professionista dell’educazione è attento ai sentimenti, agli affetti li comprende e li esprime.

1.5 Il “fascino nascosto” nelle relazioni affettive: la

quotidianità

La vita quotidiana non è lo sfondo o il contenitore, bensì il tessuto stesso