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La costruzione della storia

La novella, pubblicata nel 1845, e resa celebre dall’opera di Georges Bizet (1875) è divisa in quattro parti: nelle prime tre viene narrata la vicenda, mentre nella quarta, aggiunta solo posteriormente, si trova un excursus sugli usi e costumi dei gitani, un vero e proprio studio sull'atteggiamento etnocentrico che regola il contatto con l'alterità. Riguardo a quest’ultimo capitolo la critica si è divisa mettendone in dubbio l’utilità e soprattutto la necessità.

Nel primo capitolo incontriamo il Narratore del quale non viene rivelato il nome, di lui si sa soltanto che è un archeologo che si trova in Spagna per motivi di studio, in particolare per scoprire dove si è realmente svolta la battaglia di Munda, che egli ubica nei pressi di Montilla.

Impegnato in questo lungo viaggio nell’entroterra, l’autore si imbatte in un misterioso fuorilegge, Don José, ricercato in tutta l’Andalusia per furto, contrabbando e omicidio. Di

lui vengono offerti pochi, ma essenziali tratti: capelli biondi e occhi azzurri, una bella bocca e mani piccole; è vestito in modo elegante, una camicia leggera, una giacca di velluto con bottoni d’argento e ghette di pelle bianca.

In seguito conoscerà anche la donna di José, un’affascinante gitana, che lo ammalia e lo inganna, leggendogli la mano e contemporaneamente rubandogli l’orologio. Durante l’incontro con la giovane interviene Don José che inizialmente crede che l’archeologo sia

un nuovo amante della donna, ma riconoscendo il suo salvatore, si rifiuta di ucciderlo, come lei invece vorrebbe, e lo lascia andare.

67 Edizione di riferimento: Prosper Mérimée, Carmen, a cura di Silvia Lorusso, introduzione di Francesco

60 Dopo qualche tempo l’autore viene a sapere che José sta per essere giustiziato per l’omicidio della sua compagna. In un lungo colloquio, il bandito racconta con passionalità

la storia della sua vita travagliata e del suo amore per la bella Carmen, per la quale ha abbandonato la retta via ed è diventato ladro e contrabbandiere. Lui, brigadiere basco di servizio in Andalusia, conosce lei, contrabbandiera, ladra e prostituta. Nel momento in cui deve arrestarla, però, non ha il coraggio di farlo e la lascia fuggire, rendendosi complice delle malefatte della donna. Punito, viene degradato e messo di guardia alla casa di un colonnello, come soldato semplice. Proprio in questo luogo rivede Carmen, che prima lo sbeffeggia e poi lo seduce passando una notte con lui. Ma lei continua, nonostante tutto, la sua vita di donna libera e promiscua: la gelosia di José, che vorrebbe averla tutta per sé, lo porta, perciò, ad uccidere un suo commilitone, amante della donna, e per questo deve abbandonare la carriera militare ed è costretto a darsi ad affari illeciti insieme agli zingari, compagni di lei. Quando viene a sapere che Carmen è sposata con Garcia detto il Guercio, rimane nuovamente deluso dalle bugie della donna e uccide il marito, per poter vivere il suo amore senza nascondersi con il resto della banda. Ma solo poco dopo viene a sapere che Carmen ha un nuovo amante: un picador di nome Lucas. Disperato e ormai stanco della sua condotta, le lancia un’ ultima proposta: fuggire insieme in America e rifarsi una vita alla luce del giorno. Ma per Carmen il valore della libertà è infinitamente più alto di quello dell’amore, forse anche di quello della vita. Così Carmen va incontro alla morte:

non si pente, né fugge. José la uccide, preso dalla folle gelosia, e, sepolta la sua amata, si consegna al primo posto di guardia per subire il suo destino.

Le vicende dei due amanti, dunque, rappresentano il racconto di secondo grado che don José stesso, condannato a morte e sul punto di essere giustiziato, rivela al narratore di primo grado.

61 Come ho già detto l'autore del racconto si trova in Andalusia per motivi di studio, ed è qui, che ha luogo il primo incontro col bandito don José Navarro, ricercato dalla giustizia;

All'inizio del secondo capitolo troviamo il narratore a Cordova, a studiare un manoscritto contenuto nella biblioteca dei Domenicani, “ma non tanto assorto da non assistere con

interesse allo spettacolo delle donne del luogo che, all'ora del tramonto, si bagnano nel Guadalquivir”68

4.2 Carmen

Così Carmen fa il suo ingresso nella storia di primo grado.

“Una sera, all'ora in cui non si vede più nulla, fumavo appoggiato al parapetto del lungofiume, quando una donna, risalita la scala che conduce alla riva, venne a sedersi accanto a me. Aveva tra i capelli un grosso bouquet di gelsomini, i cui petali, la sera, emanano un odore inebriante. Era vestita con semplicità, forse addirittura poveramente, tutta di nero, come di sera la maggior parte delle sartine. Le signore per bene portano il nero solo di mattina, la sera si vestono alla francesa. Avvicinandosi, la mia bagnante si lasciò scivolare sulle spalle la mantiglia che le copriva la testa, e all’oscura luminosità che cade dalle stelle vidi che era piccola di statura, giovane, ben fatta, gli occhi molto grandi. Subito gettai il sigaro. Capì quest’attenzione di una cortesia tutta francese e si affrettò a dirmi che amava molto l'odore del tabacco e che anche lei fumava quando trovava dei papelitos dolci” (p. 71)

Già da questa prima descrizione si evince che la figura di Carmen richiama per certi aspetti i personaggi verghiani, come la Lupa dell'omonima novella che abbiamo incontrato nel primo capitolo. In particolare essa incarna, con la sua forza naturale, incoercibile, con la sua bellezza strana e selvaggia, con il suo sguardo a un tempo voluttuoso e ferino, un mondo di pulsioni e d'istinti profondi e primigeni, terribili e insieme vitali. È una donna che non rispetta le convenzioni sociali, è un personaggio complesso e incoerente, in cui si delineano caratteristiche e sfaccettature caratteriali diverse, talvolta addirittura in contrasto tra loro. È una donna indubbiamente sensuale, ma in un modo malizioso, è un’adescatrice

il cui divertimento principale è quello provocare gli uomini.

62 Il narratore inizia a corteggiare la donna, la quale lo mette a conoscenza delle proprie origini:

“-Se riconoscete così bene gli accenti, dovreste indovinare chi sono”. -Credo che siate del paese di Gesù, a due passi dal Paradiso.- “Bah! Il paradiso... La gente di qui dice che non è fatto per noi”.- “Allora sareste moresca, o...”, - mi fermai, non osando dirlo- ebrea. -“Su, andiamo! Vedete bene che sono una Zingara; volete che vi dica la baji? Avete mai sentito parlare di Carmencita? Sono io” (p. 73 ).

Inizia a questo punto una descrizione minuziosa del carattere enigmatico e della bellezza di Carmen.

“Dubito fortemente che la signorina Carmen fosse di razza pura: ciò nondimeno era di gran lunga la più bella di tutte le donne del suo popolo che avessi mai incontrato. Perché si possa dire che una donna è bella, sostengono gli spagnoli, occorre che riunisca in sé trenta si, o se vogliamo che la si possa definire con dieci aggettivi, ciascuno di essi attribuibili a tre parti della sua persona. Per esempio deve avere tre cose nere: gli occhi, le ciglia e le sopracciglia; tre cose sottili: le dita, le labbra, i capelli, ecc. […] La mia gitana non poteva sperare in tanta perfezione. La sua pelle, peraltro perfettamente liscia, si avvicinava molto al colore del rame. I suoi occhi erano obliqui, ma di un taglio splendido; le sue labbra un po' spesse, ma ben disegnate, e lasciavano vedere dei denti più bianchi delle mandorle sgusciate. I suoi capelli, forse un po' grossi, erano neri con riflessi azzurri come l'ala di un corvo, lunghi e lucenti […] In lei ogni difetto si univa a una qualità che forse risultava maggiormente per il contrasto. Era una bellezza strana e selvaggia, un volto che stupiva all'inizio, ma che non si poteva dimenticare. I suoi occhi, soprattutto, avevano un'espressione insieme voluttuosa e selvaggia che non ho mai più ritrovato in nessun altro sguardo umano” (pp.75-77).

Come abbiamo più volte sottolineato nel corso di questa tesi, due dei tratti tipici della donna fatale sono occhi e capelli neri, caratteristiche che conferiscono alla sua bellezza qualcosa di magico e diabolico, di ammaliante e malvagio, di non umano. Carmen è allo stesso tempo bella e feroce, l'affascinante strega esprime una malizia che lascia trasparire sdegno, ironia uniti all'assenza di sensibilità. Il potere ammaliante di Carmen viene sottolineato più volte nel corso della narrazione attribuendole appellativi che appartengono al campo semantico della stregoneria e del demoniaco:

“non ne vedevo neppure una che valesse quel diavolo di donna. E poi, senza che lo volessi, sentivo il fiore di gaggia che mi aveva gettato e che, ormai secco, continuava a conservare il suo profumo… Se vi sono delle streghe, quella ragazza era una di loro!” (p. 101 )

63 “Bah! ragazzo mio, credimi, ne sei uscito bene. Hai incontrato il diavolo, sì, il diavolo; non è sempre nero e non ti ha tirato il collo. Sono vestita di lana, ma non sono una pecorella” (p. 115)

“<<Sei il diavolo>>, le dicevo. <<Sì>>, mi rispondeva”. (p. 133)

“aggiunse con un certo sorriso diabolico che aveva in alcuni momenti, e quel sorriso nessuno avrebbe avuto voglia di imitarlo” (pp.143-145)

Il narratore, tornato ai propri studi e ai propri viaggi, con un salto temporale, passa a raccontare quello che succede mesi più tardi, quando viene informato da un domenicano, a Cordova, che don José si trova in prigione, in attesa di essere giustiziato.

L'autore si reca dall'uomo che l'indomani subirà la condanna a morte e questi gli narra la sua tormentata vicenda.

Il lettore e il narratore apprendono solo ora che il vero nome di don José è José Lizarrabengoa, ha ucciso un uomo durante una rissa per futili motivi ed è stato costretto a scappare e cambiare nome; giunto a Siviglia si è unito a un plotone di soldati con funzioni di polizia. Il giorno in cui monta la guardia alla manifattura di tabacchi vede per la prima volta Carmen, al lavoro tra le sigaraie le cui pause sono scandite dai rintocchi della campana;

La miglior difesa che don José è in grado di opporre al suo fascino consiste, più ancora che nel ruolo che ricopre, nella coscienza delle sue origini: egli è il solo a non subire l'attrattiva delle sigaraie andaluse, anzi addirittura è intimorito dai loro modi.

La paura del nuovo prende forma e si potenzia attraverso la paura del diverso, ora rappresentato dalle donne spagnole; essa è interiormente giustificata e compensata da un’immagine stereotipata della figura femminile incarnata dalle belle ragazze con la gonna

azzurra e le trecce cadenti sulle spalle del paese natio di don José, dove i tratti familiari dell'appartenenza escludono ogni aggressività.

64 Si prosegue poi con la descrizione di Carmen:

“Ecco la gitanilla! Alzai gli occhi, e la vidi. […] Aveva una sottanina rossa molto corta che lasciava scorgere calze di seta bianca con più di un buco, e scarpine di pelle rossa allacciate con nastri color fuoco. Scostava la mantiglia per mostrare le spalle e un grosso bouquet di gaggia che spuntava dalla camicia. Aveva un altro fiore di gaggia all’angolo della bocca, e avanzava ancheggiando come una puledra dell’allevamento di Cordova. Nel mio paese una donna vestita a quella maniera avrebbe obbligato tutti a farsi il segno della croce. A Siviglia, tutti le rivolgevano complimenti spinti per il suo aspetto; a ognuno rispondeva ammiccando, col pugno sull’anca, sfrontata come una vera Zingara qual era”. (pp. 89-91)

In primo luogo è da sottolineare il colore rosso, che, come abbiamo già visto quando abbiamo analizzato il Piacere è il colore tipico della femme fatale, e il vestiario è succinto, provocante tanto che nel paese d'origine dell'uomo, spiega don José, avrebbe reso necessario il ricorso a gesti di scongiuro da parte dei compaesani (si ricordino a tal proposito i gesti che delle donne siciliane al passaggio della Lupa). Inoltre, il suo incedere è simbolo anche di sfrontatezza, indecenza e consapevolezza delle proprie armi di seduzione che non esita a utilizzare.

Un esempio di questa sua consapevolezza è l’episodio in cui cerca di convincere Don José a liberarla:

“comincia a lasciar cadere la mantiglia sulle spalle, per mostrarmi il suo visetto adescatore” (p. 95 )

Carmen utilizza armi efficaci per ottenere ciò che vuole dagli uomini, che sa di poter convincere a fare di tutto per lei.

“In un balzo mi scavalca e si mette a correre mostrandoci un paio di gambe!Si dice gambe di Basca: le sue le valevano bene… tanto veloci quanto bene fatte” (p. 99)

65 È un’ammaliatrice, semplicemente irresistibile, soprattutto per José, il quale dimostra la completa dipendenza da lei:

“Tuttavia non riuscivo a non pensare a lei. Lo credereste, signore? le sue calze di seta bucate che mi faceva vedere completamente fuggendo, le avevo in continuazione davanti agli occhi. Attraverso le sbarre della prigione guardavo in strada, e, tra tutte le donne che passavano, non ne vedevo neppure una che valesse quel diavolo di donna” (p. 101 )

“Ah! signore, quella giornata! quella giornata! … quando ci penso, dimentico quella di domani (p. 113)

“Ebbi la debolezza di richiamarla, e le promisi di far passare tutta la tribù degli Zingari, se fosse stato necessario, purché ottenessi la sola ricompensa che desideravo”. (p. 119 )

Carmen ha dei comportamenti insoliti per una donna: ella infatti fuma sigari, difende la sua promiscuità, non si cura dell’amore di José e si occupa di lavori di contrabbando e di traffici illeciti:

“si affrettò a dirmi che amava molto l’odore del tabacco, e che anche lei fumava quando trovava dei papelitos dolci”. (p. 71)

“ Nel mio paese una donna vestita in quella maniera avrebbe obbligato tutti a farsi il segno della croce”. (p. 91)

“Non vedi, stupido che non sei altro, che in questo momento faccio gli affari d’Egitto e nella maniera più brillante? Questa casa è mia, le ghinee del gambero saranno mie; lo meno per il naso; lo condurrò da dove non uscirà mai più” (p. 139 )

Dunque, nella coppia José-Carmen, è il primo ad essere il portatore dei valori tradizionali come l’amore, la dedizione, la fedeltà. È interessante notare che nel racconto non è

presente, come abbiamo visto fino ad ora, la figura della donna-angelo con funzione salvifica, Carmen monopolizza completamente la scena con la sua figura di donna dominatrice e sanguinaria alla quale si accompagna un uomo sottomesso e impotente. La donna, ormai impadronitasi dell’arte della seduzione, conduce con abilità questo gioco, trovando dall’altra parte un uomo combattuto tra i suoi doveri di soldato e la passione

travolgente nei suoi confronti.

Carmen non potrà mai essere “ una ragazza carina, assennata, modesta, di buone maniere;

66 Non rispetta le convenzioni sociali imposte, ma solo quelle della sua natura di donna e zingara. L’associazione tra i comportamenti e il carattere della donna a caratteristiche

animalesche sono ricorrenti nel corso del racconto:

“ Era una bellezza strana e selvaggia, un volto che dapprima lasciava attoniti, ma che non si poteva dimenticare. I suoi occhi soprattutto avevano un’espressione allo stesso tempo voluttuosa e feroce che non ho mai più trovato in alcuno sguardo umano. Occhio da Zingaro, occhio da lupo” (pp. 75-77)

“ma lei, seguendo l’uso delle donne e dei gatti che non vengono mai quando li chiami e che vengono quando non li chiami, mi si fermò davanti e mi rivolse la parola” (p. 91)

Come punizione per aver favorito la sua fuga, l'ufficiale passa un mese in prigione. Paradossalmente, è proprio il rifiuto di don José di subire il fascino collettivo delle sigaraie andaluse e quello di Carmen in particolare a segnare il suo destino: la donna, non essendo voluta, lo fa oggetto del proprio desiderio. Ma i suoi stati d’animo cambiano in un istante, è lunatica e capricciosa e colui che fa le spese di questo atteggiamento è sempre José, che cerca di stabilire con lei un contatto, un legame che l’aiuti a comprenderla; ma non riesce mai a “catturare i suoi pensieri”, a capire ciò che pensa davvero.

Ne sono un esempio i momenti che i due passano da soli, in cui lei si rivela più spensierata ma anche volubile e avventata:

“All’inizio della strada del Serpente comprò una dozzina di arance che mi fece mettere nel fazzoletto. Un po’ più lontano comprò anche un pane, del salame, una bottiglia di manzanilla, infine entrò da un pasticciere. Là, gettò sul banco la moneta d’oro che le avevo restituito, un’altra che aveva in tasca e in più qualcuna d’argento […] Credetti che volesse svaligiare il negozio. Prese tutto quanto vi era di più buono e di più costoso, yemas, turon 54, frutta candita, fino a spendere tutti i soldi. […] Quando fummo soli, cominciò a ballare e a ridere come una pazza, cantando […] Dopo che ebbe mangiato dei confetti come un bambino di sei anni, ne mise qualche manciata nella giara dell’acqua della vecchia. <<È per farle un sorbetto>> disse. Maciullava gli yemas lanciandoli contro il muro. <<Così le mosche ci lasceranno tranquilli…>> Non c’è giravolta e sciocchezza che non abbia fatto. Le dissi che avrei voluto vederla danzare; ma dove trovare le nacchere? Immediatamente prende l’unico piatto della vecchia, lo rompe a pezzi, ed eccola ballare la romalis facendo

67 schioccare i cocci di terraglia come fossero nacchere di ebano o di avorio. Non ci si annoiava con quella ragazza, ve lo garantisco” (pp. 109-113 )

“ma Carmen aveva l’umore così come da noi è il tempo. Mai il temporale nelle nostre montagne è tanto vicino come quando il sole è più luminoso” (p. 121)

“Ero così debole davanti a questa creatura che obbedivo a tutti i suoi capricci” (p.127 ) “appena fummo soli, cominciò con una delle sue risate da coccodrillo e mi si gettò al collo. […] E quindi tenerezze!… e poi risate!… e danzava e strappava le sue balze: mai scimmia fece più saltelli, smorfie, diavolerie”. (p. 143)

Anche l’atteggiamento che ha nei confronti dell’amore è giocoso, non prende mai niente

sul serio compresi i sentimenti di José, anzi si prende gioco di lui in continuazione.

“Sono di Etchalar, -disse.- (E’ un paese a quattro ore da noi.) Sono stata portata a Siviglia da alcuni Zingari. Lavoravo nella manifattura per guadagnare il necessario per ritornare in Navarra, dalla mia povera madre che ha soltanto me come sostegno e un piccolo barratcea con venti meli di sidro. Ah! se fossi al paese, davanti alla montagna bianca! Mi hanno insultata perché non sono di questo posto di mascalzoni, mercanti di arance marce; e queste cialtrone si sono messe tutte contro di me, perché ho detto che i loro jaques di Siviglia con i loro coltelli non farebbero paura a uno solo dei nostri giovanotti col suo berretto blu e il suo maquila. Compagno, amico mio, non farete nulla per una compaesana?” (p. 97)

“Mentiva, signore, ha sempre mentito. Non so se nella sua vita quella ragazza abbia mai detto una sola parola di verità” (p. 99)

“Si rovesciò sul divano scoppiando a ridere per la sua traduzione […] <<Maquila, che vuol dire?>> domandò l’Inglese. <<Maquila,-disse Carmen continuando a ridere, - è un’arancia. Non è una parola bizzarra per un’arancia? Dice che vorrebbe farvi mangiare del maquila>>. […] Non risposi nulla ed ero già in strada quando l’Inglese mi gridava: <<Portate domani del maquila!>> e sentivo gli scoppi di risa di Carmen” (pp. 141-143) Arriva addirittura, in alcune occasioni, a mostrare freddezza e cinismo di fronte alle dichiarazioni d’amore di lui.

“Ascolta, Joseito, -disse,- ti ho ripagato? Secondo la nostra legge, non ti dovevo nulla, poiché sei un payllo69; ma sei un bel ragazzo e mi sei piaciuto. Siamo pari. Ti saluto” (p.

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