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La costruzione della realtà: il rapporto tra potere e sapere

Modernismo Postmodernismo

6. La costruzione della realtà: il rapporto tra potere e sapere

L’uomo di cui ci parlano e che siamo invitati a liberare è già in se stesso l’effetto di un assoggettamento ben più profondo di lui. Un’“anima” lo abita e lo conduce all’esistenza, che è essa stessa un elemento della signoria che il potere esercita sul corpo. L’anima, effetto e strumento di una anatomia politica; l’anima prigione del corpo. (Foucault, Sorvegliare e punire. La nascita della prigione)

L’analisi più influente del rapporto tra discorso e il potere è stata elaborata da Michel Foucault, il quale ha cercato di mostrare il volto dei sistemi di dominio culturale e politico – il potere-sapere – dell’Occidente. Per smascherare la mistificazione del conformismo scientifico, Foucault decide di analizzare quelle pseudoscienze conosciute col nome di “scienze umane”, i campi d’indagine dove il confine tra regime ideologico e conoscenza è labile e oscuro – la linguistica, la biologia, la sessualità e l’economia –, mostrando come le tecniche di controllo possano prendere strade nuove e “invisibili”. Egli riflette sul modo in cui il potere si è venuto organizzando nelle società moderne attraverso dispositivi di controllo e istituzioni sempre più penetranti, tali da consentire il controllo della stessa vita degli individui (biopolitica)103. Tali discorsi sono, nell’ottica foucaultiana, progettati per controllare le persone e per escludere ciò che è percepito come marginale, deviante, irrazionale. E tali esclusioni nascono per Foucault in un modo classicamente marxista:

La forma giuridica generale che garantiva un sistema di diritti, egualitari in linea di principio, era sorretta da questi minuscoli, quotidiani, fisici meccanismi, da tutti questi sistemi di micro-potere – essenzialmente non-egualitari ed asimmetrici – che noi chiamiamo “discipline”, come esami, ospedali, prigioni, scuole e l’esercito.104

L’esercizio dei poteri è così sempre relazionabile a determinati saperi, a numerose istituzioni e mette quindi in gioco una certa verità o un sistema di verità. Foucault ha discusso e criticato le grandi contrapposizioni binarie, i grandi blocchi dialettici e rassicuranti potere/opposizione, dominanti/dominati in direzione invece di una microfisica in cui potere e resistenza intessono incessantemente i loro giochi di verità

103 Prefazione al Panopticon di Jeremy Bentham, una forma di prigione circolare dove tutti i detenuti sono

visti senza rendersi conto di chi è l’osservatore. Un sistema di controllo riservato non solo delle persone devianti, ma esteso a tuttigli individui sociali.

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dando luogo a una fitta trama di rapporti complessi sincronicamente e diacronicamente determinati. Il potere infatti si costruisce in un rapporto relazionale; non è mai solo una relazione verticale tra chi esercita potere e chi lo subisce: Foucault parla pertanto di “micropotere”, che, da una posizione decentrata, segue la vita reale nelle sue apparentemente irrilevanti casualità, nella famiglia, nell’economia, nelle istituzioni, nei molteplici rapporti presenti nella società: «si produce in ogni istante, in ogni punto, o piuttosto in ogni relazione fra un punto ed un altro»105. È un’analisi dal basso, che vuol portare alla luce ciò che si nasconde sotto l’algida superficie dei fenomeni, che esamina non il potere sovrano che promana dall’alto ma i poteri profusi a livello del quotidiano, gli effetti che questa “microfisica del potere” genera nella società, nelle forme della cultura e del sapere. A tale proposito, nel primo libro della Storia della Sessualità, Foucault scrive:

Con potere non voglio dire “il Potere”, come insieme d’istituzioni e di apparati che garantiscono la sottomissione dei cittadini in uno Stato determinato. Con potere non intendo nemmeno un tipo di assoggettamento, che in opposizione alla violenza avrebbe la forma della regola. Né intendo, infine, un sistema generale di dominio esercitato da un elemento o da un gruppo su un altro...Con il termine potere mi sembra si debba intendere innanzitutto la molteplicità dei rapporti di forza immanenti il campo in cui si esercitano e costitutivi della loro organizzazione; il gioco che attraverso lotte e scontri incessanti li trasforma, li rafforza, li inverte...Il potere è dappertutto; non perché inglobi tutto, ma perché viene da ogni dove. Il potere non è un istituzione, e non è una struttura, non è una certa potenza di cui alcuni sarebbero dotati: è il nome che si dà ad una situazione strategica complessa in una società data.106

Secondo Foucault, il potere non può essere studiato nelle sue istituzioni ma in base agli effetti che produce nel mondo sociale; d’altra parte non può essere identificato con un solo soggetto come lo Stato o degli organi politici, che sono solo manifestazioni di forme di assoggettamento che danno forma a tutte le relazioni umane:

Bisogna insomma ammettere che questo potere lo si eserciti piuttosto che non lo si possieda, che non sia privilegio acquisito o conservato dalla classe dominante, ma effetto d’insieme delle sue posizioni strategiche – effetto che manifesta e talvolta riflette la posizione di quelli che sono dominati. D’altra parte, questo potere non si applica puramente e semplicemente, come un obbligo o un’interdizione, a quelli che non l’hanno; esso

105 Michel Foucault, La volontà di sapere, Feltrinelli, Milano 1988, p. 82 106

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l’investe, si impone per mezzo loro e attraverso loro; si appoggia su di loro, esattamente come loro stessi, nella lotta contro di lui, si appoggiano a loro volta sulle prese che esso esercita su di loro... Infine esse non sono univoche, ma definiscono innumerevoli punti di scontro, focolai di instabilità di cui ciascuna comporta rischi di conflitto, di lotte e di inversioni, almeno transitorie, dei rapporti di forza.107

Ogni rapporto sociale è infatti un rapporto di potere: è qui che il potere si radica e si concretizza. L’individuo come essere sociale, quindi, è il prodotto delle innumerevoli relazioni di potere in cui è inserito, ed è plasmato dal potere in primo luogo in qualità di corpo.

Quel che fa sì che il potere regga, che lo si accetti, ebbene, è semplicemente che non pesa solo come una potenza che dice no, ma che nei fatti attraversa i corpi, produce delle cose, induce del piacere, forma del sapere, produce discorsi; bisogna considerarlo come una rete produttiva che passa attraverso tutto il corpo sociale, molto più che come un’istanza negativa che avrebbe per funzione di reprimere.108

A partire da una riflessione sul concetto di episteme, Foucault tenta di sviluppare un’“archeologia del sapere”, intesa come l’analisi degli ordini discorsivi che reggono il sistema dei saperi occidentali, cioè le ipotesi in gran parte inconsce, implicite e anonime che definiscono lo spazio di possibilità entro il quale si costituiscono e operano i saperi caratteristici di tale epoca. Queste sono le condizioni “storiche a priori” di un periodo che delimitano la totalità delle esperienze in un campo della conoscenza, che definiscono il modo d’essere degli oggetti nel campo. Essi definiscono inoltre le condizioni in cui un discorso può essere “vero”. Da qui nasce la necessità di scavare nella storia, quello che Foucault chiama l’archeologia dell’episteme.

Foucault descrive la relazione tra sapere e potere in maniera circolare: pertanto, ogni forma di sapere implica e si articola attraverso un certo rapporto di potere che si instaura tra soggetto e oggetto, tra enunciante e enunciato. Nel contempo ogni rapporto di potere è inscritto in un sistema, un insieme di sistemi di sapere che conferiscono delle significazioni specifiche al discorso stesso. L’ordine di un discorso, secondo Foucault, costituisce sempre un determinato rapporto tra verità e potere che di volta in volta necessita di essere indagato e compreso. Ogni discorso costituisce un sistema di veridizione, ossia un sistema di rapporto tra sapere/i e potere che rende possibile

107 Michel Foucault, Sorvegliare e Punire, cit., p. 30. 108

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l’affermarsi di una certa verità. Il problema della verità è così definito: «non ogni cosa può essere detta in ogni tempo»109, le condizioni perché compaia un nuovo oggetto si inscrivono in una trama complessa di rapporti che toccherà all’archeologo-genealogista indagare. «La verità è di questo mondo», «la verità è essa stessa potere»110: di qui, per Foucault, l’importanza di Nietzsche. La verità è, in ogni momento, la misura variabile del rapporto tra soggetti e poteri-saperi di assoggettamento, tra tecniche di dominio e tecniche del sé. Perciò politica ed etica disegnano ambiti di interrogazione non disgiungibili. Il compito principale a cui Foucault risponde è l’analisi critica dei modi mediante i quali i discorsi di verità, nei differenti spazi dei tempi storici, vengono a costruirsi. L’attestazione di verità, quindi, non è una qualità intrinseca né trascendente di un discorso ma è sempre data dalla relazione di questo enunciato con il sistema di veridizione di cui questo enunciato fa parte, l’insieme di rapporti di potere.

Una lotta “per la verità”, o almeno “intorno alla verità”, essendo inteso ancora una volta che per verità non voglio dire “l’insieme delle cose vere che sono da scoprire o da far accettare”, ma “l’insieme delle regole secondo le quali si separa il vero dal falso e si assegnano al vero degli effetti specifici di potere”.111

L’uomo si illude, quindi, quando si ritiene soggetto sovrano dei propri atti cognitivi e linguistici, padrone assoluto di sé, signore della storia di cui crede di conoscere il senso e il fine, mentre questa, in realtà, non è il risultato delle sue azioni coscienti. Quel soggetto è in realtà un oggetto; quel soggetto è, quindi, morto: l’uomo deve riconoscersi qual è, non più autonomo, artefice del suo destino, né fondamento della conoscenza. Il soggetto, ritenuto fondamento sicuro, è invece da sempre penetrato da relazioni di potere che lo fanno essere quello che è, che lo plasmano nei pensieri e nei comportamenti, nei desideri, nel corpo, nei bisogni; quel soggetto è prodotto dai saperi che con esso nascono e dalle pratiche disciplinari che ne definiscono l’identità.

Questo ethos filosofico può essere caratterizzato come un atteggiamento limite. Non si tratta di un atteggiamento di rigetto. Dobbiamo sfuggire all’alternativa del fuori e del dentro. Dobbiamo stare sulla frontiera. La critica è proprio l’analisi dei limiti e la riflessione su di essi. Ma, se la questione kantiana era di sapere quali siano i limiti che la conoscenza deve rinunciare a superare, mi sembra che, oggi, la questione critica debba

109 Michel Foucault, L’Archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 1971, p. 61. 110 Michel Foucault, Microfisica del potere, cit., p. 25.

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essere ribaltata in positivo: qual è la parte di ciò che è singolare, contingente e dovuto a costrizioni arbitrarie in quello che ci è dato come universale, necessario e obbligato? Si tratta, insomma, di trasformare la critica esercitata nella forma della limitazione necessaria in una critica pratica nella forma del superamento possibile. … Tale critica sarà genealogica nel senso che coglierà, nella contingenza che ci ha fatto essere quello che siamo, la possibilità di non essere più, di non fare o di non pensare più quello che siamo, facciamo, pensiamo.112

La genealogia, che Foucault ritiene il fine della propria ricerca, rappresenta “l’accoppiamento delle conoscenze erudite e delle memorie locali: accoppiamento che permette la costituzione storica di un sapere di lotta e l’utilizzazione di questo sapere all’interno delle tattiche attuali”, uno strumento d’indagine sui saperi intesi come sistemi autonomi, essa ne delinea le regole, gli svolgimenti, le linee di continuità e di frattura.

Bisogna sbarazzarsi del soggetto stesso, giungere cioè ad un’analisi storica che possa render conto della costituzione del soggetto nella trama storica. Ed è questo che chiamerei genealogia, una forma cioè di storia che renda conto della costituzione dei saperi, dei discorsi, dei campi di oggetti, ecc., senza aver bisogno di riferirsi ad un soggetto che sia trascendente rispetto al campo di avvenimenti che ricopre, nella sua identità vuota, lungo la storia.113

Il loro discorso in realtà contribuisce a creare identità subordinate di coloro che sono esclusi dal discorso stesso o ai margini della società: «Il fatto è che, per Foucault, ciò che conta è la differenza fra il presente e l’attuale. L’attuale non è ciò che siamo, ma piuttosto ciò che diveniamo, ciò che stiamo diventando, ossia l’Altro, il nostro divenir- altro»114.

I postmodernisti vanno oltre la concezione foucaultiana per giungere a un punto più generale. Il “discorso”, da questo punto di vista, è come un linguaggio derridiano, non è di proprietà di individui che controllano, ma va al di là di essi. Né si viene a trovare soltanto in contesti formali. Essi impregnano la società in ogni suo aspetto, dalle sentenze dei giudici alle riviste scientifiche, dalle pubblicità TV alle canzoni pop e ai quotidiani. Gli individui interiorizzano queste norme che, come Derrida e Foucault affermavano, fanno spesso parte del linguaggio: vengono usate inconsapevolmente,

112 Michel Foucault, “Che cos’è l’Illuminismo?”, in Archivio Foucault 1978-1985, cit., p. 228. 113 Michel Foucault, Microfisica del potere, cit. p. 11.

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come se fossero fatti naturali piuttosto che caratteristiche psicologicamente e politicamente motivate dal discorso ideologico che giace sempre alla base.

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