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CAPITOLO II: La rinascita del corpo

II.2 Uno sguardo sulle donne: renovatio nel culto della bellezza femminile

II.2.1 Cura, aspetto ed igiene del corpo

Le donne da sempre hanno prestato e dimostrato grande attenzione alla cura dei loro corpi, sebbene bellezza e pulizia fossero due concetti molto relativi, specialmente da quando, sifilide e peste sconvolsero la penisola italiana, raggiungendo anche il resto d’Europa e causarono la chiusura, tra il XVI e il XVII secolo, della maggioranza dei bagni pubblici, scatenando la paura del contagio e, di

188 M. ROUCHE, L’Alto Medioevo occidentale, in La vita privata, I. Dall’Impero romano all’anno mille, cur. P. Veyne, trad. it., Roma-Bari, 1987, pp. 341-342.

189 S. F. MATTHEWS GRIECO, Corpo, aspetto e sessualità, in Storia delle donne. Dal Rinascimento all’età moderna, Laterza, Roma-Bari, 2000, p. 66.

190 A. HAUSER, Storia sociale dell’arte, Rinascimento, Manierismo, Barocco, vol. II, Einaudi,

Torino, 2001, p. 90. All’ideale classico di kalokagathìa si rifà Bembo nel terzo libro degli Asolani, in cui cerca di dare una definizione della bellezza mediante il concetto di grazia: «[3, VI] ella non è altro che una grazia, che di proporzione e di convenienza nasce, e d’armonia nelle cose, la quale quanto è più perfetta ne’ suoi suggetti, tanto più amabili essere ce gli fa, e più vaghi: ed è accidente negli uomini non meno dell’animo che del corpo. Perciocché, siccome è bello quel corpo, le cui membra tengono proporzione fra loro, così è bello quell’animo, le cui virtù fanno tra sé armonia; e tanto più sono di bellezza partecipi l’uno e l’altro, quanto è in loro quella grazia, che io dico, delle loro parti e della loro convenienza più compiuta e più piena». Si cfr. Ficino: Cfr. M. Ficino, El libro dell’Amore, V, 6: «Conchiudiamo […] la bellezza essere una certa gratia vivace spiritale, la quale, per razzo divino, prima s'infonde negli angeli, poi negli animi degli huomini, dopo questi nelle figure e voci corporali; e questa gratia per mezzo della ragione e del vedere e dello udire muove e dilecta l'animo nostro, e nel dilectare rapisce, e nel rapire d'ardente amore infiamma».

Si veda il Cortegiano (IV, 57): «la bellezza è come circulo di cui la bontà è il centro; e però come non po essere circulo senza centro, non po essere bellezza senza bontà; onde rare volte mala anima abita bel corpo e perciò la bellezza estrinseca è vero segno della bontà intrinseca e nei corpi è impressa quella grazia più e meno quasi per un carattere dell’anima, per lo quale essa estrinsecamente è conosciuta, come negli alberi, ne’ quali la bellezza de’ fiori fa testimonio della bontà dei frutti».

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conseguenza, il rifiuto dell’acqua per la propria igiene personale. Si perse l’abitudine di concedersi lavaggi regolari, nonché il costume, privilegio riservato alle classi abbienti, di recarsi ai bagni turchi. Abbandonata progressivamente la pratica delle abluzioni, quali furono i rimedi adottati per la protezione e la cura del corpo?

Si riteneva che un corpo bagnato fosse più vulnerabile: i pori, dilatandosi, avrebbero consentito la fuoriuscita degli umori, indebolendolo ed esponendolo facilmente alla contrazione di affezioni, spesso gravi come l’idropisia. Il corpo, per essere protetto, doveva essere asciutto; si svilupparono così tecniche nuove mirate a garantirne la pulizia, l’ordine e la presentabilità: l’acqua fu rimpiazzata da strofinamenti, sfregamenti, ciprie e profumi,191 facendo più attenzione alle mani e al viso, ovvero a quelle parti del corpo, generalmente scoperte. Nel XVII secolo, l’acqua poteva essere adoperata solo per sciacquare le mani e la bocca, sebbene fosse necessario introdurre anche aceto e vino perché in grado, secondo le credenze dell’epoca, di temperarne gli effetti, giudicati dannosi. Come ben sottolinea Sara F. Matthews Grieco, la letteratura sul tema sconsigliava di adoperare l’acqua per lavare il viso, poiché si pensava che danneggiasse la vista, causasse mal di denti e catarro, rendesse la pelle eccessivamente pallida d’inverno e eccessivamente scura d’estate.192 Interessante notare l’introduzione della cipria per la pulizia del capo, in

particolare sui capelli che dovevano essere, pettinati e inargentati: la cipria infatti «fece la sua comparsa inizialmente come una specie di sciampo secco»193 con cui dovevano essere frizionate le chiome per eliminare, successivamente, l’unto e le impurità. Le ciprie profumate e colorate raggiunsero la vetta della popolarità tra gli esponenti dell’alta società che dimostrarono di non poterne più fare a meno: «questi prodigiosi accorgimenti, non soltanto rendevano manifesto il privilegio della pulizia di cui godeva il suo portatore, ma anche la di lui o di lei posizione sociale, perché anche la moda era un privilegio della ricchezza».194 Nel XVII secolo, gli aristocratici

191 Cfr. S. F. MATTHEWS GRIECO, Corpo, aspetto e sessualità, in Storia delle donne. Dal Rinascimento all’età moderna, Laterza, Roma-Bari, 2000, p. 57.

192 Ibidem. 193 Ibidem.

194 Cfr. S. F. MATTHEWS GRIECO, Corpo, aspetto e sessualità, in Storia delle donne. Dal Rinascimento all’età moderna, Laterza, Roma-Bari, 2000, p. 58.

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europei ne furono conquistati tanto da esibire con fierezza le loro «bianche capigliature», nobilitate dal prodigioso cosmetico, «sia che fossero parrucche sia che si trattasse delle loro stesse chiome».195 Come la cipria, anche i profumi erano considerati una prerogativa di classe, ulteriore segno del loro status di benestanti, i soli a potersi permettere l’acquisto di sostanze e prodotti notevolmente costosi, fuori dalla portata e dalle tasche dei borghesi e dei loro inferiori.

Usato prevalentemente per mascherare i cattivi odori, il profumo manifestava una delle sue innumerevoli virtù nel coprire anche il più acre tra gli olezzi del corpo; ottimo alleato per la disinfezione degli ambienti: dalle fragranze decise e forti, i profumi, specialmente le varianti esotiche e gli incensi, erano adoperati dai ricchi proprio per «purificare le case, i mobili e i tessuti durante le epidemie».196