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La Crisi delle Alterità ivoriane

1. 1990: la Crisi dello spazio urbano.

I primi segni di cedimento del compromesso houphouëttiano si manifestarono agli inizi del 1990, quando ancora il pluralismo politico sembrava essere ai più, una chimera. La rottura con gli schemi del passato fu portata alla luce a livello di un panorama urbano ormai in stato di abbandono. Protagonisti del nuovo corso furono in principio i giovani ivoriani, che iniziarono a mettere in discussione le vecchie strutture di potere impersonate dal partito unico di Hophouët- Boigny. Ad animare le nuove generazioni, all’epoca, fu il desiderio della democrazia. Era questa in realtà una richiesta comune a quel movimento trans- nazionale che, sulla scia dell’esempio fornito dalle ormai ex- Repubbliche Socialiste Sovietiche 45, mirava a far breccia nel cuore dei vari regimi autocratici africani. Da Abidjan a Kinshasha, passando per Nairobi, Timbuctu, e ancora per Dakar, le masse popolari si unirono in un unico coro che, parafrasando il linguaggio giornalistico di quegli anni, potrebbe essere ben descritto utilizzando la formula “Intifada all’ Africana”. Pur mantenendo ciascuno la propria identità, i vari movimenti erano il risultato di una medesima traiettoria fallimentare: la crisi dello spazio urbano. Negli ani settanta, infatti, in Africa aveva preso piede un rapido per quanto controverso46 processo di urbanizzazione che nel giro di breve tempo aveva visto espandersi le aree periferiche dei piccoli e grandi agglomerati cittadini. La tensione verso la modernizzazione aveva dato il via a fenomeni di emigrazione dalle aree rurali verso quelle urbane, che avevano interessato, in maniera trasversale i vari angoli del continente africano.

Le migrazioni interessarono naturalmente anche la Costa d’Avorio, come noto considerata al tempo, la “terra dei miracoli”. In particolare a muoversi furono i più giovani attratti dalle opportunità che offriva loro la città. In migliaia si trasferirono; chi per perfezionare il proprio percorso di studi, chi, invece, per provare a coronare il sogno di trovare occupazione nel settore pubblico. L’intervento dello Stato nel dominio urbano, attraverso la fornitura di servizi e la realizzazione d’infrastrutture,

45 Sono questi, infatti, gli anni caratterizzati dallo sviluppo del movimento polacco Solidarnosc che guidato dal sindacalista Lech Walesa aprì le porte all’evoluzione in senso democratico dell’area sovietica. Seguirono grandi avvenimenti quali l’avvento al potere in Russia del riformatore Michail Gorbaciov, il crollo del muro di Berlino, la fine dell’apartheid in Sud- Africa, che spinsero gli analisti a ritenere ineluttabile l’estensione su scala globale del processo di rinnovamento democratico.

46 Controverso in quanto non pianificato. Sulla mancata pianificazione urbana in africa si veda A. Jatta ,

aveva accompagnato il processo d’inurbamento. Negli anni ottanta, però, la scure del debito e il conseguente avvio della stagione dell’aggiustamento strutturale, fecero emergere tutti i limiti della strategia- o meglio della non strategia- di pianificazione urbana del Pdci. I tagli alla spesa pubblica, imposti dall’esigenza di dover riassestare le finanze dello Stato, determinarono un rapido scadimento delle condizioni di vita in città; contestualmente una crisi sempre più feroce minava progressivamente il potere d’acquisto del ceto medio. I luoghi prediletti del progresso finirono così per trasformarsi in ambienti ostili, poco salubri. Divennero spazi sinonimo di carenze47. Iniziarono a scarseggiare, soprattutto nelle zone marginali del territorio urbano, i servizi più basilari come acqua e corrente elettrica.

A pagare maggiormente il conto di un simile degrado furono le categorie sociali più deboli, in particolare i giovani. L’ascensore sociale, infatti, a un tratto s’inceppò. La discrasia tra programmi d’insegnamento e offerta occupazionale bloccava l’ingresso delle nuove generazioni scolarizzate nel mondo del lavoro. Mentre molti decisero di abbandonare il loro sogno e di tornarsene in campagna48, altri restarono, nella speranza di un miglioramento del quadro economico. Causa, tuttavia, l’ evidente difficoltà in termini di accesso alle risorse, questi piombarono in un latente per quanto pericoloso stato di frustrazione. È nell’emergere del disagio dei giovani che fu fatto spazio alla contestazione di una società, non in grado di far fronte alle loro aspettative, e di una politica, incapace di trovare valide soluzione ai problemi economici. L’impotenza della classe dirigente ivoriana, davanti allo stallo dell’economia, fu palesemente manifestata dallo stesso presidente Boigny in occasione del ventinovesimo anniversario dell’indipendenza. Il Capo dello Stato ammise pubblicamente che quella che sino allora era stata descritta, alla stregua di una congiuntura economica sfavorevole, si era trasformata in una profonda crisi. Simili dichiarazioni di fatto stonavano con la narrazione della realtà fatta in quegli anni dallo stesso regime. I quadri dirigenti del Pdci dimostrarono tutta la loro cecità, infatti, anteponendo all’avanzare delle problematiche sociali ed economiche, un vero e proprio culto della

47 Parla di città come sinonimo di carenze É. Le Bris, Crise urbaine et effets urbains de la crise: les cas

de l’Afrique Noire, in «Espaces et societés: Reveue critique internationale de l’aménagement, de

l’architecture et de l’urbanisation», 1991, Vol.65, N°2, pp. 64 e ss.

48 Sul fenomeno di ritorno dei migranti urbani nel dominio rurale si sofferma in particolar modo M.C. Beauchemin, Emigration urbaine, crise économique et mutations des campagnes en Côte d’Ivoire, in «Espace, populations, societés», 1999, N°.4.

pace.49 L’espressione, «Ailleurs les peuples se soulèvant contre le régimes établis. Chez nous, les peuple danse», molto in voga all’epoca, ci fornisce un’indicazione del distacco che si era venuto a creare tra una politica, sempre più arroccata su se stessa, e una società sempre più in difficoltà. Il Governo della Costa d’Avorio, alla fine degli anni ottanta, si considerava immune dal virus della protesta democratica che si stava calando sul resto del continente. Scoprirà però ben presto, che la tanto decantata “eccezionalità ivoriana” era solo un passaggio estemporaneo, preludio alla tempesta che si abbatté sulla nazione nel febbraio del 1990.

Ad accendere il fuoco delle rivendicazioni fu un evento apparentemente innocuo. Il 16 febbraio un black-out lasciò al buio, il paese. Fu la goccia che fece traboccare il vaso. Il Presidente dell’Eeci50, Lambert Koman, giustificò l’accaduto adducendo a delle

generiche problematiche di natura tecnica. Nulla di nuovo. Tali episodi erano ormai sempre più frequenti. Questa volta però nella questione s’inserì L’Alternative, bollettino d’informazione del clandestino Fronte Popolare di Laurent Gbabo, che collegò l’interruzione del servizio elettrico alla decisione presa qualche giorno prima dal Governo di ridurre i salari degli impiegati dell’Agenzia statale elettrica. Come un fulmine a ciel sereno, la notizia balzò alle orecchie degli studenti che alloggiavano al campus universitario di Yopougon, uno dei più grandi di Abidjan. La vicenda scatenò le ire del movimento degli studenti alle prese con la sessione d’esami. La notte del 19 febbraio in centinaia iniziarono a urlare slogan denigratori nei confronti del Presidente e a prendere di mira i simboli del partito unico. La mattina seguente gli stessi si diressero in città con l’intento di presidiare i principali centri di potere. Furono prese d’assalto la sede del partito unico, fu organizzato un sit-in davanti alla sede della televisione pubblica nel quartiere di Cocody, alcuni giovani occuparono la cattedrale di Saint Paul du Plateau. Nei giorni in cui si registrarono le prime manifestazioni del neonato movimento giovanile, il Governo era impegnato nella stesura del piano economico- finanziario di adeguamento alle prescrizioni di Banca Mondiale e Fondo Monetario. Sembrò quindi poco curarsi della vicenda. Aveva pensato di liquidare la

49 Di culto della pace parla espressamente A. Voho Sahi, Une chronique de la révolution démocartique

en Côte d’Ivoire (1989- 1995), L’ Harmattan, Paris 2005, cit. p.16.

50 La sigla sta per Energie Electrique de Côte d’Ivoire; si tratta dell’ente pubblico che esercitava un monopolio in materia di gestione, distribuzione, pianificazione del sistema di energia elettrica. Nel 1998 fu liquidata a seguito di una riforma del governo che ristrutturò il settore creando tre nuove autorità con distinti compiti e poste sotto il controllo statale.

questione limitandosi semplicemente a licenziare l’inviso51 Ministro dell’Educazione, Balla Keita. Al fine di smorzare i toni della protesta, aveva altresì promesso agli studenti l’adozione di provvedimenti nel senso di una riduzione sui prezzi delle camere universitarie e sui pasti al ristorante.

Il compito di riscrivere le nove linee di politica economica era stato affidato mesi prima a un Comitato interministeriale di otto membri presidiato da Alassane Ouattara, all’epoca dei fatti, governatore della Bceao. Il dibattito economico negli ultimi anni si era fossilizzato sulla tipologia di misure da doversi adottare per raggiungere il pareggio di bilancio. Tra le soluzioni avanzate vi era quella inerente alla riduzione dei salari del pubblico impiego. Proprio questa fu presa in seria considerazione, nel luglio del 1989, dal ministro dell’economia Koumoue Koffi. In un disegno di legge recante il suo nome, il ministro aveva previsto un prelievo forzoso sugli stipendi degli impiegati sia del settore pubblico, che di quello privato. La misura, però, aveva provocato le proteste dei lavoratori; e il Governo decise, pertanto, di far un passo indietro sul provvedimento, e di rimettere al Comitato interministeriale, il compito di elaborare un piano di ripresa economica. Più che un ritiro quello del Governo fu un rinvio. A riprova di ciò va, infatti, detto che nel febbraio del 1990 iniziarono a circolate rumors in merito a un futuro taglio dei salari del pubblico impiego. Tale ipotesi contribuì a esacerbare i toni di un contesto urbano tutt’altro che sereno. Fu così che il 25 febbraio la contestazione giovanile salì d’intensità. La caparbietà dei manifestanti di Abidjan fu tale da determinare il blocco di numerose attività lavorative e la congestione del traffico autostradale. Contestualmente emersero tensioni anche sul fronte liceale.52 Nel giro di una settimana la rivolta era arrivata a interessare la maggior parte degli alunni dei principali istituti d’insegnamento. L’immoralità di Boigny e dei suoi più stretti collaboratori fu all’origine della violenza che i giovani riversarono il 2 marzo lungo le vie di Abidjan. Lancio di bombe molotov, saccheggio di grandi magazzini, distruzione di automobili. Furono questi i principali reati di cui si macchiarono i manifestanti. Di fronte a tanta veemenza il potere reagì schierando le forze dell’ordine che con metodi

51 Balla Keita era uno dei ministri meno popolari del gabinetto presidenziale poiché aveva cambiato la denominazione dell’Università Nazionale della Costa d’Avorio, situata nel quartiere Cocody di Abidjan, aggiungendo il nome del presidente Boigny. Ciò non piacque alle opposizioni che lessero in tale decisione un’ ulteriore riprova della tendenziale propensione della dirigenza houphouëttiana a considerare il paese una sorta di monarchia ove il presidente era libero di fare il brutto e il cattivo tempo.

52 Per maggiori informazioni sul tema si veda la ricostruzione di D. Bailly, La réinstauration du

multipartitisme en Côte d’Ivoire, ou la double mort d’Hophouët- Boigny, L’Harmattan, Paris 1995, pp.

brutali riuscirono a disperdere la sommossa. Il regime non poteva tuttavia dichiararsi vincitore. Per la prima volta nella storia della Costa d’Avorio, un gruppo di ragazzi, tra le altre cose nemmeno coordinati tra di loro, aveva oltrepassato i confini del campus universitario e si era impossessato della città53. Per bene due settimane di fila, ininterrottamente, i principali quartieri della città più importante del paese furono tenuti in scacco da un gruppo di studenti che senza alcun timore inneggiarono aspri toni il cui bersaglio era sempre il medesimo: Hophouët- Boigny. Houphouët valeur! Hophouët corrompu! Hopouët y en a marre! Hophouët trop vieux pour governer! Hophouët, il faut partir! Queste sono le accuse che furono mosse contro il vecchio Presidente. Era il segno che oramai il leader africano non era più considerato dai giovani il buon Padre della nazione. Ora era percepito come il nemico numero uno, colui che attraverso politiche austere aveva soffocato i loro sogni54. Questa volta

Félix- Boigny non poté esimersi dal prendere una chiara posizione su quanto accaduto. Dopo aver convocato in via straordinaria il Consiglio dei Ministri, decise di sospendere momentaneamente l’attività scolastica in tutto il paese. La gravità degli episodi fu altresì oggetto della Conferenza che il 5 marzo Boigny convocò presso la residenza presidenziale di Cocody. In tale sede alla domanda diretta del corrispondente di Radio France Internationale, Robert Minangoy, su quali fossero le sue impressioni con riguardo al movimento del 2 marzo, Hophouet rispose addossando le responsabilità della protesta giovanile alla cupidigia dei paesi consumatori di materie prime, ree di voler destabilizzare il paese. Cosi, infatti, si espresse:

«J’ai le sentiment pénible que l’on veut déstabiliser les pays africains (…). Porquoi cet endettement sur seulement deux produits: le café et le cacao? Toutes les valeurs ajoutées sont à l’avantage des pays consommateurs: les pays développès. (…). Alors, porquoi cette politique, porquoi ces bas prix dans nos pays? Je n’ai pas des prevue mais je constate les effets. On a le sentiment qu’on veut procéder à des déstabilisations (…). Je suis seul à denoncer ceux qui sont à la base de toute cette politique de destabilisation en Afrique. Quand il ne peuvent pas soulever le peuple contre vous, ils sont capables de tout».

53 A differenza delle contestazioni giovanili del passato, quella del 1990 non solo era riuscita a travalicare i confini del campus universitario e a conquistare i palcoscenici urbani ma si rivelò essere anche una manifestazione duratura nel tempo. Per la prima volta nella storia del paese, infatti, una contestazione aveva occupato le strade e i quartieri delle principali città per più di due settimane. 54 D. Bailly, La réinstauration du multipartitisme en…, op.cit., parla addirittura di parricidio, cit.p.42.

Il regime, per bocca del suo Presidente, aveva ancora una volta evitato di aprire un serio dibattito sulle cause interne della crisi ivoriana, cavalcando il sentimento di avversione al neocolonialismo.

Come se nulla fosse accaduto, a poche settimane di distanza dai disordini, il piano di rilancio dell’economia del Comitato a guida Ouattara, fu trasformato in un provvedimento legislativo. La nuova normativa contemplava la tanto vituperata disposizione che introduceva la riduzione dei salari del pubblico impiego. Una rivolta dei giovani si profilava all’orizzonte. Questa volta però a marciare per le vie della città non erano soli ma accompagnati da quelle che l’editorialista Diégou Bailly ha genericamente definito le forze del cambiamento: i sindacati, Synares e Synacass-ci55 in testa, e i partiti politici, principalmente il Fronte Popolare di Gbabo e il PRCI56 di

Gbaï Tagro. La contestazione assunse così il contenuto di una rivendicazione dal sapore squisitamente politico. Non è un caso che proprio in tale periodo gli studenti iniziarono a organizzarsi attorno a una nuova organizzazione sindacale: la Federazione degli studenti e degli scolari della Costa d’Avorio57 (Fesci). Le nuove istanze democratiche avanzavano essenzialmente tre ordini di richieste:

1) l’abbandono delle politiche di riduzione dei salari; 2) il ritorno al pluralismo politico;

3) l’instaurazione di un regime democratico ove fosse garantita la libertà di espressione in ogni sua forma.

Il governo decise di ignorare le sollecitazioni della base e di proseguire lungo la direzione delle misure di austerity. E così il 1 Aprile la legislazione in materia di ripresa economica divenne operativa. Le principali città ivoriane furono nuovamente trasformate in palcoscenici del dissenso. Nel caos dei tumulti, il 6 Aprile, ad Azdopé, località di Sud-Ovest, si verificò la tragedia che ha maggiormente colpito l’opinione pubblica ivoriana degli ultimi trent’anni. Un giovane liceale, Edouard Kpéa Domin, fu raggiunto da una serie di proiettili e perse la vita. Ad anni di distanza dall’assassinio del giovane ragazzo non se ne conoscono ancora i diretti responsabili. Certo è, tuttavia, che i manifestanti di Azdopé erano disarmati e altrettanto documentato è il fatto che la polizia si scagliò contro di loro facendo uso delle armi. Se la dinamica

55SYNCASSI- CI è l’acronimo di Syndacat National des Cadres de la Santè de Côte d’Ivoire e indica la rappresentanza sindacale dei dirigenti delle aziende sanitarie del paese.

56 Tale sigla sta a indicare il Partito Repubblicano della Costa d’Avorio.

57 Per maggiori informazioni sulle origini della Fesci si veda la ricostruzione di Y. Konaté, Les enfants

de la balle. De la Fesci aux mouvements de patriotes, in «Politique Africaine», 2003, Vol.89, N°.1,

dell’omicidio di Domin resta un mistero, le sue conseguenze politiche furono chiare. Il drammatico evento, infatti, marcò la fine del compromesso tra Stato-partito e giovani. Questi ultimi mai perdoneranno al Pdci quanto accaduto. Nemmeno l’apertura al multipartitismo e la liberalizzazione della stampa riusciranno a ricucire il rapporto tra vecchio potere e nuove generazioni. In diverse ricostruzioni58 si è posto l’accento sul fatto che l’avvento del pluripartitismo fu salutato con favore soltanto dalle principali forze politiche di opposizione. Il corpo elettorale, in particolare i giovani, non scesero in piazza a far festa dopo le ormai note dichiarazioni del 30 Aprile. Segno questo del fatto che non vi era fiducia nei riguardi dell’operato del Pdci ma soprattutto del presidente Boigny che tra le altre cose aveva colto il pretesto della morte di Kpéa Domin, per chiudere le scuole di ogni ordine e grado ed indire, per la prima volta nella storia del paese, l’annata bianca. Non stupisce quindi che nell’autunno del novanta, i giovani, interpellati alle urne, si espressero in massa in favore dell’unico candidato Laurent Gbabo, che offriva loro una valida alternativa democratica59. Una democrazia che quindi le generazioni emergenti stentavano a riconoscere nei metodi brutali di regolazione del conflitto sociale, utilizzati dalla vecchia classe dirigente al potere. Ad avvalorare tali perplessità contribuirono nuovi incidenti, che si susseguirono nella primavera del 1990. I protagonisti furono un gruppo di giovani militari di leva che il 14 Maggio iniziarono a sparare colpi di arma di fuoco, per le strade deserte di Abidjan e Bouakè. Con tale gesto simbolico e di forza, i coscritti avevano voluto far presente alla politica il loro malessere. Essi, in particolare, premevano per un aumento in busta paga e per la garanzia di assunzione al termine del servizio militare. Il Governo reagì duramente ordinando l’arresto di circa quattrocento giovani che militavano tra le fila delle forze armate. Fu una mossa suicida poiché determinò un allargamento dell’ammutinamento. La situazione sembrò precipitare nei giorni successivi al 14 maggio quando gli insubordinati seminarono il panico ad Abidjan60.Il presidente intimorito, dopo aver tentato inutilmente di coinvolgere il contingente francese di stanza nel paese, fu costretto a piegarsi al volere degli insorti e li ricevette presso la residenza privata di Cocody. Per placarne gli animi, Boigny promise loro che

58 Di tale avviso ad esempio è D. Bailly, La Réinstauration du multipartitisme…, op.cit.

59 La forza della proposta di Gbabo era accentuata dalla debolezza sia strutturale, che ideologica delle altre formazioni politiche. Lo stesso leader del Fpi aveva, infatti, rilasciato alle pagine di una monografia scritta di proprio punto il dettagliato programma di riforma democratica che il suo partito intendeva realizzare. Per informazioni nel merito si veda L.Gbagbo, Côte d’Ivoire: Pour une alternative

democratique, L’Harmattan, Paris 1983.

60 Le cronache di quel giorno sono ben descritte da D. Bailly, La réinstauration du multipartitisme en…, op.cit., pp. 66-69.

sarebbero stati tutti riconfermati una volta esperiti i termini del servizio di leva. Nulla di più falso. Alla prima occasione utile, infatti, Hophouët, si sbarazzò di tutti gli elementi “malvisti” dell’esercito61. La vicenda dimostrava di come ormai il presidente avesse perso il controllo delle forze di sicurezza, le cui incursioni cittadine “ufficialmente” non autorizzate si fecero sempre più frequenti. Tra queste merita di essere citata la spedizione punitiva ai danni degli studenti del campus universitario di

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