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Interviste presenti in appendice

E: Lei coxa la pensava in quei anni dei scioperi?

B: Erano utili, perché dopo, fasendo siopero i otteniva diversi miglioramenti, guai se no! Però adesso tolgono di nuovo tutto quello che hanno ottenuto loro. Mio marito ha sempre fatto sioperi, le ha anche prese. Quando che iera la polizia che rivava da [Padova].

E: Lui era iscritto a qualche sindacato?

B: Alla Cgil. Dopo ha cambiato, è andato con la Uil. Perché lo aveva fatto arrabbiare uno dentro al sindacato. Però lui ha sempre pagato la tessera, finché ha finito di lavorare. È stato quasi trentotto anni e mezzo al cantiere. Ha fatto abbastanza soldi. Prima la cassa integrazione, quando se gavemo sposà, dopo i sioperi che mettevano co’ l’otto per cento. Dopo el se gaveva malà e lo avevano messo a fare dei lavori utili nel cantiere. Ha sempre perso tutto. Sempre perso. Era una persona umile, lui. Mica si lamentava mai.

E: Parlavate mai del lavoro, tra di voi?

B: A casa non se parlava tanto. Sì, se parlava se non ‘ndava d’accordo con qualcuno, ma non del lavoro.

No xè che el gaveva proprio tanta soddisfazion… E: E di rivendicazioni, cose del genere?

B: Perché lui ha cambiato tre volte lavoro, anche. Prima faceva il muratore dentro con le armature, dopo l’hanno messo a pulire, spazzare, perché era malato, aveva avuto la pleure. L’avevano messo a fare quel lavoro là perché aveva anche dei giramenti di testa. No xè che lui si lamentava tanto. Anzi, era troppo servizievole. Anche coi capi, sempre giù: signorsì, signorsì.

F: Della vecchia guardia.

B: Lui non si faceva trovare di sicuro seduto. Anzi. Attento che non passi il guardiano, che non passi il direttore, per non farsi prendere in castagna.

F: Quel el ne lo gà inculcà anche a noi. Co’ se va al lavoro non se sta mai fermi.

B: Lui andava a lavorare la mattina presto. Anche quando si era venuti ad abitare qui a Panzano, lui alle sette e un quarto, sette e dieci, partiva di casa. E il portone era lì.

167 F: Tre quarti d’ora prima.

B: Lui doveva essere il primo a entrare dentro quando aprivano il cancello. Doveva essere puntuale, alle otto, quando che suonava di essere già sul lavoro.

E: Voi vi siete conosciuti che lui era già in cantiere?

B: Sì. Lui lavorava. È andato a quattordici anni a lavorare nel cantiere. F: Subito nel dopoguerra che lavorava per la ricostruzione delle case.

B: Difatti lavoravano sulle case fuori, c’era suo papà, che faceva il muratore, sempre per il cantiere, e l’ha portato dentro. Proprio il giorno del suo compleanno l’ha portato dentro. Era tutto contento. Difatti dopo non ha fatto neanche il militare.

Difatti noi coi muli li si guardava: «Oh, lavora al cantier…», perché iera un lusso. Un posto sicuro. Che quella volta non avevano lavoro. La paga era settimanale. Però dopo sono cominciati i guai. Abbiamo fatto degli anni anche un po’ duri.

E: E quando le figlie sono cresciute?

B: Poi siamo venuti ad abitare a Monfalcone che eravamo in quattro, in una casa con due stanze da letto, la cucina e basta con il gabinetto, non bagno: gabinetto e basta. A Panzan, provvisorie. Dopo tredici anni che se faseva domanda… «Prendi questa, dopo casomai facciamo cambio con una più grande…». Trent’otto anni prima che mi diano il cambio dove sono qui, sola, adesso con una stanza in più.

F:La ga avù la casa grande dopo trentotto anni, quando che no iera più [necessità].

B: Allora siamo venuti ad abitare a Monfalcone, dopo xè rivà el quinto. Camera e cucina e xè pagava un po’ de affitto. Ma io non mi lamentavo mai. Poi non aveva la corriera di pagare mio marito, per venire qui.

F: Poi, co’ semo venui ad abitar qua in gennaio, mi gò finì le medie in giugno andando a Turriacco.

B: Lei è andata a lavorare. E: Subito come parrucchiera? F: No, un mese come magliaia. E: Cos’era?

168 F: Lavorar con le maglie. Quel lavoro me gò licenzia, praticamente perché con gli occhiali iero ubriaca alla sera. Poi a settembre gò comincià a far la commessa de tessuti.

B: E prima, quando che ieravamo a Turriacco, e ho detto: «Beh, adesso andiamo ad abitare a Monfalcone». Lei era già grandina, allora volevo fare qualche ora la mattina per aiutare. Qualche pulizie in qualche posto. Invece strada facendo son rimasta incinta del quinto. Così niente. Allora lei ha dovuto, perché potevo mandarla avanti a scuola e invece ha dovuto andare a lavorare.

E: E questo siamo attorno ai? B: ‘58.

F: No, ‘58 son nata. Mi son andada a lavorar nel ‘72.

B: Nel ‘72 che è nato quell’altro, dopo. Lei, dopo che è nato Moreno, andava a lavorare. Poi era in una casa e ha fatto l’assistente, perché l’ho partorito a casa. Lei faceva il pranzo per suo papà, a mezzogiorno era pronto in tavola e prima di tutti mi portava a me, a letto. Poi aveva pronto per i fratelli e suo papà. Era bravissima. Quella volta non se gaveva la lavatrice. F: No, iera un bel mastel246.

B: No, ma a Turriacco gavevimo ciolto247 già la lavatrice, perché gavevo l’acqua. Ta la casetta no gavevimo. Qua la lavatrice iera.

F: Però lavavo la roba del cantier, le tute, el terliss. Famoso co’ l’amianto.

B: La lavava, la metteva a sugar248. Da mamma la faceva. Allora io dal letto la guidavo: «Fai

questo, fai quello…». Però ha dovuto contribuire subito anche lei.

F: Co’ la gà finì el “puerperio” mi son andada a lavorar. Gò lavorà un anno e mezzo. Dopo i me gà licenzià perché dovevo passar a operaia, gò finì l’apprendistato e dopo…

B: … perché i ghe doveva far la paga de operaia e allora i la gà mandà via.

F: Non subito perché son passata da un lavoro che prendevo già centoventimila lire al mese a dodici mila lire al mese. Come inizio de parrucchiera. Quindi per la nostra famiglia iera un disastro.

E: Quante sorelle ha?

246 Secchio. 247 Comperato. 248 Asciugare.

169 B: Tre adesso. Ierimo in sei. Una è morta giovane a diciannove anni. Adesso siamo tre sorelle ancora e un fratello.

E: Sempre in bici?

B: Sempre. Non ho la patente io, mai fatta né mì, né mio marì. Non se poteva. Troppi bambini. O mangiare o prendere la macchina. Non mi interessa. Bicicletta. Ho preso il motorino per andare giù da mia mamma e dopo l’ho buttato via.

E: Perché sua mamma era a Turriacco?

B: No, era ad Aquileia. Poi era andata a Terzo. Poi è andata a Ruda con mia sorella, quando stava male. La mie corse le ho fatte. Prima, quando che abitavo a Turriacco andavo in bicicletta fin a Aquileia. Poi da Monfalcone è un sacco distante. Comperà un motorino de seconda mano, era seminuovo, correvo come una matta. Almeno una volta alla settimana andavo giù a trovarla. Poi quando non c’era più, per andare a Mofalcon non me interessava el motorino. Neanche pagare l’assicurazione e il bollo. Ogni volta che rinnovavo iera un aumento non indifferente. Poi lo adoperavo solo d’estate.

E: Ha mai dovuto lavorare? B: Dove lavorare?

E: In generale, a parte tirar su i bambini, cucinare… B: Dopo che loro erano grandi, a far qualche pulizia. E: Beh è lavoro!

B: Sì, ma stiamo attenti.

E: Son cose che rimangono per l’università. B: Qualche lavoretto, così. Giusto per aiutare. E: Com’era la sua vita prima di sposarsi?

B: Campagna. Erano contadini, mezzadria e da undici anni che ho terminato le elementari sono andata subito nei campi. Perché mio papà gà preso tutto. Ierimo una famiglia numerosa: mio nonno, mia nonna e tre zii in casa tutti sposati coi figli. Eravamo tutti in casa che si lavorava la campagna. Poi si sono un po’ divisi, perché i nonni sono rimasti con quelli che tenevano la campagna… Siccome mio papà era quello che aveva più figli ha tenuto la campagna. Però eravamo tutti piccoli. Quando lui ha preso la campagna mia sorella aveva

170 undici anni, io dieci e quegli altri tutti indietro. Terminate le scuole siamo andati tutti nella campagna. Infatti, quando ci vedevano passare che andavamo verso i campi c’era un signore che diceva: «Ecco, passano le pecore!», perché eravamo tutti un dietro l’altro. Là a lavorare nei campi con i grandi. Fino a diciannove anni sono andata in campagna. Senza paga, senza niente, perché non era pagato. In mezzadria avevi i raccolti e più della metà andava al padrone. Quando erano i raccolti te avevi il soldino e te andavi a far la spesa. O far la spesa senza soldi e poi te andavi dopo col raccolto che andavano a pagare. Da vestire, da mangiare e tutte quelle cose là. Poi, quando eravamo più grandi, mi ricordo di mia mamma che andava per la domenica, magari che si andava a ballare, si andava a vendere le galline per poterci dare i soldini per andare al cinema o a ballare.

E: Andava a ballare, andava al cinema?

B: Dopo i diciassette anni. Mi ricordo la prima volta che son andata al cine, non mi ricordo neanche che film che era, con mia mamma siamo andati io e mia sorella e mio fratello. E: Dove?

B: Ad Aquileia. Siamo andati al cinema. Quando che poi è venuto la fine del primo tempo io pensavo che fosse la fine, mi sono alzata: «Mamma, andiamo!» «No, è la fine primo tempo!» . Non capivo niente, perché non ero mai andata al cinema. Dopo, la domenica, si sempre andava al cinema. Poi per andare a comperare le calze si andava in cerca di ferro vecchio o rame, si vendeva… Le tele dei conigli si vendeva, per potersi comprare le calze! Uno d’estate e uno d’inverno.

E: La guerra, se la ricorda?

B: Mi ricordo sì. Avevamo anche i tedeschi in casa, noi. Perché avevano requisito le stanze. E anche se non li volevi, dovevi accoglierli. Erano brave persone, però, quelle che erano lì. Ci venivano vicino, ci mostravano le loro bambine a casa: «Noi dovere fare la guerra. Non che volere. Dovere…».

E: Erano ufficiali?

B: Sì. Li mandavano a dormire nelle case. Poi mi ricordo una riunione in una frazione di Aquileia, a Monastero abitavo, nella piazzetta erano tutti con i cavalli riuniti e uno ha sparato e, allora, lì son venuti tutti da tutte le case a cercare, che ne pareva da qualche finestra che dava sulla piazza. Mi ricordo sono venuti e noi ragazzi, erano già le otto di sera, eravamo già tutti sù, nelle camere per andare a letto. Si dormiva tutti in una stanza. I genitori anche. Si saltava sul letto, non si dormiva, si giocava. Sono arrivati questi tedeschi a cercare chi aveva

171 sparato e mia mamma: «Ci sono i bambini!». Loro con il mitra, venuti dentro la stanza, aperto la porta e dopo hanno visto che eravamo noi, che si giocava, dopo sono andati via e non hanno trovato chi cercavano.

E: Cercavano partigiani? B: Chi aveva sparato.

E: Lei cosa si ricorda dei partigiani?

B: Mio zio era partigiano. Era in casa. Una sera hanno fatto una riunione tutti i partigiani e dormivano questi due tedeschi. Però erano fuori. Quella sera si sono riuniti e han fatto la cena, una finta cena tra amici, e poi sono arrivati a casa i tedeschi a dormire. Sono entrati e mio zio ha detto: «facciamo una festa di compleanno tra amici.» «Ah, va bene.» Poi sono andati su in camera e gli altri sono andati via. Però era un po’una paura. Era pericoloso. Mi ricordo però, quando dopo dovevano scappare i tedeschi, ritirarsi, quelli che erano lì da noi ci hanno detto: «Guardate, stasera abbiamo minato il ponte vicino a casa nostra.» Allora a mia mamma ha detto: «Metta due, tre vestiti uno sopra l’altro ai bambini, perché se fanno saltare il ponte, qui la casa non so come va… Vi avverto prima che venga fatto saltare il ponte. Voi scappate por i campi, dietro.» Allora mia mamma aveva messo i piatti, le pentole nella paglia perché non si rompano e vestiti tutti. Invece, dopo non son riusciti a far saltare il ponte, perché son dovuti scappare prima. Era stata anche brava questa persona ad avvertirci. C’erano anche le persone buone.

E: E i bombardamenti? Avevano bombardato?

B: Sì, altroché. Una volta eravamo in chiesa di Santo Eramcora e Fortunato, sopra si sparavano. Tutta la gente è uscita e siamo andati a casa per la via sacra da un albero all’altro. Mia mamma, povera, che ci strascinava a casa. Poi son venuti giù gli aerei. Avevo sempre paura. Avevano fatto il bunker sotto, nel cortile, ma cosa vuoi che sia quella roba là? Adesso che mi penso!

E: Cosa facevate mentre eravate sotto?

B: Niente, si stava lì. Un’altra volta a casa da scuola, io e mia sorella, eravamo per la strada ad Aquileia, la via Julia, dove c’è il foro romano… Prima erano case, proprio lì è arrivato l’apparecchio perché aveva visto una corriera che stava andando verso Cervignano, si è abbassato e si è messo a mitragliare la corriera. Io e mia sorella eravamo lì in strada. Come si è sentito mitragliare una signora ci ha visto che eravamo lì, ci ha preso per i bracci e ci ha tirate dentro in casa. Ci ha fatto andare dentro nella casa. Paura quella volta!

172 E: Se lo ricorda l’8 settembre?

B: No, quello non mi ricordo tanto. E: E la Liberazione?

B: Sì, che son venuti tutti giù, gli americani. Si andava fuori a buttargli i fiori. Quand’era l’Armistizio son andati tutti gli uomini, mio papà, coi carri a Villa Vicentina a prendere nelle caserme vestiario, coperte, da mangiare… Però avevano già portato via le cose più importanti. I militari erano scappati, anche i nostri. Abbiamo sempre aiutato la gente. Anche lì eran dei militari scappati, venuti a casa nostra, gli abbiamo dato dei vestiti in borghese per poter andare a casa. Difatti uno era innamorato di una mia zia, così è andato a casa e poi è ritornato a prendersela, se l’è portata a casa e se l’è sposata.

E: Lei a che età ha conosciuto suo marito?

B: Avevo vent’anni. A ventuno mi son sposata e la figlia subito dopo. Perché ero già incinta quando mi son sposata. Mi son sposata a febbraio e lei è nata a giugno.

E: Vi eravate sposati a Monfalcone?

B: No, ad Aquileia. Siamo andati la mattina presto, perché quella volta là una donna incinta non podeva sposarse dopo delle otto. Non in bianco. Infatti iera le sette che iero già in chiesa. Una nebbia fuori in febbraio, freddo da matti. Dovevo andare dopo in viaggio a Trieste, dai compari, che ci aspettavano che avevano fatto il pranzo loro. Poi la cena l’abbiamo fatta a casa mia. Con la corriera siamo andati a Trieste e poi siamo ritornati alla sera. Era stato bello. Quando siamo arrivati siamo andati a piedi da Aquileia fino a Monastero e dalla via sacra fin a casa mia. Gli amici di mio fratello hanno appeso i truccioli del granturco, imbevuto nella nafta, appesi tutte sulle reti del fianco della strada, tutto illuminato. Fin davanti a casa mia. Erano trecento metri e anche più. Poi davanti a casa, che avevamo il cancello, soprava avevano fatto anche questi cosi, con evviva gli sposi. Ho dovuto aspettare fin che non era spento il fuoco. Era stato bello.

Il viaggio di nozze è stato quello là. Dicevo: «Andiamo a Venezia…». Poi sono andata, quando avevo il ragazzino, che aveva un undici anni.

E: In treno?

B: No, in macchina. Con mia cognata e il suo compagno. Non abbiamo visto neanche Venezia quel giorno, solo la Piazza San Marco, e basta. Due ore per andare a Burano: finchè non riempivan il vaporetto non partivano. Stati là tutto il pomeriggio. Siamo andati a

173 mangiare, ci hanno fregato. Finito di mangiare abbiamo visto solo la piazza. Quello è stato il viaggio di nozze dopo tanto tempo. Abbiamo fatto due foto a Trieste, che ci han fatto fare i compari, ci ha portato dal fotografo e ci ha fatto fare due pose. Le uniche foto del mio matrimonio sono quelle. Costava tantissimo, quella volta là. Mio marito era di famiglia povera. Lui lavorava, però sua mamma gli portava via tutto. Erano tanti anche loro. E quando arrivava la paga, l’aspettava e subito la prendeva.

E: Invece si ricorda gli anni del miracolo economico? Quando sono arrivati i nuovi elettrodomestici…

B: La televisione quasi negli anni ‘70. Perché io mi ricordo che quando ero a fare i servizi dai baroni, a Monastero, a fare i lavori, cameriera, pulizie, stirare; prima di sposarmi. Loro avevano il frigorifero, quella volta e la lavatrice. Nel ‘57 che ero là. Loro avevano comperato questi elettrodomestici, infatti veniva la baronessa ad attaccare la lavatrice in cucina. Perché noi non sapevamo. Che controllava anche cosa si mangiava. Noi mangiavamo lì, eravamo in due, la cuoca e io cameriera, e ci metteva da mangiare sulla bilancia per tutti quanti, loro e noi, settanta decadi di pasta a persona. Solo che loro avevano più cose, noi avevamo solo la pasta. La sera, specialmente, si faceva la pastasciutta con il roastbeef che si andava a comprar per loro. Noi si tirava via la pelle che era in giro la mettevamo via, che la sera si tagliava a pezzettini con la cipolla e la conserva e si faceva il sugo per la pasta alla sera. Solo la pasta era misurata, lei metteva la pasta sulla bilancia e andava di là e poi veniva a controllare. «Ma quanta pasta gavè messo qua?» «Signora, gò fame! Almeno pasta mi faccia mangiare.» E dopo: «Ma è tanta, è troppa!».

E: il primo televisore quando se la ricorda, in locali pubblici?

B: Quando che ero ancora giovane che si andava a vedere lascia o raddoppia. In quegli anni là. Io ho comperato la prima quando avevo la terza figlia. Perché erano le partite dei campionati mondiali, allora ho detto: «Bon, la compriamo. A rate!».

E: Invece lei il frigorifero e la lavatrice, più o meno quando?

B: La lavatrice l’ho comperata anche in quegli anni là. Appena che avevo l’acqua in casa. Perché la prima casa dove abitavo non avevo né gabinetto né acqua in casa. Il gabinetto esterno era fuori e dovevo lavare i piatti con la pompa a mano. Non potevo comprarmi la lavatrice. Come ho cambiato casa, dopo, ho comprato anche la lavatrice. Nel ‘77. Invece la televisione nel ‘63. Il frigo anche l’ho comperato in quel periodo là.

174 B: Quando ero giovane io, si aveva un “coso”, non so come dire, dove che correva l’acqua: l’albio. Era un lavatoio. Noi ad Aquileia avevamo l’acqua che correva sempre. Era sempre pieno questo contenitore, e sotto i miei avevano fatto un buco e si metteva sotto lì [il cibo]. Oppure, quando avevo fatto la cena a casa mia, si fa sempre tanta roba… Era avanzata la carne. Allora l’abbiamo messa tutta sotto il grasso delle oche. Abbiam fatto cucinare il grasso delle oche, messo la carne, e dopo buttato il grasso sopra. Invece del strutto era il grasso dell’oca. Per un mese si è potuto mangiare. Dopo si era messo sotto l’acqua che stava più fresco. Era febbraio, d’estate era già un po’ più difficile. Dovevi cucinare e comprare le robe a giornata. Ammazzavi l’ oca o la gallina che avevi a casa e la cucinavi tutta. O le cose del maiale… Ammazzavi e quello durava anche se non era in frigorifero, di solito mettevi in cantina.

E: Più o meno le sue giornate com’erano, quando suo marito lavorava ancora in cantiere? B: Facevo i lavori de casa. Mi svegliavo con lei [la figlia] che non ha dormito niente, facevo le faccende, andavo a fare la spesa, poi mi mettevo là a cucire o sferruzzare, quando ero sola. Poi quando c’erano tutti gli altri non riuscivo a farlo perché te guardi loro. Non potevi: tra vestirli, lavarli, lavare i panni e tutto… Fare la spesa… Quando uscivo, anche con quattro! Lavarli tutti, prima di andare fuori, perché mi piaceva averli bene in ordine. Li lavavo e li cambiavo. Dopo, quando tornavo a casa li ricambiavo per metter via il vestito buono. Poi, alla sera, quando doveva arrivare mio marito, dovevano esser tutti puliti se no faceva storie:

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