Del tutto innovativa rispetto al panorama cautelare codicistico, ma perfettamente in linea con un sistema di responsabilità a carico di soggetti collettivi, è la possibilità, stabilita dall’art. 45 comma 3 d.lgs. 231/2001, di nominare un commissario giudiziale in luogo della misura interdittiva.
L’istituto è disciplinato in termini generali dall’art. 15, cui la norma richiamata espressamente rinvia, che ne prevede l’applicazione in via sostituiva rispetto alle sanzioni interdittive temporanee, qualora ricorrano, alternativamente, due condizioni: l’ente svolge pubblico servizio o un servizio di pubblica necessità la cui interruzione può provocare un grave pregiudizio alla collettività; l’interruzione dell’attività dell’ente può provocare, tenuto conto delle sue dimensioni e delle condizioni economiche del territorio in cui è situato, rilevanti ripercussioni sull’occupazione.
Da tali presupposti si desume che la finalità del commissariamento è quella di bilanciare due interessi suscettibili di entrare in competizione: da una parte l’esigenza di punire l’ente resosi responsabile di un illecito, dall’altra la necessità di tutelare i soggetti terzi che risultino pregiudicati dall’irrogazione di sanzioni ai danni della societas. Si tratta di una preoccupazione che accompagna costantemente qualsiasi tipologia di intervento sanzionatorio a carico delle imprese o anche di singoli imprenditori, si pensi, ad esempio, alle ripercussioni sui soci estranei all’illecito, sui terzi creditori oppure sui lavoratori134. Tuttavia, poiché tutte le pene sono suscettibili di determinare effetti negativi su terzi innocenti ed una pedissequa attuazione della legge delega – che si limitava a prevedere la nomina di un vicario quando la prosecuzione dell’attività si rendesse necessaria per evitare pregiudizio a terzi – avrebbe generato una sostanziale disapplicazione delle sanzioni interdittive a carico dell’ente, il legislatore delegato ha opportunamente delimitato l’ambito operativo del commissariamento ai casi in cui entrino in gioco preminenti interessi collettivi, quali le esigenze sopra ricordate135.
134 In passato, con riferimento a sanzioni di contenuto simile che, colpendo l’imprenditore, si sarebbero potute riversare sulle condizioni dei lavoratori, sono stati sollevati dubbi di legittimità costituzionale: cfr., in proposito, C. PECORELLA, Societas delinquere potest, in Riv. giur. lav., 1977, IV, p. 368.
135 In questo senso LOTTINI, Il sistema sanzionatorio, in AA.VV., Responsabilità degli enti, a cura di Garuti, cit., p. 159 s.; FIDELBO, Le misure cautelari, cit., p. 506 s.; PIERGALLINI, Apparato sanzionatorio, in AA.VV., , Reati e responsabilità degli enti, a cura di Lattanzi, cit., p. 208, il quale prefigura facili critiche dovute alla disinvolta attuazione della delega, ma al contempo ribadisce la necessità di una
L’istituto presenta alcuni problemi di carattere generale ed altri che derivano specificamente dalla sua trasposizione in sede cautelare.
Sotto il primo profilo, una questione di carattere preliminare, da cui dipende l’ambito operativo della fattispecie, consiste nell’accertare quale tipo di sanzione possa dare origine alla nomina di un commissario giudiziale. Fermo restando che deve trattarsi di un’interdizione applicata in via temporanea - dal momento che l’ultimo comma dell’art. 15, in linea con le finalità dell’istituto, esclude il commissariamento in caso di applicazione definitiva – il dubbio scaturisce dalla formulazione della norma, che prevede la nomina del commissario quando la sanzione interdittiva “determina l’interruzione dell’attività”. Ebbene, tale nomina è subordinata alla sola sanzione che per sua natura comporta l’interruzione dell’attività, cioè l’interdizione dall’esercizio dell’attività ex art. 9 lett a, oppure può conseguire anche a quelle sanzioni suscettibili di causare in via indiretta quell’effetto?
A sostegno della prima soluzione milita il dato letterale di cui all’art. 15 d.lgs. 231/2001, che sembra agganciare la possibilità di disporre il commissariamento alla sola condizione formale dell’interruzione dell’attività, la quale, pertanto, deve conseguire automaticamente alla sanzione che si intende applicare, senza che il giudice compia un vaglio prognostico circa le potenzialità inibitorie della stessa136.
Un’ottica di carattere sostanziale, invece, tesa a valorizzare gli effetti concreti che le singole sanzioni sono in grado di generare nella realtà aziendale, porterebbe a ricomprendere nel dettato dell’art. 15 anche gli interventi diversi da quello delineato nell’art. 9 lett. a, ove siano idonei a determinare, come conseguenza indiretta, la paralisi dell’attività. Se, ad esempio, l’oggetto dell’attività dell’ente presuppone la titolarità di particolari licenze, concessioni, autorizzazioni, la revoca o sospensione delle stesse interromperebbero l’attività della societas. Analogo discorso vale per il divieto di pubblicizzare beni e servizi in relazione ad un’impresa che effettui esclusivamente servizi pubblicitari, nonché per il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione se l’ente
costruzione normativa tesa ad evitare «sepoltura delle sanzioni interdittive e un’espansione incontrollata del commissariamento».
136 In tal senso; PIERGALLINI, Apparato sanzionatorio, cit., p. 208; FIDELBO, Le misure cautelari, cit., p. 506 s., il quale, tuttavia, include nel catalogo delle sanzioni che consentono la nomina del commissario anche quelle diverse dall’interdizione dell’esercizio dell’attività, purché la loro efficacia paralizzante non implichi la valutazione di elementi non direttamente riconducibili agli effetti dei provvedimenti cautelari.
presti servizi esclusivamente per quest’ultima. L’unica differenza, in questi casi, sta nel fatto che il giudice, al fine di nominare un commissario, deve compiere una valutazione in concreto, premurandosi di accertare se, in seguito all’applicazione della sanzione interdittiva, l’ente sia oggettivamente impedito nell’esercizio dell’attività137. Tale soluzione appare maggiormente rispettosa delle finalità proprie dell’istituto, oltre a trovare una parziale conferma nella Relazione al decreto 231/2001138.
Ovviamente, ai fini del commissariamento, l’interruzione dell’attività non rileva di per se stessa, ma in quanto produttiva delle situazioni pregiudizievoli per la collettività di cui all’art. 15 d.lgs. 231/2001.
Quanto alla prima condizione, le nozioni di servizio pubblico o di pubblica necessità rinviano all’esercizio di una funzione di interesse generale cui può essere preposto tanto un soggetto pubblico che uno privato139. Per individuare i servizi di pubblica necessità, si può fare affidamento anche sulle indicazioni provenienti da altri settori dell’ordinamento in cui si manifestano analoghe esigenze di tutela della collettività da pregiudizi conseguenti all’interruzione di servizi; si pensi, ad esempio alla regolazione del diritto di sciopero140. Il servizio pubblico si connota, più precisamente, per la sua possibilità di essere fruito da una generalità indistinta di utenti e la gravità del pregiudizio – altro parametro richiesto dall’art. 15 – si può ravvisare quando il servizio incida sullo svolgimento delle quotidiane attività dei cittadini141. Preziose indicazioni provengono anche dalle pronunce giurisprudenziali. La giurisprudenza di merito ha accolto una nozione piuttosto ampia del concetto di servizio di pubblica necessità la cui interruzione è foriera di un grave pregiudizio, riconoscendo, ad esempio, questi caratteri all’attività di due società private che erogavano un servizio di vigilanza anche presso installazioni pubbliche142. La Cassazione, nel diverso ambito dei reati contro la pubblica amministrazione, ha stabilito la non
137 Di questa opinione EPIDENDIO, Le sanzioni, in BASSI-EPIDENDIO, Enti e responsabilità da reato, cit. p. 355 s., il quale argomenta sulla base della differente dizione usata nella legge delega che sembra alludere alla sola sanzione di cui all’art. 9 lett. a, laddove, invece, il decreto legislativo fa genericamente riferimento ad una sanzione interdittiva che comporti l’interruzione dell’attività; LOTTINI, Il sistema
sanzionatorio, cit., p. 162 secondo il quale, però, la paralisi dell’attività deve porsi quale conseguenza
immediata della sanzione interdittiva. 138
Relazione al decreto 231/2001, par. 6, dove si fa riferimento esplicito, però, alla sola sanzione della
revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni.
139 CATTANEO, Servizi di pubblica necessità (tutela penale dei), in Enc. dir., Milano, 1990, p. 356. 140 EPIDENDIO, Le sanzioni, cit., p. 358.
141 EPIDENDIO, Le sanzioni, cit., p. 358.
rilevanza della natura eventualmente privata dell’ente e la mancanza di atto formale di attribuzione della funzione, ove vi sia la disponibilità di fondi vincolati a scopi pubblicistici143. In un’altra occasione, ha assunto come discrimine la riferibilità ad un servizio in favore della generalità dei cittadini o di determinate categorie, in genere assunto dallo Stato o da enti pubblici144 .
Per quanto riguarda, invece, la crisi occupazionale, è la norma stessa ad ancorane la prognosi alle dimensioni ed alla collocazione territoriale dell’ente. Il primo indicatore assume rilievo nella misura in cui l’impresa sia sufficientemente grande da consentire l’impiego della forza lavoro in settori aziendali non colpiti dall’interdizione, oppure qualora la stessa sia in grado di predisporre misure organizzative idonee a consentire comunque il riassorbimento dei dipendenti nell’originaria collocazione. Il secondo impone di verificare se vi sia una concreta prospettiva di assorbimento della manodopera in altri enti che operino nella stessa area145.
Si tratta, in ogni caso, di valutazioni che, sebbene supportate da parametri legali, si colorano di una forte discrezionalità, andando a lambire il piano dell’opportunità politico-amministrativa, in special modo quando si tratta di analizzare la situazione industriale del territorio dove è situata l’impresa146.
Venendo ai compiti e ai poteri riservati al commissario, l’art. 15 comma 2 d.lgs. 231/2001 ne rimette la determinazione al giudice, che provvederà ad indicarli nella sentenza con cui dispone la prosecuzione dell’attività, tenendo conto della specifico settore in cui è stato consumato l’illecito.
La scelta del legislatore delegato di lasciare ampia flessibilità al giudice tanto nella determinazione delle competenze del commissario, quanto con riferimento alle categorie di soggetti tra i quali effettuare la nomina147, ha suscitato qualche perplessità148. La genericità del dato normativo viene,
143 Cass., 27 dicembre 2005, in CED 231233. 144 Cass., 24 ottobre 1997, in CED 210232.
145 Sul punto DE MARZO, Le sanzioni amministrative: pene pecuniarie e sanzioni interdittive, in Le
Società, 2001, p. 1308.
146 Sottolinea questo aspetto, FIDELBO, Le misure cautelari, cit., p. 507.
147 In mancanza di indicazioni legislative, si ritiene che il giudice potrà scegliere i commissari tra quelli di sua fiducia dotati delle capacità gestionali richieste dai compiti al medesimo rimessi. Si precisa, altresì, che la figura del commissario non è assimilabile né a quella dell’ausiliario del giudice (non trattandosi di un soggetto che assiste il giudice nel compimento delle sue attività ex art. 126 c.p.p.) né a quella di un perito o consulente tecnico (non trattandosi di un mezzo di prova poiché la nomina non è finalizzata all’accertamento di fatti), così EPIDENDIO, Le sanzioni, cit., p. 359.
148 DE MARZO, La delega al Governo per la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone
comunque, facilmente colmata ritenendo che il commissario non debba fare altro che assumere, in via temporanea, la direzione e gestione dell’ente da esercitare secondo le direttive fissate dal giudice149. Il commissario, dunque, andrà a sostituire gli organi amministrativi; in casi particolari, ad esempio se il socio di maggioranza sia anche amministratore e autore del reato, può assumere anche i compiti dell’assemblea150. Quanto alla possibilità di compiere atti di straordinaria amministrazione, è necessaria un’espressa autorizzazione del giudice, a norma dell’art. 15 comma 3 d.lgs. 231/2001151.
C’è un’unica attività, tra quelle demandate al commissario, ad essere espressamente prevista dalla legge: l’adozione ed efficace attuazione di modelli organizzativi. Questo aspetto conferisce al commissariamento una finalità ulteriore rispetto a quella, già illustrata, di contemperare l’esigenza punitiva con quella di tutela della collettività, poiché ne svela il carattere curativo, teso al recupero dell’ente che delinque. Sotto tale profilo, l’istituto in parola presenta delle analogie con modelli di matrice estera, quali il corporate probation statunitense e il placement sous surveillance judiciaire francese152: obiettivo comune di simili misure è quello di imporre una sorta di trattamento terapeutico che, individuati i meccanismi criminogeni interni all’ente, provveda alla loro neutralizzazione sul presupposto che l’illecito costituisca la spia di una degenerazione patologica da debellare153.
Il dovere del commissario di curare l’adozione dei modelli fornisce l’occasione per passare all’analisi delle problematiche che coinvolgono l’istituto, quando viene applicato in sede cautelare. Infatti, immessa in questo specifico settore per effetto del rinvio operato dall’art. 45 d.lgs. 231/2001, la disciplina di cui all’art. 15 necessita di taluni adattamenti ed il principale dubbio interpretativo concerne proprio la possibilità di adottare i modelli organizzativi.
149 FIDELBO, Le misure cautelari, cit., p. 509; GIAVAZZI, Le sanzioni interdittive, cit., p. 132.
150 DI GERONIMO, Responsabilità da reato degli enti: l’adozione dei modelli organizzativi post-factum ed
il commissariamento giudiziale nelle dinamiche cautelari, in Cass. pen., 2004, p. 265, il quale sottolinea
la differenza tra l’istituto de quo e altre forme di commissariamento giudiziale, come quello previsto dall’art. 2049 c.c.
151 La giurisprudenza ha precisato che la distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione non va ricercata nel carattere conservativo dell’atto posto in essere, in quanto il compimento di atti di disposizione dei beni è connaturato all’esercizio dell’impresa; ma riguarda la relazione dell’atto con la normalità della gestione dell’ente in cui il commissario è chiamato ad operare, tenendo conto di tutti gli elementi concreti che valgono a caratterizzarla. Di conseguenza, eccede l’ordinaria amministrazione l’atto dispositivo estraneo all’oggetto sociale, che non è rivolto a realizzare gli scopi economici della società 152 Per un approfondimento di questi istituti si rinvia a DE MAGLIE, L’etica e il mercato, cit., p. 89. 153 CERNUTO, Sub art. 15 d.lgs. 231/2001, in Responsabilità “penale” delle persone giuridiche, Napoli, 2007, p. 150.
Si è osservato154 come quest’ultima attività si giustifichi a fronte di una sentenza di condanna, ma non nell’ipotesi di una valutazione indiziaria, quale è quella cautelare. Nel primo caso, infatti, sussiste un accertamento di responsabilità che ha riscontrato carenze organizzative dell’ente, mentre nella fase cautelare tale accertamento è ancora in corso e, pertanto, non essendo stata dimostrata ancora alcuna negligenza, non si può imporre all’ente di dotarsi dei modelli per il tramite del commissario, laddove l’adozione di questi ultimi, in fase di cognizione, risulta assolutamente spontanea155. Del resto, se la società, in fase cautelare, intende fornirsi di modelli, potrà sfruttare il meccanismo di sospensione di cui all’art. 49 d.lgs. 231/2001156, che le consentirà di liberarsi della restrizione applicatagli. Oltretutto la condotta ripristinatoria del commissario potrebbe trasformarsi in un elemento dimostrativo della carenza organizzativa dell’ente, con ripercussioni sulla valutazione probatoria157.
Esclusa la possibilità di attuare modelli organizzativi in sede cautelare da parte del commissario, il giudice si troverà, però, dinanzi alla difficile alternativa se consentire comunque la prosecuzione dell’attività dell’ente che, sebbene commissariato, continuerebbe ad operare in una situazione di propensione all’illecito oppure applicare la misura cautelare paralizzando o limitando l’attività d’impresa. La legge non fornisce parametri che guidino il giudice in quella che è una valutazione discrezionale, si ritiene comunque che, nel confronto tra i contrapposti interessi della tutela della collettività dal pericolo di reiterazioni di reati e le esigenze di cui all’art. 15 d.lgs. 231/2001, debba prevalere il primo a meno che le carenze organizzative dell’ente presentino un rischio di reato assolutamente minimo158.
Ulteriore problema riguarda il profitto derivante dalla prosecuzione dell’attività dell’ente commissariato, di cui l’art. 15 comma 4 dispone la confisca. E’ di tutta evidenza la natura ablatoria e definitiva di un simile provvedimento, che non può trovare applicazione all’esito di un accertamento in
154 FIDELBO, Le misure cautelari, cit., p. 510.
155 Ribadisce la spontaneità sottesa alla scelta di dotarsi dei modelli organizzativi Cass., 23 giugno 2006, La Fiorita, cit., a fronte di un’ordinanza cautelare con cui il giudice aveva imposto all’ente l’adozione degli stessi.
156 Vd. infra, cap. IV.
157 FIDELBO, Le misure cautelari, cit., p. 510. Invita a rimeditare tale conclusione, sottolineando il sacrificio che ne deriva per la tutela della collettività e dell’ente stesso ATTILI, Intervento al Convegno
“Responsabilità degli enti”, Jesi, 10-11 maggio 2007.
itinere159. Tuttavia, bisognerà pur trovare una destinazione per tale profitto, in assenza di determinazioni normative al riguardo. La soluzione prospettata in dottrina impone, da una parte, di tenere conto della tutela dell’ente, che non può essere in questa fase penalizzato in via irreversibile, e, dall’altra, di considerare un’eventuale futura sentenza di condanna, che renderebbe necessario acquisire il profitto conseguito durante il periodo del commissariamento. Tutto ciò considerato, si ritiene che spetti al giudice, ai sensi dell’art. 15 comma 2, dare indicazioni sulla destinazione e custodia del profitto, eventualmente disponendone il sequestro, rinviando così all’esito dell’accertamento della responsabilità dell’ente ogni decisione definitiva sulla confisca160.
Tra le ricadute pratiche dell’illustrato istituto, particolare interesse ha suscitato la questione inerente alla possibilità, per l’ente soggetto a commissariamento in via cautelare, di partecipare alle gare d’appalto. Il Consiglio di Stato, più volte intervenuto sul tema, ha stabilito l’illegittimità dell’esclusione, fatta eccezione per l’ipotesi in cui la misura cautelare applicata consista nel divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, espressamente previsto dal codice degli appalti161 come causa di esclusione dalle gare162.
159 Sul punto CORAPI, La nomina del commissario giudiziale, in Atti del Convegno su Responsabilità
degli enti per i reati commessi nel loro interesse, Roma, 2001, in Cass. pen., suppl. al n. 6, 2003, p. 140.
Ad ulteriore corroborazione della non confiscabilità del profitto frutto del commissariamento, in sede cautelare, si ricorda che la confisca non è richiamata tra le sanzioni che possono applicate a titolo cautelare, inoltre l’art. 45 comma 3 si limita a richiamare l’art. 15 per quanto riguarda la possibilità di nomina, ma non per le ulteriori condizioni previste in detta disposizione (così EPIDENDIO, Le misure
cautelari, cit. p. 427.
160 FIDELBO, Le misure cautelari, cit., p. 512. 161 D.lgs. 163/2006, art. 38 comma 1, lett. m.
162 Cons. Stato, sez. V, 13 luglio 2006, n. 4415. Per un approfondimento in materia si rinvia a LECIS- PERRONE, Partecipazione alle gare d’appalto e misure cautelari ex d.lgs. 231/2001, in La resp. amm.