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Opinione privata e coscienza religiosa

La coscienza tra retorica e religione

4.3 Opinione privata e coscienza religiosa

Come si è visto, subito dopo aver dato la seconda definizione di coscienza, corrotta dai dispositivi retorici come conoscenza di pensieri e fatti segreti, Hobbes espone in- fine la terza versione, anch’essa degenere, della nozione di coscienza:

Infine, persone che amavano con forza [vehemently in love] le loro nuove opinioni, per quanto assurde fossero, ed erano ostinatamente decise a conservarle, hanno assegnato a quelle loro opinioni anche quel venerato nome di coscienza, quasi volessero far sembrare illegittimo modificarle o argomentare contro di esse. Pretendono così di sapere che sono vere46.

43 Leviatano, XVIII, p. 149. 44 Elementi, II, IX, p. p. 255.

45 Q.SKINNER, Reason and Rhetoric in the Philosophy of Hobbes, cit., p. 302. 46 Leviatano, VII, p. 53.

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Non è casuale che Hobbes ponga questa ulteriore forma degenerata di coscienza immediatamente dopo aver parlato della corruzione per mezzo della metafora. La ri- duzione di coscienza a opinione privata nella terza definizione del Leviatano, ulterior- mente degenere, è la necessaria conseguenza della prima corruzione presente nella se- conda definizione e operata dalla retorica. In altri termini, se si verificano le condizioni della seconda definizione, allora necessariamente seguiranno le condizioni della terza definizione47. Dopo la confusione semantica operata dalla retorica, in cui col nome di coscienza ci si riferisce alla conoscenza privata, ora individui che «amano con forza» le proprie opinioni, ovvero individui fondamentalmente vanagloriosi, attribuiscono il «venerato nome di coscienza» – e qui si vede la “nostalgia” di Hobbes nei confronti della definizione retta di coscienza – alle proprie opinioni private. Questa abile mossa, consistente nell’attribuzione di un certo nome a un significato del tutto diverso è una conseguenza della tecnica di ridescrizione retorica. Nota Feldman: «This redesignation of private opinion as conscience served to elevate that opinion to the status of knowledge and granted it a measure of respect and sacrosanctity»48. Il pervertimento semantico e morale della metafora riguardo alla nozione di coscienza consente di ma- nipolare ulteriormente il termine, mascherando da conoscenza condivisa la propria opinione privata.

Da sottolineare in questa operazione, sostiene Feldman, è il fatto che l’opinione stessa sorga, venga costituita dall’uso stesso della metafora, tanto che Hobbes chiama nuove (new) opinioni quelle di coloro che figurano nella terza definizione del Levia- tano49. Feldamn individua in questo passaggio una sorta di «storia etimologica»: l’opi- nione, come categoria logico-semantica, nasce dallo slittamento semantico operato dalla metafora. Questo suggerisce che la sfera stessa dell’opinione è nuova, che «that private opinion itself arose in the course of this presumed etymological history»50. È come se l’estensione metaforica della parola coscienza crei la possibilità dell’opinione privata. L’inviolabilità propria della conoscenza pubblica è così applicata, impropria- mente, al dominio dell’opinione individuale.

47 Cfr. K.S.FELDMAN, Conscience and the Concealments of Metaphor in Hobbes’s Leviathan, cit.,

p. 27.

48 Ibidem. 49 Cfr. Ibidem. 50 Ibidem.

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4.3.1. Credenza e fede

Le definizioni di credenza e fede, che seguono i passi che abbiamo finora visto, sono i punti di partenza essenziali dai quali Hobbes avvia il discorso sulla coscienza come opinione privata in senso religioso.

Immediatamente dopo aver dato la terza definizione, Hobbes introduce le nozioni di credenza e fede, come ulteriore genere di «risoluzione» del discorso opinante, quel discorso, cioè, che non parte da definizioni e, in questo caso, inizia dalle affermazioni di una persona stimata degna di fiducia in quanto autorevole e grande per virtù:

Quando il discorso [...] comincia con qualche affermazione di un’altra persona di cui non si dubita che sia capace di conoscere la verità e che sia sufficientemente onesta per non ingan- nare; il discorso allora non concerne tanto la cosa quanto la persona, e la risoluzione viene detta CREDENZA [BELIEF] e FEDE [FAITH]. Si ha fede nella persona e si crede [believe of] sia alla persona, sia alla verità di ciò che si dice. Nella credenza ci sono perciò due opinioni: una relativa a ciò che la persona ha affermato, l’altra relativa alla virtù di quella persona51.

Si nota subito come il focus della scena è spostato in favore della persona alla quale si crede, si presta fede. Credenza e fede sono così due esiti analoghi, ma distinti quanto all’oggetto della nostra fiducia. Se nella fede si fa riferimento solo alla persona cui si accorda fiducia, implicito in ogni credenza, invece, è sia il riferimento al contenuto di essa, cioè l’affermazione creduta, sia il riferimento alla persona che pronuncia quell’affermazione. Per Hobbes, la credenza deve essere considerata come una rela- zione tra tre termini: 1) una persona crede a 2) una certa proposizione, in ragione della fiducia accordata alla 3) persona stimata degna di autorità che afferma quella proposi- zione52. A questo punto, Hobbes si cimenta in una particolareggiata precisazione les- sicale volta a chiarire il senso esatto dei termini verbali derivati dalle parole 'credenza' e 'fede'.

Aver fede in una persona [to have faith in], fidarsi di lei [trust to], o crederle [believe a man] significano la stessa cosa, cioè un’opinione sulla veracità della persona. Tuttavia, credere

51 Leviatano, VII, p. 54.

52 Cfr. A.P.MARTINICH, The Two Gods of Leviathan. Thomas Hobbes on Religion and Politics,

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ciò che viene detto significa soltanto un’opinione sulla verità dell’affermazione. Dobbiamo

però osservare che l’espressione credo in [I believe in], come anche il latino credo in e il greco πιστεύω εις, non è mai usata se non negli scritti dei teologi. Negli altri testi al posto di questa espressione si trova: gli credo [I believe him], mi fido di lui [I trust him], ho fede in lui [I have

faith in him], faccio assegnamento su di lui [I rely on him], e in latino: credo illi, e in greco

πιστεύω ἀυτῷ. Questa singolarità nell’uso ecclesiastico del termine ha dato origine a numerose dispute intorno al vero oggetto della fede cristiana53.

Hobbes evidenzia una confusione riguardo all’uso ecclesiastico delle espressioni di credenza e fede. Si ha fede in una persona, e si crede sia alla persona, ossia si crede che essa sia una persona moralmente proba e degna di fiducia, sia al contenuto dell’af- fermazione da essa pronunciata. Nel caso della religione, Hobbes precisa che si crede in una confessione o in una dottrina, e non in una persona; «con l’espressione credere in, come è il caso del Credo, non si intende la fiducia in una persona, ma la confessione e il riconoscimento della dottrina»54. L’errore che Hobbes ascrive ai teologi è aver unito impropriamente le due espressioni 'io credo' (il contenuto) e 'ho fede in' (la per- sona) nella proposizione 'credo in', dando soltanto l’impressione – falsa – di porre la propria fede nelle parole della dottrina piuttosto che nella persona autorevole stimata degna di fiducia. Ma in realtà, l’espressione credo in è usata dai teologici alla stregua di ho fede in una persona, le credo; in sostanza, l’oggetto del credere in diventa la persona e non più la proposizione55. Questo è l’errore insito nell’uso ecclesiastico delle espressioni di credenza e fede.

Spostare il baricentro sulla persona significa affidarsi a essa indipendentemente dalla ragionevolezza del contenuto della proposizione espressa. Queste proposizioni, ritenute vere, non sono argomentate sulla base di principi razionali, ma facendo esclu- sivo affidamento sull’autorità della persona. E il rischio che la persona interessata sia un «falso profeta» è sempre una possibilità reale.

Da questo possiamo inferire che quando crediamo vera una qualunque affermazione sulla base di argomenti che non derivano dall’oggetto in se stesso o dai principi della ragione natu- rale, ma dall’autorità [authority] e dalla buona opinione [good opinion] che abbiamo di chi

53 Leviatano, VII, p. 54 54 Ibidem.

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l’ha pronunciata, allora l’oggetto della nostra fede è colui che parla, o la persona in cui cre- diamo o della quale ci fidiamo e di cui accogliamo la parola; ed è soltanto a questa persona che viene tributato l’onore di crederle. Di conseguenza [...] coloro che credono ciò che un profeta trasmette loro nel nome di Dio, accolgono la parola del profeta, gli rendono onore, hanno fiducia in lui e credono la verità di ciò che egli trasmette, sia che si tratti di un vero o di un falso profeta. [...] Risulta perciò evidente che qualunque cosa noi crediamo senza nessun’al- tra ragione che quella tratta dalla sola autorità degli uomini e dei loro scritti, abbiamo fede soltanto negli uomini, siano essi o meno inviati da Dio56.

Tutto questo, sostiene Hobbes, dà luogo a non poche dispute intorno alle questioni religiose. Se l’oggetto del credo diventa la persona che trasmette il contenuto, e non il contenuto in sé, si apre il rischio di lotte, cruente e incruente, tra predicatori – e rispet- tivi seguaci – potenzialmente differenti per dottrina insegnata. Quanto più la dottrina cristiana si infittisce di precetti e dogmi, offuscando il vero cuore della religione, tanto più cresce il rischio di lotte intestine a sfondo religioso.

4.3.2. La coscienza religiosa

Per questo lavoro si cerca di mostrare che la nozione di coscienza religiosa, nell’im- pianto filosofico di Hobbes, sia legata alla nozione di opinione privata, secondo la terza definizione del Leviatano esposta precedentemente. Nell’analisi di Keith Peppe- rell, la coscienza religiosa può essere considerata come l’insieme delle opinioni rite- nute in materia religiosa e derivanti dall’interpretazione personale della Scrittura57.

Hobbes non ammette il libero esame della Parola di Dio. Il motivo è sempre lo stesso: tante sono le coscienze, dunque i giudizi e le interpretazioni, quanti sono gli esseri umani; e tanto diverse sono tra loro le coscienze che è pressoché impossibile tentare di conciliarle58. È utile precisare che per interpretazione personale Hobbes intende sia

quella di un semplice privato, che se ne serve per agire pubblicamente in un certo

56 Leviatano, VII, pp. 54-55.

57 K. C. PEPPERELL, Religious Conscience and Civil Conscience in Thomas Hobbes’s Civic Philos-

ophy, in «Educational Theory», 39 (1989) n. 1, p. 22.

58 Cfr. C.A.VIANO, La scintilla di Caino. Storia della coscienza e dei suoi usi, Bollati Boringhieri,

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modo59, sia quella di un clero, di un predicatore o di un gruppo non autorizzato dallo

Stato; infatti, l’interpretazione della Parola di Dio spetta, come ricordato in prece- denza, al potere sovrano che neutralizza in sé, come coscienza pubblica religiosa, le coscienze individuali, frenando ogni spinta sediziosa derivante da personali interpre- tazioni della religione. La coscienza religiosa non è “intrinsecamente” negativa – del resto, poco o niente l’espressione “intrinsecamente [qualcosa]” si adatta alla filosofia hobbesiana –; essa diventa sediziosa nel momento in cui suggerisce un comportamento avverso all’obbedienza della legge dello Stato.

Pepperell evidenzia che questo non significa che i sudditi non possano avere una coscienza religiosa; semplicemente che essa non può essere accampata contro la legge civile:

Hobbes maintains that citizens cannot be prevented from having a religious or private con- science. In this way, Hobbes sought to appease religionists by arguing that salvation is not lost by obeying civil laws that are contrary to the dictates of a citizen’s religious conscience. All citizens can do, in the absence of a certain knowledge of the word of God, is to make a “sincere effort” at following religious conscience60.

Obbedire alla legge civile contro la propria coscienza non è peccato e non preclude la possibilità della salvezza. In Elementi lo scrupolo è ben dissolto:

E per quanto sia vero, che qualsiasi cosa un uomo faccia di contrario alla sua coscienza, è peccato; pure, l’obbedienza in questi casi [al potere civile costituito] non è né peccato, né contro coscienza. Infatti, poiché la coscienza non è altro che un giudizio ed un’opinione per- manente di un uomo, una volta che colui abbia trasferito ad un altro il proprio diritto di giudi- care, ciò che verrà comandato non è meno suo giudizio, di quanto sia giudizio di quell’altro; così che in obbedienza alle leggi, un uomo agisce ancora secondo la propria coscienza, anche se non la sua coscienza privata61.

59 La semplice lettura privata della Bibbia e la formazione di una propria coscienza religiosa, a ri-

gore, non sono avversate da Hobbes, purché restino nella insondabilità e incoercibilità del pensiero privato, giacché «libero», o al massimo tra le mura della propria casa. Il problema si pone quando di questo libero esame si voglia fare un uso pubblico, potenzialmente sedizioso.

60 K.C.PEPPERELL, Religious Conscience and Civil Conscience in Thomas Hobbes’s Civic Philoso-

phy, cit., p. 22. Cfr. T.SORELL, Hobbes, Routledge, London 1986, p. 131.

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Non di coscienza privata ma di coscienza pubblica hanno bisogno gli individui nello Stato. L’ascolto della coscienza privata, individualistica, egoistica, non è adatta alla vita nello Stato, ma solo alla vita della condizione naturale62. La coscienza privata è un elemento instabile e “polimorfo”: «For Hobbes, public conscience is isomorphic with civil law, but private conscience, since it is polymorphous (taking many forms), is not necessarily so»63.

In sostanza, nell’analisi di Pepperell, la coscienza religiosa è 1) privata poiché si riferisce a una personale relazione con Dio e con la Scrittura; dunque 2) non può essere normativa nell’agone pubblico e 3) essendo potenzialmente sediziosa deve essere ri- condotta nell’alveo della coscienza pubblica, ossia sotto il potere sovrano64.

Come già più volte ricordato, sul problema della coscienza religiosa Hobbes è con- scio che possono sorgere seri problemi riguardanti il vincolo di obbedienza al sovrano e alla sua legge. Un individuo può essere messo nel dubbio se seguire la propria co- scienza religiosa e quindi, nella sua convinzione, obbedire a Dio – al suo Dio, ossia ai comandi di una religione che in realtà è egli stesso, mediante la propria coscienza o mediante la predicazione di qualcun altro non autorizzato, a darsi – o se seguire la legge civile e obbedire allo Stato, andando però “contro la propria coscienza”65. Così

enuclea il problema nel Leviatano:

Il pretesto più frequente di disordini e di guerra civile negli Stati cristiani deriva, da molto tempo, dalla difficoltà, non ancora risolta in modo soddisfacente, di obbedire a un tempo a Dio e all’uomo quando i loro dettami si contraddicono. È molto evidente che quando un uomo riceve due ordini contrari, e sa che uno dei due viene da Dio, deve obbedire a questo, e non all’altro, anche qualora quest’ultimo fosse addirittura l’ordine del suo legittimo sovrano66.

Qui sorgerebbe una difficoltà. La parola del sovrano non conta in confronto alla Parola di Dio? Non è così e la difficoltà è solo apparente, infatti prosegue così: «gli uomini, quando ricevono un ordine impartito nel nome di Dio, non sanno, in più di un caso, se l’ordine proviene da Dio o se colui che l’impartisce non fa che abusare del

62 Cfr. K.C.PEPPERELL, Religious Conscience and Civil Conscience in Thomas Hobbes’s Civic Phi-

losophy, cit., pp. 21-22.

63 Ivi, pp. 20-21. 64 Cfr. Ivi, p. 22. 65 Ivi, p. 22.

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nome di Dio per un suo fine particolare»67. E per superare questa apparente difficoltà

Hobbes ritiene che bisogna conoscere ciò che è realmente necessario per la salvezza, ossia l’articolo fondamentale, per non cadere preda di visionari, impostori e falsi pro- feti.

Come visto, nel Behemoth pronuncia una forte condanna contro i seduttori del po- polo: papisti, presbiteriani, sette radicali. I primi obbedivano al papa di Roma come a sovrano straniero e avevano inficiato la religione cristiana di inutili orpelli dottrinali con la sola finalità di soggiogare le coscienze dei fedeli; i presbiteriani pretendevano da Dio «il diritto di governare ciascuno la sua parrocchia, e la loro assemblea l’intera nazione»68; e le sette radicali reclamavano «una certa libertà di religione [...] partendo dall’interpretazione privata della Scrittura»69. I tre casi sono accomunati da un dato:

tutti fanno leva sulla coscienza religiosa dei propri seguaci.

I cattolici pretendono il diritto di governare – quando non temporalmente, almeno le coscienze – sulla base di una fuorviante interpretazione di passi evangelici da cui «inferiscono che al comando degli apostoli si doveva obbedire, e, di conseguenza, tutte le nazioni erano tenute a farsi governare da loro, e specialmente dal principe degli apostoli, san Pietro, e dai suoi successori, i papi di Roma»70. Duplice il diritto che si

arrogano: indirettamente il governo temporale in ordine ad spiritualia, ovvero «nella misura in cui tali azioni tendano ad ostacolare o promuovere la religione e la morale»; e direttamente il potere spirituale ossia l’«esser giudici dei doveri morali nel foro in- terno della coscienza [corsivo mio], e di punire con la censura ecclesiastica, cioè la scomunica, chi non obbedisce ai loro precetti. E sostengono che il papa ha questo po- tere direttamente da Cristo»71. E qui l’osservazione dell’interlocutore B è paradigma- tica:

B. Quale potere resta, allora, ai re e agli altri detentori della sovranità temporale, che il papa non possa pretendere esser suo in ordine ad spiritualia.

A. Nessuno, o ben poco72.

67 Ibidem. 68 Behemoth, I, p. 6. 69 Ivi, p. 7. 70 Ivi, p. 9. 71 Ivi, p. 10.

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Quindi Hobbes si pronuncia sull’articolo della fede cattolica concernente la confes- sione auricolare come necessaria perché l’anima non si danni dopo la morte: «Da ciò potete comprendere quale timore reverenziale ognuno solesse avere del papa e del clero, molto più che del re, e quale inconveniente sia per uno stato, che i sudditi con- fessino i propri pensieri segreti a delle spie»73. Rivelare espressamente la propria co- scienza è già pericoloso; ancor più farlo con i preti cattolici, considerati da Hobbes «spie» del papa. La critica alla pratica della confessione auricolare si fa sentire anche contro i presbiteriani: e qui Hobbes accenna solamente a un tema “di nicchia” ma estremamente interessante da notare e approfondire, ossia quello del piacere sessuale74. In questo luogo del Behemoth, Hobbes si scaglia contro il clero presbiteriano che pro- nunciava condanne nei confronti del piacere sessuale «riducendo i giovani alla dispe- razione», vietando loro ogni forma di piacere. «E, così, divennero confessori [corsivo mio] di quelli che avevano la coscienza turbata per questo motivo, e che obbedivano loro come a direttori spirituali, in tutti i casi di coscienza»75. E un caso di coscienza

era anche la questione dell’interpretazione privata della Scrittura che, in questi luoghi del Behemoth, è imputata alle sette radicali.

Il Behemoth è, tra l’altro, un notevole resoconto dei danni provocati allo Stato da fazioni religiose in lotta tra loro. Una lotta disputata sul labile e polimorfo terreno della coscienza, e della coscienza religiosa, facile preda di entusiasmi, infatuazioni e inganni costruiti ad arte per accrescere il potere sui fedeli – i quali sono in primo luogo sudditi. Il rimedio di Hobbes contro questo genere di male dello Stato, e contro una strumen- talizzazione della religione, è il binomio fede-obbedienza: fede in Cristo, obbedienza a Dio e al sovrano.

73 Behemoth, I, p. 19.

74 Per il tema della sessualità in Hobbes, si veda N. MALCOLM, Hobbes and Sexual Desire, in «Hob-

bes Studies», 28 (2015), pp. 77-102.

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4.3.3. Libertà di coscienza, diritto di resistenza

Un punto estremamente interessante di cui non abbiamo ancora parlato in maniera esaustiva è contenuto nel già citato passaggio circa la pretesa di interpretazione perso- nale della Scrittura. Hobbes ritiene che «coloro che seguano la propria interpretazione domandano continuamente libertà di coscienza [corsivo mio]»76.

Parlare di libertà di coscienza in Hobbes può sembrare stridente. In effetti, bisogna definire questa nozione all’interno della filosofia hobbesiana; come si è potuto evin- cere fin qui, una definizione di libertà di coscienza in termini contemporanei – come diritto alla resistenza attiva rispetto a una legge ritenuta ingiusta in nome di personali convinzioni religiose, filosofiche o ideologiche – sarebbe del tutto fuorviante. Tutta- via, anche considerando attentamente i luoghi – molto pochi – dove Hobbes protende verso una certa minimale forma di “libertà di coscienza”, resta un tema ambiguo e – proprio per la sua ambiguità – fonte di interesse. Numerosi sono stati gli autori che hanno proposto una lettura “liberale” di Hobbes riguardo a questo tema. Johan Tralau ricostruisce le fasi di un dibattito interessante che coinvolge nomi di primo piano, come Schmitt e Strauss, propensi per una rivalutazione della libertà di coscienza nel pensiero hobbesiano, tradizionalmente ritenuto il campione dell’autoritarismo e – in maniera inappropriata – del totalitarismo77.

Per dare un’idea lapidaria della problematicità di questo concetto, l’espressione 'li-