IL PROCEDIMENTO APPLICATIVO DELLE MISURE CAUTELARI INTERDITTIVE
1. La domanda cautelare del pubblico ministero.
Il procedimento applicativo delle misure cautelari a carico degli enti giuridici è parametrato su quello codicistico, dal quale diverge, tuttavia, per alcuni significativi aspetti. Pur nel nucleo dei tratti comuni, peraltro, le peculiarità della materia sono tali da conferire allo schema classico del procedimento cautelare un volto del tutto originale.
Anche in questa sede, l’iniziativa è riservata al pubblico ministero, escludendosi ogni potere officioso da parte del giudice1.
Quanto al dossier argomentativo di cui deve essere corredata la richiesta dell’accusa, l’art. 45 d.lgs. 231/2001 riproduce quasi letteralmente il disposto dell’art. 291 c.p.p., prescrivendo che il pubblico ministero presenti al giudice gli elementi sui cui si fonda la domanda, nonché gli elementi a favore dell’ente e le eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate.
1 Il principio della domanda individua uno dei tratti più qualificanti del procedimento de libertate, fedele al modello accusatorio cui s'ispira il codice del 1988: introdotto sulla scia della legge n. 330 del 1988 (tipico esempio di "legge ponte"), esso ha determinato la sottrazione del potere cautelare al pubblico ministero, che nel sistema del 1930 poteva invece esercitarlo ove si procedesse mediante istruzione sommaria.
L'esercizio del potere cautelare individua oggi il risultato di una fattispecie complessa: da un lato è necessario l'impulso del pubblico ministero, che però non ha titolo per emettere misure cautelari (né personali né reali); dall'altro, il giudice non può esercitare il potere coercitivo senza la previa richiesta del pubblico ministero.
Il richiamo va contestualizzato. Sul versante dei dati a carico, non possono che riproporsi quei margini di discrezionalità selettiva di cui il pubblico ministero beneficia a tutela delle indagini. Ma la frizione che tale assetto è suscettibile di innescare rispetto alle istanze garantiste della difesa si ridimensiona fino a scomparire nell’ambito de quo, in virtù della presenza di un contraddittorio anticipato per l’emanazione del provvedimento cautelare2. D’altro canto, riguardo agli elementi favorevoli all’ente3, perde rilievo la disposizione che impone di presentare le deduzioni e le memorie difensive già depositate, dal momento che nell’apposita udienza la difesa potrà non solo depositare le memorie, comprese quelle già presentate al pubblico ministero, ma illustrare la propria posizione e contraddire la tesi accusatoria; potrà altresì presentare direttamente gli eventuali risultati delle indagini difensive a norma dell’art. 391 octies c.p.p.4
Resta da chiarire il significato che riveste, in questo specifico contesto, la norma che, con formula generica, fa carico al pubblico ministero di depositare gli elementi a favore dell’ente5. Tale disposizione viene ad assumere un’importanza cruciale, in considerazione delle numerose circostanze che possono essere valorizzate al fine di escludere la responsabilità dell’ente o, quanto meno, la necessità di applicare misure cautelari. Si pensi, per esempio, alla sussistenza di un interesse esclusivo dell’autore del reato (art. 5 comma 2 d.lgs. 231/2001) o al prodursi di un danno patrimoniale di particolare tenuità (art. 12).
Ove nel corso delle indagini dovessero emergere elementi di questo tipo, in base al combinato disposto di cui agli articoli 45 d.lgs. 231/2001 e 291 c.p.p., il pubblico ministero sarebbe tenuto ad allegarli all’atto della richiesta cautelare. Tuttavia, ci si può interrogare circa il grado di reale osservanza che incontrerà
2FIDELBO, Le misure cautelari, cit., p. 485.
3 Rispetto ai quali si fa notare come l’art. 45 d.lgs. 231/2001 non riproduca l’aggettivo “tutti” di cui all’art. 291 c.p.p., escludendo però che la difformità testuale corrisponda ad una differenza di sostanza, così PERONI, Il sistema delle cautele, cit., p. 255.
4 FIDELBO, Le misure cautelari, cit., p. 485.
5 Con riferimento all’art. 291 c.p.p., si è chiarito che con tale locuzione devono intendersi tutti gli elementi rilevanti per la situazione cautelare dell’imputato, inclusi non solo i dati che possono incidere favorevolmente sulla responsabilità, come ad esempio gli aspetti della gravità indiziaria e della qualificazione del fatto, ma anche le informazioni che possono comunque rilevare in ordine all’accertamento delle esigenze cautelari e alla personalità dell’imputato, così GIOSTRA, Art. 8 legge 8
agosto 1995, n. 332, in AA.VV., Modifiche al codice di procedura penale, Padova, 1995, p. 126.
Secondo la giurisprudenza, nella nozione di elementi a favore rientrano solo gli elementi di natura oggettiva e di fatto aventi rilievo concludente, mentre restano escluse le mere posizioni difensive negatorie, le prospettazioni di tesi alternative e gli assunti assertori e defatiganti (Cass., 4 marzo 1997, De Leonardo, in C.E.D. Cass., n. 217139.
una simile disposizione, in un contesto dove la difesa ha la possibilità di far valere tutti gli elementi a suo favore già prima dell’applicazione della cautela. Va ricordato che, pur nella generale condivisione di una scelta volta a rafforzare i poteri cognitivi del giudice cautelare, all'indomani della riforma di cui alla legge 335/1995, si è fatto prontamente notare come il criterio di scelta degli atti da trasmettere al giudice da parte del pubblico ministero resti incontrollabile, con la conseguente impossibilità di neutralizzare il rischio di condizionamento della decisione6. Infatti, pur essendo agevolmente ravvisabile nella violazione dell'obbligo gravante sul pubblico ministero un'ipotesi di nullità intermedia per violazione del diritto di difesa dell'imputato7, la disposizione resta priva di efficacia sul piano pratico, perchè rimane “misterioso” il modo in cui si possa realmente verificare l'inosservanza del dovere di presentazione8.
Ebbene, se la possibilità (non fisiologica, ma realistica) che il pubblico ministero non porti a conoscenza del giudice gli elementi probatori a favore dell'imputato9 può ritenersi permanente nel contesto codicistico, anche dopo la riforma del 1995, è molto probabile che nell'incidente cautelare de societate, l’accusa si guardi bene dal fornire essa stessa all’ente indagato – che gode di tutela di gran lunga maggiore rispetto alla persona fisica - un assist per costruire la propria linea difensiva.
Inoltre, la regola in questione deve essere coordinata con il delicato problema della distribuzione dell’onere probatorio, derivante dalle previsioni di cui agli articoli 6 e 7 del d.lgs. 231/2001. Infatti, la prima norma – che disciplina l’illecito dipendente dal reato dei vertici - sembra delineare una vera e propria inversione dell’onere della prova, sulla cui legittimità grava più di un dubbio10. Nella seconda ipotesi - concernente l’illecito da reato dei sottoposti – in cui non compare una regola espressa in ordine alla distribuzione dei compiti probatori, risulta piuttosto controverso stabilire su quale parte gravi l’onere della prova, a
6 ILLUMINATI, Presupposti delle misure cautelari e procedimento applicativo, in GREVI, Misure cautelari
e diritto di difesa, Milano, 1996, p. 110; nello stesso senso GIOSTRA, Art. 8, cit., p. 154; MANZIONE, sub art. 291 in Commentario al codice di procedura penale, a cura di Chiavario, III agg., Torino, p. 166. 7 VITTORINI G., Il procedimento applicativo, in AMODIO, Nuove norme, cit., p. 33; in giurisprudenza cfr. Cass., 13 febbraio 1998, Migliaccio, in Cass. Pen., 1999, p. 1521, con nota di NACAR, Una felice – ma
discutibile - “operazione garantista” della Cassazione; Cass., 5 ottobre 1998, Gradi ed altro, ivi, 2000, p.
979.
8 FERRUA, Poteri istruttori e del pubblico ministero e nuovo garantismo: un' inquietante convergenza
degli estremi, in GREVI, Misure cautelari, cit., p. 263.
9 CIANI, sub art. 291 c.p.p., in Commentario, a cura di Chiavario, cit., p. 163.
causa di una formulazione della norma non particolarmente limpida11. Il dubbio investe ovviamente anche la dinamica cautelare, all’interno della quale risulta fondamentale accertare se sia l’ente a dover provare la sussistenza e validità del modello organizzativo oppure se ciò rientri nell’obbligo di ostensione dell’accusa, dovendo il pubblico ministero dimostrare, all’atto della presentazione di una richiesta cautelare, che la società non si era dotata di modelli idonei a prevenire il rischio reato.
Il tema sarà oggetto di specifica trattazione nel prosieguo del capitolo.