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La critica italiana e i film sovietici negli anni trenta

dalla produzione interna alla proiezione esterna

3.2 La critica italiana e i film sovietici negli anni trenta

1932: tutti pazzi per Ekk

Lo studio delle recensioni dei film sovietici “veneziani”, apparse sulla stampa italiana negli anni in cui l’URSS prese parte alla Mostra, è di particolare rilevanza per diversi motivi. In primo luogo questo ci rivela se e quanto quelle pellicole, indipendentemente dalla valutazione finale della giuria, fossero piaciute ai critici inviati in laguna dalle diverse testate. Inoltre l’analisi dei giudizi della critica italiana alle pellicole sovietiche, anche in ragione della non semplice reperibilità di queste ultime, diventa uno strumento utile a capire l’atteggiamento generale dell’opinione pubblica italiana verso una cinematografia che aveva sempre destato una curiosità e un interesse notevoli. Infine la lettura comparata di queste valutazioni permette di verificare in che misura la proiezione di queste opere influenzò la percezione della società sovietica, di cui il cinema era espressione, da parte dell’opinione pubblica italiana e quindi l’immagine stessa dell’URSS in Italia.

Gli anni trenta, in questo senso, sono estremamente interessanti in quanto permettono di esaminare come la visione della critica italiana riguardo i film sovietici si inserisse nel contesto socioculturale e ideologico del fascismo. Diventa interessante in quest’ottica rilevare quale fu il risultato di questo incontro “anomalo” fra prodotto del sistema comunista e ricezione di quello fascista.

Il 1932 rappresenta, come visto, un caso ancora più specifico perché fu la stessa organizzazione a procurare i film da proiettare e non l’Unione Sovietica a selezionarli. Il destino, e con lui i film sovietici a quel tempo reperibili in Francia, vollero che il pubblico italiano, e con esso la critica, potessero vedere una pietra miliare del cinema sovietico,

Putevka v žizn’, e un’opera rimasta poco impressa nella memoria, Tichij Don. Prima però di

scendere nel dettaglio dei giudizi dati dagli inviati italiani ai singoli film sovietici registriamo come la presenza di tali pellicole fu allora circondata da un clima di grande attesa e curiosità; una novità all’interno di un’altra grande novità, la stessa Esposizione, che in quell’anno riceveva il proprio battesimo. Flavia Paulon, collaboratrice nelle prime edizioni della Mostra, e poi diventata memoria vivente della stessa, trasmette questa atmosfera di attesa generale e specifica per le pellicole sovietiche: “L’interesse e la curiosità erano così vivi che si può dire on ci fu film verso il quale l’attenzione del pubblico non fosse particolarmente tesa. C’era una grande curiosità di vedere i film russi. La muraglia di silenzio che da anni circondava la

Russia sovietica si era per un momento squarciata”104. Eugenio Giovannetti sul “Giornale d’Italia”, riferendo delle case di produzione invitate, definì la Sojuzkino e la Mežrabpom-Rus (da cui erano usciti Tichij Don e Putevka v žizn’) “due grandi soggetti di estremo interesse per il pubblico”105. Lo stesso giornalista, in un pezzo questa volta per la “Gazzetta del popolo”, sottolineò l’atmosfera di trepidazione per l’arrivo del cinema sovietico, di cui si percepiva il carattere unico e specifico, nonostante la distanza geografica e non solo che la divideva dall’Italia:

Le pellicole russe sono attese qui con universale desiderio poiché istinto di folla ed intuito di singolo le reclamano ugualmente. Senza che alcuno lo abbia loro detto, tutti sentono già che, se il cinema è un’arte, il cinema russo è una poesia e che, se l’arte è il quotidiano, la poesia è una festa. La muraglia del silenzio, che circonda la Russia sovietica, non è riuscita a tener lontana dai popoli questa alata persuasione 106.

Sulla straordinarietà della visione dei film sovietici per il pubblico italiano insistette anche la “Gazzetta di Venezia” che, a proposito della proiezione del film di Ekk, scrisse: “Questa presentazione assume una eccezionale importanza tanto pel fatto che la produzione cinematografica russa è tuttora poco nota al pubblico, quanto per il grande valore artistico e dimostrativo del lavoro”107.

Queste dichiarazioni evidenziano quella grande occasione di conoscenza, attraverso il cinema, di diverse espressioni culturali e artistiche offerta dalla Mostra di Venezia al pubblico, che poi era uno degli scopi precipui dell’ICE e del suo direttore Luciano De Feo al momento dell’organizzazione della manifestazione. Relativamente a questo risultano particolarmente interessanti e, in una certa misura ancora attuali, le parole di Giovanni Dettori, presidente dell’Associazione Fascista dell’Industria dello Spettacolo108, circa i vantaggi e i possibili rischi del processo di “internazionalizzazione” dell’arte e di un appiattimento delle singole identità culturali:

Le intese hanno da valere per rendere l’espressione di ciascuna nazione accessibile alla comprensione degli altri popoli non per sommergere in una monotona uniformità meccanica internazionale le originalità di ciascuna stirpe. Se l’iniziativa della Biennale, ha concluso il

104 Direzione della Mostra internazionale d’arte cinematografica (a cura di), Venti anni di cinema a Venezia

(1932-1952), Ateneo, Roma 1952, p.15

105 E.Giovannetti, L’esposizione a Venezia dell’arte cinematografica, in “Il Giornale d’Italia”, 4 agosto 1932 106 E.Giovannetti, La poesia del cinema a Venezia. Le pellicole russe, in “Gazzetta del popolo”, 12 agosto 1932 107 Il programma di stasera [sic]: il film russo “Verso la vita”, in “Gazzetta di Venezia”, 10 agosto 1932 108 La Federazione nazionale fascista degli industriali dello spettacolo e dei lavoratori dello spettacolo era nata

ufficialmente con Decreto legge n.1382 del 16 agosto 1934. Qualche tempo prima, il 23 giugno, venne costituita a Roma con Decreto di Mussolini pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n.156 la Corporazione dello spettacolo, con sede presso il Minstero delle Corporazioni (tra i membri del consiglio figurava anche Luciano De Feo). Questi due organismi avevano come obbiettivo la tutela degli interessi dei lavoratori del settore e la risoluzione delle questioni economiche e produttive dell’industria italiana dello spettacolo. Cfr. G.P.Brunetta, Storia del cinema italiano 1895-1945, op.cit., p.287

Comm. Dettori fra gli applausi unanimi, contribuirà alla realizzazione di questa nobile finalità, avrà ben meritato non solo dell’arte cinematografica ma dello stesso progresso della civiltà 109. Relativamente alle singole pellicole, Putevka v žizn’ è, tra le opere sovietiche presentate a Venezia nel periodo in esame, quella che ebbe il consenso più unanime, tanto dal pubblico, che nel referendum finale di quell’anno assegnò a Ekk il titolo di miglior regista, quanto dalla critica. Tutti rimasero letteralmente stregati dal film e dal suo, fino allora sconosciuto, autore. Filippo Sacchi lo definì “potentissimo”110, individuandone il successo nella sua forza ideale, capace di superare gli inevitabili momenti ideologici:

Se Verso la vita di Ekk ha scosso talmente gli spettatori non è certo per le fandonie che viene a raccontarci quel conferenziere al principio, ne per le mature grazie propagandistiche della commissaria del popolo, ma perché ci mette davanti, profondamente sentito, l’ideale della rigenerazione attraverso il lavoro e il sacrificio dell’interesse collettivo111.

Mario Gromo ne “La Stampa” iniziò il suo articolo esprimendo un senso di sorpresa, a dire il vero più retorico che reale, sul consenso ottenuto presso gli spettatori da un prodotto della cultura dell’URSS: “Il primo film sovietico, pur essendo fatto da “bolscevichi”, è stato invece accolto da una calda ovazione”112. Subito dopo concentrò l’attenzione su alcuni aspetti

segnalati anche da Sacchi. Innanzitutto utilizzò il termine “potenza”, che faceva il palio con il “potentissimo” di cui si era servito l’inviato del “Corsera” e inoltre segnalò come gli inserimenti politico-ideologici, pur rischiando di rovinare il risultato finale, fossero stati superati dalla grande spinta artistico-ideale immessa dall’autore: “Sono storture anche artisticamente gravi: grandemente danneggiano l’euritmia del film che quando può respirare il ritmo del suo respiro rivela invece una potenza d’arte tanto più indimenticabile quando si pensi a tutte le limitazioni che il direttore ha dovuto subire. […] Tipi ed episodi s’alternano con rara potenza”113.

Giovannetti, nel “Giornale d’Italia”, prima ancora della proiezione ufficiale, ne anticipò il valore denominandolo “un classico dell’arte russa, […] un incontestabile capolavoro”114. A film presentato, ne sottolineò poi la natura lirica, l’energia vitale che trasudava da esso: “L’incomparabile vigore poetico del film russo è nel suo panteistico naturalismo che sopprime l’attore e fa di ogni interprete una voce inseparabile da un organico tutto. La folla si dichiara convinta dal regista russo appunto perché il regista russo è il solo

109 Cinema italiano e cinema straniero in un discorso del comm.Dettori, in “Giornale d’Italia”, 13 agosto 1932 110 F.Sacchi, La cinematografia mondiale a Venezia, in “Corriere delle sera”, 3 agosto 1932

111 F.Sacchi, Panorama di un Festival, in “Corriere delle sera”, 26 agosto 1932

112 M.Gromo, Il “Festival internazionale del cinema” a Venezia. Primo tempo, in “La Stampa”, 13 agosto 1932 113 Ibidem

114 E.Giovannetti, L’esposizione internazionale del cinematografo che sarà inaugurata oggi a Venezia in

che abbia avuto il coraggio di sopprimere gli attori e di metterli in un contatto vivo con un “tutto” vivente”115. Tale organicità e compattezza si manifestavano invece per Pasinetti nel carattere paradigmatico e universale della vicenda raccontata: “Esiste un soggetto, ma questo passa in seconda linea di fronte alla universalità della narrazione. […] Vi è nello sviluppo dell’azione e in ogni singolo episodio un particolare senso del primitivo, di sentimenti immutabili e universali”116.

Oltre alla potenza espressiva e alla bravura di Ekk di andare aldilà della contingenza ideologica per fare del un film un organismo vivente dotato di un proprio respiro, uno dei tratti che colpì maggiormente fu l’utilizzo, nel ruolo dei ragazzi sbandati, di giovani presi davvero dalla strada e alla prima esperienza davanti alla macchina da presa. Fra questi ultimi spiccava il volto mongolo del capobanda Mustafà117, divenuto simbolo dell’espressività di

Putevka v žizn’, oltre che beniamino di pubblico e critica: non è da escludere che tale scelta

abbia ispirato uno dei precetti del futuro neorealismo italiano, anche se non sempre seguito, di prendere l’attore dalla strada. Si pensi poi di Sciuscià (1946) di De Sica, in cui l’influenza da formale si fa contenutistica118.

Non altrettanto entusiastici furono i commenti riservati a Tichij Don, che dovette subire il confronto con l’ipercelebrato film di Ekk, perdendolo sistematicamente. Secondo “La Stampa”, nonostante le riconosciute capacità della Preobraženskaja alla regia, “Siamo però assai lontani da Verso la vita”119. La “Gazzetta di Venezia” affermò che “Non è il caso di confrontare questo film con il precedente, Verso la vita, frutto di tutt’altra sensibilità pur essendo nello stesso ciclo politico”120. Sulla stessa lunghezza d’onda pure l’altro quotidiano della città lagunare: “Altro tema altra sensibilità da quelli di Verso la vita ma anche meno originalità, meno forza”121. Non diversa la valutazione di Pasinetti, apparsa su “La Fiera letteraria”, per il quale “Il film non è molto recente e di fronte a quello di Ekk rimane molto indietro”122.

115 E.Giovannetti, Venezia metropoli di cinelandia, in “Giornale d’Italia”, 26 agosto 1932

116 F.Pasinetti, “Verso la vita” di Nikolaj Ekk (ediz.Mejrabpom-film), in “Gazzetta di Venezia”, 11 agosto 1932 117 Ivan Kyrla, interprete della parte di Mustafà nel film di Ekk, fu vittima dalle purghe staliniane della seconda

metà degli anni trenta che colpirono anche il mondo del cinema e deportato ai campi di lavoro. Per una ricostruzione generale del rapporto fra mondo del cinema e terrore staliniano si veda N.Laurent, L’oeil du Kremlin. Cinéma et censure en Urss sous Staline (1928-1953), op.cit., pp.50-52

118 Della possibile influenza del film di Ekk su quello di De Sica si parla in Direzione della Mostra internazionale

d’arte cinematografica (a cura di), Venti anni di cinema a Venezia (1932-1952), op.cit., p.114; U.Barbaro, Servitù e grandezza del cinema, Editori Riuniti, Roma 1962, p.317

119 M.Gromo, Il Festival internazionale del Cinema a Venezia. “Secondo tempo”, in “La Stampa”, 20 agosto

1932

120 Dal film polacco al soviettico [sic], in “Gazzetta di Venezia”, 18 agosto 1932 121 Il festival del cinema. Films di tre nazioni, in “Il Gazzettino”, 18 agosto 1932 122 F.Pasinetti, Conclusioni e proposte, in “La Fiera letteraria”, 28 agosto 1932

Riguardo al giudizio del film in sé, aldilà dei paragoni, esso venne segnalato per due aspetti in particolare. Da una parte per il tentativo del cinema sovietico di staccarsi dalla monotonia tematica di stampo politico-propagandistico e abbracciare così formule e approcci più borghesi: un tentativo fallito, secondo Filippo Sacchi secondo cui “se come borghese dovrei incoraggiarli a mettersi su questa via, purtroppo come uomo di cinematografo sono costretto a riconoscere che è meglio che tornino alla propaganda rivoluzionaria”123. Bisogna tuttavia precisare che l’inviato del quotidiano milanese si sbagliava quando pensava a Tichij

Don come a un timido passo iniziale dei sovietici nei territori del cinema “borghese”: come

dimostrato anche dai violenti attacchi che costarono ai due registi la tessera dell’ARRK, esso rappresentò piuttosto uno dei segnali che l’esperienza di un cinema più d’intrattenimento e scevro di eccessive invadenze politiche iniziò ad avere vita dura alla fine della NEP, se si esclude il “comico di regime” di marchio aleksandroviano della seconda metà degli anni trenta. A tale contesto si ricollega, come riportato precedentemente in nota, anche la forte critica subita dalla casa di produzione Mežrabpom-Rus’ (divenuta Mežrabpomfil’m con l’eliminazione del capitale privato nel 1928), sebbene campione di incassi, per la sua offerta di cinema spesso apolitico e di puro intrattenimento.

L’altra segnalazione la fece Giovannetti, assoluto entusiasta delle pellicole sovietiche, che rivolse l’attenzione verso la Preobraženskaja e la sua singolare posizione di “donna che ride”124 in quel panorama cinematografico: “La più intelligente donna del film russo e l’unica che, nel film russo, austero sino alla tetraggine, rappresenti la fantasia e lo humour. La Preobracenscaia [sic] è un’umorista di razza, dalla vena inesauribile. Le punte satiriche del

Silenzioso Don sono dovute, certamente, alla sua regia”125.

1934: delusione e conforto

Nel 1934 le condizioni di presentazione dei film sovietici furono ben diverse per la presenza della delegazione giunta da Mosca126. Questo fatto ebbe come conseguenza molto

123 F.Sacchi, Panorama di un festival, op.cit.

124 E.Giovannetti, La poesia del cinema a Venezia, op.cit.

125 E.Giovannetti, L’esposizione internazionale del cinematografo che sarà inaugurata oggi a Venezia, op.cit 126 Sempre nell’agosto del 1934 ci fu la visita di un’altra delegazione proveniente da Mosca in Italia: stiamo

parlando della missione aeronautica sovietica in visita ufficiale nel nostro paese dal 9 al 16 agosto. Gli aviatori sovietici furono ricevuti da Mussolini a Palazzo Venezia, visitarono gli stabilimenti della FIAT a Torino, il ministero dell’Aeronautica, le zone bonificate dell’Agro Pontino. Cfr. Omaggio al Duce degli aviatori cinesi e russi, in “Unione Sarda”, 10 agosto 1934; La missione sovietica visita il Ministero dell’aeronautica, in “Unione Sarda”, 11 agosto 1934, La missione russa visita l’Agro Pontino, in “Unione Sarda”, 12 agosto 1934. Tale visita dimostra come ancora nell’estate del 1934 i rapporti ufficiali fra Italia e URSS godessero di buona salute. Sono significative inoltre le mete scelte dall’Italia per il soggiorno della delegazione aeronautica sovietica, ossia la visita agli stabilimenti FIAT e alle aree bonificate dell’Agro Pontino: da una parte l’Italia poteva mostrare con

importante quella di mettere a contatto diretto critici e corrispondenti italiani, e di riflesso il pubblico italiano, con un campione di quella cinematografia, e della nazione che rappresentavano. Testimonianza di questo sono anche le due interviste, all’autore del documentario Čeljuskin Šafran e soprattutto quella al capo della delegazione Šumjackij, apparse su “Il Giornale d’Italia”127. Inoltre, a differenza della prima edizione, le pellicole presentate furono tre più l’ancora incompleto Veselye rebjata, alle quali va aggiunta una proiezione fuori concorso di frammenti di altre opere: tutto ciò determinò una certa diversificazione anche nelle reazioni e nei giudizi della stampa.

Fra i commenti più positivi su quanto portato dalla delegazione sovietica in laguna vanno registrati gli interventi di Filippo Sacchi per il “Corriere della Sera”, che rimase colpito dalla produzione presentata, oltre che dalla serietà della comitiva arrivata da Mosca, come vedremo meglio più avanti. Ecco, per esempio, come descrisse la proiezione del documentario di Šafran: “Un po’ di epica è passata stasera sullo schermo della Biennale. C’era la prima mondiale del Celiuskin, il documentario girato durante la famosa e sfortunata spedizione. […] Lo stile del documentario, semplice, lineare, d’ottima fotografia, s’accorda al racconto e gli da risalto”128. Lo stesso articolo ebbe parole di lode anche per Peterburgskie noči di Rošal’, di cui Sacchi riportò il grande consenso di pubblico ottenuto: “Benché il film sia parecchio teatrale e parlato, esso tenne continuamente avvinto il pubblico per la bellezza delle immagini e la forza delle emozioni che ci si dipingono. Il film ha un potente protagonista che è

orgoglio le proprie realizzazioni in campo industriale e agricolo; dall’altra la rappresentanza sovietica non poteva che guardare con estremo interesse a questi settori del sistema produttivo italiano, considerato che l’URSS era allora impegnata nel secondo piano quinquennale e in una collettivizzazione agricola dalla difficile applicazione, che portò anche ad esiti catastrofici, come la carestia del 1932-33 in Ucraina. I membri della delegazione sovietica assistettero poi alla proiezione, all’ambasciata sovietica a Roma, di Čeljuskin e del film di Ermler e Jutkevič Vstrečnyj. Cfr. Il film documentato della vicenda del “Celiski” [sic] proiettato a Roma all’ambasciata sovietica in “Unione Sarda”, 15 agosto 1934. Il soggiorno si svolse in un clima di grande cordialità. Ne sono testimonianza due telegrammi pubblicati sulla stampa del tempo. Il primo è quello inviato dal Commissario del popolo alla Difesa dell’URSS VorošIlov all’ambasciatore italiano a Mosca Attolico in risposta alle felicitazioni espresse dal diplomatico per la missione sovietica nella penisola: “Vi ringrazio sinceramente per il vostro gentile telegramma e per gli amichevoli sentimenti mostrati per i nostri aviatori. Condivido pienamente a vostra convinzione che la visita in Italia dei nostri aviatori rappresenti un nuovo sostanziale contributo allo sviluppo dell’amicizia fra i nostri due paesi”. La missione russa visita l’Agro Pontino, op.cit. Il secondo è il telegramma lasciato dal comandante della missione sovietica Kidemann per Mussolini: “Lasciando il territorio dell’Italia, ringraziamo l’E.V. della cordiale accoglienza fattaci in questi giorni di indimenticabile incontro con la flotta aerea italiana, con il suo comando ed il suo valoroso personale. Grandemente riconoscenti ed entusiasti della brillante organizzazione delle forze aeree italiane, siamo fermamente convinti che lo stretto e continuo contatto tra le forze aeree dell’Italia e dell’URSS riuscirà un potente fattore di rinsaldamento dell’amicizia fra i nostri paesi e di mantenimento della pace”. Il ritorno in Russia della squadra sovietica in “Unione Sarda”, 17 agosto 1934

127 Cfr. F.Sarazani, Intervista con l’operatore del Celjuskin, in “Il Giornale d’Italia”, 14 agosto 1934;

E.Giovannetti, Come studia e crea il cinema sovietico (Nostra intervista con il commissario Chumiarski [sic], op.cit.

Gurionof. Applausi ai punti più belli e alla fine. Pubblico enorme come finora non si era mai visto alla Biennale”129.

Molto favorevole fu pure il “Giornale d’Italia” che lodò le tre pellicole di cui gli autori erano presenti fisicamente alla Mostra principalmente per la grande tecnica. Per quanto riguarda Groza di Petrov, Sarazani affermò che “Senza dubbio questo film è riuscito a tradurre il dramma di Ostrowsky [sic] in maniera mirabile contornando i fatti e le situazioni con la più scrupolosa cura dei dettagli. La tecnica usata dal regista Petrov nell’inquadrare le scene è di una originalità magnifica”130. A proposito dell’opera di Rošal’, lo stesso critico asserì come “in questo film la massima dote è in una sostanziale innovazione di tecnica. Vi sono infatti delle scene, che il pubblico ha applaudite durante la proiezione, che raggiungono una vera e propria perfezione d’arte”131. Lo stesso pezzo conteneva allo stesso modo l’elogio di Čeljuskin: “L’originalità di questo documentario è nella ripresa di quelle scene sì tragiche, inquadrate perfino con una tecnica moderna”132.

A questo panegirico della tecnica cinematografica made in URSS si contrappose l’unica nota negativa individuata da Sarazani nella selezione portata a Venezia, frammenti fuori concorso inclusi133, cioè Veselye rebjata che, a detta dell’inviato, aveva lasciato perplesso non solo lui ma anche gli spettatori: “La vicenda, purtroppo, dopo le prime scene, si tramuta malamente in un seguirsi di trovate banali. In questo film non c’è niente dell’originalità che distingue ormai la produzione sovietica. C’è perfino una lentezza e una