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La coscienza tra retorica e religione

4.2 Coscienza e retorica

Il ruolo della retorica appare particolarmente cruciale anche nella concezione della coscienza. Si è detto che la nozione di coscienza viene spiegata nel Leviatano in primo luogo come conoscenza comune, come shared knowledge, ossia la prima definizione del Leviatano. Successivamente, mediante l’utilizzo di artifici retorici, la parola co- scienza finisce per essere applicata alla conoscenza non della verità, ma di pensieri e fatti segreti, privati e individuali. Così Hobbes: «In seguito, gli uomini si sono serviti della stessa parola in senso metaforico [metaphorically] per indicare la conoscenza delle loro azioni e dei loro pensieri segreti e si dice perciò retoricamente che la cono- scenza vale mille testimoni»32; e questa era la seconda definizione del Leviatano. Con l’uso metaforico del termine 'coscienza', pensieri e fatti che dovrebbero restare privati finiscono per esser considerati come qualcosa di esperibile, di conoscibile in maniera veridica, e quindi come qualcosa che possa arrogarsi una certa «pretesa di verità». Tra gli studiosi che hanno studiato specificamente il tema coscienza e retorica in Hobbes, Karen Feldman afferma: «With the metaphorical use of conscience, private thoughts and facts come to be seen as things that can be known, and thus as having some claim of truth [corsivo mio], by the mere fact that they are known by the person whose thoughts and facts they are»33. Nel dominio della conoscenza si finisce così per inclu-

dere, con l’uso della metafora, qualcosa che è per costituzione segreto e privato; c’è una tensione concettuale di fondo, una sovrapposizione illegittima tra la conoscenza condivisa, a cui la nozione di coscienza originariamente pertiene se correttamente in- tesa, e la “conoscenza” di tipo privato, che di fatto conoscenza non è, ma opinione. Inoltre, l’uso metaforico del termine coscienza ridefinisce la verità e la conoscenza come concetti costituiti privatamente e non più in maniera condivisa34.

Si ha ‘conoscenza’, in senso proprio hobbesiano, in primo luogo dei risultati di ogni scienza dimostrativa; e in secondo luogo di ogni fatto o evento di cui due o più persone sono «consce», ossia ne sono i «testimoni più attendibili», secondo la prima defini- zione del Leviatano. La principale preoccupazione di Hobbes verso il termine 'coscien- za' corrotto dalla metafora è una preoccupazione in prima istanza linguistica, e, conse- guentemente, morale. La parola 'coscienza', se usata in senso metaforico, mantiene

32 Leviatano, VII, p. 53.

33 K.S.FELDMAN, Conscience and the Concealments of Metaphor in Hobbes’s Leviathan, cit., p. 25. 34 Cfr. Ibidem.

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così la connotazione di qualcosa di testimoniato e di inviolabile, proprio poiché testi- moniato; mantiene, per dirla con Feldman, un’«aura of inviolability»35. Tramite l’uso

della metafora si vuole dare questa caratteristica, propria della prima definizione, an- che alla “conoscenza” (apparente) di pensieri e fatti segreti, privati.

Naturalmente, questa pretesa testimonianza che viene dall’uso metaforico della co- scienza, non presume una reale presenza di testimoni, come nella prima definizione, ma semplicemente fa affidamento sulla possibilità del «self-witnessing»36. E il sem- plice atto linguistico, che consiste nel dire con linguaggio retorico «la coscienza vale mille testimoni», fa apparire la coscienza come qualcosa di garantito quanto a pubbli- cità e veridicità della conoscenza qui veicolata, proprio perché si fa appello ai testi- moni. Dire «chiamo a testimone la mia coscienza», è un’operazione metaforica che tenta di rendere pubblico un fatto del tutto privato. La coscienza diventa quei mille testimoni con cui l’opinione privata ritenuta da quell’individuo che chiama in causa la sua coscienza si ammanta di pubblicità, mascherandosi da conoscenza condivisa da più persone. Di fatto tu ritieni di sapere qualcosa, ma la tua conoscenza non è condivisa con nessun altro e solo metaforicamente chiami come testimone la tua coscienza, in mancanza di individui reali che possano testimoniare realmente in tuo favore37. Il ten-

tativo stesso di dirottare la conoscenza nell’ambito del privato – pensieri e fatti segreti, noti solo all’individuo – la priva comunque di ogni testimone esterno reale; la presun- zione del self-witnessing è dunque illusoria e in sé contraddittoria.

La metafora è il meccanismo per mezzo del quale la coscienza viene trasformata da conoscenza comune in conoscenza privata – e questa espressione è già semantica- mente problematica, in quanto non può esserci co-noscienza se non in comune. La coscienza viene così sottratta al dominio della condivisione, garantita esternamente dalla presenza di testimoni, e resa corruttibile. Per questo Feldam ritiene che la corru- zione è esattamente quello che segue alla manipolazione retorica della coscienza come conoscenza privata38. In sostanza, la metafora favorisce la corruzione non solo del contenuto della conoscenza, ma della natura stessa della conoscenza: essa ne rappre- senta un modo del tutto corrotto e fallace di ingenerare contenuti di pensiero, o per meglio dire opinioni, nella coscienza dell’interlocutore.

35 Ivi, p. 27. 36 Ivi, p. 26.

37 Cfr. T.RAYLOR, Philosophy, Rhetoric, and Thomas Hobbes, cit., pp. 236-237.

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L’uso di figure retoriche, in particolare di quelle che rimodellano la virtù come vizio e il vizio come virtù, spesso con l’utilizzo di eufemismi, rende assai problematica ed equivoca l’attribuzione e l’applicazione dei concetti stessi di 'virtù' e 'vizio'. Un tale uso – o, più precisamente, un abuso – del linguaggio altera la percezione della giusti- zia, avvicinando, fino a confonderle, le nozioni di 'giusto' e di 'ingiusto'. Questo feno- meno è al centro di quella che viene chiamata tecnicamente ridescrizione retorica.

Con riferimento alla tradizione oratoria classica, il già citato Skinner afferma:

If the orator’s aim is to “argument” the significance of the action with a view to arousing the admiration of his audience, he will seek to establish that the action embodied a sufficient degree of forethought. But if he wishes to arouse their hostility, he will seek to deny that it reflected any such quality […] [and] to “diminish” the value of the action39.

Con l’obiettivo di suscitare ammirazione in chi ascolta, il retore si impegnerà a mo- strare che ciò di cui parla manifesta un grado sufficiente di virtuosità, anche se esso è, in fondo, un vizio. Se invece vuole suscitare ostilità e riprovazione, egli farà di tutto per far apparire vizioso ciò che vuole che venga ritenuto vizioso, sminuendo ogni pos- sibile richiamo alla virtù. Questa è precisamente la descrizione sintetica fornita da Skinner della tecnica della ridescrizione.

L’astio nei confronti di retori e demagoghi, affabulatori di folle, che fanno apparire il giusto come ingiusto, e l’ingiusto come giusto, è una costante del pensiero hobbe- siano. In particolare, è costante nelle sue opere l’analisi critica del modo in cui gli ecclesiastici hanno costruito il loro potere sulle coscienze dei fedeli tramite strategie retoriche. Hobbes dunque esamina le conseguenze politiche di tali abusi del linguag- gio40.

Per porre rimedio ai danni della retorica, Hobbes avanza il progetto della sua scien- tia civilis fondata su «principi certissimi», per produrre una forma di conoscenza more geometrico, libera da controversie41. Se scopo dell’arte dell’eloquenza è quello di in- stillare opinioni potenzialmente pericolose «con eloquente sofistica»42, lo scopo della scientia civilis è quello di fondare un ordine sociale statuale in cui gli individui possano

39 Q. SKINNER, Reason and Rhetoric in the Philosophy of Hobbes, cit., p. 143. 40 Cfr. T.RAYLOR, Philosophy, Rhetoric, and Thomas Hobbes, cit., p. 232. 41 Cfr. Elementi, Epistola dedicatoria, pp. 3-5.

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vivere liberi da fanatismi retorici, stabilizzati sotto un potere irresistibile. E, analoga- mente, se il mezzo per raggiungere gli scopi della retorica è la persuasione, unitamente alla ridescrizione e alle altre tecniche retoriche, il mezzo più adatto per disporre gli esseri umani agli esiti della scientia civilis è la buona «educazione», intesa come «buon governo delle opinioni»43. Come scrive in Elementi:

se la vera dottrina concernente la legge di natura, e la proprietà di un corpo politico, e la natura della legge in generale, fossero fissate in modo perspicuo e insegnate nelle Università, i gio- vani che vi giungono immuni da pregiudizio, e le cui menti sono ancora come carta bianca, capaci di ogni istruzione, la riceverebbero più facilmente, e poi l’insegnerebbero al popolo, sia nei libri che in altri modi44.

Non entriamo ora su un argomento che sarà al centro dell’ultimo paragrafo di questo capitolo. Per ora basta qui aver presente che, se la ragione e la scientia civilis di Hobbes possono ingenerare una retta conoscenza negli individui, mediante l’acquisizione dei concetti essenziali della morale e della politica, allora, per dirla con Skinner, «there is no place for techniques of persuasion associated with the art of eloquence»45.