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Sindrome PFAPA ( Periodic Fever, Aphthous Stomatitis, Pharyngitis, and Cervical Adenitis).Protocollo Diagnostico e Terapia Medica

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(1)

UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di medicina Clinica e Sperimentale di patologia,

medica, molecolare e dell’Area Critica

Dipartimento di Ricerca Traslazionale e delle Nuove

Tecnologie in Medicina e Chirurgia

Scuola di Specializzazione in

Otorinolaringoiatria

TESI DI SPECIALIZZAZIONE

SINDROME PFAPA (PERIODIC FEVER, APHTHOUS STOMATITIS, PHARINGYTIS, AND CERVICAL ADENITIS).

PROTOCOLLO DIAGNOSTICO E TERAPIA MEDICA.

Relatore:

Prof. Stefano Berrettini

Candidato:

Ana BUONGIORNO

Correlatore:

Dott. Nicola Pierossi

(2)

1

INDICE

1. INTRODUZIONE

4

2. LE FEBBRE RICORRENTI

5

2. A. Classificazione delle Febbre Ricorrenti 5

2.B. Le Principali Cause di Febbre Periodica in

Età Pediatrica, con Sintomatologia ORL 6

2.B.1. La Neutropenia Ciclica 6

2.B. 2. La Febbre Mediterranea Familiare 7

2.B.3. La Febbre Ciclica Autosomica Dominante 9

2.B.4. La Sindrome Con Iper-IgD (Hids) 9

2.B.5. La Febbre Iberniana, O Irlandese, O Febbre Periodica Tnfr Associata

11

2.B.6. La Sindrome PFAPA 11

3. LA SINDROME PFAPA

12

3.A. Storia e Caratteristiche 12

3.B. Eziopatogenesi 17 3.C. Sintomatologia 25 3. D. Diagnosi 26 3. E. Diagnosi Differenziale 27 3. F. Evoluzione Naturale 33 3.G. Terapia 34

(3)

2

4. ESPERIENZA PERSONALE 41

Risposta nella sindrome PFAPA alla terapia con Pidotimod e lisato batterico

4.A. Premessa 41

4.B. Materiali e Metodi 43

4.C Criteri di Inclusione ed Esclusione 44

4.D. Trattamento 45

4.E. Risultati 45

4.F. Discussione 50

4. G. Conclusione 50

5. UTILITA’ DIAGNOSTICA DEI MARCATORI

CELLULARI INFIAMMATORI.

PROTOCOLLO OSSERVAZIONALE

54

5.1. Background e Razionale 55

5.2. Obiettivi dello Studio 59

5.3. Disegno dello Studio 59

5.4. Setting 60

5.5. Popolazione in Studio 61

5.6. Criteri di Inclusione 61

5.7. Criteri di Esclusione 62

5.8. Esiti dello Studio 62

5.9. Variabili 63

5.10. Dimensione 63

5.11. Gestione dei Dati 64

(4)

3

5.13. Gestione della Sicurezza 66

5.14. Aspetti Amministrativi 67

5.15. Considerazioni Etiche 67

5.16. Conflitto di Interessi 67

5.17. Responsabilità e Politiche di Pubblicazione 67

5.18. Bibliografia del Protocollo 67

6. BIBLIOGRAFIA

70

7. RINGRIAZIAMENTI 79

(5)

4

SINDROME PFAPA (PERIODIC FEVER, APHTHOUS

STOMATITIS, PHARINGYTIS, AND CERVICAL

ADENITIS). PROTOCOLLO DIAGNOSTICO E

TERAPIA MEDICA.

1. INTRODUZIONE

La sindrome PFAPA, forma parte di un grande capitolo quello delle “febbre ricorrenti” ed è stata studiata da autori di diverse scuole e nazionalità sotto il profilo eziologico, genetico, immunologico e terapeutico.

A seguito del nostro studio osservazionale retrospettivo sulla risposta della sindrome PFAPA (Periodic Fever, Aphthous Stomatitis, Pharingytis, and cervical Adenitis) alla terapia con immunostimolante (Pidotimod), che ha portato a risultati incoraggianti, è stato evidenziato un ampio “bias” legato alla diagnosi esclusivamente clinica di tale sindrome. Per tale motivo ci siamo proposti di verificare se vi siano relazioni strette fra i risultati emersi in letteratura al fine di tracciare un percorso diagnostico, che comprenda l’aspetto genetico, immunologico e clinico, conducendo ad una maggiore chiarezza nella diagnosi che consentano terapie mirate ed efficaci

(6)

5

2.LE FEBBRE RICORRENTI

Con il termine “febbre periodica o “ricorrente” si intende una condizione caratterizzata dalla presenza di 3 o più episodi febbrili di origine sconosciuta che si presentano in un periodo di 6 mesi e che si verificano almeno ad una settimana di distanza l’uno dall’altro. Si tratta di episodi periodici di infiammazione sistemica che si presenta con febbre, manifestazioni cliniche variabili ed aumento degli indici di flogosi. Generalmente buona salute e normalizzazione degli indici di flogosi nei periodi inter-critici. (1) Rientrano nel grande

mondo delle malattie autoimmuni o di dis-regolazione immunitaria. Il capitolo delle febbre ricorrenti ha acquistato negli ultimi anni dignità e chiarezza per una serie di motivi tra loro correlati: la definizione clinica, l’individuazione dell’errore molecolare e l’individuazione del meccanismo patogenetico.

Le febbre ricorrenti hanno due basi eziopatogenetiche distinte, quelle da difetto di risposta (ipoimmuni) e quelle da iper-risposta (iperimmuni).(2)

Dal momento in cui è stato individuato il legame patogenetico tra il difetto genetico e la sindrome clinica per la sindrome con iper-IgD, questa malattia ha permesso, per analogia, di confermare l’ipotesi di una patogenesi iper-reattiva all’origine di tutte queste sindromi, definite anche sindromi auto-infiammatorie

2.A. Classificazione delle Febbre Ricorrenti

Principali cause di febbre periodica in età pediatrica.

Malattie Infettive

Infezioni ricorrenti delle alte vie respiratorie Infezioni delle vie urinarie

(7)

6

Virali (EBV, Parvovirus B19, HSV 1 e 2

Batteriche (infezioni occulte, Borrelia, Brucella) Parassitarie (Malaria)

Difetti immunitari congeniti Immunodeficienze primitive Neutropenia ciclica

Malattie infiammatorie multifattoriali Malattia di Behcet

Lupus eritematoso sistemico Malattia di Crohn

Malattie Autoinfiammatorie ereditarie Febbre Familiare Mediterranea

Deficit parziale di mevalonato-chinasi (Iper IgD) Sindrome TRAPS

Sindrome di Muckle-Wells

Malattie neoplastiche Leucemia linfoblastica acuta Leucemia mieloide acuta

Linfoma (Febbre di Pel Epstein)

Forme idiopatiche Sindrome PFAPA. (Pelagatti et al). (3)

2.B. LE PRINCIPALI CAUSE DI FEBBRE PERIODICA IN

ETÀ

PEDIATRICA, CON SINTOMATOLOGIA ORL

2.B.1. LA NEUTROPENIA CICLICA

Conosciuta come un’entità su base genetica, autosomica dominante. Associata a una mutazione del gene dell’elastasi dei neutrofili. La sintomatologia periodica è costituita da febbre, adenopatia laterocervicale o sistemica, faringite o stomatite,

(8)

7

spesso le afte di dimensioni maggiori (aphta major), orali o genitali. In alcuni casi si verificano infezioni gravi che possono condurre a polmonite, periodontite cronica, e ulcerazioni ricorrenti della mucosa orale, vaginale e rettale. La sepsi, specialmente dal Clostridium perfringes e la morte sono eventi possibili. La malattia deriva da una anomalia della regolazione dei precursori ematopoietici. In questo caso bisogna ricercare l’episodio di neutropenia, ripetendo l’esame più volte per almeno un mese, o meglio, cogliendolo al momento della crisi. Questa sindrome è caratterizzata da oscillazioni regolari e periodiche del numero dei neutrofili periferici, che si verifica per lo più ogni tre settimane, e che è probabilmente regolata da un bioritmo personale, forse non diversamente dalle altre forme periodiche. Con l’avanzamento dell’età, molti soggetti sperimentano una riduzione dei sintomi. Il trattamento con rhG-GSF aumenta il numero dei neutrofili e migliora l’esito. (4)

La neutropenia benigna dell’infanzia. È una condizione

verosimilmente autoimmune, che si esaurisce entro i primi anni di vita; risponde alle gammaglobuline, ma anche al fattore di crescita granulocitaria GCSF; dà luogo a manifestazioni in genere non gravi ad esempio (otiti) tal volte così frequenti (spesso mensili) da dare l’idea di una ciclicità, che peraltro non è confermata dalla conta leucocitaria. (5)

2.B. 2. LA FEBBRE MEDITERRANEA FAMILIARE

La febbre familiare mediterranea (FMF) tra le sindrome periodiche iperimmuni, in Italia è la più tipica e la meno rara. Questa sindrome si esprime con un quadro di polisierosite, specialmente a livello

(9)

8

peritoneale, che porta a una amiloidosi con insufficienza renale. E’ caratterizzata dal punto di vista laboratoristico da elevazione dei segni di flogosi, aumento dei neutrofili, aumento delle piastrine, della VES e della PCR oltre che dall’aumento dei livelli nel siero di Interferone gamma (TNF-gamma) e della produzione di altre citochine pro-infiammatorie quali, IL1B, IL-6 e IL-8, nel corso degli episodi acuti. Successivamente alla crisi si osserva una rapida normalizzazione di tali valori di laboratorio.

La malattia è di origine genetica, trasmessa con carattere autosomico recessivo, che si manifesta principalmente tra gruppi etnici di origine mediterranea, soprattutto ebrei sefarditi, turchi, armeni e soggetti di origine araba. La sindrome è legata a un difetto del gene MEFV (ME per mediterranea, FV per febbre), locato nel braccio corto del cromosoma 16 (16p13.3), che codifica per un trascritto, una proteina (la pirina/marenostrina), che si esprime solo a livello dei leucociti neutrofili.

Uno studio su 476 bambini ha dimostrato nel 81% dolore addominale (peritonite), nel 41% toracico (pleurite), nel 42% articolare (sinovite), nel 12% dolore relativo a mialgie, un 4% ha evidenziato scroto acuto (pachivaginalite), un 3% sola febbre, sporadicamente episodi di iperbilirubinemia. È probabile che a varie espressioni della malattia corrispondano differenti mutazioni genetiche.

La complicazione più severa e tipica è l’amiloidosi che porta a una malattia renale con proteinuria e successiva insufficienza renale in un periodo da pochi mesi a parecchi anni. La terapia di elezione è costituita dalla somministrazione di colchicina che riduce la frequenza degli attacchi acuti e al contempo diminuisce notevolmente la possibilità di sviluppare amiloidosi. (6)

(10)

9 2.B.3. LA FEBBRE CICLICA AUTOSOMICA DOMINANTE

Quadri simili a quelli della FMF, ma con carattere dominante

anziché recessivo (7) Sono stati descritti in soggetti non

mediterranei (tedeschi, finlandesi, svedesi, scozzesi). In un vasto albero genealogico di origine scozzese. (8) il gene responsabile è

stato mappato, come quello della FMF, sul braccio corto del cromosoma 12. L’errore genetico, per ora non meglio definito, è correlato a una sindrome caratterizzata da febbre ciclica ad alta ricorrenza (1-2 settimane), dolori addominali, orticaria, artrite, amiloidosi. Non risponde alla colchicina. Un’altra sindrome simile, a ereditarietà dominante è la sindrome di Muckle- Wells descritta nel 1962, che si presenta con dolore addominale, artrite, orticaria, amiloidosi diffusa, e a volte sordità sensoriale progressiva, è stata

recentemente associata a un gene mappato sul cromosoma 1.(9)

2.B.4. LA SINDROME CON IPER-IgD (HIDS)

Si tratta di una febbre periodica ereditaria autosomica recessiva, segnalata principalmente nelle famiglie europee di origine olandese e francese. Causata da mutazione del gene della mevalonato chinasi (MVK) che si trova nel cromosoma 12q24 caratterizzata da episodi ricorrenti di febbre che dura da 3 a 7 giorni, con linfoadenopatia, poli-oligo-artralgia/artrite simmetrica, dolore addominale, spesso accompagnato da nausea vomito e diarrea, rash cutaneo e a volte splenomegalia. In alcuni pazienti gli attacchi possono durare parecchie settimane, e durante questi attacchi sono generalmente presenti leucocitosi e aumentati livelli dei fattori di fase acuta e citochine pro-infiammatorie. (6) (10)

(11)

10

La sua caratteristica è l’elevato valore delle IgD (> 80 mg/dl, per altri autori maggiore a 100 mg/dl), ma probabilmente si tratta di un epifenomeno; in effetti sono descritti casi con la sindrome, e con le relative anomalie metaboliche, senza iper-IgD. Anche il livello di IgA può essere aumentato, comunque è meno specifico. Quello che verosimilmente racchiude anche il meccanismo patogenetico della malattia, è dato dall’eccesso di acido mevalonico nelle urine dei pazienti durante gli episodi. Questo difetto, a sua volta, dipende da una ridotta e/o instabile attività della mevalonato-kinasi, codificata dal gene MVK.

La mevalonatokinasi catalizza la fosforilazione del mevalonato in 5-fosfomevalonato, ed è un enzima chiave nella sintesi degli isoprenoidi, che a loro volta rappresentano prodotti intermedi nella sintesi di sostanze, come gli steroli, coinvolte nella trasmissione di segnali, nel trasporto di elettroni e più in particolare nel controllo della febbre e della flogosi, con meccanismi differenti. Si ritiene che la carenza dei prodotti finali del isoprenoide contribuisca ad aumentare la secrezione di IL-1B, causando una manifesta infiammazione e febbre. Si presenta nell’arco del primo anno di vita. (11)

Al momento non è disponibile né una cura efficace né un trattamento consolidato per l'HIDS. Alcuni pazienti rispondono al prednisone ad alti dosaggi. In alcuni casi si è dimostrata utile l'anakinra (un antagonista del recettore dell'IL-1) e l'inibitore del TNF-alfa (etanercept).

L'HIDS ha una prognosi buona. La aspettativa di vita non è ridotta, ad eccezione dei rari casi associati a infezioni o amiloidosi gravi.

(12)

11 2.B.5. LA FEBBRE IBERNIANA, O IRLANDESE, O FEBBRE PERIODICA TNFr-ASSOCIATA

È una condizione eccezionale, autosomica dominante, descritta prima in Irlanda e poi anche in Scozia, caratterizzata da eruzioni cutanee, mialgie e artrite; è ricorrente più che periodica. (12)

L’errore genetico riguarda un gene autosomico dominante localizzato sul cromosoma 12 (12p13), che codifica per il recettore del TNF. Ad oggi sono state individuate sei mutazioni di questo gene. Ne deriva una diminuzione della sua forma solubile, che blocca l’effetto della relativa citochina, impedendole di legarsi alla forma di membrana; quest’ultima, che è il recettore effettivo, è invece aumentata, e da questo sbilanciamento derivano le manifestazioni febbrili e flogistiche della malattia. Si possono osservare aumentati livelli di fattori di fase acuta, mentre i reperti più specifici sono bassi livelli sierici del recettore TNF solubile di tipo 1° e livelli più alti di TNF.

La colchicina non produce effetti sugli attacchi acuti o sullo sviluppo dell’amiloidosi. Il prednisone attenua la durata è la gravità degli attacchi. La terapia con etanercep, diminuisce la frequenza degli attacchi. L’etanercep è un agente risparmiatore di steroidi e può correggere l’amiloidosi A, ma sebbene il suo impiego sembri promettente, non tutti i pazienti rispondono a questa terapia. (6)

2.B.6. La Sindrome PFAPA

(Periodic Fever, Aphthous stomatitis, Pharyngitis, and cervical Adenitis) conosciuta anche come sindrome di Marshall, descritta nel 1987, forma parte di questo grande gruppo delle “febbri ricorrenti o periodiche” della quale ci occuperemo nel prossimo capitolo.

(13)

12

3. LA SINDROME PFAPA

3.A. Storia e Caratteristiche

Tale condizione ha avuto una precisa definizione nosografica solo dopo diversi anni dalla prima segnalazione e tuttora rappresenta un capitolo ancora aperto della Pediatria. La storia della PFAPA inizia nel 1948 quando Raimann coniò il termine di "malattia periodica" per indicare un gruppo eterogeneo di patologie di causa sconosciuta, caratterizzate da brevi episodi di malessere fisico a cadenza sistematica mensile, intervallati da periodi di benessere. Passarono diversi anni, prima che nel 1987 Marshall descrisse una nuova "febbre periodica", inizialmente chiamata in suo onore Sindrome di Marshall e poi successivamente con l'acronimo FAPA (Fever, Afhthus stomatitis, Pharyngiti, cervical Adenitis) in riferimento ai sintomi peculiari della malattia.

Nel 1989 la denominazione fu trasformata in PFAPA (Periodic Fever, Aphthous Stomatitis, Pharingytis, and cervical Adenitis) per mettere in rilievo la periodicità quasi regolare e prevedibile della febbre, “condition sine qua non” per la diagnosi. Marshall descrisse i primi dati relativi a dodici bambini. In tutti i casi esaminati, la sindrome era esordita prima dei 5 anni di età con episodi febbrili di durata media di 3-6 giorni e picchi di 40 - 41 ° C che si ripetevano ogni 4-6 settimane. Nove bambini avevano lamentato faringite e stomatite aftosa, con linfadenopatia cervicale soltanto in otto.

(14)

13 Professor of PediatricsGary S. Marshall, M.D.

Professor of Pediatrics

Chief, Division of Pediatric Infectious Diseases Director, Pediatric Clinical Trials Unit

University of Louisville School of Medicine

Reprinted with permission. Personal communication.

Qualche paziente aveva riportato anche sintomi minori come mal di testa, dolore addominale, nausea, malessere, artralgie. Nessuno dei bambini era risultato affetto da immunodeficienza primitiva e/o secondaria. Le colture batteriche, virali e fungine furono negative, eccetto in due bambini, il cui tampone faringeo mostrò positività per lo Streptococco Beta emolitico di gruppo A. Gli episodi acuti erano spesso associati a leucocitosi e a lieve aumento della VES ma in nessun paziente fu mai riportata neutropenia e/o linfocitosi atipica. Negli intervalli liberi dalla malattia, tutti i bambini avevano

(15)

14

manifestato benessere con normale sviluppo staturo-ponderale e psico-motorio. Nonostante solo due bambini fossero risultati affetti da faringotonsillite da streptococco, tutti i pazienti furono sottoposti senza successo a terapia antibiotica e il quadro peculiare era rappresentato da febbre ricorrente con esordio al di sotto dei 5 anni di età, sintomi sistemici di malattia in assenza di interessamento delle alte vie respiratorie e associati a stomatite aftosa e/o a linfadenopatia latero-cervicale e/o a faringite, enfatizzando però l'esclusione assoluta della neutropenia ciclica dal corredo sindromico. Padeh invece sottolineò ulteriormente che per la diagnosi di PFAPA risultava imprescindibile il riscontro di febbre mensile e/o anche ciclica in soggetti di ogni fascia di età, correlata eventualmente a stomatite con assenza di risposta alla terapia antinfiammatoria non steroidea. Invece la somministrazione orale di corticosteroidi, come il prednisone, risultò di grande beneficio anche se non sembrò prevenire le ricadute. Nel 1999 Thomas e Padeh riportarono i loro studi con un numero più consistente di pazienti, rispettivamente 94 e 28 bambini con Sindrome PFAPA. Entrambi confermarono le stesse caratteristiche cliniche e laboratoristiche della malattia già precedentemente delineate da Marshall. Thomas ribadì la clinica caratterizzata da febbre aftosa, linfadenopatia laterocervicale, tonsillite essudativa con tampone negativo e caratterizzati da intervalli completamente asintomatici, con rapida risoluzione del quadro anche dopo una singola dose di corticosteroide. Tale terapia fu descritta per prima volta da Tommasini nel 1999. (13)

Dagli anni ‘90 in poi la malattia è oggetto di approfondimenti, ipotesi diagnostiche, eziopatogenetiche e terapeutiche in continuo divenire partendo dal presupposto della sua origine auto-infiammatoria.

(16)

15

Il primo studio che indica una disregolazione del sistema immunitario nella sindrome in PFAPA è stato pubblicato nel 2006. Stojanov et al. Hanno concluso con le loro osservazioni che esiste un pattern di citochine che indica uno stato di infiammazione e una riduzione della risposta anti-infiammatoria. (14) L’intervento di

tonsillectomia come possibile terapia per la PFAPA è stato proposto per la prima volta nel 1989. (15) E dopo questa esperienza, tale

terapia è stata sostenuta da molti altri studi. (16 -19, 21,22)

Attualmente per definizione la sindrome PFAPA, viene individuata attraverso la presenza di febbre ricorrente >38° C (da 38° a 41°) con una durata di 3-6 giorni, con una variabilità che si estende dai 2 agli 8 giorni. La febbre si ripete in modo ciclico ossessivo e regolare ogni 2 a 8 settimane, con una moda da 3 a 6 settimane in circa il 95% dei pazienti, secondo le diverse esperienze cliniche riportate in letteratura. La sua caratteristica è la periodicità degli episodi febbrili che, anche se variabile, si mantiene costante in ogni singolo paziente. La sindrome si completa con la presenza di linfoadenite cervicale nel 88%, faringite nel 72% e stomatite aftosa in una percentuale molto variabile che va da un 30% a un 60% dei casi. Gli episodi possono essere accompagnati da altri sintomi tali come: cefalea 60%, dolore addominale nel 29%, Artromialgie nel 14,5%, nausea 28%, diarrea 16%, e qualche episodio di rash cutaneo nel 9%.

Si verifica una discreta prevalenza nel sesso maschile (62%). Solitamente Il primo episodio si riscontra prima del quinto anno di vita e nell’80% dei casi la moda è a 39,6 mesi, seppure ogni giorno

si riportano nuovi casi di sindrome PFAPA anche in età adulta. (23)

(17)

16

periodo inter-critico e uno sviluppo staturo-ponderale e cognitivo adeguato. (24)

La remissione si caratterizza per essere spontanea intorno all’adolescenza, ma sono descritti sempre più casi in età giovanile e adulta.

G.Besoli (2001) (25) e un gruppo di medici Pediatra di Famiglia

(PdF), diagnosticarono 40 bambini con sindrome PFAPA.Tale studio fu eseguito nel Friuli-Venezia Giulia, dove sono stati coinvolti 21 PdF che assistevano una popolazione di 20.000 bambini di età tra 0 e 14 anni, in un periodo di osservazione di 5 anni, hanno stimato che l’incidenza della sindrome sia dello 0,4 per mille, il che significa che mediamente ogni pediatra diagnosticherà un caso di PFAFA ogni 1,2 anni.

Le malattie infiammatorie sono causate da una dis-regolazione infiammatoria legata a una iperproduzione delle citochine e del ritardo patologico nella risoluzione dell’infiammazione. Il progresso nella biologia cellulare ha parzialmente chiarito i meccanismi patogenetici nascosti nelle patologie monogeniche infiammatorie di origine autoimmune. Si conosce ancora poco sul meccanismo delle patologie poligeniche. Tuttavia la suscettibilità genetica della sindrome PFAPA è ancora oscura e non spiega le diverse problematiche come: la presenza dei sintomi in modo ciclico nella febbre periodica monogenica ricorrente nei membri delle famiglie affette, il ruolo della dis-regolazione dell’interleuchina-(IL)1B che viene secreta durante la crisi, la sovraespressione infiammatoria associata ai geni durante gli attacchi, e per ultimo, ma non di meno importanza, l’efficacia della terapia con IL-1B nel bloccare fortemente il ruolo patogenetico probabilmente legato ai fattori ambientali. Terapie farmacologiche e/o chirurgiche così come la

(18)

17

tonsillectomia rimangono controversi. Anche se la patologia sembra avere un decorso di autolimitazione nei bambini.

Cattallini M. et al nella loro “review” hanno cercato di capire quale sia il complesso meccanismo del disordine poligenico/multifattoriale autoinfiammatorio nel quale il sistema immune innato gioca un ruolo fondamentale.

Il quadro clinico della sindrome PFAPA negli adulti si sovrappone a quello dei bambini. Ma non sappiamo se negli adulti esista una remissione spontanea e la tonsillectomia non si è rivelata una valida opzione terapeutica. La descrizione della sindrome PFAPA negli adulti dovrebbe aumentare la consapevolezza della sua esistenza nella pratica medica in generale e quindi essere considerata in tutti gli adulti con una lunga storia di episodi di Febbre Ricorrente,

avendola presente nella diagnosi differenziale del AIDS e HPF. (26)

Gli episodi di PFAPA sono in grado di provocare un forte impatto emotivo e una morbilità non trascurabile nel vissuto familiare, spesso con ripercussione nel rapporto medico/paziente, bambino /scuola e famiglia/lavoro.

3.B. Eziopatogenesi

La sindrome di febbre ricorrente associata a faringo-tonsillite, afte e linfonodi laterocervicale, viene inquadrata tra le patologie del sistema immunitario, come una disregolazione ancora non del tutto chiara. E’ la più comune delle sindromi autoinfiammatorie in pediatria. (27)

Secondo una recente “review” di Kraszewska, Glombia B. et al contrariamente alla maggioranza dei sindromi febbrili ereditarie monogeniche, non sono state ancora trovate delle basi genetiche riguardo la PFAPA, e per tanto tempo è stata considerata una

(19)

18

patologia sporadica; per anni si è pensato che non esistesse associazione familiare riportate dai paziente affetti da PFAPA. Negli ultimi anni sono state trovati fratelli e in un caso sia fratelli e madre che hanno presentato la stessa patologia. Nel 2010 Cochard et al, hanno pubblicato un questionario riguardo alla ereditarietà o meno della PFAPA in questa ricerca sono stati valutati 84 pazienti affetti da PFAPA da 8 paesi diversi ed è stato visto che il 45% di questi avevano una ricorrenza familiare. Nel 76% di questi casi citati il parente con la stessa patologia era un fratello o un genitore. Nel gruppo di controllo composto di 47 bambini sani non si è riscontrata una storia di febbre ricorrente nelle loro famiglie. Un altro studio su 130 pazienti con PFAPA, di cui la maggioranza italiani, riporta solo un 13,8% di familiarità, da un altro canto la familiarità per altri sindrome di febbre ricorrente ereditarie è simile, vale a dire 14,3%

FMF e 9,1 % MKD su un campione di 33 casi. (28)

Un altro lavoro multicentrico ha riportato una familiarità nel 26,9% (81/301). (29)

In conclusione le ultime ricerche suggeriscono che esiste una forte tendenza familiare nella sindrome PFAPA, ma non ci sono evidenze sufficienti.

Padeh et al. Sono stati i primi a riportare una variante eterozigote della MEFV (un gene associato con febbri mediterranee familiari) nei pazienti affetti dalla sindrome PFAPA. In ogni caso tutti questi pazienti appartenevano a una etnia con un alta frequenza di portatori.

In uno studio svedese portato avanti dal 2013 riguardo le variazioni della NLRP3 – un gene coinvolto nelle patologie CAPS – è stato rilevato nel 23% (12/57) dei pazienti affetti da PFAPA la quale

(20)

19

rappresenta una proporzione più alta rispetto alla popolazione generale.

Un‘analisi statistica delle singole varianti del gene NLRP3 (V198M, R488K, e Q703K) hanno rilevato una significativa differenza solo per la mutazione R488K di significato limitato. La variante V198M è stata spesso associata al gene CAPS, e recentemente è stato dimostrato che tale variante non ha relazione con la sindrome PFAPA. La variante Q703K è stata recentemente rilevata nel 14,5% (9/62) dei pazienti affetti da PFAPA così come anche nel 12% dei soggetti sani provenienti dalla Slovenia ed è stato trovato solo in una delle 14 famiglie osservate da Di Gioia et al; tale dato non è statisticamente significativo.

Questo polimorfismo è ben riconosciuto come un fattore che determina alterazione nella funzione, che alimenta un‘iperattività del gene LNRP3 coinvolto nell’infiammazione e gioca un ruolo nella patogenesi della PFAPA.

I dati delle pubblicazioni di Hitherto non sostengono il coinvolgimento delle mutazioni associate con il gene TRAPS o MVD nell’eziologia della PFAPA. Uno studio recente di Di Gioia et al, ha trovato una leggera associazione con la forma TRAPS (R121Q) che è stata identificata in una delle famiglie affette da PFAPA mentre è stato riportato solo un caso di mutazione MVK in paziente affetto da PFAPA, indicando che tale sindrome non è una condizione monogenica. (30)

Bens et al, hanno identificato il Gene SPAG 7 come candidato responsabile della sindrome PFAPA. Questa mutazione è stata riportata, come unica mutazione, solo in un paziente con PFAPA.

(21)

20

Dallo studio di Tugrul S. et al, è emerso che l’infiammazione come anche lo stress ossidativo, sono parametri che aumentano significativamente in pazienti con sindrome PFAPA, accompagnati a una significativa correlazione positiva tra il danno del DNA e lo stress ossidativo. (31)

Il lavoro di casi e controlli portato avanti da Forsvoll J et al, evidenzia una risposta immunitaria innata come fase iniziale nella sindrome PFAPA, e una successiva risposta adattativa con l’attivazione e la ridistribuzione delle cellule T, e conclude ipotizzando che non esiste un'unica eziologia bensì una eziopatologia complessa, ed assegna un ruolo sia ai batteri, tra cui lo SBA, e a certi virus, adenovirus ed EBV, che peraltro rendono difficile anche la diagnosi differenziale tra tonsilliti ricorrenti e sindrome PFAPA. (32)

La PFAPA in genere è considerata una condizione iperimmune: lo suggeriscono la risposta alla terapia con steroidi, la risposta alla terapia con cimetidina, la concomitanza di possibile patologia autoimmune, come le afte, le artralgie o le artriti, e come nella casistica di Besoli et al, l’eritroblastopenia transitoria. (33)

Stagi S. et al, hanno riportato nel loro lavoro, valori insufficienti o di deficit della vitamina D sierica nei bambini con sindrome PFAPA e una significativa riduzione degli episodi di PFAFA dopo l’integrazione con vitamina D. (34)

Lantto U. et al, hanno ricercato i microbi, tramite culture di batteri, micobatteri, funghi e virus e hanno usato la PCR per 15 virus. E’ stata identificata anche la formazione del biofilm ed eseguiti esami istologici, sulle tonsille di 31 bambini con sindrome PFAPA che hanno eseguito tonsillectomia come terapia chirurgica, e in 24 bambini che hanno eseguito una tonsillectomia per altre cause,

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identificati come il gruppo di controllo. Riportando che la presenza di Candida albicans era del 16% vs 0% nel controllo (p=0,003). La presenza di Stafilococco aureus si presentava solo nel 10% dei pazienti con PFAPA ma nel 38% dei controlli (p= 0,01). Varicela zoster e herpes simplex si sono verificati meno speso nei pazienti con PFAPA che nei controlli. Il biofilm era presente nel 55% delle tonsille dei pazienti con PFAPA ma solo nel 24% dei controlli (p=0.03). I microbi ritrovati nelle tonsille dei pazienti di PFAPA hanno trovato una differenza significativa rispetto ai controlli. Questo può spiegare in parte l’efficacia della tonsillectomia nei pazienti con PFAPA. (35)

Di recente Forsvoll et al, nella loro tesi, si sono proposti, come obiettivo generale lo studio dell’epidemiologia e della clinica caratterizzanti la sindrome PFAPA secondo un approccio basato su uno studio della popolazione e dello stato immunologico nel sangue e nelle tonsille dei pazienti affetti da PFAPA. Tutti i bambini in Sud Rogaland con diagnosi di PFAPA in un periodo compreso dal 2004 al 2010 sono stati valutati clinicamente e i loro genitori sono stati intervistati in modo sistematico al momento della diagnosi. Con un successivo colloquio durante il follow-up eseguito almeno un anno dopo la diagnosi. Sono state misurati i livelli dei parametri ematologici, delle immunoglobuline (Ig) e proteine infiammatorie nel sangue dei bambini con PFAPA durante gli episodi febbrili e nei periodi asintomatici e nei bambini di controllo con polmonite durante la fase febbrile e quattro settimane dopo il completo recupero. Le tonsille palatine da bambini con PFAPA sono state esaminate istologicamente, ed identificati diversi tipi di cellule germinali tonsillare. Le tonsille dei bambini con ipertrofia tonsillare sono state usate come controlli negativi.

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22

Come risultato in primo luogo sono stati individuati 46 bambini con PFAPA (32 maschi; p = 0.011), con età media di insorgenza di 11,0 mesi (5.0, 14.8). L'incidenza di PFAPA è stata stimata al 2,3 per 10 000 bambini fino a 5 anni di età. Adenite cervicale, faringite e stomatite aftosa erano presenti durante gli episodi febbrili nel 93%, 83% e nel 46% dei bambini, rispettivamente. Venti bambini hanno avuto una spontanea risoluzione ad un’età media di 60,2 mesi (range 24-120), e 17 bambini hanno riportato una pronta risoluzione degli episodi febbrili dopo la tonsillectomia con età media di 50,9 mesi (range 15-128). Secondariamente hanno valutato su 22 bambini con sindrome PFAPA e 14 bambini con polmonite i livelli delle citochine ed è stato trovato che:

- nei bambini con sindrome PFAPA, i livelli sierici di interleuchina IL-6, CXCL10 e CCL4 sono risultati significativamente aumentati durante gli episodi febbrili;

- i livelli di IL-6 e CXCL10 erano più elevati nei bambini con PFAPA durante gli episodi febbrili che in i bambini con polmonite;

- i livelli di CXCL10 sono stati significativamente più elevati nei bambini con PFAPA tra gli episodi febbrili rispetto ai bambini con polmonite dopo il completo recupero;

- i livelli totali di eosinofili e linfociti, il livello di CD4 + e cellule CD8+ sono diminuiti durante gli episodi febbrili di PFAPA rispetto al periodo afebbrile;

- i livelli di IgA, IgD, IgG e IgM non differivano tra i bambini con PFAPA e i controlli ed erano all'interno dei livelli relativamente normali per l’età.

Come terzo quesito sono stati inclusi 11 bambini con PFAPA e 16 bambini con ipertrofia tonsillare da tonsillite. I bambini con PFAPA hanno mostrato iperplasia linfoide reattiva dominata dallo sviluppo

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dei centri germinali con molti macrofagi con il corpo colorato. L’esame istologico aveva risultati aspecifici, e un simile aspetto morfologico è stato trovato anche nelle tonsille dei controlli.

Il numero di cellule CD8+ nei centri germinali tonsillare era significativamente più basso nei bambini con PFAPA (P = 0,001). Per gli altri tipi di cellule, nessuna differenza è stata trovata tra i bambini con PFAPA e i controlli. Forsvoll conclude la sua tesi dicendo che: l'incidenza di PFAPA era 2,3 per 10 000 bambini fino a 5 anni di età. L'insorgenza di PFAPA era frequente durante il primo anno di vita. Il modello osservato di citochine nei bambini con PFAPA può indicare l'attivazione del sistema immunitario innato. La diminuzione dei livelli di linfociti nel sangue può riflettere la ridistribuzione di queste cellule del tessuto linfoide secondario. I livelli inferiori di cellule CD8 + nei centri germinali tonsillari trovati in bambini con PFAPA rispetto ai controlli possono essere una caratteristica legata alla eziologia della malattia.

In conclusione i risultati indicano una risposta immunitaria innata come fase iniziale PFAPA, ed una successiva risposta adattativa con l'attivazione e la ridistribuzione delle cellule T. Inoltre, l'attivazione del sistema immunitario innato che coinvolge CXCL10

persiste tra gli episodi febbrili ed in tal modo il CXCL10 sarebbe un possibile marcatore di laboratorio in bambini con sindrome PFAPA. (36)

T. Yamazaki et al nel loro studio, hanno esaminato l'utilità del fattore CD64 come marcatore, il quale è un elemento dei recettori Fcy che si esprime sui neutrofili e monociti. Hanno valutato la sua espressione in pazienti con diagnosi clinica di PFAPA

confrontando i risultati con altri pazienti con malattie

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con infezioni batteriche. Si è riscontrato che il fattore CD64 si esprime nei pazienti nel periodo senza attacco di PFAPA in modo analogo ai casi controlli. Al contrario l’espressione del CD64 su entrambi i neutrofili e monociti sono notevolmente incrementati durante gli attacchi di febbre riconducibili a sindrome PFAPA. Tali rilievi determinano una differenza significativa nei valori di laboratorio fra pazienti affetti da PFAPA e casi di controlli.

Inoltre hanno valutato l’espressione Fcy-Rs in neutrofili e monociti in individui normali: riportando nei neutrofili alti valori di CD16, livelli marginali di CD32, e nessuna espressione del CD64. Al contrario nei monociti scarsi livelli di CD16, livelli marginai di CD32 e alti livelli di CD64.

Per quanto riguarda le altre FCY-R, come CD16 e CD32, hanno riscontrato un lieve aumento dell’espressione di CD32 sui neutrofili e monociti durante gli attacchi PFAPA.

È interessante notare che un piccolo numero di monociti aveva espresso il CD16 durante il periodo febbrile in pazienti con PFAPA, ma nessuna espressione è stata vista sui neutrofili. Il numero di molecole CD64 per cellula era significativamente maggiore nei periodi di attacco febbrile PFAPA con una (media ± SD 968 ± 932 / cellule in remissione e 11.592 ± 6.926 / cellula durante l'attacco sui neutrofili; 15.214 ± 6.568 / cellule in remissione e 53.856 ± 28.922 / cellula durante l'attacco). (37)

In pazienti con espressioni FMF i livelli di CD64 su entrambi, neutrofili e monociti durante il periodo di remissione erano gli stessi di quelli nei controlli normali, ma erano leggermente aumentati durante le crisi febbrili in accordo con Migita et al.

L’espressione di CD64 nei pazienti con “cryopyrin -associated periodic syndrome” (CAPS) e nella “TNF receptor-associated

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periodic syndrome” (TRAPS) durante gli episodi febbrile era paragonabile a quella nei pazienti con attacchi di FMF.

L’ espressione di CD64 presentava un leggero aumento in pazienti con polmonite o altre infezioni batteriche, mentre è stata significativamente elevata nel gruppo di PFAPA durante l’attacco febbrile, presentandosi come un altro possibile candidato come marcatore nella sindrome PFAPA.

3.C. Sintomatologia

Per definizione la sindrome PFAPA, viene identificata per la presenza di febbre ricorrente >38 gradi con una durata di 3-6 giorni (4,1 giorni), con una variabilità che si estende dai 2 agli 8 giorni. La febbre si ripete in modo ciclico ossessivamente regolare, ogni 15 - 60 giorni. La forma più frequente di presentazione è ogni 21 o 28 giorni (29,8 giorni). Completano la sindrome la presenza di linfoadenite cervicale nel 62 - 88%, faringite dal 72 al 100 % dei casi (in media 85%) e stomatite aftosa riportata con minor frequenza dal 38 al 60%, secondo i diversi lavori. Si può presentare accompagnata da altri sintomi tali come: cefalea dal 44 al 60%, dolore addominale riportato nel 29%, artromialgie nel 14,5% dei casi, nausea nel 28%, diarrea nel 16%, e qualche episodio di rash cutaneo nel 9%. Nel 62% è stato riportato un prodromo, la fatica, prima della febbre. (38)

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26

3.D. Diagnosi

La diagnosi della PFAPA, fino ad oggi, è clinica e per esclusione, basata sui criteri elaborati da Thomas et al, e Padeh et al. (39-41)

Tali criteri si Bassano su 5 punti: 1) Età d’inizio prima dei 5 anni.

2) Assenza di patologia infettiva del tratto respiratorio durante la

crisi febbrile, caratterizzata solo da stomatite aftosa,

linfoadenopatie latero-cervicali e faringite. 3) Periodo inter-critico asintomatico.

4) Esclusione di neutropenia ciclica, mediante controllo seriato dei globuli bianchi prima, durante e dopo le crisi di febbre.

5) Adeguata crescita staturo-ponderale e normale sviluppo psico-fisico.

A questi criteri oggi giorno si aggiungono le caratteristiche particolari di risposta alla terapia: I pazienti affetti da PFAPA non rispondono alla terapia antibiotica né agli antiinfiammatori non steroidei (Thomas et al.1999). Invece è molto efficace una monodose di cortisone per risolvere l’attacco febbrile; ma non serve per prevenire la ricorrenza. (Feder end Salazar 2010; Berlucchi et al. 2003; Wurster et al. 2011). Tale comportamento verso la terapia serve d’aiuto per confermare la diagnosi. (42)

Il laboratorio in corso dello stato febbrile presenta aumento

aspecifico degli indici di flogosi: lieve leucocitosi neutrofila, piastrine normali o lievemente aumentate, PCR e VES aumentate, IgA, IgG, IgM, IgD normali o lievemente aumentate, ed aumento della proteina Sieroamiloide A.

Più di recente in diversi lavori è stato evidenziato che durante gli attacchi si osserva: una diminuzione dei linfociti CD4+, CD8+, relativa eosinopenia e linfocitopenia riportati da Forsbol et al e un

(28)

27

aumento delle citochine tra cui, IL1B, Il6 e del “tumor necrosis factor” (TNF-alfa). (43) Molto interessante è il notevole aumento

dell’espressione sui linfociti, neutrofili e monociti dei livelli di CD64 e CXCL10 descritti nei rispettivi lavori di Takashi Yamazaki et al, e Forsvoll J. et al.

Il laboratorio nei periodi inter-critici si presenta con normalizzazione dell’emocromo, degli indici di flogosi, della proteina Sieroamiloide A e dei livelli di CD64, mentre persistono elevati i valori di CXCL10, segnalato come un possibile marker in bambini portatori della sindrome PFAPA.

3.E. Diagnosi Differenziale

La presenza di una febbre periodica ricorrente non è assolutamente esclusiva di una PFAPA. Di fronte ad un paziente di questo genere è necessario considerare un ampio spettro di condizioni a genesi infettiva, autoimmune, ed emato-oncologica.

Nella diagnosi differenziale va ricordata la tonsillite ricorrente da cause infettive, sia virale o batterica. Tra le cause virali le più frequenti sono gli adenovirus ed herpes simplex. La tonsillite ricorrente da Streptococco B emolitico gruppo A è la più frequente, tra quelle di origine batterica, circa un 30 %. Li seguono lo streptococco B emolitico gruppo C e G, ed altri germi, (Vedi Figura 1 e 2).

VIRUS INCIDENZA %

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28 CORONAVIRUS 5-7

VIRUS INCIDENZA %

RHINOVIRUS 20

CORONAVIRUS 5-7

ADENOVIRUS 5

HERPES SIMPLEX 1-2 5

PARAINFLUENZA 3

COXAKIE A e B < 1

INFLUENZA A e B < 1

EPSTEIN-BARR > 1

CITOMEGALOVIRUS < 1

HIV-I < 1

ADENOVIRUS 5

HERPES SIMPLEX 1-2 5

PARAINFLUENZA 3

COXAKIE A e B < 1

INFLUENZA A e B < 1

EPSTEIN-BARR > 1

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CITOMEGALOVIRUS < 1

HIV-I < 1

Figura 1. Tonsilliti ad eziologia virale

BATTERIO INCIDENZA % STREPTOCOCCO β EMOLITICO Gr. A 15-30 STREPTOCOCCO β EMOLITICO (Gr. C e G) 5-10 CORINEBACTERIUM DIPHTERIAE 1 ARCANOBACTERIUM HAEMOLITYCUM 1 NEISSERIA GONORRHOEAE 1 TREPONEMA PALLIDUM 1 VERSINIA ENTEROLITICA 1 VERSINIA PESTIS 1 FRANCISELLA TULARENSIS 1

AEROBI ANAEROBI MISTI 1

MYCOPLASMA PNEUMONIAE 1

CLAMIDIA PNEUMONIAE > 1

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Le forme che più frequentemente presentano il più alto grado di sovrapposizione con la PFAPA sono le sindromi autoinfiammatorie periodiche molecolarmente definite. Si tratta di malattie infiammatorie periodiche che fanno parte delle malattie autoinfiammatorie, legate a mutazione dei geni coinvolti nella regolazione della risposta infiammatoria.

Come la PFAPA, anche le febbri periodiche su base molecolarmente definite, dette anche febbri monogeniche, sono caratterizzate da accessi febbrili ricorrenti, accompagnati da sintomatologia muco-cutanea, gastrointestinale e articolare.

Vengono di seguito esposte le puntuali differenze di ogni entità clinica.

La Neutropenia Ciclica, quadro clinico molto simile alla sindrome PFAPA, che può riportare con certa frequenza a infezioni gravi e sepsi, mai descritte nella PFAPA. La sua caratteristica è una oscillazione regolare e periodica del numero dei neutrofili periferici, che si presenta per lo più ogni tre settimane.

La neutropenia benigna dell’infanzia confermata dalla conta leucocitaria, che si presenta come infezioni ricorrente lieve, le otite che diventando molto frequenti assumono un carattere quasi ciclico.

La Febbre Familiare Mediterranea si esprime con un quadro di

polisierosite, specialmente a livello peritoneale che porta ad una amiloidosi con insufficienza renale. E’ caratterizzata da episodi febbrili di breve durata (minore a 2 giorni), associati a dolori addominali, dolori toracici, artrite e rash al dorso del piede e una buona risposta alla terapia con colchicina. La sua diagnosi va formulata in base ai criteri di Tel-Hashomer: la diagnosi è possibile

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se sono presenti 2 criteri maggiori (febbre e sierosite, amiloidosi AA, efficacia della colchicina) o 1 maggiore e 2 minori (attacchi ricorrenti di febbre, eritema erisipeloide, familiari con FMF). I tests genetici hanno un valore predittivo positivo nel 70-80% dei casi. Autosomica recessiva per il gene MEFV

La Febbre Ciclica Autosomica Dominante, sindrome

caratterizzata da febbre ciclica ad alta ricorrenza (1-2 settimane), dolori addominali, orticaria, artrite, amiloidosi. Non risponde alla terapia con colchicina.

La Sindrome con Iper –IgD (HIDS) gli episodi ricorrenti di febbre

durano da 3 a 6 giorni, con linfoadenopatia, faringotonsillite, afte orale, poli-oligo artralgia/artrite simmetrica, dolore addominale, nausea vomito, diarrea, rash cutaneo e a volte splenomegalia. Il laboratorio si presenta con leucocitosi e aumentati livelli dei fattori di fase acuta nonché delle citochine proinfiammatorie, e in generale la malattia si sviluppa nell'infanzia. Clinicamente è quella che si somiglia di più alla PFAPA.

Un'accurata storia clinica è l’elemento essenziale per la diagnosi. La sua caratteristica è un valore elevato di acido mevalonico nelle urine e una diminuzione dell’attività dell’enzima mevalonto chinasi che può essere valutata nel sangue o nelle cellule epiteliali. La diagnosi va confermata con indagini genetiche che identificano mutazioni dei geni MVK.

La Febbre Iberiana o Irlandese, o Febbre Periodica TNFr-associata (TRAPS). Clinicamente è la febbre ricorrente con più

lunga durata degli episodi febbrili (10 giorni), edema periorbitale, mialgie, dolore addominale, dolore scrotale e ingrossamento dei linfonodi. Si osservano aumentati livelli dei fattori di fase acuta, ma nello specifico ci sono bassi livelli sierici del recettore TNF solubile

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32

di tipo 1°, inferiore a 1 ng/mL, e alti livelli di TNF. L'analisi molecolare conferma la diagnosi. Va ricordato che non tutti i pazienti con la mutazione hanno sintomi, perché la malattia è a penetranza incompleta. La colchicina non è efficace come terapia. Il prednisone attenua la durata e la gravità degli attacchi. La terapia con etanercep, diminuisce la frequenza degli attacchi.

Le Tonsillite Ricorrenti

Caratterizzate in senso restrittivo da: iperemia, ipertrofia, eventuale essudato tonsillare con linfoadenite reattiva e assenza di significativo coinvolgimento della mucosa respiratoria extra-tonsillare. Oltre alla febbre, può esserci o meno la compromissione dello stato generale.

Le ipotesi sulla genesi delle tonsilliti ricorrenti fanno riferimento a difetti di difesa, eccesso di risposta o entrambe le condizioni.

Gli agenti infettivi responsabili della tonsillite propriamente detta sono: lo streptococcobeta-emolitico, il virus di Epstein-Barr (EBV) e l’Adenovirus. I tre agentiinfettivi determinano quadri clinici e di laboratorio sufficientemente diversi per permetterne la diagnosi anche al di là dell’isolamento o della risposta sierologica, come descritto di seguito.

La tonsillite streptococcica è caratterizzata da iperemia faringotonsillare, faringodinia e interessamento linfonodale dolorabile; ma oggi, le classiche manifestazioni descritte tradizionalmente, come il colore rosso vivo delle tonsille, l’essudato e le petecchie peritonsillari, difficilmente si riscontrano, diventando più importante per la diagnosi l’alto sospetto clinico-epidemiologico in presenza di un quadro per lo più subdolo, confermato, in fase acuta, con un’alta sensibilità e specificità mediate il tampone

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orofaringeo per la ricerca dello streptococco B emolitico gruppo A (SBEGA).

A livello di laboratorio, determina un movimento discreto dei riattanti della fase acuta (neutrofili, VES e PCR). Il dosaggio dell’antistreptolisina “O” nel siero è aumentato durante l’episodio acuto e si protrae per in certo periodo di tempo. Risponde di regola agli antibiotici beta-lattamici e gli antinfiammatori non steroidee controllano la febbre.

La tonsillite da EBV, che nel bambino piccolo può anche decorrere in maniera subclinica, nel bambino più grande o nell’adolescente, generalmente esordisce con flogosi essudativa pseudomembranosa tonsillare e importante reazione linfonodale reattiva. I dati di laboratorio sono caratterizzati dalla presenza di linfocitosi/monocitosi e la positività degli anticorpi eterofili per EBV. Non risponde agli antibiotici. La febbre si riduce dopo somministrazione di antiinfiammatori non steroidee.

La tonsillite da Adenovirus, colpisce prevalentemente bambini sotto i 5 anni, determina una tonsillite ipertrofico-iperemica, frequentemente caratterizzata da essudato follicolare trasparente, con importante adenopatia satellite, e accentuato movimento dei riattanti della fase acuta. La terapia antibiotica non è efficace. La febbre si abbassa con gli antipiretici.

3.F. Evoluzione Naturale

L’evoluzione naturale della sindrome PFAPA solitamente inizia nella prima infanzia ed evolve verso una guarigione spontanea nel 30% dei casi verso l’età tra 10 e 12 anni. (16)

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Dalla ricerca effettuata da Besoli et al, emerge che più del 30% dei bambini guarisce spontaneamente, di cui un 66% in un tempo inferiore a 24 mesi e il 25% restante entro 36 mesi di malattia. La PFAPA è considerata una malattia autolimitante che si risolve spontaneamente prima dell’adolescenza alla fine dell’età pediatrica pura. Da uno studio con un follow-up più lungo realizzato da Wurstel et al, si apprende che sono stati seguiti 59 pazienti di età dai 12 ai 21 anni nei quali la guarigione spontanea è stata verificata in 50 (84%) pazienti, mentre solo in 9 si sono mantenuti i tipici sintomi della PFAPA, sebbene le febbri si presentassero meno frequentemente con minore intensità e minor durata. Altri studi piu’ breve di follow up riportano una percentuale di guarigione del 20 al

32%. (44) La PFAPA è comunque una patologia a prognosi

favorevole, gli episodi febbrili tendono a diradarsi e a scomparire nel bambino più grande, con una durata totale della malattia che varia tra quattro e dieci anni.

3.G. Terapia

Possiamo differenziare la terapia in “sintomatica” finalizzata alla rapida defervescenza della febbre e “terapeutica” quella che abbia come obbiettivo la remissione completa degli episodi febbrili ricorrenti che caratterizzano tale sindrome.

La terapia sintomatica proposta costantemente durante gli episodi febbrili è costituita da una monodose di steroidi. E’ stato comprovato che il prednisone nella dose 1-2 mg/kg per i bambini e 60 mg/dia negli adulti o betametasone alla dose di 0,1-0,3 mg/kg in una sola somministrazione o raramente una seconda dose, fa scomparire la sintomatologia acuta in 6-8 ore, a volte determina comunque un aumento della frequenza degli episodi febbrili, e la conseguente

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riduzione degli intervalli inter-critici che possono arrivare fino al 50%. (45) (46)

Quest'ultimo aspetto è stato riportato anche da una revisione di 105 casi clinici di bambini con PFAPA a Farmington, USA, che hanno avuto risoluzione degli episodi individuali di febbre, di solito, con una singola dose per via orale di prednisone, a 1 mg / kg/ dose, assistendo al rilievo negativo dell’accorciamento del periodo inter-critico.

Tale terapia cortisonica è da considerarsi sintomatica perché non porta mai per il suo effetto a guarigione definitiva. (38)

In passato alcuni lavori hanno evidenziato una risposta soddisfacente alla terapia profilattica con cimetidina. (40)

Ancor più aneddotica la segnalazione di una soddisfacente risposta alla talidomide in un paziente di 22 anni con una lunga storia di episodi febbrili ricorrenti. La scarsa maneggevolezza di questo farmaco legato al potenziale teratogeno ed il rischio di effetti collaterali per l’uso prolungato, come la neuropatia periferica, sembra tuttavia limitare significativamente l’effettiva utilità di questo approccio terapeutico. (47)

In tempi più recenti è stata descritta la risposta al trattamento continuativo con Colchicina in 9 pazienti (48). I pazienti selezionati

presentavano un numero di episodi febbrili superiore a 2 al mese e sono stati trattati con un dosaggio tra 0.5 e 1 mg di colchicina, per un periodo di 6-48 mesi. Il trattamento con colchicina ha indotto un significativo aumento dell’intervallo libero da sintomi nella maggior parte dei pazienti (8 su 9), passando da una media di un episodio ogni 1,7 settimane nel periodo pre-trattamento a 8,4 settimane nel follow-up.(48) Come per altri studi, l’estrema esiguità della casistica

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bias più rilevante in questo tipo di studi sulla PFAPA che è legato alla normale tendenza alla riduzione spontanea della frequenza degli episodi nel corso del tempo.

Un recente studio condotto da Butbul e collaboratori, (febbraio 2016) randomizzato di casi e controlli, ha comparato due gruppi di pazienti con diagnosi di PFAPA in Reumatologia Pediatrica Clinic- centro Rambam Medical, Israele. Un totale di 18 pazienti con età compresa tra 4 -11 anni (maschi: femmine ratio = 11: 7) randomizzati in gruppo I, di controllo (10 bambini) e un gruppo II, di studio (8 bambini). Il Gruppo I è stato seguito per 6 mesi senza alcun intervento, e il gruppo II è stato inizialmente seguito per 3 mesi ed è stato successivamente trattato con colchicina per i seguenti 3 mesi, secondo il regime standard. Inoltre è stato analizzato il DNA per le 5 mutazioni comuni FMF in Israele, tale analisi è stato eseguito in 17 dei 18 pazienti. Dei 17 pazienti esaminati, 8 erano portatori di mutazioni di FMF (2 nel gruppo I e 6 nel gruppo II). Il numero di episodi durante i primi 3 mesi è risultato simile in entrambi i gruppi (gruppo I 3.2 ± 1.5, gruppo II 4.9 ± 2.3; p

≤ 0,12). Il Gruppo II aveva significativamente meno attacchi di PFAPA nel secondo periodo, durante la terapia con colchicina (4,9 ± 2,3 contro 1,6 ± 1,2; p ≤ 0,01), in opposizione al gruppo I, in cui non è stata rilevata alcuna differenza nel numero di attacchi tra il primo e secondo periodo di follow-up (3,2 ± 1,5 vs 2,7 ± 1,5; p = 0,33). Questo lavoro conclude che la terapia con colchicina potrebbe essere efficace per aumentare gli intervalli tra gli episodi di PFAPA. Oltre ad essere uno studio con numero ridotto di casi, presenta un alto indice di mutazione per FMF rimanendo ancora non chiaro se si tratta di una forma di FMF o di PFAPA vera è

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propria. (49) Sappiamo in oltre, che la FMF risponde bene alla terapia con colchicina.

Nel 2011 Kastner et al, dopo uno studio che ha individuato la sovraespressione delle risposte innate, compreso interleukina -1, che è una molecola importante nell’avviamento della febbre e dell’infiammazione, i ricercatori hanno supposto che la Anakinra, droga che impedisce l’unione dell’interleukina -1 al suo recettore, potrebbe avere un ruolo terapeutico.Infatti hanno somministrato l’Anakinra per iniezione a 5 bambini nel secondo giorno del loro episodio febbrile, PFAPA correlato e tutti hanno dimostrato una riduzione della febbre e dei sintomi infiammatori nelle ore seguenti. (50) Un altro caso è rappresentato da un paziente adulto di 27 anni,

resistente alla terapia con cortisone e alla tonsillectomia con una frequenza di più di 10 episodi di crisi/anno, che li è stata somministrata terapia con Anakinra nella dose di 100 mg/die. Tale paziente si mantiene asintomaticodopo6 mesi di seguimento. (51)

Storicamente la terapia con Cimetidina è stata associata con la risoluzione dell’episodio febbrile in 7/26 (27%). Mentre la tonsillectomia è stata associata alla risoluzione delle sindrome febbrili in 11/11 (100%)pazienti. (38)

Da uno studio clinico randomizzato condotto da Renko et al, nel 2007, finalizzato all’analisi dell’efficacia della tonsillectomia in bambini con un’età media di 4,1 anni (n=26) che avevano presentato come minimo 5 episodi relazionati a sindrome PFAPA, si evince che tutti quelli che sono stati sottoposti a tonsillectomia(n=14) si sono presentati liberi di sintomi al sesto mese di controllo, con la scomparsa degli episodi febbrili. Nel gruppo di controllo tenuto solo sotto vigilanza clinica, si era verificato soltanto nel 50% (6/12) la scomparsa dei sintomi. Quattro

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dei bambini sottoposti a tonsillectomia hanno presentato un episodi compatibile con febbre ricorrente, nei sei mesi dopo la chirurgia, in confronto con 34 episodi febbrili nei bambini del gruppo controllo. Tale dato rappresenta 0,05 episodi per bambino/mese nel gruppo sottoposto a trattamento chirurgico verso 0,47 episodi per bambino/mese presentati nel gruppo controllo sempre nel periodo di follow up di 6 mesi. Dopo il sesto mese di follow up, il 42% dei bambini del gruppo controllo è stato sottoposto a tonsillectomia per la persistenza dei sintomi. In questo studio si specifica che non si sono verificate complicanze chirurgiche. (52)

Un altro studio clinico randomizzato condotto da Caravello et al (2009) analizza il ruolo della tonsillectomia con adenoidectomia in

un gruppo di 39 bambini con diagnosi di PFAPA, di cui hanno eseguito terapia chirurgica (n=19) e follow up clinico (n=20). I due gruppi ricevevano terapia corticosteroidea duranti gli attacchi febbrili. La durata del follow up è stata di 18 mesi. Al termine dei quali fu verificata la presenza di 12 episodi di febbre PFAPA correlata nel gruppo sottoposto a chirurgia in confronto a 179 episodi nel gruppo controllo (0,04 episodi per bambino/mese nel gruppo con terapia chirurgica verso 0,5 episodi per bambino/mese del gruppo controllo). Risultati simili a quelli riscontrati da Renko e collaboratori. In conclusione la tonsillectomia porta a guarigione nel 63% dei pazienti versus 5% nel gruppo controllo. (54)

L'utilizzo di tecniche di meta-analisi eseguita da Peridis et al nel 2010 (53) ha consentito l'inserimento di 374 pazienti, di cui 124

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143(38.24%) sono stati trattati con antibiotici, 70 (18,72%) con cimetidina, e 257 (68.72%) con steroidi. Un campione di questa dimensione è sostanzialmente significativo, date le piccole dimensioni dei campioni precedentemente indicate in letteratura. Nonostante la significatività di questo studio, alcune limitazioni dovrebbero essere discusse: Per primo, 12 su 14 studi inclusi sono retrospettivi. (41;55-65) In questo caso, vi è una pratica considerazione

che limita il numero di casi che possono essere raccolti e analizzati. Un altro limite di questo studio è stato il ridotto numero di studi disponibili in letteratura rispetto a entrambe le terapie: medica e chirurgica (la maggior parte degli studi sono stati pubblicati dal 2006 in poi). Nonostante queste limitazioni, lo studio fornisce informazioni significative per quanto riguarda l'impatto della tonsillectomia come terapia definitiva per i bambini con sindrome di PFAPA, che possono essere utilizzati in futuro per la progettazione di studi prospettici. La sindrome è ancora materia di dibattito, e solo alcuni articoli sono stati pubblicati; la maggior parte di questi supportano l'efficacia di tonsillectomia, con recupero completo dal 64% al 100% dei casi. (55-66)

Comunque la possibilità di un recupero incompleto o di un quadro clinico stazionario è ben noto. (67-68)

Un'altra problematica, di non poco peso, si basa sulla difficoltà di diagnosi certa della sindrome PFAPA sia perché questa è fondata solo sulla base di segni e sintomi clinici, sia perché tale sindrome somiglia ad altre febbre periodiche.

In conclusine questa meta- analisi mostra i seguenti risultati: una migliore risoluzione dei sintomi della sindrome PFAPA nei bambini dopo tonsillectomia (+/-adenoidectomia), rispetto a quelli trattati con cimetidina e antibiotici. Il confronto della chirurgia rispetto

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all’utilizzo di steroidi ha mostrato che entrambe le terapie sono efficaci per la risoluzione della sintomatologia acuta della sindrome PFAPA, infatti 1 dose di prednisolone (1-2 mg / kg) provoca la cessazione del ciclo febbrile entro 12-24 ore. Tuttavia, la somministrazione di corticosteroidi non previene futuri cicli di febbre e addirittura può ridurre l'intervallo tra gli episodi. Tra le possibili terapie chirurgiche, non è stata riportata alcuna differenza nel risultato tra i pazienti sottoposti a adenotonsillectomia verso i pazienti con sola tonsillectomia. (53)

Il ruolo esatto che la tonsillectomia gioca nella risoluzione dei sintomi non è chiaro, ma fa sospettare che la sindrome possa essere causata da una risposta immunitaria generata a livello del parenchima tonsillare.

L'uso di agenti anti-infiammatori non steroidei ha dimostrato scarsi risultati nel risolvere i sintomi della sindrome PFAPA; Ace-aminophen e ibuprofene, forniscono sollievo sintomatico. Altri farmaci, tra cui aciclovir, e la colchicina, hanno fornito un minimo sollievo dei sintomi solo in alcuni casi. (65)

La somministrazione di antibiotici non ha alcun effetto.

Un 50% dei bambini è destinato a subire una tonsillectomia, (69) la

quale ha sempre interrotto gli episodi di PFAPA, o almeno li ha diradati. La tonsillectomia è considerata una potenziale opzione di trattamento per questa sindrome (70, 53)

In conclusione ad oggi, e in accordo con le prime linee guida sulla sindrome PFAPA, elaborata da Terrini e collaboratori, pubblicata nel 2016, diciamo che la tonsillectomia è da considerare come terapia in caso di pazienti con importante interessamento faringotonsillare, che gli episodi febbrili si protraggono nel tempo e non sono responsivi alla terapia convenzionale. O quando gli

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episodi di PAPFA sono frequenti e invalidanti al punto di compromettere la qualità della vita. (71, 72)

4.ESPERIENZA PERSONALE

Risposta nella sindrome PFAPA alla terapia con

Pidotimod e lisato batterico

3.A. Premessa

Pidotimod (3-L-phroglutamyl-L-thiaziolidine-4carboxylic acid) è una molecola, un dipeptide sintetico con proprietà immunomodulante.

(73).

Si tratta di una molecola altamente purificata, con proprietà di rapido assorbimento a livello del tratto gastrointestinale e una biodisponibilità del 45%, non è influenzata dal cibo e viene eliminata in forma non modificata tramite meccanismi di escrezione renale.

(74)

Il profilo di sicurezza di pidotimod è buono, non sono stati riportati seri eventi avversi in studi umani, ad eccezione di un caso di

sospetta Henoch-Shonlein. (75)Tuttavia nessun altra associazione

con malattie autoimmune e stata riportati finora.

Gli studi in vitro sia in campioni umani e animali hanno dimostrato che pidotimod ha un’attività immunomodulante su entrambe le risposte immunitarie sia innate che adattativa. Il Pidotimod induce la maturazione delle cellule dendritiche, aumenta l’espressione di HLA-DR e agisce come co-stimolatore di CD83 e CD 86. Pidotimod stimola le cellule dendritiche nel rilascio di molecole

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pro-42

infiammatorie, come MCP-1 and TNF-alfa e la produzione di cytochine, e guida la proliferazione delle cellule T e la sua differenziazione verso un fenotipo Th1. (76) Migliora la funzione

delle cellule natural killer, inibisce l’apoptosi dei timociti, e promuove la fagocitosi. (77 – 78)

Carta et al. Ha dimostrato che il pidotimod induce i cambiamenti cellulari in vitro che sono potenzialmente utili nel migliorare la capacità di combattere le infezioni. Attraverso effetti diversi sulla chinasi extracellulare regolatore del segnale ERK1/2 e il fattore – kappa B nucleare NF-KB. Pidotimod aumenta l’exprezione di 2 molecole proteiche di superficie TLR (toll-like receptor coinvolti nella iniziazione della risposta innata a stimoli infettivi). La mancanza di effetto sulla molecola di adesione intercellulare (ICAM)-1, la espressione del recettore per il rhinovirus, il rilascio di interleuchina (IL)-8 e il fattore chemiotattico per i neutrofili (di solito presenti nei siti di infezione), possono rappresentare funzioni di protezioni da infezioni. In conclusione il pidotimod potrebbe modulare la funzione delle cellule dell’epitelio respiratorio mediante l’attivazione di una via NK-KB che coinvolgerebbe l’interazione ospite –virus (79). S. Zuccotti et al nel suo lavoro sull’attività

immunomodulatoria del pidotimod in bambini affetti da sindrome Down, ha evidenziato l’effetto benefico del pidotimod nel potenziare l’attività dell’immunità innata e adattativa durante l’immunizzazione con il vaccino antinfluenzale. (80) Sin dal 1990, diversi studi si sono

concentrati nel valutare l’efficacia del pidotimod nella prevenzione e nel trattamento delle infezioni ricorrenti delle vie respiratorie in bambini, e hanno dimostrato che la somministrazione di questo composto riduce in numero gli episodi di infezioni delle vie respiratorie, riduce in numero i giorni di febbre, e la gravità dei segni

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