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La crisi a metà anni Settanta

SULL’ITALIA

ANNO PENSIONI * ASSEGNI FAMILIAR

2.3 La crisi a metà anni Settanta

Negli anni ’70 un’ondata di critiche e delusioni profonde investì il welfare state nel dibattito politico e ideologico in quanto si era manifestata e affermata la convinzione che esso non potesse garantire una società sicura e più giusta. Già dalla seconda metà degli anni Sessanta, infatti, divenne chiaro ad economisti e demografi che lo Stato assistenziale avrebbe imboccato una strada di autodistruzione.

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- I governi nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale avevano continuamente ampliato le prestazioni di welfare, per accrescere il consenso elettorale, senza tener conto del bilanciamento tra entrate e prestazioni erogate. La spesa per il settore del welfare iniziò ad aumentare a causa delle maggiori aspettative poste dai cittadini e comportò una continua crescita della pressione tributaria, quindi una diminuzione negli investimenti e nei consumi privati ottenendo evidenti effetti negativi sul fronte occupazionale.

Grafico 2. % della spesa sociale per pensioni, assegni familiari e disoccupazione n Italia dal 1955 al 1980, % spesa sociale totale

Fonte: Collana storica della Banca d’Italia

Inoltre i maggiori benefici di questo costosissimo sistema (alimentato da tutti, anche dai più poveri) non andarono a favore delle persone più bisognose ma alimentarono i redditi della classe media, la stessa da cui provenivano i burocrati che gestiva tutto il sistema. Infine le stesse istituzioni che avevano come obiettivo l’accrescimento del consenso elettorale, smisero di essere al servizio delle fasce più deboli e più bisognose della popolazione, trasformandosi così in uno strumento della politica clientelare dei partiti.

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Tabella 2.3 Entrate, uscite e saldi della PA in Italia (% sul PIL)

1965 1970 1975 1980 1982 ENTRATE CORRENTI 30% 30,40% 31,20% 37,80% 40,60% USCITE CORRENTI 30,60% 30,20% 38,30% 41,70% 48,80% AVANZ0 -0,50% 0,20% -7,10% -3,90% -7,70% INDEBITAMENTO NETTO -3,80% -3,50% -11,70% -8,30% -12,20% Fonte: Ferrera, 1984

Per meglio sviscerare il problema, è possibile identificare quattro principali ingiustizie avvenute nel tempo con la distorsione dello Stato sociale:

1. La spesa non venne mai sistematicamente controllata dando, così, a tutti indistintamente. Sarebbe stato necessario operare una separazione: la spesa assistenziale avrebbe dovuto cercare di sanare le situazioni di maggior disagio, quindi per alleviare nuovi bisogni avrebbe dovuto spostare le risorse disponibili dai settori in cui al momento i bisogni erano meno impellenti ai settori in cui servivano maggiormente. Se però la spesa assistenziale era concepita (erroneamente) soprattutto come strumento clientelare, diventava difficile, pena la perdita di consensi, ridurre o modificare gli impegni assunti. Quindi invece che dare l’indispensabile a chi necessitava di aiuto, si tese a dare un po’ di tutto a tutti (anche a chi, di fatto, avrebbe avuto i mezzi per provvedervi in autonomia). 2. Si diede maggiormente a chi riusciva a “farsi sentire di più” e non a

chi aveva maggior bisogno. Diversamente da ciò che è l’immaginario comune, i maggiori fruitori del welfare state non sono i più bisognosi, ma la classe media e questo in virtù di due motivi: in primis una base culturale è fondamentale per poter accedere alle offerte in campo assistenziale (per cultura intendiamo avere informazioni sulle possibilità a propria disposizione, poter individuare gli iter burocratici, ecc) cosa di cui i più bisognosi sono

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spesso sprovvisti, a differenza della classe media. In secundis è difficoltoso il contatto con le persone più disagiate e meno organizzate, di conseguenza si tende ad intervenire soprattutto a favore dei gruppi più strutturati e quindi generalmente meno bisognosi, dai quali si è certi ottenere un riscontro politico in un futuro.

3. È stata separata la crescita del tenore di vita dalla crescita della produttività. Prima di questa trasformazione il tenore di vita dei lavoratori dipendeva soprattutto dal salario reale che veniva deciso nel confronto con i datori di lavoro che concedevano aumenti solo a fronte della crescita della produttività. Con il welfare state “distributore” di benefici sociali questo rapporto si è andato deteriorando perché il tenore di vita ha cominciato a dipendere anche da questi benefici e nelle trattative salariali si è inserito il governo come terzo attore. Ciò avviene attraverso i sindacati, che fanno da moderatori tra imprenditori e lavoratori.

4. Si sono sacrificate risorse utili per mantenere in vita imprese in dissesto. Uno dei punti focali dell’economia capitalistica era la costante eliminazione delle imprese che non riuscivano a rispondere ai cambiamenti della domanda, che producevano dunque o beni a bassa richiesta o a costi troppo elevati e quindi non competitivi. In questi anni però, iniziò il declino dell’era capitalistica e subentrò lo Stato nel farsi carico, invece che sopprimerle, delle aziende non risanabili per salvaguardare il posto di lavoro dei dipendenti che vi lavoravano. Per provvedere alla gestione di queste aziende vennero spese enormi somme di denaro che sarebbero potute essere investite nella riduzione degli oneri sociali a carico delle imprese o per incentivare fiscalmente la crescita dell’occupazione e la nascita di nuove attività economiche. Il problema che però si trovò ad affrontare lo Stato era un problema reale ed immediato (la disoccupazione causata dalla chiusura delle aziende) che affrontò adottando una soluzione che agisse nel “qui ed ora” senza considerare, in prospettiva, una soluzione che potesse dare maggiori benefici nel medio-lungo periodo.

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- Venne a modificarsi la struttura della società: da un lato si modificò la struttura familiare grazie alle vittorie delle donne che si videro riconoscere vari diritti (come ad esempio la legge sul divorzio nel 1970 che per la prima volta “calcolò” il contributo femminile nella vita familiare, la riforma del diritto di famiglia avvenuto nel 1975 con il quale si sanciva che marito e moglie acquistano con il matrimonio gli stessi diritti e doveri, e con la legge sulla parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro ottenuto nel 1977) che consentirono una divisione dei compiti all’interno dell’insieme famiglia e che permise alle donne di diventare lavoratrici con gli stessi diritti degli uomini; dall’altro lato la struttura della società si modificò a causa del calo demografico e della crescita impressionante del numero di pensionati rispetto ai lavoratori attivi (a causa dell’allungamento della prospettiva di vita).

L’aumento del numero degli anziani (e dei disoccupati) ridusse in proporzione alla popolazione totale il numero di chi lavorava e produceva ricchezza e di conseguenza si restrinse la base di prelievo dei contributi sociali che avrebbero dovuto coprire i costi crescenti di tutte le prestazioni. Fondamentale diventa la questione pensionistica: la voce di spesa più consistente nel bilancio sociale dello Stato, infatti, è rappresentata dalla voce pensioni ed è anche la voce con il più elevato ritmo di crescita a causa del costante allungamento della vita media.

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Tabella 2.4 Cambiamenti demografici

ANNO POPOLAZIONE 1° GENNAIO TASSO NATALITA TASSO DI FECONDITA TASSO DI MORTALITA SALDO NATURALE 1946 45.540.00 23,00% 3,01 12,10% 491,481 1951 47.295.00 18,20% 2,35 10,20% 378,641 1956 48.788.971 17,90% 2,33 10,20% 376,058 1961 50.373.901 18,40% 2,41 9,30% 461,202 1966 52.317.900 18,70% 2,63 9,50% 483,659 1971 53.958.400 16,80% 2,41 9,70% 383.528 1976 55.588.966 14,00% 2,11 9,90% 231.073 1981 56.479.287 11% 1,59 9,70% 77.812 1986 56.597.823 9,80% 1,35 9,50% 17.392

Fonte: Statistiche demografiche Istat

Grafico 3. Numero di figli per donna

Fonte: Elaborazione dati Istat (dal 1946 in poi)

- Venne data per scontata un’economia in continua crescita. Dalla metà degli anni ’70, però, le economie occidentali entrarono in crisi (e quindi anche l’Italia) a causa da una parte della crescita di deficit e del debito pubblico e dall’altra della fine del modello di sviluppo capitalistico e