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Le Alterità ivoriane alla prova della democrazia.

Capitolo 4 Un processo elettorale “viziato”.

5. Le Alterità ivoriane alla prova della democrazia.

1. 31 Ottobre 2010: finalmente si vota.

Il 31 Ottobre del 2010 fu una giornata storica per il popolo ivoriano. Per la prima volta nella storia della Costa d’Avorio indipendente i cittadini ebbero la possibilità di pronunciarsi in maniera libera alle urne. La posta in gioco era elevata. Quel giorno, infatti, l’85% circa, degli aventi diretti si diresse al seggio per decidere a quale candidato assegnare la presidenza della Repubblica.314 Gli ivoriani potevano scegliere su di un ventaglio di quattordici nominativi.315 Due grandi schieramenti si affrontavano. Da un lato, La Majorité présidentielle (LMP)316, una coalizione guidata dal presidente in pectore Laurent Gbagbo e, dall’altro il RHDP. Quest’ultima come noto era la formazione politica nata all’indomani degli accordi di Linas Marcoussis che ricomprendeva il partito di Ado, quello dell’ex presidente Konan Bedié, il partito fondato dal generale Gueï, l’UDPCI e il MFA317 di Anaky Kobéne. Il fronte houphouettiano, si presentava al primo turno senza un candidato ufficiale. Un tacito accordo tra i partiti che lo componevano, infatti, aveva previsto che il candidato sarebbe stato individuato in colui che a seguito della prima tornata elettorale avesse riportato il maggior numero di voti. Il 4 Novembre del 2010 il Presidente della Cei, Youssouf Bakayoko, rilasciò i risultati provvisori. Gbagbo era in testa con il 38, 3% dei consensi, seguito da Ouattara che si attestava sul 32, 8% delle preferenze e Bedié che si fermò al 25,2%318. I risultati testimoniavano di una forte continuità nella distribuzione in senso regionale del voto. Gbagbo, infatti, confermò la sua forza al Sud, Ouattara al Nord e Bedié nei feudi baoulè delle regioni di Centro- Ovest. Il 6 novembre le indicazioni della Commissione elettorale furono pressoché319 confermate

dal Consiglio Costituzionale. E così il 12 Novembre Choi certificò i risultati in maniera conforme al suo mandato. Apparentemente sembrava che la prima fase del

314 Il sistema elettorale previsto per l’elezione presidenziale era l’uninominale a doppio turno.

315 La lista dei candidati era stata rilasciata dal Consiglio Costituzionale il 19 Novembre del 2009. Delle venti candidature presentate sei erano state rigettate poiché non conformi ai requisiti previsti dalla Costituzione e dal Codice elettorale.

316 Essa raggruppava attorno al Fronte popolare tutta quella serie di partiti minori e di personalità che si opponevano con gran forza alla persona di Dramane Ouattara.

317 Fondato nel dicembre del 1992, l’MFA – Mouvement des Forces d’Avenir-, faceva parte di quell’insieme di formazioni politiche nate negli anni novanta per effetto dell’ondata di democratizzazione che interessò il Continente africano.

318 I seggi scrutinati furono 19 941 per un totale di votanti pari a 4 873 579 individui.

319 Le differenze tra le cifre espresse dalla Cei e quelle del Consiglio, infatti, furono minime. Per un confronto si vedano i dati riportati da F. Pigeaud, France Côte d’Ivoire…op. cit., p.130.

processo elettorale ivoriano si fosse svolta in maniera regolare. Di tale avviso erano osservatori e media internazionali. La comunità internazionale confidava che il risultato tutto sommato soddisfacente della consultazione potesse aprire la strada ad un’articolazione leale della dinamica partitica interna e quindi a una ricomposizione , in via definitiva della crisi. In realtà così non fu. Gli addetti ai lavori, infatti, sottovalutarono, a torto o a ragione, le numerose anomalie che contraddistinsero le operazioni di voto. Diversi esperti, in particolare, hanno segnalato sia la presenza di disfunzione di natura tecnica che di vere e proprie irregolarità.

Tra le disfunzioni è stato posto l’accento, in primo luogo, sul ruolo del CCI che secondo quanto previsto dagli accordi complementari all’APO, doveva garantire la sicurezza del voto. A tal fine era stato previsto che ottomila unità del comando integrato venissero dispiegate lungo tutto il territorio nazionale. In concreto, però furono impiegati soltanto seimilacinquecento soldati; un numero insufficiente che non riuscì a gestire gli oltre diciannovemila seggi presenti nel paese. In tema di defaillance tecniche si segnalano anche la scarsa preparazione dei funzionari elettorali della Cei, nonché la mancanza in molti casi del materiale elettorale necessario320. Da ultimo vale la pena ricordare anche i problemi di coordinamento che si registrarono con riguardo alla trasmissione dei risultati dai seggi alle commissioni elettorali locali. La presenza di tali anomale tecniche era senz’altro da imputarsi ad una mancata pianificazione sistematica delle elezioni da parte della Commissione elettorale. Del resto già in fase pre- elettorale erano emerse delle inefficienze nel modus operandi della Commissione. Pur disponendo di enormi risorse finanziarie321 questa non era riuscita ad assolvere ai suoi doveri nell’ambito delle procedure d’ identificazione ed era stata costretta a invocare l’aiuto delle Nazioni Unite. Ma le maggiori perplessità attorno ai lavori della Commissione elettorale si palesarono all’indomani della chiusura dei seggi. Nelle ore immediatamente seguenti alle votazioni destò preoccupazione presso i cittadini ivoriani l’ambiguo atteggiamento assunto dalla Commissione in sede di trasmissione dei risultati provvisori. A tal proposito va chiarito che il Codice elettorale risulta essere silente in riferimento a quelle che sono le modalità pratiche di trasmissione dei

320 Materiale che era stato prodotto in Europa e portato direttamente in Costa d’Avorio da aerei delle Nazioni unite.

321 Si stima che le elezioni presidenziali ivoriane del 2010 siano state tra le più costose della storia. Si calcola che siano costate circa 53 miliardi di franchi Cfa la maggior parte dei quali fu messa a disposizione dalla comunità internazionale attraverso un programma di assistenza elettorale elaborato dal Pnud. Numerosi dubbi si sono adombrati sull’uso di tali risorse da parte della Cei. In particolare sembra che gran parte di queste sia state sperperata dai membri permanenti della stessa Commissione.

risultati. L’art. 59, infatti, si limita a stabilire che:

«La commission chargée des élections communique au Conseil constitutionnel un exemplaire des procès- verbaux accompagné des pièces justificatives dans les trois jours qui suivent le scrutin

Dal tono della novella legislativa si evince chiaramente che il codice elettorale non pone alcun ferreo limite in riferimento alle modalità proclamazione dei risultati. Sfruttando, quindi, questa lacuna normativa, la Cei dopo aver fornito, la sera stessa del voto, le cifre elettorali con riguardo a una quindicina di circoscrizione estere si trincerò in uno strano silenzio. Silenzio che come noto fu schiuso nella data del 4 Novembre quando la Cei, per bocca del suo presidente rilasciò i risultati elettorali. Silenzio che però non passo inosservato così come la scarsa chiarezza che contraddistinse le procedure di censimento dei risultati. Anche queste, infatti, si svolsero come evidenziato dagli esperti della Missione elettorale dell’Unione Europea, in un clima opaco. Ancora una volta, infatti, la Cei, facendo leva sulla mancanza d’indicazioni normative322 si rese protagonista di una serie d’irregolarità. In particolare la Missione dell’Ue ci informa che durante le operazioni di compilazione dei risultati, furono compiuti numerosi errori di calcolo e che la Commissione tornò più volte sui dati correggendoli perlopiù, sulla base, di criteri arbitrari.

Ed è proprio attorno a uno dei diversi conteggi e riconteggi della Commissione che scoppiò un vero e proprio caso elettorale. La Cei, infatti, nel comunicare i risultati elettorali in un primo momento assegnò a Bedié un numero di voti superiore a quello di Ouattara; poi però improvvisamente rovesciò il risultato. La cosa fece insospettire i partigiani del Pdci. Sospetti che si materializzarono in accuse alla Cei, quando questa rese noto il numero degli elettori del primo turno. Sorprendentemente questo non coincideva con quello presente sulla lista elettorale. Era, infatti, lievitato di circa quarantacinquemila unità. Questa discrasia ovviamente fece gridare allo scandalo gli elettori del Pdci. Questi, infatti, ritenevano che la causa del posizionamento del loro leader dietro ad ADO fosse proprio da attribuirsi alla incoerenza tra i dati della lista elettorale e quelli invece rilasciati dalla Cei. E così dubitando della bontà dei risultati proclamati, i vertici dell’ex partito unico, fecero pressione su Bedié affinché

322 L’art.59, infatti, non fa alcuna menzione alle modalità di censimento dei risultati limitandosi semplicemente a stabilire che la Commissione elettorale procede al censimento generale e alla proclamazione dei risultati generali in presenza dei rappresentanti dei candidati.

depositasse ricorso presso il Consiglio costituzionale. Il 5 novembre lo stesso Bedié sciolse ogni riserva e presentò una formale richiesta al Consiglio nella quale si chiedeva una ripetizione del turno. Nel ricorso si faceva riferimento ad illegalità nelle operazioni di spoglio e di conteggio dei voti323 così come si rilevava il sostanziale incremento dei numero dei votanti rispetto a quanto indicato nella lista elettorale. Il Consiglio costituzionale però rigettò il ricorso di Bedié in base di quanto stabilito dall’art. 60 del codice elettorale. La norma, infatti, dispone che i ricorsi elettorali per essere giudicati ammissibili debbano essere presentati entro tre giorni dalla data di chiusura degli scrutini. Bediè, quindi avrebbe dovuto stando alla lettera delle previsioni normative depositare il ricorso entro il 3 di Novembre. Consapevole del suo ritardo il leader baoulè pertanto decise di non contestare la decisione del Consiglio. Dietro tale rinuncia in realtà si nascondeva un calcolo politico del vecchio partito unico. I vertici del Pdci sapevano, infatti, che da une eventuale scontro tra Gbagbo e Bedié, il primo sarebbe risultato il vincitore. Accantonata quindi il sogno di conquistare la presidenza questi iniziarono nel novembre del 2010 a cullare l’idea di poter assumere il ruolo di ago della bilancia nella contesa tra Gbagbo e Ouattara. Un ruolo dal quale avrebbero senz’altro tratto un gran numero di benefici politici. Il susseguirsi degli eventi nell’immediato post-elezioni aveva, infatti, indotto i vertici del Pdci a ritenere che Gbagbo e Ouattara si fossero accordati al fine di sbarrare la strada del secondo turno per Bedié. Nessuno dei due leader, infatti, aveva denunciato i vari abusi perpetrati dalle rispettive milizie ai danni dei cittadini ora del Nord ora del Sud324. A infastidire particolarmente molti tra i partigiani del Pdci fu l’atteggiamento dell’alleato Ouattara. È cosa nota che diversi esponenti del partito mal avevano tollerato sin dal principio l’intesa con il Rdr; con il partito che rappresentava gli interessi di colui che, in passato avevano bollato come straniero, colui che nel presente, invece era considerato da molti il responsabile della ribellione che aveva gettato il paese nel caos. Diversi esponenti del partito quindi avrebbero preferito astenersi al secondo turno. Cosa che Bedié non fece. Questo, infatti, sapeva che il suo bacino di voti avrebbe fatto la differenza al secondo turno. Lo sapeva anche Ouattara. Per lui l’appoggio del Pdci era indispensabile. Solo se la maggioranza degli elettori di

323 In particolare si riferiva di casi in cui la Commissione aveva, a detta dei seguaci di Bedié, violato l’art. 59, poiché aveva dato corso alle operazioni di spoglio in assenza di rappresentanti dei candidati. 324 In particolare Gbagbo nonostante le sollecitazioni dei militanti Fpi del Nord non aveva presentato ricorso contro l’ostruzionismo perpetrato dalle truppe di Ado ai danni degli elettori del suo partito. Analogamente Ouattara non si era pronunciato sulle ingiustizie subite dai militanti Rdr nelle regioni del Sud.

Bediè si fosse, infatti, espressa a suo favore , avrebbe avuto qualche chance di vittoria, al secondo turno. In cambio però avrebbe dovuto fare delle concessioni di non poco conto al leader del Pdci. Ecco perché nel suo discorso d’investitura come candidato del RHDP, Dramane Ouattara non solo spese lodevoli parole nei confronti dell’alleato ma gli promise anche che in caso di vittoria, gli avrebbe conferito l’incarico di Primo ministro.

Alle tensioni che interessarono lo scacchiere politico, post-primo turno occorre aggiungere quelle che interessarono la società civile e che si tradussero nel pericoloso riemergere della crisi delle alterità. Il clima nel paese si stava deteriorando ancora una volta e responsabili non erano solo i partiti politici ma anche e soprattutto i media che si resero protagonisti di un’aggressiva campagna elettorale. In particolare con l’avvicinarsi del secondo turno entrambi gli schieramenti misero in piedi una strategia di comunicazione fondata su reciproci attacchi e sulla mobilitazione della stampa di partito i cui toni e linguaggio divennero sempre più scuri. E così mentre i partigiani di Gbagbo riportarono in auge le vecchie argomentazioni secondo cui Ouattara, lo straniero, aveva orchestrato tanto il colpo di Stato del ’99 quanto il mancato putsch del 2002325, quelli di Ado diffondevano video del massacro di Youpogoun e accusavano Gbagbo di essere un assassino, un violento che violava sistematicamente i diritti umani. Si trattava di messaggi che circolavano liberamente per il paese e che contribuirono a incendiare il clima tanto nelle campagne, ove divennero sempre più frequenti e violenti i conflitti fondiari326, quanto nelle città che divennero teatro degli scontri tra giovani militanti della LMP e del RHDP. Dopo la parentesi degli Accordi di Ouagadougou la crisi delle alterità era pronta a riprendersi la scena ivoriana.

2. 28 Novembre 2010: Due Presidenti per un Paese.

Il clima di tensione che si respirava alla vigilia del secondo turno era così pesante che il 24 Novembre, il Consiglio di sicurezza con risoluzione 1951, autorizzò il trasferimento in Costa d’Avorio di tre battaglioni di fanteria e di un’unità aerea della missione Onu in Liberia. Il giorno seguente, in risposta ad un attacco contro la sede

325 Tali argomentazioni furono oggetto di un film Ouattara, père de la rébellion, che il fronte presidenziale proiettava nei suoi incontri al fine di mostrare il coinvolgimento di Ado nella ribellione. 326 Questi ancora una volta interessarono prevalentemente le regioni dell’Ovest. Scontri cruenti si verificarono, in particolare nelle sottoprefetture di Bayota, Gboughue, Doba, Zakaghou e nei dipartimenti di Diva e Lakota.

del Fpi a Youpogoun, il Presidente Gbagbo annunciò327 , che sarebbe stato esteso a tutta la Nazione un coprifuoco in occasione delle giornate dedicate alle operazioni di voto. Alla misura si opposero energicamente i partigiani di Ouattara che intravedevano nel coprifuoco il preludio ad una frode elettorale. Ufficialmente secondo quanto stabilito dal decreto firmato dal Presidente il 27 Novembre, il provvedimento doveva garantire il mantenimento dell’ordine. In realtà lo scopo di Gbagbo e dei suoi era quello di arginare in caso di vittoria elettorale, gli eventuali attacchi delle milizie pro- Ouattara.

È in tale stato di progressivo deterioramento del panorama politico- sociale che il 28 Novembre, gli elettori ivoriani furono chiamati a presentarsi nuovamente alle urne. Numerose furono le irregolarità, che si verificarono durante le operazioni di voto. Le cronache ci raccontano a tal riguardo di allogeni delle zone forestiere che causa le intimidazioni dei gruppi di autodifesa pro-Gbagbo non riuscirono a votare; di una savana che vide, invece, i sostenitori di Ado esprimersi due volte; di documenti elettorali distrutti; di somme di denaro versate ai capi baoulé sia dall’uno che dall’altro schieramento.

Più che a una tornata elettorale l’appuntamento di fine Novembre assomigliava a una vera e propria battaglia combattuta senza esclusione di colpi. Lo dimostra il fatto, che subito dopo la chiusura dei seggi, ciascuno dei due schieramenti si organizzò sul piano militare. Se da un lato il fronte presidenziale smobilitò l’esercito rafforzando la sua presenza attorno ai luoghi strategici quali la Cei, la RTI e il palazzo presidenziale, dall’altro, Ouattara si rifugiò assieme ai suoi presso il Golf Hôtel328, quartier generale della campagna del RHDP. A ciò deve aggiungersi il fatto che, sia Ado che Gbagbo, potevano contare sull’appoggio di giovani militanti armati, posti a presidio dei quartieri delle principali città del paese. Fu una lotta, quella elettorale, che investì tutti i campi, in primis quello istituzionale. Entrambi i candidati presidenziali, infatti, potevano contare sul sostegno di uno dei due organi chiamati a incidere sul processo di validazione elettorale: la Cei, come noto, era saldamente nelle mani di Ado e dei suoi e il Consiglio Costituzionale, , invece in quelle di Gbagbo. La ormai politicizzazione delle istituzioni di garanzia fu resa palese dal dispiegarsi degli eventi nelle ore e nei giorni che seguirono la chiusura dei seggi. Il primo atto della diatriba

327 L’annuncio colse di sorpresa le opposizioni, in particolare per il modo in cui arrivò. Fu, infatti, dato in diretta nel corso del dibattito televisivo tra Gbagbo e Ouattara.

istituzionale si articolò attorno agli uffici della Commissione elettorale. In osservanza del codice elettorale quest’ultima avrebbe dovuto rilasciare e trasmettere, al Consiglio Costituzionale, i risultati provvisori entro la mezzanotte del primo dicembre. Secondo quanto previsto dal regolamento interno alla Cei tali risultati, anche se parziali, prima di essere resi pubblici dovevano aver ricevuto il lasciapassare di tutti i membri della Commissione stessa. Il 29 Novembre, contrariamente a quanto previsto dal suddetto regolamento, il portavoce della Cei, Yacouba Bamba, rappresentante delle Forces Nouvelles, rilasciò alcuni dati senza che questi fossero stati vagliati dall’insieme dei membri della Cei. A questo primo incidente si aggiunse, il giorno successivo uno spiacevole episodio. I protagonisti furono lo stesso Bamba e il rappresentante del ministero degli interni, membro della LMP, Damana Pickas. Quest’ultimo in diretta televisiva strappò di mano al primo, il foglio contenente i risultatati provvisori che lo stesso Bamba aveva iniziato a leggere. Parallelamente al battibecco televisivo un altro alterco si verificò in quelle ore. Il vice-presidente della CEI, Amadou Soumahoro, usò la forza per impedire a un gruppo di giornalisti d’intervistare Tokpa Vehi, rappresentante del Consiglio superiore della magistratura in seno alla Cei. Vehi, infatti, era stato il principale, tra i membri della Cei, che avevano osato denunciare pubblicamente l’irregolarità delle procedure di trasmissione dei risultati. Gli episodi appena descritti ci danno l’idea di quanto fosse bollente l’atmosfera in seno alla Commissione elettorale.

Mentre i due schieramenti si battevano, in seno alla Cei, a suon di dichiarazioni e contro- dichiarazioni, la Comunità internazionale329premeva sul presidente Bakayoko affinché questo rilasciasse i risultati elettorali provvisori. Analogamente Dramane Ouattara la sera stessa delle elezioni aveva scritto una lettera al presidente della Cei per ricordargli di rispettare i termini di legge previsti per la trasmissione dei risultati. La decisione di comunicare attraverso una missiva era motivata dal fatto che Ado, per motivi di sicurezza, non poteva abbandonare il Golf Hôtel. Al fine di superare tale ostacolo e instaurare un dialogo diretto con Bakayoko, il quartier generale di Ouattara escogitò uno stratagemma. La sera del primo Dicembre Soro, che nel frattempo si era schierato dalla parte di Ado330, convocò presso l’hôtel, il presidente della

329 I più attivi sotto tale aspetto furono gli ambasciatori di Francia e Stati Uniti, rispettivamente Jean Marc Simon e Philip Carter III.

330 Un’ alleanza quella tra Soro e Ouattara che emerge proprio nei primi giorni di dicembre del 2010 e che fu motivata dai comuni interessi delle due parti. Come sottolinea M. Fofana, Des Forces nouvelles

Commissione elettorale. Ufficialmente la visita di Bakayoko al quartier generale di Ado, aveva come scopo quello di fornire una consultazione; in realtà fu chiamato al fine di redigere, assieme agli ambasciatori francese e statunitense, la dichiarazione di proclamazione dei risultati provvisori. Il mattino seguente questi furono resi noti da Bakayoko alla presenza di Ouattara, Soro, dei due ambasciatori e dalla stampa internazionale, per lo più francese. Grandi assenti all’evento furono i rappresentanti degli altri candidati, i membri della Cei e i media nazionali. Attraverso una procedura, che non è poi così errato definire rocambolesca, Bakayoko annunciò che Alassane Dramane Ouattara, con il 54,1% delle preferenza era a detta della Commissione il nuovo presidente della Costa d’Avorio. Con uno scarto di 376 109 voti si era imposta

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