• Non ci sono risultati.

Nello studio sono stati inclusi 50 bambini di entrambi i sessi, di eta’ compresa tra 1 e 12 anni affetti da febbre ricorrenti, che per la clinica rientravano nei criteri di Thomas (Criteri diagnostici per la sindrome PFAPA (da Marshall et al. 1989, mod. da Thomas et al. 1999). Episodi febbrili ricorrenti, in assenza di infezioni delle alte vie respiratorie con almeno uno tra: Stomatite aftosa, Linfadenite cervicale, Faringite/Tonsillite. Periodi asintomatici tra gli accessi febbrili, con un minimo di 12 mesi di storia di episodi ricorrenti di febbre non migliorata con terapia antibiotica, e con poca o nessuna risposta ipotermica alla terapia con paracetamolo.

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Sono stati esclusi i bambini con patologie cronica (diabete, cardiopatia, insufficienza renale cronica) e patologia del sistema immune o in terapie con steroide e quelli che erano sotto profilassi antibiotica a lungo termine.

4.D. Trattamento

Il pidotimod (3-L-phroglutamyl-L-thiaziolidine-4carbpxylic acid) è stato somministrato alla dose di 400 mg una volta al giorno per 20 giorni al mese a cicli per un periodo non inferiore di 6 mesi, e con un massimo di 36 mesi, con una pausa estiva di circa 4 – 6 mesi. I lisati batterici (Bustine Bambini di granulato per sospensione oral. Una bustina contiene: Lisato batterico liofilizzato di Haemophilus influenzae, Streptococcus pneumoniae, Klebsiella pneumoniae ssp. ozaenae, Staphylococcus aureus, Streptococcus pyogenes e

sanguinis, Moraxella (Branhamella) catarrhalis 3,50 mg

corrispondenti a 18 miliardi di batteri, sono stati somministrati alla dose di una bustina al giorno per 10 giorni al mese a seguito dei 20 giorni di pidotimod, a cicli per un periodo non inferiore a 6 mesi e con un massimo di 36 mesi.

Betametasone 0,05-0,1 mg/Kg/dose, una volta al giorno come massimo per 2 giorni in caso di febbre da sospetta PFAPA. L’antibiotico veniva somministrato solo in caso di persistenza della febbre con eventuale esecuzione del tampone faringeo per la ricerca di SBEGA.

4.E. Risultati

Il campione è costituito di 50 bambini con età compresa tra 1 e 12 anni (età media 6 anni) età più frequente 4 anni. Tale gruppo era

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composto da 13 femmine e 37 maschi (74%), che hanno presentato l’inizio della sintomatologia PFAPA correlata tra 0,6 anni e 8 anni (età media di 2,6 anni) e con una frequenza maggiore nel terzo anno di vita. L’analisi del campione ha evidenziato che: Il 100% presentava febbre ricorrente accompagnata da faringotonsillite, il 38 % si associava a linfoadenopatia laterocervicale, nel 34% evidenziavano stomatite aftosa, il 20% si associava, durante alcuni degli episodi, ad altre infezioni (bronchite, otite media acuta, laringite) e/o ad altri disturbi (dolori articolari, disturbi addominali, cefalea). La febbre ricorrente si presentava a cicli regolari e caratteristici per ogni paziente, con una periodicità individuale che si presentava da 15 giorni a 60 giorni (15, 20, 30 ,40 e 60 giorni) In un caso si presentava ogni 7 giorni. L’effetto del paracetamolo sulla febbre si era rivelato negativo nel 74% dei casi, poco effettivo a fare scendere la temperatura nel 14% e solo nel 10% era effettivo sul controllo della temperatura. Gli antibiotici non miglioravano la sintomatologia nel 62% dei casi (considerando nessun effetto quando la febbre persisteva oltre il quarto giorno d’iniziata la somministrazione antibiotica, poco effettiva se controllava la febbre entro il terzo giorno di somministrazione, ed effettiva se rimetteva entro le prime 48 ore) quindi è stata poco effettiva nel 10% ed effettiva nel 26% dei bambini. Durante gli episodi di febbre e prima della diagnosi di sospetta PFAPA sono state eseguiti i tamponi

faringei per ricerca di SBEGA (streptococco beta emolitico tipo A)

in 40 bambini (80%) su un totale di 178 tamponi eseguiti, solo 12 (6,7%) tamponi, sono venuti positivi per lo SBEGA.

Dopo avere instaurato la terapia con pidotimod e lisati batterici, è stato eseguito, in fase acuta, il tampone faringeo per ricerca SBEGA a 15 bambini

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(30%), con un totale di 28 tamponi, dei quali sono risultati positivi 9 (32%).

Il betametasone è stato utilizzato per 43 (86%) bambini nei casi di episodi febbrili avvenuti al inizio della terapia con pidotimod e lisato batterico, dei quali solo 4 non hanno avuto beneficio. Cinque non lo hanno utilizzato: 3 bambini non hanno avuto bisogno, dato che hanno risposto subito in modo favorevole alla terapia con pidotimod e lisato batterico, negli altri 2 per rifiuto dei genitori. Un bambino è stato escluso dallo studio perché ha presentato guarigione spontanea dopo un anno di sintomatologia PFAPA correlata, e prima di iniziare detta terapia.

Gli episodi di febbre ricorrenti sono stati tra 5 e 25/anno, sommando un totale di 560 episodi con una media di 11,4 episodi a bambino/anno. Dopo il primo anno di terapia con pidotimod e lisato batterico gli episodi febbrili sono drasticamente diminuiti con un registro da 0 a 12 /anno con un totale di 166 episodi, in media di 3,3/bambino/anno. Questo rappresenta una diminuzione del 71% degli episodi febbrili. (Figura 1).

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Figura 1:

Blu: Numero di Episodi Febbrili di ogni Pazienti Prima della Terapia

Rosso: Numero di Episodi Febbrili di ogni Paziente Dopo la Terapia

Considerando guarigione come l’assenza di episodi febbrili da sospetta sindrome PFAPA per un minimo di 6 mesi, riportiamo 23 (46,93%) bambini guariti nei primi 6 mesi di terapia (tra i quali 8 bambini non hanno avuto più sintomatologia PFAPA correlata, sin dal primo mese di terapia). Si arriva a 33 (67,34%) casi di guarigione nei primi 12 mesi di terapia. Altri 6 (12%) bambini hanno presentato una diminuzione più lenta ma progressiva della frequenza degli episodi febbrili, arrivando alla totale scomparsa delle crisi febbrili al follow-up dei 18 mesi, 3 bambini e altri 3 al termine dei 24 mesi. In questi ultimi casi, sorge l’ipotesi che possa trattarsi di una remissione spontanea della sindrome PFAPA. (Figura 2). 0 5 10 15 20 25 30 1 3 5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39 41 43 45 47 49 q u a n ti ta e p is o d i fe b b re /a n n o p e r b a m b in o numero di paziente

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Figura 2. Risposta alla terapia con pidotimod e lisato batterico.

Sono stati riportati come non guariti, 10 (20%) dei quali 5 hanno eseguito tonsillectomia (risolutiva come lo confermano più lavori di ricerca), dei 5 casi restanti 2 hanno eseguito altre terapie (omeopatia) e per gli altri 3 restanti viene messo l’alto sospetto che siano forme monogeniche di febbre ricorrente. In ogni caso hanno avuto, comunque una diminuzione della frequenza degli episodi febbrili. In un caso è stata verificata una guarigione spontanea. (Figura 3). Figura 3 46,93% 20,40% 6,12% 6,21% 20,40%

Percentuale di guarigione nei diversi follow ap

6 mesi 12 mesi 18 mesi 24 mesi non guariti

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4.F.Discussione

Si riconoscono i limiti della ricerca con analisi retrospettiva dei casi trattati dovuti a: a) mancanza di elementi per effettuare una diagnosi certa di sindrome PFAPA, dato che fino ad oggi è solo clinica. b) La concomitanza di altra sintomatologia, diversa da quella descritta nei criteri di Thomas, che si presentava in un numero molto limitato dei casi, che comunque sembrava una intercorrenza rispetto alla PFAPA.

Nei pazienti che hanno ridotto il numero di episodi tonsillitici aumentando in percentuale il numero di tampone positivo, depone per una pregressa alternanza di tonsillite da SBEGA e da probabile PFAPA in cui la sintomatologia residua è da attribuire ad infezione streptococcica.

Riteniamo in ogni caso di segnalare che la marcata diminuzione degli episodi ricorrenti di febbre, osservata subito dopo iniziata la terapia con Pidotimod e Lisato batterico, ha un forte impatto sulla qualità della vita del bambino e nella gestione familiare, con una sensibile riduzione delle assenze dalle abituali attività dei genitori e la possibilità di garantire una maggior continuità nella frequenza scolastica del bambino.

4.G.Conclusione

.

Senza dubbio basandosi sulla sola clinica i risultati della terapia con associazione Pidotimod e Lisato Batterico appaiono essere molto incoraggianti, infatti abbiamo avuto una guarigione del 47% nei primi 6 mesi di terapia, arrivando a un 67% nel primo anno di follow

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up, con un 12% comunque in remissione, rimanendo un 20% di casi considerati non guariti di cui un 6% sono probabilmente da imputare a un errore diagnostico nell’attribuire la sintomatologia a sindrome PFAPA.

Fermo restando che la terapia chirurgica di tonsillectomia/ adenotonsillectomia rimane ad oggi la terapia più efficace in termini di guarigione per la sindrome PFAPA. Le opzioni di terapia medica non sono ancora uno strumento efficace. Vale a dire che:

- La monodose di prednisone e betametasone sono utili solo per aggredire l’episodio febbrile acuto e purtroppo determina anche una tendenza a ravvicinare gli episodi;

- L’Anakinra ha dimostrato una riduzione della febbre e dei sintomi infiammatori durante l’attacco febbrile, ma ancora sono pochi i casi valutati con tale terapia;

- La colchicina si rileva promettente ad aumentare gli intervalli tra gli episodi febbrili di PFAPA, però l’unico lavoro eseguito presenta un’alta incidenza di casi positivi per il gene della FMF;

- Il Pidotimod in associazione a lisati battertici anche se molto entusiasmante con la sua alta percentuale di guarigione, lascia ancora una breccia di quasi un terzo di casi con scarsa risposta. Tornando alla problematica che le manifestazioni cliniche associate

alla sindrome PFAPA presentano un ampio grado di

sovrapposizione con quelle presenti nelle febbri periodiche con una precisa eziologia molecolare: la febbre familiare mediterranea, la sindrome TRAPS, e il deficit di mevalonato chinasi (o sindrome con Iper IgD). Siamo andati a rivedere la letteratura che ci ha permesso di trovare uno studio che analizza i limiti dei criteri diagnostici della PFAPA attualmente esistenti. L’incremento delle conoscenze sulle caratteristiche cliniche proprie delle febbri periodiche monogeniche

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in età pediatrica (Frenkel, 2001; Bakkaloglu, 2003; D’Osualdo, 2005; D’Osualdo, 2006) ha permesso di comprendere il grado di sovrapposizione di queste ultime con la forma idiopatica attualmente nota con il termine PFAPA, come testimoniato da una serie di osservazioni cliniche (Atas, 2003; Saulsbury e Wispelwey, 2005).

Un recente studio ha analizzato la specificità degli attuali criteri PFAPA in una ampia casistica di 234 bambini con febbre periodica 159 caratterizzati dal punto di vista molecolare per le tre forme monogeniche note (geni MEFV, MVK e TNFRSF1A). Dei 112 pazienti che soddisfacevano i criteri clinici per PFAPA, ben 20 erano in realtà affetti da malattie monogeniche autoinfiammatorie (15 Iper IgD, 4 TRAPS, 1 FMF) e altri 30 erano comunque portatori di mutazioni a bassa penetranza (come la R92Q per il gene TNFRSF1A) o eterozigoti per mutazioni del gene MEFV (Gattorno, 2008b).

Tale dato indica la bassa specificità dei criteri PFAPA nell’ individuare i pazienti con febbre periodica di natura “idiopatica”, ma soprattutto la necessità di dover formalmente escludere una forma periodica su base monogenica prima di poter porre diagnosi di PFAPA.

L’indagine molecolare rappresenta ovviamente l’elemento

diagnostico dirimente per poter distinguere le forme ereditarie di febbre periodica dalla PFAPA.

Appare necessario pertanto individuare dei criteri clinici che ci permettano focalizzare quali siano i pazienti a più alto rischio di essere portatori di mutazioni dei geni noti associati a febbre periodica. In questo senso, l’analisi della casistica dei 234 pazienti con febbre periodica sopra-riportata ha permesso di evidenziare

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quali sono i sintomi clinici in grado di distinguere i pazienti affetti da febbre periodica geneticamente determinata (IperIgD, TRAPS, FMF) da quelli negativi per i geni noti (Gattorno, 2008b). In questo modo è stato possibile creare uno score diagnostico per individuare i pazienti con febbre periodica a più alto rischio di essere portatori di tale mutazioni dei geni noti. L’analisi di regressione logistica uni variata delle diverse variabili ha permesso di identificare le manifestazioni cliniche in grado di distinguere i soggetti geneticamente positivi da quelli negativi per i geni noti.

Le variabili così ottenute sono state inserite in un modello di analisi multivariata che ha permesso di individuare un insieme 6 variabili indipendenti (età di esordio, storia familiare positiva, presenza di dolore addominale, dolore toracico e diarrea nel corso dell’ episodio, assenza di stomatite aftosa) in grado di identificare i pazienti a più alto rischio di essere portatori di una mutazione di uno dei tre geni, tenendo anche in considerazione la frequenza delle variabili considerate nei diversi episodi febbrili.(88-90)

La combinazione lineare di queste variabili, pesate ciascuna con il coefficiente stimato dal modello logistico utilizzato, ha permesso di mettere a punto uno Score Diagnostico in grado di determinare il grado di probabilità per un determinato paziente di risultare positivo al test genetico. La sensibilità e la specificità di questo Score Diagnostico sono state quindi verificate sul secondo sottogruppo di 71 pazienti (Validation set), mostrando un’elevata sensibilità (87%) e specificità (72%) (Gattorno, 2008b.160) Pertanto, di fronte ad ogni paziente per il quale si sospetta una febbre periodica, il calcolo dello score (facilmente eseguibile al sito www.printo.it/periodicfever) permette di individuare il grado di rischio di essere portatore di una

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mutazione. Secondo quanto descritto i pazienti ad alto rischio dovrebbero essere sottoposti ad analisi genetica.

Questa difficoltà ancora nel definire con chiarezza una PFAPA, è stato lo stimolo a formulare un protocollo di studio prospettico di casi e controlli con l’obiettivo di perfezionare la possibilità diagnostica della sindrome PFAPA, mettendo a confronto simultaneo la clinica, il laboratorio, l’immunologia e la genetica.

A tal fine abbiamo analizzato singolarmente le aree specialistiche in questione.

5. UTILITA DIAGNOSTICA DEI MARCATORI

CELULLARI INFIAMMATORI

PROTOCOLLO

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