L’art. 46 del d.lgs. 231/2001, per guidare la discrezionalità del giudice nella scelta delle misure, prevede i tradizionali criteri di adeguatezza, proporzionalità e gradualità.
Innanzitutto la cautela deve risultare adeguata rispetto all’esigenza che si vuol perseguire. Posto che l’unica finalità contemplata nel sistema in oggetto è quella specialpreventiva, tale parametro viene più esattamente interpretato come un criterio di economicità: sarebbe inutile una misura più gravosa, ove il periculum in mora sia neutralizzabile mediante una meno afflittiva113.
La proporzionalità della misura va invece valutata in relazione all’entità del fatto e della sanzione. Si tratta di due parametri da considerare congiuntamente, come risulta evidente dall’uso della congiunzione “e”114; inoltre, il giudice deve compiere una valutazione prognostica circa la sanzione che ritiene applicabile in concreto all’ente115, per la quale può fare affidamento sui criteri enucleabili dagli articoli 13 e 14 del decreto, che prendono in considerazione l’entità del profitto conseguito e del danno patrimoniale cagionato, la gravità del fatto, il grado di responsabilità dell’ente, l’attività realizzata per eliminare le conseguenze del reato e prevenire la commissioni di ulteriori illeciti, le condizioni economiche dell’ente.
L’art. 14 fissa, altresì, il criterio della specificità dell’intervento sanzionatorio, che deve colpire l’ attività alla quale si riferisce l’illecito dell’ente e, se si tratta del divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, può
113 MOSCARINI, Le cautele interdittive, cit., p. 1119.
114 Trib. Milano, 14 dicembre 2004, C., cit.; Cass., sez. II, 12 marzo 2007, D’A., cit.;Cass., 23 giugno 2006, La Fiorita, cit.
anche essere limitato a determinati tipi di contratti o di amministrazioni. Come illustrato in precedenza, non v’è ragione per cui tale norma, nonostante il mancato esplicito richiamo all’interno della disciplina cautelare, non debba operare anche in quella sede116.
Si è già visto come il criterio di proporzionalità sia stato investito dell’ulteriore funzione di racchiudere i limiti astratti di applicabilità delle misure cautelari, in mancanza di una norma analoga all’art. 280 c.p.p. Si considera, tuttavia, più corretta la ricostruzione che lo vede quale selettore interno tra le misure, piuttosto che come parametro atto ad individuare gli stessi illeciti per i quali è consentito l’esercizio del potere cautelare.
Anche le misure cautelari contemplate nell’art. 45 d.lgs. 231/2001, per effetto del rinvio all’art. 9, sono disposte su un’ideale scala di gravità che vede al suo vertice l’interdizione dall’esercizio dell’attività. In realtà non può parlarsi di una rigorosa gradualità delle misure stesse, poiché ciascuna è suscettibile di spiegare effetti diversificati a seconda della realtà aziendale su cui incide; ad esempio, il divieto di pubblicizzare beni e servizi può essere assai più invasivo rispetto alla sospensione dei finanziamenti, per un’impresa commerciale che sia fortemente dipendente dalla pubblicità (si pensi alle imprese monoprodotto o a quelle produttive di beni tecnologici o fortemente legati all’evoluzione dei gusti e delle mode117).
In ogni caso, l’interdizione dall’esercizio dell’attività è certamente da considerarsi la più grave tra le misure cautelari e, come tale, soggetta alla logica dell’extrema ratio: andrà applicata, cioè, solo quando ogni altra misura risulti inadeguata.
Appare del tutto singolare come una clausola posta a garanzia dell’ente indagato, sia stata a tal punto travisata nella giurisprudenza di merito da ritrovarsi a fondamento di una costruzione tesa a sconfessare le caratteristiche connaturate all’intervento cautelare. L’art. 46 comma 3 d.lgs. 231/2001 è stato oggetto, infatti, di una bizzarra e forzata interpretazione in base alla quale, ove dovessero ricorrere le circostanze descritte dalla norma citata, ovvero l’inadeguatezza di tutte le altre cautele, la misura dell’interdizione dall’esercizio dell’attività potrebbe essere applicata anche se non ne sussistano tutti i requisiti di irrogazione come sanzione definitiva118.
116 Vd. supra, par. 2.
117 Esempi di S. GIAVAZZI, Le sanzioni interdittive e la pubblicazione della sentenza di condanna, in AA.VV., La responsabilità amministrativa degli enti, Napoli, 2002, p. 124 e 125.
118 La Suprema Corte, nel correggere tale infondata e illogica lettura, ha invece ribadito che “il principio di gradualità di cui all’art. 46 comma 3 trovi attuazione nell’ambito, e non già al di fuori, dei presupposti
Per concludere, si ricorda che l’ultimo comma dell’art. 46 d.lgs. 231/2001 introduce il divieto di applicazione congiunta delle misure interdittive. Si tratta di una deviazione non solo dal sistema sanzionatorio, che al contrario prevede tale possibilità (art. 14, comma 3 d.lgs. 231/2001) ma anche rispetto al modello codicistico che consente il cumulo cautelare in caso di trasgressione delle prescrizioni imposte dall’art. 276 comma 1 c.p.p. e nel caso di decorrenza dei termini nella specifica ipotesi di cui all’art. 307 comma 1 bis c.p.p.119 Inoltre, secondo parte della dottrina, stante il silenzio del codice, il cumulo non sarebbe escluso nemmeno in via ordinaria120. Sul punto sono di recente intervenute le Sezioni Unite che hanno dipanato il contrasto interpretativo generatosi in seno alla Suprema corte, esprimendosi per il divieto di cumulo, fatti salvi i casi espressamente stabiliti dalla legge121.
Si osserva, tuttavia, che il carattere meno afflittivo del sistema sotto questo specifico aspetto122 è controbilanciato dall’assenza di indici specifici circa la possibilità di modulare l’estensione della misura interdittiva che si intende applicare. Infatti negli artt. 45 e 46 d.lgs. 231/2001 non c’è un riferimento espresso alla possibilità che l’interdizione avvenga «in tutto o in parte», come invece previsto dagli articoli 288, 289 e 290 c.p.p. Di conseguenza «l’unico espediente ermeneutico per ammettere – come pare opportuno – una certa flessibilità nel dosaggio dell’intervento cautelare, sembra risiedere nella
di applicazione delle misure cautelari; anzi proprio perché l’interdizione dall’attività deve costituire l’extrema ratio, la sua adozione deve presupporre una prognosi positiva circa la possibilità di applicare con la sentenza di condanna la sanzione interdittiva più grave”, cfr. Cass., 12 marzo 2007, D’A., cit. Sul punto vd. anche supra, par. 3.1.
119 Tale disposizione è stata introdotta dall’art. 2 del D.l. n. 341/2000, convertito con modificazioni dalla legge n. 4/2001 e permette l’applicazione anche cumulativa delle misure previste dagli articoli 281, 282 e 283 c.p.p., nel caso di scarcerazione per decorrenza dei termini, quando si procede per taluno dei reati indicati nell’art. 407 comma 2 lett. a c.p.p.. Sulle problematiche scaturite dalla novella, cfr. CERESA- GASTALDO, Sostituzione e ripristino della custodia cautelare dopo la scarcerazione, in Il decreto
antiscarcerazioni, a cura di Bargis, Torino, 2001, p. 31; G. CONTI, Decreto antiscarcerazione: celerità
processuale e controlli nell’esecuzione della pena. Modifiche al codice di procedura penale, in Dir. pen. e proc., 2001, p. 309 ss.
120 CHIAVARIO, Sub art. 275 c.p.p., in Commento al nuovo codice di procedura penale, coordinato da Chiavario, III, Torino, 1990, p. 66; PERONI, Le misure interdittive, cit. p. 144; ID, Il sistema delle cautele, cit., p. 253.
121 Cass., sez. un., 30 maggio 2006, L.S.; in Dir. e giust., 2006, p. 51, con nota di MACCHIA,
Provvedimenti de libertate, no al cumulo. Ma il nodo è l’equilibrio del sistema. Per una compiuta
esposizione della tesi opposta, cfr. Cass., sez. VI, 23826/2004, Milloni.
122 Non è detto peraltro che la possibilità di applicazione cumulativa delle misure si traduca necessariamente in una maggiore afflittività del sistema, posto che l’applicazione congiunta di sanzioni meno invasive potrebbe essere sufficiente a soddisfare esigenze, altrimenti perseguibili con un’unica misura, ma a tasso di coercizione più elevato, così MACCHIA, Provvedimenti de libertate, cit., p. 59.
discrezionalità che l’art. 45 attribuisce al giudice in sede di determinazione delle modalità applicative della misura»123.
5. Interferenze tra il procedimento cautelare a carico dell’imputato del