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Agli inizi degli anni Novanta del secolo scorso l’imponente studio di Al Marti- nich102 si presenta come un significativo lavoro che getta nuova luce sulla questione al

centro di questo studio.

Dalla lettura di Martinich emerge un Hobbes «sincere, and relatively orthodox Chri- stian»103, che non solo crede nell’esistenza di Dio, ma anche che la religione sia una

componente essenziale della vita umana, che Dio si sia rivelato a vari popoli, che Gesù sia il Messia da Lui inviato e che ci sia un inferno e un paradiso. Martinich sostiene che i concetti teologici del Cristianesimo, in particolare dell’area calvinista della Chiesa d’Inghilterra, siano parte inestricabile della sua filosofia, soprattutto per quanto

100 Tra le voci più note per questo tipo di approccio, oltre Gauthier, si considerino G.S.KAVKA,

Hobbesian Moral and Political Theory, Princeton University Press, Princeton NJ 1986; D.JOHNSTON,

The Rhetoric of Leviathan. Thomas Hobbes and the Politics of Cultural Transformation, Princeton Uni-

versity Press, Princeton NJ 1986.

101 Si considerino M.M. GOLDSMITH, Hobbes’s Science of Politics, Columbia University Press, New

York-London 1966; H.SCHNEIDER, The Piety of Hobbes, e P.JOHNSON, Hobbes’s Anglican Doctrine

of Salvation, in R.ROSS et. al (eds.), Thomas Hobbes and his Time, Minnesota University Press, Min- neapolis 1974; P.GEACH,The Religion of Thomas Hobbes, in «Religious Studies», 17 (1981), pp. 549-

558; R.HEPBURN, Hobbes on the Knowledge of God, in M.CRANSTON –R.PETERS (eds.), Hobbes and

Rousseau, cit., pp. 85-108; T.KENYON –A.REEVE, Hobbes’s Belief in God, in «Political Studies», 31

(1983), pp. 418-433.

102 A.P.MARTINICH, The Two Gods of Leviathan. Thomas Hobbes on Religion and Politics, Cam-

bridge University Press, Cambridge 1992.

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riguarda la morale e la politica, facendo di Hobbes un pensatore a suo modo cristiano, molto vicino al Calvinismo. Martinich tuttavia precisa che non si tratterebbe di un’ade- renza rigorosa a una concezione canonica di una confessione religiosa, sia essa il Cal- vinismo o l’Anglicanesimo episcopaliano, ma di una rielaborazione peculiare e ge- nuina dei concetti teologici di queste confessioni, avendo comunque presente il fatto che Hobbes vive in un periodo storico e culturale denso di sfumature confessionali variegate, dove anche la dicotomia tra visione ordinaria e non ordinaria di una reli- gione, o tra ortodossia ed eterodossia, è molto labile104.

Da un punto di vista politico, l’intento di Hobbes è stato quello di rielaborare alcune importanti nozioni teologiche in modo che non diventino un’occasione di ribellione, come molto spesso accade, mostrando che in nessun caso possono essere legittima- mente invocate per destabilizzare il potere costituito. Da un punto di vista epistemolo- gico, invece, Martinich sostiene che Hobbes abbia voluto sanare una frattura concet- tuale tra quelle nozioni teologiche, ormai troppo intrise di metafisica, e la nuova scienza dimostrativa, provando a mostrare come, se propriamente intese, quelle no- zioni non siano in contrasto con una visione “moderna” dell’essere umano e del mondo. Martinich tuttavia ammette che il progetto epistemologico di Hobbes in mate- ria religiosa abbia fallito, apportando conseguenze diverse rispetto agli scopi prefissi dal suo autore.

Rather than supplying an adequate conceptual foundation for religion, on the whole his views fit into a long tradition that tended to undermine it, often contrary to the intentions of the authors. In short, while his views did contribute to the secularization of philosophy, I main- tain that this was an unintended and (for Hobbes) unforeseen consequence of his work105.

Per Martinich, il modo peculiare di trattare le tematiche religiose ha portato Hobbes alle accuse di materialismo e di ateismo dei suoi contemporanei e alle critiche di op- portunismo religioso per molti commentatori più recenti. L’obiettivo di Hobbes invece era quello di mostrare al suo pubblico una genuina visione religiosa, quale parte fon- damentale della vita umana, liberata da orpelli metafisici e dotata di una spiegazione logica materialistica; obiettivo, per Martinich, non raggiunto, poiché il suo tentativo di spiegare razionalmente i concetti religiosi ha avuto come effetto indesiderato – del

104 Cfr. Ivi, pp. 1-5. 105 Ivi, p. 8.

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tutto contrario alle aspettative – il fraintendimento del suo pensiero tanto da parte dei suoi contemporanei quanto degli studiosi più recenti.

Pe quanto riguarda la questione ermeneutica, ossia se Hobbes abbia voluto soste- nere sinceramente quanto ha scritto in materia religiosa – o se, contrariamente, abbia soltanto voluto celare il suo ateismo dietro il velo di un’apparente religiosità – Marti- nich non ha dubbi: «for the most part Hobbes meant what he said»106.

Da un punto di vista metodologico, Martinich dichiara di servirsi tanto degli stru- menti logici e analitici quanto degli strumenti storico-filosofici, ritenendo non valido un approccio che monopolizzi uno solo di questi due metodi: «I would describe my work as an essay in analytic history of philosophy»107. Inoltre, spiega la sua lettura ingaggiando un costante confronto con i principali studiosi hobbesiani che lo hanno preceduto. Preliminarmente, distingue tra interpretazioni secolariste e interpretazioni teistiche, annoverando tra le prime nomi come Quentin Skinner, David Gauthier, Gre- gory Kavka ed Edwin Curley, e tra le seconde i già discussi Taylor, Warrender e Hood. Secondo le interpretazioni secolariste, la teoria morale di Hobbes è fondata solo sull’interesse personale, dunque su motivazioni di psicologia egoistica, e viene de- scritta dalla proposizione «un’azione a è moralmente giusta se e solo se a è derivata da un calcolo razionale che la giudica utile alla conservazione di sé», così che la sod- disfazione dell’interesse personale è condizione necessaria e sufficiente per la moralità di un’azione. Stando alle interpretazioni teistiche, invece, Hobbes sostiene una teoria della legge morale come comando divino, sintetizzata nella proposizione «un’azione a è moralmente giusta in virtù di una legge naturale se e solo se Dio comanda che a sia compiuta», dove il comando divino è la condizione necessaria e sufficiente alla moralità dell’azione, ma tuttavia non è sempre chiaro il ruolo dell’interesse personale. Taylor e Warrender hanno provato rispettivamente a risolvere il problema o separando del tutto la psicologia egoistica dalla teoria morale, o trovando una coesistenza tra il sistema delle motivazioni personali e il sistema delle obbligazioni razionali nella for- mula per la quale l’interesse personale fornisce una motivazione ad agire moralmente senza però contribuire logicamente alla moralità stessa di un’azione a, la quale resta moralmente obbligante in virtù tanto della sua derivazione razionale quanto della sua derivazione dalla onnipotente volontà divina108.

106 Ivi, p. 16. 107 Ivi, p. 12.

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Tra questi due poli, Martinich sposa una visione intermedia, provando a unire ciò che di corretto trova nelle due interpretazioni, ed espungendo ciò che per converso vi trova di inesatto. Così, il ricorso al comando divino o all’interesse personale non pos- sono essere condizioni necessarie e sufficienti se considerate ognuna indipendente- mente dall’altra; per Martinich tanto il comando di Dio quanto l’interesse personale devono essere posti al fondamento della teoria morale hobbesiana, entrambi come con- dizioni necessarie e sufficienti, dando così origine alla seguente proposizione: «un’azione a è moralmente giusta in virtù di una legge di natura se e solo se Dio co- manda che a sia compiuta e che a è derivata da un calcolo razionale che la giudica utile alla conservazione di sé»109. In sostanza, quindi, Martinich mutua molti aspetti essenziali del suo pensiero dalla Warrender Thesis, con la quale afferma di essere grossomodo affine, ma con le differenze e le critiche appena spiegate. Rigetta invece la posizione di Hood, ritenuta troppo estrema e fuorviante; più in particolare, Martinich non condivide sia l’idea della derivazione del sistema politico dalla verità della Scrit- tura, sia il modo di argomentare riguardo ai concetti teologici. Hood infatti circoscrive la trattazione ai soli concetti di rilevanza politica (il patto o la sovranità di Dio sul popolo ebraico), mentre Martinich si spinge a trattare l’intera geografia di nozioni teo- logiche, annoverando anche gli angeli, i miracoli, il paradiso, l’inferno e la reden- zione110.

Le tesi secolariste, poi, sono oggetto di una puntuale critica nel libro di Martinich. La polemica si sviluppa in particolare contro Skinner e Curley, che rappresentano, per Martinich, alcuni fra i maggiori esponenti della linea secolarista degli ultimi decenni del Novecento.

In un contributo degli anni Settanta111, Skinner da un lato aveva provato a riportare gli studi hobbesiani in una prospettiva storica, ossia tenendo conto sia delle voci della cultura a lui contemporanea sia del contesto storico generale che ha costituito una pe- culiare cornice di eventi funzionale alla filosofia hobbesiana, e dall’altro aveva soste- nuto la ormai ben nota tesi secolarista secondo cui l’obbligazione politica non deriva in alcun modo da fondamenta teologiche, come la paura della sanzione divina, ma

109 Ivi, p. 73.

110 Cfr. Ivi, pp. 13-14.

111 Q. SKINNER, The Context of Hobbes’s Theory of Political Obligation, in M. CRANSTON – R.S.

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meramente dal calcolo egoistico di ogni singolo individuo che porta al patto di gene- razione della sovranità112. Da un punto di vista più generale, Skinner si avvicina all’ap- proccio secolarista, comune a molti commentatori, per adattarlo al suo modo tipico di leggere la filosofia hobbesiana, compresa come profondamente intrecciata ai temi umanistici dell’Europa tra Cinque e Seicento, spaziando dalla riflessione sul linguag- gio e sulla retorica alla “copernicana” centralità del soggetto moderno nelle arti e nelle scienze113.

Martinich contesta a Skinner non solo l’approccio secolarista, come è facile imma- ginare, ma anche il metodo con cui conduce la sua analisi, ritenuto troppo focalizzato sulla ricezione dei contemporanei di Hobbes e poco attento al testo hobbesiano, che per Martinich smentisce la linea secolarista e avvalora la linea religiosa114.

Anni dopo, Skinner ritorna sul problema religioso in un lavoro dedicato al grosso tema della libertà115; tra i molti aspetti in cui questa nozione può declinarsi nel pensiero hobbesiano, Skinner analizza il problema della libertà di culto116. Riporta infatti le

«sorprendenti» affermazioni di Hobbes in Leviatano XLVII, apertamente contrarie a

quanto riteneva in Elementi o De cive, che possono essere interpretate in favore della libertà di culto. Nel passo, Hobbes tratta di tre «cappi» che la chiesa di Roma ha stretto nel corso dei primi secoli attorno alla «libertà dei primi cristiani», in origine sottomessi alla sola autorità civile, per controllare spiritualmente le loro coscienze e politicamente la loro obbedienza. Questi cappi sono, per Hobbes, l’aver insegnato che al clero si doveva obbedire e partecipare al loro culto per obbligo, l’aver reso vescovi, cioè capi, alcuni presbiteri politicamente rilevanti (quelli delle grandi città imperiali) e l’aver reso il vescovo di Roma, capitale dell’impero, il pontifex maximus, il capo supremo della chiesa, sulle vestigia dell’antico potere universale dell’imperatore117. Con lo Sci-

sma anglicano, fu sciolto il terzo cappio per l’Inghilterra; più recentemente, dice Hob- bes, i presbiteriani hanno abolito l’episcopato, liberando gli inglesi anche dal secondo

112 Cfr. Ivi, pp. 116-118.

113 Per questi temi, si possono vedere anche ID.,Reason and Rhetoric in the Philosophy of Hobbes,

Cambridge University Press, Cambridge 1996; trad. it. Ragione e retorica nella filosofia di Hobbes, a cura di M. Ceretta, Raffaello Cortina, Milano 2012; ID.,From Humanism to Hobbes. Studies in Rhetoric and Politics, Cambridge University Press, Cambridge 2018.

114 Cfr. A.P.MARTINICH, The Two Gods of Leviathan, cit., pp. 354-361.

115 Q.SKINNER, Hobbes and Republican Liberty, Cambridge University Press, Cambridge 2008. 116 Ivi, pp. 168-169.

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cappio. In seguito «quasi contemporaneamente il potere fu tolto anche ai Presbiteriani: così siamo ricondotti alla libertà dei primi cristiani di seguire Paolo, Cefa o Apollo, secondo le preferenze individuali, cosa che, se non dà luogo a rivalità […] è forse la migliore»118. Questo è allora il passaggio che Skinner ritiene una difesa, sebbene non così chiara e forte, della libertà di culto, purché questa non dia luogo a problemi di carattere politico. Così, per Skinner, Hobbes non solo plaude all’incremento di libertà seguito all’abolizione del cattolicesimo e al declino dei presbiteriani, ma «he explicitly speaks in favour of the arrangement under which everyone is left at liberty to formulate their religious beliefs according to the dictates of conscience, subject only to the civil power»119. Skinner, allora, che in questo lavoro più recente si dichiara in debito con Martinich su questo tema120, sembra affinare le sue posizioni mantenendo tuttavia, contro Martinich, il punto centrale della subordinazione della religione alla politica.

Il secondo importante obiettivo polemico di Martinich è, come accennato, Edwin Curley che in quello stesso periodo forniva una tra le più forti interpretazioni ateisti- che121. Facendo una scrupolosa rassegna di luoghi testuali, sottoponendo a vaglio cri- tico tanto le fonti maggiori, tra cui ovviamente il Leviatano, quanto le fonti minori, raccogliendo brani di carteggi o testimonianze aneddotiche, Curley cerca di porre in questione la sincerità di Hobbes per quanto riguarda i temi teologici. All’inizio del suo contributo, prende le mosse da un commento – riportato da John Aubrey nelle sue celebri Vite122 – che Hobbes avrebbe fatto riguardo al Trattato teologico-politico di Spinoza, ammirandone l’audacia con la quale il filosofo olandese spiega chiaramente le sue argomentazioni eterodosse e affermando, quasi con rammarico, «io non mi az- zardo a scrivere così esplicitamente». Per Curley, quindi, questa sarebbe una tra le velate confessioni di ateismo che affiorerebbero dai testi hobbesiani. Ateismo che Hobbes non ha avuto l’audacia di manifestare apertamente – al contrario di Spinoza, stando a Aubrey – celandolo così dietro una folta trattazione di concetti teologici, come l’anima, i profeti e i miracoli, che Curley, esaminando estensivamente ognuno di essi

118 Ivi, p. 563.

119 Q. SKINNER, Hobbes and Republican Liberty, cit., p. 169. 120 Ibidem.

121 E.CURLEY, “I Durst Not Write So Boldly” or, How to Read Hobbes’s Theological-political

Treatise, in D.BOSTRENGHI (ed.), Hobbes e Spinoza: scienza e politica. Atti del Convegno interna-

zionale, Urbino 14-17 ottobre, 1988, Bibliopolis, Napoli 1992, pp. 497-593.

122 Brief Lives, chiefly of contemporaries, set down by John Aubrey, between the Years 1669 & 1696,

ed. by. A. Clark, Clarendon Press, Oxford 1898, vol. I, p. 357; trad. it. J.AUBREY,Vite brevi di uomini eminenti, a cura di J.R. Wilcock, Adelphi, Milano 20153.

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e confrontando diverse evidenze testuali, ritiene del tutto opportunistica e volta a fugar via da sé le accuse di ateismo, che pure gli furono comminate.

Nella sua critica, Martinich non trova convincente in primo luogo il ricorso a Au- brey come fonte attendibile solo per quanto riguarda quegli aneddoti che rivelerebbero un ateismo di fondo; Curley infatti cita altri episodi di Aubrey in cui Hobbes avrebbe manifestato una certa religiosità, dichiarandoli però privi di fondamento123. Inoltre, per Martinich, Curley confonde l’anticlericalismo, fuor di dubbio e ampiamente presente nel testo hobbesiano, con l’ateismo. Martinich, quindi, precisa che molti religiosi e molti riformatori sono stati “anticlericali” e Hobbes stesso è anticlericale nel senso che denuncia gli uomini di Chiesa (soprattutto prelati cattolici e ministri presbiteriani) non in quanto «men of God», ma in quanto corrotti dal denaro o dal potere, approfittando del loro dominio spirituale sulle coscienze dei fedeli per scopi personali. Ma questo non fa di lui un ateo124. Infine, Martinich evidenzia che Curley, nella sua scrupolosa rassegna di evidenze testuali, trascura del tutto proprio i molti luoghi in cui Hobbes rivelerebbe un’attenzione speciale per la Chiesa Episcopaliana d’Inghilterra e un inte- resse genuino per la religione125.

La lettura di Martinich, che si inserisce naturalmente in una linea religiosa già av- viata, ma che certo suggerisce nuove indicazione per comprendere sempre meglio il pensiero di Hobbes in materia religiosa, ha suscitato un vivo e lungo dibattito che ha rimesso la religione di nuovo sotto i riflettori degli studi hobbesiani.

Poco dopo la pubblicazione di Martinich, nello stesso anno Sharon Lloyd presenta la sua innovativa interpretazione della filosofia hobbesiana126. Lloyd traccia un quadro interessante, ma davvero peculiare, secondo il quale l’opera hobbesiana è finalizzata a spiegare la derivazione del disordine politico da interessi trascendenti in conflitto (con- flicting transcendent interests), – in particolare, da interessi religiosi che superano per- sino la paura della morte corporale violenta – più che dall’interesse per la conserva- zione di sé. Così, Lloyd sostiene che il pensiero di Hobbes può essere considerato una teoria della preminenza della mente sulla materia, vale a dire una preminenza degli

123 Cfr. A.P.MARTINICH, The Two Gods of Leviathan, cit., pp. 339-341. 124 Cfr. Ivi, pp. 341-348.

125 Cfr. Ivi, pp. 348ss.

126 S.A.LLOYD, Ideals as Interests in Hobbes’s Leviathan: The Power of Mind over Matter, Cam-

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ideali e degli interessi trascendenti rispetto alle necessità materiali e alla forza coerci- tiva della legge. La soddisfazione dell’interesse trascendente, che per chi crede si tra- duce nella salvezza della vita dopo la morte, è la massima forza motivante; idea che porta Lloyd a collocare il fattore religioso, anche in questo caso, in una posizione dav- vero preminente127.

Nel 1996, poi, continua la polemica tra Martinich e Curley, raccolta in un numero del Journal of the History of Philosophy, che mostra l’inconciliabilità di fondo dei due commentatori hobbesiani128. Tra i molti aspetti all’origine della querelle, Martinich e Curley presentano forti divergenze sia sul presunto Calvinismo di Hobbes, ossia una particolare forma di Calvinismo vicino all’Anglicanesimo (proposto da Martinich e rigettato da Curley), sia sul modo di interpretare le non così chiare affermazioni di Hobbes in merito a concetti nodali della religione. Tuttavia, il problema centrale, che porta a divergenze così nette tra i due, sembra essere qui una questione di metodo. Per Curley infatti Hobbes avrebbe fatto uso di una particolare strategia retorica che defi- nisce «suggestion by disavowal», ossia avrebbe cercato di sostenere implicitamente una tesi negandola esplicitamente. Tramite questo dispositivo retorico un autore pre- senta una serie di considerazioni che conducono il lettore a trarre una certa conclu- sione, conclusione che tuttavia viene negata da chi scrive. Di questo impianto retorico Hobbes si sarebbe servito nel discutere i concetti teologici fondamentali, come i mira- coli, la profezia, la Trinità e la condizione deli esseri umani dopo la morte129.

Nel 2002 un articolo di George Wright prova a gettare nuova luce sulla polemica Martinich-Curley130. Se da un lato tende a criticare maggiormente la posizione atei- stica di Curley e a essere più affine alla posizione di Martinich, Wright tuttavia sostiene

127 Della stessa autrice, si veda anche EAD.,Morality in the Philosophy of Thomas Hobbes. Cases in

the Law of Nature, Cambridge University Press, Cambridge 2009. Il pensiero di Lloyd, qui semplice-

mente accennato, sarà oggetto di studio più approfondito nei prossimi capitoli.

128 Cfr. E.CURLEY, Calvin and Hobbes, or, Hobbes as an Orthodox Christian, in «Journal of the

History of Philosophy», 34 (1996) n. 2, pp. 257-271; A.P.MARTINICH, On the Proper Interpretation of

Hobbes’s Philosophy, in «Journal of the History of Philosophy», 34 (1996) n. 2, pp 273-283; a cui

risponde E.CURELY, Reply to Professor Martinich, in «Journal of the History of Philosophy», 34 (1996) n. 2, pp 285-287. Si veda anche E.CURLEY.,Religion and Morality in Hobbes, in J.L. COLEMAN – C.W. MORRIS (ed.), Rational Commitment and Social Justice. Essays for Gregory Kavka, Cambridge Univer-

sity Press, Cambridge 1998, pp. 90-121.

129 Cfr. E.CURLEY, Calvin and Hobbes, cit., pp. 261-262. Negli anni Novanta la tesi secolarista

viene ripresa anche da P.COOKE, Hobbes and Christianity. Reassessing the Bible in Leviathan, Row- man and Littlefield, Lenham 1996.

130 G.WRIGHT, Curley and Martinich in Dubious Battle, in «Journal of the History of Philosophy»,

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che la polemica che si è sviluppata, anche nel già citato numero del Journal, sia viziata da una sorta di ostinazione nel ricercare o sconfessare la sincerità delle argomentazioni hobbesiane in materia religiosa, ossia, in altri termini, dalla necessità di sondare la coerenza o la discrepanza tra le personali e intime convinzioni dell’«uomo Hobbes» (e dunque la sua presunta adesione al Calvinismo inglese) e la dottrina filosofica esposta nei suoi testi. Wright indica che questa non è la strada giusta da seguire poiché sondare