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CAPITOLO II: La rinascita del corpo

II.2 Uno sguardo sulle donne: renovatio nel culto della bellezza femminile

II.2.3 Cosmesi

Preservare la bellezza, così come inseguire e conformarsi agli standard, richiedeva sforzi e denaro. I componimenti poetici cominciarono a descrivere le donne seguendo il canone estetico e furono le stesse a sviluppare un vivo interesse per i cosmetici, specialmente le meno avvenenti, desiderose di migliore la propria immagine. I difetti dovevano essere corretti e, a seconda dei casi, convenientemente nascosti, come sottolinea «Sprazzo» nell’Epicene di Jonson:

Una donna intelligente, se conosce il minimo difetto di se stessa, sarà più che mai attenta a nasconderlo: e le si addice. Se non è alta, che sieda molto, perché non sembri seduta quando è in piedi. Sa ha un piede deforme, porti gonne più lunghe, e scarpine meno spesse. Se ha mani grassottelle e unghie scabre, che mostri meno il ditino, e faccia le sue cose coi guanti. Se ha cattivo l’alito, non parli mai a digiuno, e discorra sempre tenendo le distanze. Se ha denti neri e disuguali trattenga le risate specie se è una che ride a bocca spalancata.237

appieno la bellezza di cui è ignara. Raffigurazioni simili, dalla mitologia intrisa di sensuale naturalismo, le ritroviamo nella varie Veneri (es. Venere a Urbino, sempre di Tiziano), ninfe e Diane; grazia ed ideale raggiungono la massima espressione nella serie di figure pagane dipinte dal Correggio dove, scrive Lionello Venturi, «le sue proporzioni si fanno sottili come se immaginasse corpi di fanciulli anziché di uomini e di donne e il tremolar della luce si trasforma gradatamente in tenerezza della carne, dove il colore si rende tenue per suggerire più che per dimostrare, dove infine egli crea le fiabe più delicate del Rinascimento italiano». L’arte olandese, sottolinea Renier, è restia ad accettare le innovazioni introdotte dall’arte italiana, ma «quando lo accetta, esagera, e n’esce Rubens con le sue donne bionde, grosse e grasse», segno trionfale della sua pittura, pienamente barocca. Ed è forse lui l’artista che meglio rappresenta, in Europa, questa bellezza lieta e opulenta.

236 R. RENIER, op. cit., p. 152.

237 C. CAMDEN, The Elizabethan Woman. A Panorama of English Womanhood 1540 to 1640,

London, 1952, pp. 214. [La versione italiana della commedia citata sta in B. Jonson, Teatro, a cura di Nereo E. Condini, Torino, 1983. N. d. T.], cit. in Duby e Perrot, op. cit., p. 68.

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Oltre ai semplici accorgimenti e al contributo ricavato dai Galatei e da tutti quei trattati di buone maniere che nel corso dei secoli hanno avuto un ruolo formativo essenziale nel delineare le pratiche di cura e di disciplinamento del corpo - in cui si invitava in genere, alla morigeratezza - nonostante gli ammonimenti, gli effetti dannosi causati da sostanze nocive come il sublimato di mercurio (potente corrosivo), l’arsenico oppure la calce viva238 e il vetriolo che aggiungevano incuranti,

ai loro unguenti, le donne perseveravano a correggere il proprio aspetto con l’ausilio di creme, ciprie e rossetti. Nel Cortegiano di Castiglione, si privilegia la naturalezza condannando l’affettazione senza però escludere completamente l’uso del trucco; sono ammessi interventi tali da non essere riconoscibili:

Non v’accorgete voi, quanto più di grazia tenga una donna, la qual, se pur si acconcia, lo fa così parcamente e così poco, che chi la vede sta in dubbio s’ella è concia o no; che un’altra, empiastrata tanto, che paia versi posto alla faccia una maschera, e non osi ridere per non farsela crepare, né si muti mai di colore se non quando la mattina si veste; e poi tutto il remanente del giorno stia come statua di legno immobile, comparendo solamente a lume di torze, come mostrano i cauti mercatanti i lor panni in loco oscuro? Quanto più poi di tutte piace una, dico, non brutta, che si conosca chiaramente non aver cosa alcuna in su la faccia, benché non sia né così bianca né così rossa, ma col suo color nativo pallidetta, e talor per vergogna o per altro accidente tinta d’un ingenuo rossore, coi capelli a caso inornati e mal composti, e coi gesti semplici e naturali, senza mostrar industria né studio d’esser bella?239

Nei Libri della famiglia di L. Battista Alberti, è evidente l’invito rivolto alle donne di rinunciare ai cosmetici e come questi fossero ritenuti un inconfondibile segno di vanità, nonché un incitamento alla dissolutezza. Tra le virtù di una moglie «onesta», vi è quella di fuggire tutte le leggerezze «colle quali alcune femmine studiano piacere

238 La calce viva era utilizzata per la depilazione, ad es. da Trotula de Ruggiero, Sulle malattie delle donne, cap. LXI, 11, p. 143.

239 B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano del conte Baldesar Castiglione, I, 40, a cura di G.

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agli uomini»,240 come l’abitudine di «scialbare» il viso con «calcine» e veleni, poiché le donne, «credendosi così lisciate, impiastrate e dipinte, in quelli loro abiti lascivi e inonesti, più essere agli uomini grate che mostrandosi ornate di pura semplicità e vera onestà».241 Nel III Libro, Galeazzo cerca di persuadere la moglie a non «intonacarsi» il viso per sembrare più gradevole ai suoi occhi, elencandole tra i molteplici inconvenienti, le conseguenze del trucco su una vicina:

E quale pazza stimasse il contrario? Anzi ancora perché ella più mi credesse, la domandai d’una mia vicina, la quale tenea pochi denti in bocca, e quelli pareano di busso tarmato, e avea gli occhi al continuo pesti, incavernati, il resto del viso vizzo e cennericcio, per tutta la carne morticcia e in ogni parte sozza; solo in lei poteano alquanto e’ capelli argentini guardandola non dispiacere.242

Nella trattatistica tardomedievale non mancano i contributi sulla cosmetica e sulla bellezza femminile che dedicano una particolare attenzione a specifiche parti del corpo, generalmente scoperte, quali viso, capelli, collo, seno e mani.243 Certe donne erano riuscite ad acquisire competenze nel settore e le più esperte erano in grado di realizzare unguenti, creme, pomate sempre più efficaci. Mescolavano spezie, erbe,

240 L. B. ALBERTI, I libri della famiglia, III, 19-20, a cura di R. ROMANO e A. TENENTI, Einaudi

Editore, Torino, 1969.

241 Ivi, III, 20-23. 242 Ivi, III, 8-14.

243 Si farà cenno al De ornatu mulierum, di attribuzione incerta, associato ad un anonimo del XII sec.

o alla famosa medichessa salernitana, Trotula. Le citazioni in italiano sono tratte da Trotula de Ruggero, Sulle malattie delle donne, cur. P. Boggi CAVALLO, Palermo, 1994. Un deciso incremento di interesse verso la cosmesi è ben documentabile mediante quel corpus di testi prescrittivi, i segreti, che non solo forniscono preziose indicazioni di tecnica cosmetica, ma anche una graduatoria di gradimento sui prodotti. Altri importanti riferimenti: Cyrurgia di Henry de Mondeville (il terzo dei cinque trattati è in buona parte dedicato alla cosmetica), l’Inventorum sive collectiorum partis

chirurgicalis medicinae di Guy de Chauliac, lo Speculum naturale di Vincent de Beauvais, o il Thesaurus pauperorum di Pietro Ispano. Si veda anche F. GLISSENTI, Discorsi morali contra il dispiacer del morire, detto Athanatophilia (nel IV Dialogo sono contenuti diversi accorgimenti). Uno

dei manoscritti più rappresentativi è, con ogni probabilità, quello di Caterina Sforza. L’opera, Gli

experimenti de la excellentissima signora Caterina da Forlì, si presenta come una raccolta

compilativa di scritti alchemici e di carattere terapeutico per salvaguardare salute e bellezza del corpo e trattano quelle parti del corpo non coperte da indumenti (viso, collo, capelli, seno, mani). Il suo ricettario snocciola consigli su come curare la pelle dalle imperfezioni di varia natura (brufoli, comedòni ed altre eruzioni cutanee), rendere bianco il viso, imbiondire i capelli, farli crescere, liberarsi dai peli superflui, ecc. per una visione d’insieme, si rinvia a G. PALMERO, op. cit.; sulla figura di Caterina si cfr. AA. VV. Caterina Sforza. Una donna del Cinquecento, Ravenna, La Mandragora, 2000.

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spesso di provenienza orientale, per correggere le imperfezioni della pelle del viso, come macchie, lentiggini o cicatrici la cui presenza, benché minima, avrebbe potuto compromettere l’incarnato, rompendone l’unità cromatica; per imbiondire i capelli, il

De ornatu mulierum consigliava di «prend[ere] la scorza mediana del sambuco, fiori

di ginestra, croco, tuorli di uova; queste sostanze cuocciano in acqua e si raccolga la materia che vi galleggerà sopra e quindi siano spalmati i capelli». Vi erano rimedi per distendere le rughe,244 rassodare i seni, sbarazzarsi dei peli superflui («ruta pista e incorpora bene con ova di formiche e frega il loco dove voi che li capelli caschino et così seguirà»),245 ripristinare il pallore, la luminosità del viso, il bianco dei denti

anneriti dal tempo e rimedi per riaccendere il colorito delle guance. Si è visto come il viso, il collo, il seno e le mani riflettessero quasi il bianco dell’avorio e fossero ravvivati da sfumature rosee in determinati punti del volto, sulle guance, sulle orecchie, sul mento, sui capezzoli (quando visibili) e sui polpastrelli, in modo da trasmettere un senso di benessere ed attirare lo sguardo.246 Il bianco, da sempre associato alla purezza, al candore, alla castità, è il colore attribuito al femminile, alla luna, mentre i toni più vibranti del sole, caratterizzano la virilità maschile. Non a caso, i dipinti rinascimentali conferivano all’uomo una carnagione scura, olivastra, diversamente dalle donne che, avvezze a trascorrere meno tempo all’aperto, riuscivano a conservare il candore della loro pelle delicata. E questo spiega perché i ricettari contenessero indicazioni, anche per gli uomini, su come tingere di nero la barba. Trattamenti e cure di bellezza, se da un lato aiutarono le giovani (e meno giovani) donne ad accrescere, preservare e ripristinare l’attuale o antica pulchritudo, mediante l’adozione di intrugli miracolosi e cure mirate, dall’altro miscugli inidonei e nocivi rischiarono di peggiorarne l’aspetto; a volte, gli strati di trucco che lastricavano, appesantendoli, i volti di dame e fanciulle, strutturavano una maschera che non lasciava alle donne una piena autonomia di movimento, impedendo loro di sorridere o semplicemente di comunicare; delle vere statue di legno che «non

244 Si veda una ricetta che ebbe ampia circolazione nel XV secolo in G. PALMERO, op. cit., p. 61. 245 In G. PALMERO, Il corpo femminile, cit., p. 15.

246 Cfr. S. F. MATTHEWS GRIECO, Corpo, aspetto e sessualità, in Duby e Perrot, Storia delle donne. Dal Rinascimento all’età moderna, Laterza, Roma-Bari, 2000, p. 71.

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potevano voltare la testa senza girare con tutto il corpo»,247 schernite dallo stesso Castiglione:

Non vi accorgete voi, quanto più di grazia tenga una donna, la qual, se pur si acconcia, lo fa così parcamente e così poco, che chi la vede sta in dubbio s'ella è concia o no, che un'altra empiastrata tanto, che paia aversi posto alla faccia una maschera, e non osi ridere per non farsela crepare, né si muti mai di colore se non quando la mattina si veste; e poi tutto il remanente del giorno stia come statua di legno immobile, comparendo solamente a lume di torze o, come mostrano i cauti mercatanti i lor panni, in loco oscuro?248

E dopo secoli e valanghe di critiche mosse da ecclesiastici (l’artificio rende la donna disonesta e non piace a Dio), moralisti e medici, l’artificio della cosmesi giunse al tramonto, mentre divenne sempre più sentito il desiderio di un ritorno ad un’estetica femminile pura, priva di affettazione e ricercatezza. Si fece strada «una predilezione preromantica per la grazia e la semplicità che si esprimeva nel pallore del viso e in una figura esile e languida, elementi che si supponeva conferissero la delicatezza di

247 Ibidem. Nel Settecento, con l’introduzione del corsetto, arma di seduzione per eccellenza, per

esaltare seno e fianchi, la femminilità si adeguerà ai canoni imposti dalle corti, in particolare da quella di Francia: le scollature sono ampie, gli abiti sfarzosi, le acconciature vistose ed elaborate, l’incarnato ancora rigorosamente pallido, la fronte alta e spaziosa, le sopracciglia marcate e ben disegnate, gli occhi grandi e scuri, i capelli folti, lunghi e di un biondo caldo, tendente al bruno, la bocca piccola ma carnosa, il viso pesantemente ricoperto da uno spessore di trucco. Di Anna D’Austria, madre di Luigi XIV, Dumas diceva: «Il suo incedere era quello d’una regina o d’una dea, i suoi occhi che avevano i riflessi dello smeraldo, erano bellissimi e pieni insieme di dolcezza e di maestà…» (A. Dumas, I tre

moschettieri). Si veda G. Vigarello, Storia della bellezza. Il corpo e l’arte di abbellirsi dal Rinascimento ad oggi, Donzelli, Roma, 2007. Nel XIX secolo si privilegia tutto ciò che richiama ed

esprime dolcezza, sensibilità, naturalezza e sobrietà: «una pelle trasparente, dalla quale affiorano le ramificazioni nervose, carni morbide per cullare il figlio o il malato, uno scheletro minuto, mani piccole, piedi piccoli», senza rinunciare alle rotondità delle forme, espressione di benessere e maternità, quindi: «anche rotonde, seni floridi, tessuti ben nutriti» (Y. KNIBIEHLER, Corpi e cuori, in Storia delle donne, L’Ottocento, Laterza, Roma-Bari, 1991, p. 308). Eco, in Storia della Bellezza, sostiene l’originalità della bellezza romantica: originale è soprattutto «il legame tra le diverse forme, dettato dalla ragione e dal sentimento, un legame che accoglie tutte le contraddizioni e le antitesi (finito/infinito, vita/morte, mente/cuore)» (U. ECO, Storia della bellezza, Bompiani, Milano, 2002, p. 299). Le eroine dei romanzi sono eteree, gracili, con gli occhi scuri, i capelli folti, il loro viso «specchio dell’anima, esprime tempeste interiori. Le sofferenze dell’io romantico vi si esprimono con un pallore languido, che si presenta accompagnato possibilmente da capelli neri, occhi cerchiati, e una nuvola di cipria» (Y. KNIBIEHLER, Corpi e cuori, op. cit., p. 309). È il prototipo della bellezza malinconica ma anche torbida, grottesca, che assumerà i tratti dell’anti-eroina tarchettiana, Fosca, protagonista dell’omonimo romanzo che verrà trattato nel prossimo capitolo.

248 B. CASTIGLIONE, Il libro del Cortegiano del conte Baldesar Castiglione, I, 40, a cura di G.

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sentimenti e di sensibilità» che avrebbe determinato e dato nuovo impulso allo stile «proprio dei primi anni del XIX secolo e del concetto romantico della femminilità».249

249 P. Perrot, Le travail des apparences, Paris, 1984, capp. II e IV [trad. it. , Milano, 1986], cit. in

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