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L’interesse di Hobbes per la coscienza

La coscienza: un «reame» multiforme

3.1 L’interesse di Hobbes per la coscienza

La nozione di coscienza – che nel precedente capitolo è stata evocata in alcuni luo- ghi – appare come un elemento polimorfo e a tratti ambiguo dell’opera hobbesiana, come della stessa natura umana. Complice – in parte – Hobbes medesimo che, riser- vandone poche descrizioni circostanziate, si limita ad accenni relativamente contin- genti sparsi nei suoi testi. È manifesto, anche a un lettore inesperto, l’evidente squili- brio di “peso” teorico tra la categoria 'coscienza' e concetti come 'stato di natura', 'pat- to', 'obbligazione' o 'sovrano' da sempre associati, come assi portanti del suo pensiero, a Thomas Hobbes.

Da qui, l’interesse relativamente scarso che si è addensato attorno alla questione oggetto di questo lavoro1. Come evidenzia Mark Hanin – che cerca di ipotizzare le ragioni di una così tenue attenzione – si potrebbe pensare erroneamente che, poiché l’Autore stesso non spende molto inchiostro a riguardo, il tema della coscienza non

1 Sul tema specifico della coscienza in Hobbes, sebbene seguendo linee argomentative differenti, si

considerino: A. RYAN, Hobbes, Toleration, and the Inner Life, in D. MILLER – L. SIEDENTOP, The Na-

ture of Political Theory, Clarendon Press, Oxford 1983, pp. 197-218; K.C. PEPPERELL, Religious Con-

science and Civil Conscience in Thomas Hobbes’s Civic Philosophy, in «Educational Theory», 39

(1989) n. 1, pp. 17-25; M. SAMPSON, “Will You Hear What a Casuist He Is?” Thomas Hobbes as

Director of Conscience in «History of Political Thought», 11 (1990), pp. 721-736; S.K. DOBBINS, Eq-

uity: The Court of Conscience or the King’s Command, the Dialogues of St. German and Hobbes com- pared, in «Journal of Law and Religion» 9 (1991), pp. 113-149;E.G. ANDREW, Hobbes on Conscience

Within the Law and Without, in «Canadian Journal of Political Science / Revue canadienne de science

politique», 32 (1999) n. 2, pp. 203-225; K.S. FELDMAN, Conscience and the Concealments of Metaphor

in Hobbes’s Leviathan, in «Philosophy and Rhetoric», 34 (2001) n. 1, pp. 21-37; EAD., Binding Words:

Conscience and Rhetoric in Hobbes, Hegel and Heidegger, Northwestern University Press, Evanston 2006; D. WEBER, Thomas Hobbes’s doctrine of conscience and theories of synderesis in Renaissance

England, in «Hobbes Studies», 23 (2010) n. 1, pp. 54-71; R. BEINER, Three versions of the Politics of

Conscience: Hobbes, Spinoza, Locke, in «San Diego Law Review», 47 (2010) n. 4, pp. 1107-1124; J.

TRALAU, Hobbes contra Liberty of Conscience, in «Political Theory», 39 (2011) n. 1, pp. 58-84; M. HANIN, Thomas Hobbes’s Theory of Conscience in «History of Political Thought», 33 (2012) n. 1, pp. 55-85; M. FARNESI CAMELLONE,Hobbes e i martiri del Leviatano. Sui limiti della coscienza, in «Phil-

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occupi un ruolo importante nel sistema hobbesiano. Egualmente erroneo sarebbe con- siderare inutile ogni tentativo di problematizzazione, dando per lineare e circoscritto un concetto in realtà complesso e multiforme2.

In effetti, la questione è più complessa di come sembra. Si pensi, per esempio, alla grande attenzione che al tempo di Hobbes si riservava alla coscienza3. Fulcro della vita morale, oltre che religiosa, essa era al centro di imponenti trattati – perlopiù di ispira- zione puritana – che istruivano i fedeli su come mantenere senza macchia la propria anima4. Hobbes stesso, come già accennato nel primo capitolo di questo lavoro, se- guiva con vivo interesse l’Engagement Controversy, l’accesa disputa di carattere pan- flettistico che infuriò in Inghilterra tra realisti e repubblicani negli anni della Guerra Civile, e che di fatto si fondava su un problema di coscienza, riguardo a chi, tra Cromwell e l’erede di Carlo I, dovesse meritare la lealtà dei sudditi5.

In questo lavoro si vuole proporre lo studio della nozione di coscienza in Hobbes in relazione al sistema di argomentazioni religiose che finora è stato analizzato. La coscienza infatti appare in Hobbes come un elemento tipicamente connotato da con- cetti che tradizionalmente attingono, tra l’altro, al bacino della religione. Al tempo stesso, il complesso lavoro che Hobbes compie sulla coscienza dal punto di vista reli- gioso è alimentato da un vivo interesse politico: la coscienza religiosa infatti può essere invocata per giustificare azioni politiche in contrasto con la legge civile. La coscienza è così un terreno dove risalta in maniera peculiare l’obiettivo generale della teoria hob- besiana, ossia fondare teoricamente e garantire efficacemente l’obbedienza dei citta- dini al potere costituto. In un’epoca di violenti e sanguinosi scontri, spesso intrisi di

2 Cfr. M.HANIN, Thomas Hobbes’s Theory of Conscience, cit., pp. 55-58.

3 Per una dettagliata ricostruzione della storia dell’idea di coscienza, si veda C.A. VIANO, La scintilla

di Caino. Storia della coscienza e dei suoi usi, Bollati Boringhieri, Torino 2013. In particolare, per il

periodo che va dall’epoca classica al Seicento, si vedano le pp. 30-159. Una trattazione più mirata dal Seicento al Settecento e che considera la coscienza dal punto di vista della costituzione del soggetto è U. THIEL, The Early Modern Subject. Self-consciousness and personal identity from Descartes to Hume, Oxford University Press, Oxford NY 2011, in part. le pp. 76ss. dove si analizza il caso hobbesiano.

4 Alcuni esempi sono W.FENNER, The Soul’s Looking Glass, with a treatise of Conscience, Cam-

bridge 1640; W. AMES, Conscience with the Power and Cases thereof, London 1639;W. PERKINS, A

Discourse of Conscience: Wherein is set downe the nature, properties, and differences thereof, Cam-

bridge 1596.

5 Cfr.G. BURGESS, Usurpation, Obligation, and Obedience in the Thought of the Engagement Con-

troversy, in «The Historical Journal», 29 (1986) n. 3, pp. 515-536; Q.SKINNER, Conquest and Consent:

Thomas Hobbes and the Engagement Controversy, in G.E. AYLMER (ed.), The Interregnum. The Quest

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questioni religiose, il desiderio di Hobbes è fondare un spazio pubblico dove le poli- morfe spinte individuali derivanti dalla natura umana incline alla belligeranza possano essere neutralizzate da un potere irresistibile e supremo e ricondotte all’ordine e alla stabilità, in nome della pace e della sicurezza tra gli esseri umani. La coscienza, in un simile scenario, rappresenta un particolare elemento in cui tutto questo traspare6; ed è quindi possibile riscontrare in essa un importante – e niente affatto accessorio – asse costitutivo del sistema hobbesiano.

Per approdare al meglio al tema della coscienza religiosa, vero cuore del problema per Hobbes, è tuttavia utile analizzare le molteplici sfumature che la nozione di co- scienza possiede nel pensiero del nostro Autore. Si proverà quindi a mostrare che la nozione di coscienza abbraccia diverse aree tematiche. In questo capitolo verrà propo- sta una lettura che considera la nozione di coscienza da un punto di vista cognitivo, compresa come forma di conoscenza condivisa, e da un punto di vista morale, come foro interno di discernimento e di giudizio; nel capitolo successivo invece verrà dato ampio spazio alla coscienza dal punto di vista religioso e al ruolo che in questo senso gioca la retorica.

Per comprendere adeguatamente questa nozione e vista la complessità del tema e la problematicità di una definizione riduzionista, in apertura di questo capitolo sembra opportuno analizzare i luoghi dell’opera filosofica hobbesiana in cui la nozione di co- scienza affiora. Quella che segue nelle prossime quattro sezioni di questo primo para- grafo, dunque, è solo una rassegna di luoghi testuali che trattano la nozione di co- scienza; essendo pochi, è sembrato utile raggrupparli per fornire una visione d’insieme sulla ricorrenza che questo tema ha nell’opera hobbesiana. Naturalmente, ognuno di questi luoghi evoca un florilegio di argomentazioni teoriche e problemi che saranno studiati, con l’analisi della opportuna letteratura, nei paragrafi successivi, oltre che nel prossimo capitolo.

3.1.1. L’«opinione dell’evidenza» in Elementi

All’interno del vasto corpus hobbesiano, la coscienza fa il suo ingresso già negli Elementi, in cui Hobbes la inserisce nell’ampia e organica descrizione delle facoltà

6 Cfr. A.P.MARTINICH, voce Conscience, in ID.,A Hobbes Dictionary, Blackwell, Cambridge-Ox-

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umane. Nella visione antropologica esposta per la prima volta in Elementi, la natura umana è costituita dall’insieme delle sue facoltà, divise in due «specie», facoltà del corpo e facoltà della mente, ognuna delle quali è dotata di propri «poteri». Al corpo pertengono i poteri nutritivo, motivo e generativo, mentre alla mente pertengono il potere conoscitivo e il potere motivo, inteso come il potere grazie al quale «la mente dà movimento animale al corpo in cui essa esiste»7. Scopo precipuo dei primi capitoli è quello di trattare il potere conoscitivo. E poiché è di fondamentale importanza per l’«infallibilità della ragione»8 partire da definizioni esatte, Hobbes traccia di tale po-

tere una descrizione precisa:

nella nostra mente si trovano in continuazione certe immagini o concetti delle cose a noi esterne [...]. Queste immagini e le rappresentazioni delle qualità delle cose a noi esterne sono ciò che chiamiamo la nostra cognizione [corsivo mio], immaginazione, idea, nozione, con- cetto, o conoscenza di esse. E la facoltà o potere grazie al quale siamo capaci di una tale co-

noscenza [corsivo mio] è ciò che io chiamo qui potere conoscitivo, o concettivo, il potere di

conoscere o concepire9.

La facoltà della conoscenza è dunque definita da Hobbes come il potere cognitivo della mente, affiancato al potere motivo su cui si fonda il movimento del corpo. Poco dopo, egli precisa che nel termine 'conoscenza' sono «necessariamente implicite» la verità e l’evidenza. La prima indica linguisticamente la comprensione logica del pre- dicato nel soggetto: «Vera è la proposizione il cui predicato contiene in sé il soggetto, il cui predicato, cioè, è nome di ciascuna cosa di cui è nome il soggetto; ad esempio, l’uomo è animale è una proposizione vera per il fatto che tutto ciò che si chiama uomo si chiama anche animale»10. Parimenti, definisce l’evidenza come «la concomitanza di un concetto umano con le parole che significano tale concetto, all’atto del razioci- nio»11, ovvero la concordanza logica tra la parola significante e il concetto significato. Su queste assunzioni Hobbes pone la definizione di scienza, ovvero una conoscenza

7 Elementi, I, VI, 9, p. 47.

8 Elementi, Epistola dedicatoria, p. 4. 9 Elementi, I, I, 8, pp. 10-11.

10 De corpore, I, III, 7, p. 98. 11 Elementi, I, VI, 3 p. 44.

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evidente di verità, «derivante da alcuni indizi o principi del senso12. Nel Leviatano

esprime gli stessi concetti con parole più chiare:

Poiché la verità consiste nell’ordinare correttamente i nomi delle nostre affermazioni, chi cerca l’esattezza della verità, deve necessariamente ricordare a cosa si riferisce ogni nome di cui si serve collocandolo coerentemente [corsivo mio]. [...] Perciò nella geometria [...] si co- mincia con lo stabilire i significati delle parole, chiamando quest’operazione definizioni e po- nendole all’inizio del calcolo13.

La verità consiste dunque nell’esatta attribuzione dei nomi alle cose e, in definitiva, nell’uso corretto, more geometrico, del linguaggio nello sviluppo del ragionamento. Ma qualora non sussista l’evidenza e la verità è semplicemente supposta, per fiducia o per errore, allora non si tratterà di scienza, ma di opinione14. Ed è qui che, di fronte alla biforcazione logica che la conoscenza può imboccare – la via della scientia, vera ed evidente, o la via dell’opinio, probabilmente vera (o falsa) ma non evidente – Hob- bes innesta la sua prima definizione di coscienza. Scrive Hobbes:

Solitamente usiamo il termine coscienza sia per la scienza che per l’opinione: infatti gli uomini dicono che questa e quella cosa è vera, in o sulla loro coscienza; mentre non lo dicono mai quando la considerano incerta; e quindi essi sanno, o pensano di sapere che essa è vera. Ma quando gli uomini dicono cose in coscienza, non si presume per questo con certezza che conoscano la verità di ciò che dicono. Resta allora, che quella parola è usata da coloro che hanno un’opinione [corsivo mio], non solo circa la verità della cosa, ma anche circa la certezza della loro conoscenza di essa. Cosicché coscienza, secondo il modo in cui abitualmente gli uomini usano la parola, significa un’opinione, non tanto circa la verità della proposizione, quanto della loro conoscenza di essa, alla qual cosa la verità della proposizione è conseguente. Io definisco coscienza l’opinione dell’evidenza15.

La coscienza, per come è tracciata in Elementi, va collocata nel mezzo del bivio tra verità e opinione, in quanto in essa confluiscono entrambi questi concetti: infatti, un individuo che in coscienza crede di conoscere qualcosa in modo certo, non per questo

12 Ivi, p. 45.

13 Leviatano, IV, p. 29.

14 Cfr. Elementi, I, VI, 6-7, pp. 45-46.

15 Elementi, I, VI, 8, pp. 46-47. Cfr. Elementi, II, VI, 12, p. 224: «La coscienza non è altro che un

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conosce necessariamente la verità di quella cosa, ma semplicemente ritiene che la sua conoscenza di essa sia evidente. Da qui segue l’icastica definizione di coscienza come «opinione dell’evidenza».

Scorrendo il testo degli Elementi si incontra un altro luogo pregno di significato ai fini di questo lavoro. Introducendo il discorso sulle passioni nel capitolo nono Hobbes apre la trattazione parlando della gloria, «o sentimento interno di compiacenza o trionfo della mente»16. A riguardo, si danno tre generi differenti: «l’immaginazione o concetto del nostro potere» derivante da una giusta stima del proprio valore, ovvero fondata su sicuri segni di superiorità in relazione al potere e all’onore: «Quest’imma- ginazione del nostro potere e merito può essere una esperienza [experience] sicura e certa delle nostre azioni, e in questo caso quel glorificarsi è giusto e ben fondato»17. Oppure il concetto che abbiamo del nostro valore può essere alterato, derivante non da una «coscienza [conscience] delle nostre azioni ma dalla reputazione e dalla fiducia di altri, per cui uno può avere una buona opinione di sé, e invece ingannarsi; questa è falsa gloria». Infine, quando il concetto che abbiamo delle nostre azioni è così esage- rato da essere un «fantasticare [...] vano ed inutile [...] ciò è chiamato vana gloria»18.

Si noti che l’espressione «coscienza delle nostre azioni» è posta in parallelo a «espe- rienza sicura e certa delle nostre azioni», di poche righe prima, di modo che le due espressioni risultino equivalenti. Apparentemente questo potrebbe creare qualche pro- blema con quanto detto nella definizione di coscienza come opinione dell’evidenza. Se l’esperienza delle nostre azioni è sicura e certa – vera ed evidente? – allora non sarebbe improprio equipararla al termine “coscienza”, che afferisce invece al dominio dell’opinione? Il problema è presto risolto se si considera che il chiamare in causa la «coscienza delle nostre azioni» significa parlare semplicemente dal punto di vista dell’individuo, e non dice nulla della verità (o falsità) del proprio valore, ma della stima del proprio valore; che è sempre un calcolo operato dall’individuo, sulla base di segni esteriori dell’onore e del potere. Tale calcolo può rivelarsi vero nel caso della gloria ben fondata, falso (ma ritenuto vero da chi lo compie) nel caso della falsa gloria, oppure completamente velleitario nel caso della vana gloria. E ciò non collide con quanto detto sul termine 'coscienza', usato «sia per la scienza che per l’opinione»19.

16 Elementi, I, IX, p. 63. 17 Ibidem.

18 Ivi, p. 64.

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Inoltre, è importante notare che la «gloria» resta comunque un «sentimento interno di compiacenza o trionfo della mente [corsivo mio]»; tutto è rimesso al giudizio del sin- golo su di sé, in quel «reame interiore»20 del tutto privato e passibile di errore; errore che in effetti subentra nei casi di falsa gloria e vana gloria.

Poco dopo, sempre nel capitolo nono, si trova un altro fugace riferimento alla co- scienza, in relazione alla vergogna provata da chi, avendo un’alta opinione di sé, ne riconosce tuttavia debolezze e difetti, imparando per l’avvenire a essere più cauto nello stimare il proprio valore. Così Hobbes: «Segno di essa [della vergogna] è l’arrossire, che accade meno negli uomini consci [corsivo mio] dei loro difetti, perché essi pale- sano meno le debolezze di cui hanno coscienza [c. m.]»21. Più avanti, al capitolo tre- dicesimo, Hobbes parla degli usi del linguaggio, nell’ambito degli «effetti» che i poteri della mente, fin qui descritti, hanno nei rapporti tra gli esseri umani:

Il primo uso del linguaggio, è l’espressione dei nostri concetti, cioè il far nascere in un altro i medesimi concetti che abbiamo in noi stessi; e questo è chiamato insegnamento; in esso, se i concetti di colui che insegna [...] hanno origine da qualcosa che proviene dall’esperienza, al- lora ciò fa nascere un’evidenza uguale nell’ascoltatore che li comprende, e gli fa conoscere qualcosa, che quindi si dice egli impara. Ma se non vi è una tale evidenza, allora tale insegna- mento è chiamato persuasione [persuasion], e fa nascere nell’ascoltatore, nient’altro che ciò che si trova in chi parla, una mera opinione22.

Ritorna la dicotomia tra scientia e opinio, tra ragione e passione. E nel mezzo, la coscienza. Fuor di metafora, anche questo passo potrebbe essere interpretato come un riferimento, sebbene implicito, alla coscienza; dalla descrizione fatta e dalle parole utilizzate si può evincere, infatti, che chi comunica agisce sulla coscienza di chi ascolta. Nel caso dell’insegnamento, cioè quando i concetti comunicati hanno origine da un’esperienza sicura, l’insegnante rende l’ascoltatore conscio di una verità23, ov-

vero ingenera nella sua coscienza «un’evidenza uguale» alla propria. Al contrario, quando non vi è una tale evidenza, chi comunica ingenera nella coscienza dell’ascol- tatore solo una mera opinione: e questo è ciò che Hobbes chiama persuasione, il cui

20 In questi termini si esprime M.HANIN, Thomas Hobbes’s Theory of Conscience, cit. 21 Elementi, I, IX, p. 65.

22 Elementi, I, XIII, p. 102.

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fine è, dunque, generare un’opinione in chi ascolta. In questo senso potrà proseguire parlando di «un altro uso del linguaggio»:

l’istigazione e la pacificazione, mediante le quali noi aumentiamo o diminuiamo vicendevol- mente le nostre passioni; esse equivalgono alla persuasione, dato che tra questa e quelle non vi è una reale differenza. Infatti, il far nascere un’opinione o una passione è il medesimo atto; ma mentre nella persuasione noi miriamo a trarre l’opinione dalla passione, qui, il fine è di far sorgere la passione dall’opinione24.

Ancora, nel capitolo tredicesimo è degna di nota l’analisi circa il consiglio:

L’espressione di quei concetti che causano in noi l’attesa di un bene mentre deliberiamo, come pure di quelli che causano la nostra attesa di un male, è ciò che chiamiamo consiglio. E come nella deliberazione interna della mente concernente ciò che noi stessi abbiamo da fare o non fare, le conseguenze dell’azione sono i nostri consiglieri, mediante un’alternata succes- sione nella mente; così, nel consiglio che un uomo prende da altri uomini, i consiglieri alter- natamente fanno apparire le conseguenze dell’azione, e nessuno di essi delibera, ma fra tutti forniscono colui che viene consigliato di argomenti sui quali deliberare dentro di sé [corsivo mio]25.

Come nella “scena” insegnante-ascoltatore, anche nel caso consiglieri-consigliato viene indirettamente richiamata una certa interiorità cognitiva e morale in cui i consigli circa le conseguenze di un’azione possono essere accolti o respinti all’atto della deli- berazione.

Si è spiegato che in questa sede si vuole provare a intendere la parola 'coscienza' sia in senso cognitivo, ovvero 'essere consci di qualcosa', 'essere a conoscenza di qualco- sa', sia in senso morale, come “tribunale interiore”, «foro interno», passibile di mani- polazione e, dunque, potenzialmente pericoloso. Col senno di poi, ovvero conoscendo gli esiti pratici e i bersagli morali e politici del pensiero di Hobbes, è facile intravedere già in queste righe, apparentemente neutre, le ragioni che soggiaceranno alla critica di tutti coloro che, a vario titolo come si vedrà nel corso di questo lavoro, si serviranno della coscienza per giustificare la sedizione e la guerra civile.

24 Elementi, I, XIII, p. 105. 25 Ivi, p. 104.

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Il lato morale della coscienza appare del resto ben visibile nella seconda parte degli Elementi, dove Hobbes affronta le problematiche religiose. Nei capitoli sesto e settimo, ma anche ottavo e nono, il problema della coscienza domina la scena, a tal punto da poter dire che sono proprio questi i luoghi degli Elementi dove viene articolata una trattazione organica e sistematica della nozione in questione – a fronte di una descri- zione precisa e circostanziata data, lo ricordiamo, nel capitolo sesto della prima parte. Nella seconda parte degli Elementi frequenti sono le espressioni «libertà di coscienza», «secondo la propria coscienza», «privata opinione, o coscienza», «scrupolo di co- scienza» e simili26. Il discorso si articola attorno alle due «difficoltà» che esseri umani