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Ripercorrere la storia che riguarda le più antiche immagini che raffigurano il Crocefisso impone, prima di ogni cosa, il recupero filologico, laddove se ne presentasse l‟evidenza, di fonti iconografiche di età romana che possano costituire un precedente non

47 Ovvero «il macrotesto di preziosa oreficeria „achiropita‟ che “compie” la rivelazione giovannea»: CASARTELLI NOVELLI 2006, p. 48.

48 Un caso diverso sono le croci „vuote‟ in cui compare l‟agnello, spesso circoscritto da un clipeo, che può essere posto all‟incrocio tra patibulum e stipes o sulla parte alta dello stipes. Questo

pattern è non solo apocalittico, in quanto rispondente al testo verbale giovanneo (Ap 14, 1-5) più

che il „macrotesto‟ secondario dell‟oreficeria (cfr. supra, nota precedente), ma anche metaforico del Crocefisso per via dell‟agnello che vi compare. D‟altra parte, esso è omologo a quelle croci „vuote‟ in cui, ancora all‟incrocio dei bracci o sulla parte alta dello stipes, è il clipeo con la testa di Cristo. Per entrambi si rinvia al puntuale lavoro di BALICKA-WITAKOWSKA 1993,in part. pp. 61-78; 146-152; per la „maschera‟ del volto di Cristo, in part. BELTING 2007, pp. 51-95.

69 Fig. 4. Roma, Sepolcro di Arieti,

affresco con scena di supplizio, I secolo

d.C. (da CANALI DE ROSSI 2008)

Fig. 5. Pozzuoli, Taberna, Graffito con immagine di

crocefisso, I secolo d.C.

solo iconografico, ma anche „configurativo‟ rispetto all‟organizzazione nello spazio degli elementi, delle forme concrete che ne compongono la struttura d‟immagine; in altri termini tutto ciò che può essere espressione di un pattern visivo della crocefissione, e questo perché «[…] l‟aspetto dell‟oggetto è influenzato […] dalle esperienze visive che l‟hanno

preceduto nel tempo»50.

Le uniche, ma non per questo probabili, fonti iconografiche in cui è raffigurata la crocefissione di un uomo che non sia Gesù, si riferiscono al lacerto d‟affresco del sepolcro

50 Vedo in questa affermazione di Rudolf Arnheim, una sorprendente contiguità di intenti con il metodo iconografico: l‟uno agisce sul campo della percezione (sensi), l‟altro sulla comprensione (intelletto), ma entrambi sulla trasmissione delle immagini. Cfr. ARNHEIM 1984, pp. 23-30, 55-62. (cit. da p. 60).

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di Arieti (così chiamato dal nome del suo scopritore che lo aveva rinvenuto nel 1875)

all‟Esquilino, recentemente interpretato come la raffigurazione del supplizio inflitto dai cartaginesi ad Attilio Regolo, nel corso della prima guerra punica alla metà del III secolo 51

(fig. 4), e alla crocefissione a graffito, datata al I secolo d.C. e rinvenuta all‟interno della

Taberna di Pozzuoli (fig. 5), locale sito nei pressi dell‟anfiteatro della città, la stessa dove è

stata rinvenuta la Tabula di cui si è già parlato in merito al problema dei chiodi nella crocefissione52.

Nella crocefissione di Arieti, pur se estremamente compromessa nel suo stato conservativo, è possibile vedere un uomo denudato, ferito (la pelle sembra lacerata al di sotto del muscolo pettorale sinistro) e con le braccia, anzi quel che rimane del braccio sinistro, vincolato per mezzo di corde ad una traversa orizzontale. Quest‟ultima potrebbe effettivamente interpretarsi come un patibulum, però all‟identificazione del supplizio raffigurato come una crocefissione osta la mancanza di un dettaglio costruttivo che caratterizza la pena stessa. Sembra, infatti, non potersi individuare la presenza dello stipes

- il palo verticale a cui viene fissato il patibulum- e ciò appare confermato dalla sagoma di

colore neutro -lo stesso colore utilizzato per la realizzazione del fondo su cui si staglia la figura- che si intuisce tra le gambe appena divaricate del condannato: se ci fosse stato uno

stipes, avrebbe dovuto essere non solo ben visibile dietro le gambe divaricate del

condannato ma anche dello stesso colore del patibulum raffigurato più in alto.

A questa mancanza si aggiunge il non meno rilevante fatto che i piedi del condannato sembrano non essere vincolati a nessun supporto né per mezzo di corde né di chiodi; difficile tuttavia asserire con certezza se i piedi siano penzoloni o viceversa

51 Escluso che si possa trattare, come in passato proposto, della raffigurazione di un Telamone, e al di la che possa identificarsi o meno con Attilio Regolo, l‟uomo di Arieti è senz‟altro un suppliziato. Per la puntuale rilettura storiografica dell‟affresco e per la proposta di identificarvi Attilio Regolo, ci si riferisca a CANALI DE ROSSI 2008, pp. 1-10; cfr. anche TALAMO 2010,pp. 127-136. La tradizione che vuole Attilio Regolo crocefisso dai cartaginesi risulta tuttavia poco attendibile, come osservato da CANTARELLA 1996, pp. 190-192.

71 poggiati al suolo. La mancanza dello stipes, potrebbe quindi non sostanziare l‟identificazione del suppliziato con un uomo crocefisso, potendovi invece più verosimilmente riconoscere un fustigato, forse per Supplicium more maiorum, o un condannato all‟arbor infelix, preventivamente legato ad una traversa per assicurarne l‟immobilità durante l‟esecuzione della poena53.

Diversamente dal suppliziato nel sepolcro sull‟Esquilino, non lascia dubbi di identificazione iconografica il graffito puteolano che, seppur figurativamente ingenuo, propone invece una „corretta‟ restituzione figurativa di come dovevano presentarsi la croce e la crocefissione di un condannato a morte. Che il graffito, vista la contiguità della

Taberna all‟anfiteatro, sia stato eseguito, quasi fosse un‟istantanea fotografica, da uno

spettatore particolarmente impressionato dalla visione di tale supplizio è plausibile ma ovviamente impossibile da verificare; però, al di là delle intenzioni che ne hanno motivato l‟esecuzione, è vero che la visione di questa immagine, proprio per la sua estemporaneità, lascia molto turbati.

Un uomo, visto di spalle, è appeso alla croce; il suo volto è di profilo ed è ben visibile la bocca aperta, segno di lamento sofferente, di uno spasimo dovuto forse alla difficoltà di respirazione. La sua crux è commissa ed egli vi è assicurato con le mani e con i piedi; la mano sinistra sembrerebbe pendere dal patibulum quasi come fosse legata al polso, l‟altra invece appare essere ben assicurata al patibulum, ma è difficile asserire se le mani siano trafitte al metacarpo; i piedi invece sono sovrapposti (piede sinistro sotto al piede destro) e obbligati allo stipes probabilmente tramite un unico chiodo che pertanto potrebbe essere piantato tra il tarso e il metatarso.

Un dettaglio rilevante, almeno per la dinamica della crocefissione stessa, è la presenza di un sedilis excessus (o cornu, come definito a proposito di questo graffito) su cui

53 A proposito del Supplicium more maiorum la cui evoluzione potrebbe avere relazioni con l‟arbor infelix, si rinvia all‟esposizione di VISMARA 1990, pp. 20-25, in part. p. 21, 23, da cfr. con quanto osservato da CANTARELLA 1996, pp. 175-178; 186-187; 198-206.

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è seduto a cavalcioni il condannato, che da un lato suffraga quanto descritto da Tertulliano, dall‟altro invece rende vani, o meglio poco utili, i macabri esperimenti compiuti dal dottor. Barbet.

Del graffito, l‟unico elemento di dubbia interpretazione, risulta essere il capo d‟abbigliamento di cui sembra essere ricoperto l‟uomo crocefisso. Esso è stato interpretato talvolta come una pelle animale, la cui funzione sarebbe quella di incoraggiare l‟aggressività delle fiere sulla povera vittima impossibilitata a difendersi (in questo caso la

crux sarebbe del tipo humiliores e la pena congiunta alla „spettacolare‟ damnatio ad bestias)54, oppure come un segno che vuole interpretare graficamente la tensione muscolare del torace dilatato a causa delle braccia allargate sul patibulum. Personalmente ritengo si possa trattare di un capo indossato dal condannato (le braccia sembrano fuoriuscire da una sorta di scollo di maniche), che poi sia di pelle animale (zebrata?) o di tessuto non è cosa semplice da definire; credo comunque non si possa trattare né di una tunica molesta né di un grafema volto ad indicare la pelle del corpo dilaniata dalla flagellazione, perché le linee, altrimenti, avrebbero dovuto essere ad orientamento misto e non nella quasi totalità orizzontali55.

Le fonti, anzi „la‟ fonte figurativa, essendo la prima dubbia, del servile supplicium rimane quindi un documento esclusivo, dal momento che, nel panorama dell‟arte di età repubblicana ed imperiale di Roma, sembrano non sopravvivere altri archetipi di crocefissi che non si riferiscano alla crocefissione sul Golgota. Allora si dovrà pertanto constatare che, non solo in campo giuridico, ma anche artistico, la crocefissione, diversamente dalla più nobile e dignitosa securi percussio, era una poena talmente bassa e vile da non doversene giustificare il posto nell‟immaginario rappresentativo/visivo della

54 Cfr. supra p. 52.

73 collettività: quale avrebbe dovuto essere, d‟altra parte, l‟utilità di una sua raffigurazione? E quale messaggio, avrebbe potuto o dovuto trasmettere qualora raffigurata?

La „non‟ rappresentazione mi sembra, in ultima analisi -e questo è un dato davvero molto interessante- riguardare solo le due pene più feroci della Summa supplicia, la crocifissione e la vivi crematio, non la securi percussio e la damnatio ad bestias, quest‟ultima infondo considerata pur sempre un „divertente‟ spettacolo, anche se d‟appendice al munus gladiatorio56.

Questo stato di cose, dell‟inesistenza -non dell‟assenza, perché altrimenti se ne dovrebbe supporre, a posteriori e anacronisticamente, la presenza- di un immaginario collettivo intorno alla figurazione delle pene capitali più atroci, può verosimilmente spiegare le concrete difficoltà incontrate da parte di quegli artisti che, contesi tra il paganesimo e la cristianità, per primi hanno dovuto soddisfare le necessità dei committenti cristiani. Quindi non solo gli apologeti, ma che gli artisti dovettero pensare in maniera diversa, nuova, alla croce –così come sarebbe accaduto per le altre pene- ed „inventare‟ l‟immagine del Gesù crocefisso. Credo che questo possa essere avvenuto prima dei lunghissimi 400 anni circa che, secondo la tradizione storiografica più accreditata, sarebbero trascorsi tra la crocefissione sul Golgota e la formulazione dell‟immagine memoriale di quell‟evento.

Però, come si guardava, nei primi secoli della Chiesa, all‟immagine della crocefissione di Gesù? Un giudizio „oggettivo‟ sembra provenire da uno „scarabocchio‟ in cui il Cristo in croce è in «stranissima rappresentanza»57. Scoperto dal buon Garrucci poco prima dell‟Unità d‟Italia, sul finire degli anni ‟50 del XIX secolo58, quel che ho definito lo

56 Utili a proposito le osservazioni di VISMARA 1990, pp. 25-26 e REA 2000, pp. 129-133, con ulteriori rinvii bibliografici..

57 GARRUCCI 1856, p. 530.

58 Pubblicato per la prima volta in GARRUCCI 1856, pp. 529-545, e poi in IDEM 1880, p. 135; IDEM

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Fig. 6. Roma, Antiquiarium Palatino, Graffito del c.d. Crocefisso

Blasfemo, dal Paedagogium Palatino, II-III secolo d. C.

„scarabocchio‟, è un piccolo graffito su intonaco (cm 33, 5 x cm 38 cm), già sulla parete SE della stanza 7 del Paedagogium Palatino, locale adibito all‟istruzione degli schiavi, esposto dal 1947 presso l‟Antiquarium Palatino a seguito dello stacco fatto eseguire dallo stesso Garrucci (fig. 6)59.

Il graffito, datato tra la fine del II e gli inizi del III secolo, raffigura un uomo in croce, posto di spalle, la cui particolarità è l‟onocefalia, ben visibile poiché la testa è posta di

«L‟avviso datomene da poche parole greche scritte su quella parte di muro che soprastava al terreno di che la

stanza era quasi interamente ingombrata, mi fece sollecito di cercare per quanto poteva quel resto della parete coperta; così non appena ebbi rimosso poca terra, che discopersi una figura d‟uomo terminato a testa di animale e colle mani aperte, come sono dipinti nei cristiani monumenti i fedeli che pregano. Ravvisai ancora al di sotto alcune lettere greche, ed una figura interamente umana da un lato»: IDEM 1856, p. 531.

59 A proposito si rinvia al puntuale lavoro di SOLIN,ITKONEN-KAILA 1966, I, pp. 40-41, 209-212 (N. 246), in part. pp. 210-212 per la rassegna degli studi. Lo studio più recente sul graffito palatino sembra essere quello di GRANGER COOK 2008, pp. 262-285, in part. pp. 262-266, 282-285.

75 profilo. La crux sublime, considerando l‟altezza dal piano d‟appoggio, a cui il Gesù zoomorfo è inchiodato, sembrerebbe commissa, ma ciò nonostante é difficile definirne il tipo con certezza, e questo per via di un motivo verticale che si diparte dalla traversa orizzontale del patibulum e prosegue oltre il suo collo. Gesù è vestito da una tunica senza maniche (colobium?)60, talmente corta che sembra lasciare scoperte le terga; le sue mani sono fissate al patibulum, i piedi invece, ben distanziati tra loro, non sono vincolati allo

stipes ma poggiano su di un suppedaneum, e ciò lascia ipotizzare che tanto le mani quanto i

piedi siano trafitti da chiodi.

Alla sinistra del crocefisso una figuretta maschile, anch‟essa di profilo e recante una tunica corta senza maniche (colobium?), si mostra con il braccio destro abbassato e con il sinistro alzato: la mano con le dita allargate sembra agitarsi e rivolgersi certamente al Cristo onocefalo sulla croce. Tale gesto appare riferirsi allo iactare basia, come per primo aveva individuato il Garrucci61, quindi se ne può concludere che non si tratta di un uomo in atteggiamento orante, ma adorante62 e, d‟altra parte, l‟iscrizione che corre sotto il graffito , la quale recita ALE/XAMENOS/ CEBETE/THEON, ovvero “Alexamenos adora

Dio”, sembra confermarlo63.

60 Sull‟incerta identificazione del capo d‟abbigliamento si vedano le diverse posizioni critiche sintetizzate da GRANGER COOK 2008, pp. 284-285.

61 GARRUCCI 1856, pp. 543-544. Cfr. SOLIN,ITKONEN-KAILA 1966, I, p. 210.

62 In merito ai gesti di devozione/adorazione desunti dal mondo pagano cfr. BRILLIANT 1963, in part.. pp. 23-48 (da notare tuttavia quasi mai l‟uso della mano sinistra, tranne nel caso della figura 1.50, p. 33), ALDRETE 1999, pp. 6-17, in part. pp. 9-10; DONATI 2001, pp. 17-18. Sull‟iconografia dell‟Orante, riconoscibile per via delle braccia allargate ed i palmi delle mani rivolti verso l‟esterno, ovvero per il gesto dell‟expansis manibus, si rinvia innanzitutto a Fabrizio Bisconti, s.v. Orante, in TEMI DI ICONOGRAFIA PALEOCRISTIANA 2000, pp. 235-237; BISCONTI 2000B, pp. 368-372; BISCONTI

2001, pp. 19-25; DE MARIA 2001, in part. pp. 477-481; BONGRANI FANFONI 1980, pp. 299-302.M. La complessa elaborazione figurativa di tale soggetto iconografico, che è innanzitutto personificazione della preghiera, è storicamente riconducibile all‟attività esegetica dei Padri della Chiesa tra il II e il III secolo d.C.. Per i testi di riferimento si consulti SAXER 1980, pp. 333-365, a cui è senz‟altro utile affiancare la consultazione di MERCATELLI 2004, pp. 13-57, in merito ai formulari della preghiera cristiana nel corso degli stessi secoli.

63 Il nome “Alexamenos” potrebbe intendersi in funzione verbale di participio, per cui si avrebbe una ulteriore esplicitazione dell‟iscrizione in : “(Essendo stato/ poiché ) Liberato adora Dio”. Tale supposizione andrebbe poi d‟accordo con l‟ambiente in cui è stato ritrovato il graffito, una

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Risulta chiaro che si tratta di una vignetta satirica ante litteram, il cui intento è irridere un cristiano e la sua incomprensibile devozione per un dio che non solo è crocefisso ma, come se non bastasse, ha sin‟anche sembianze d‟asino64.

Sembrerebbe ormai accertato che i cristiani potessero anche associare Gesù alla figura di questo mite animale e ciò è reso noto da alcuni oggetti devozionali, quali vetri dorati e amuleti dove, accanto alla figura dell‟asino, è esplicito il riferimento al „Dei Filius‟: il fatto che Gesù sia onocefalo, sembra aderire a credenze mitologico-religiose ancor più antiche delle prime comunità cristiane, da ultimo il sincretismo culturale egiziano a cui si dovrebbe la fusione tra le figure di Jawè, Gesù e Septh65.

Al di là degli aspetti strettamente simbolico-metaforici inerenti la figura dell‟asino, preme sottolineare la contiguità iconografica tra questo e il crocefisso puteolano, non di certo poiché eseguiti con la stessa tecnica a graffito, ma perché, nonostante le plausibili differenze costruttive nella resa dello strumento croce (là la croce è commissa, qua forse

immissa; là vi è un cornu, qui un suppedaneum), che comunque rendono valide ambedue le

versioni, in entrambi i casi il crocefisso è raffigurato di spalle. Quest‟ultimo è non solo il dato più rilevante dell‟immagine e a cui, tuttavia, non è stata rivolta la dovuta attenzione, ma allo stesso tempo il più divergente dalla consueta visione frontale del Cristo crocefisso a cui siamo tradizionalmente abituati.

Ciò che relaziona il graffito puteolano e quello romano, è pertanto un egual modo di intendere la riproduzione dell‟esperienza visiva: i due ignoti autori dimostrano di conoscere direttamente, di aver visto „dal vivo‟ il meccanismo di questa terrificante pena

scuola per schiavi appunto. Per tutte le possibili interpretazioni si rinvia a SOLIN,ITKONEN-KAILA

1966,pp.65,211.

64 A tal proposito, significativa la testimonianza di TERTULLIANO, Apologeticum, XVI (PL, I, in part. col. 372), in merito ad una picturam esposta a Cartagine in cui era raffigurato un asino togato che manteneva un rotolo e accompagnato dall‟‟iscrizione «DEUS CHRISTIANORUM ONOKOITHS».

65 Per un ragguaglio cfr. innanzitutto MATHEWS 1993, pp. 23-53, in part. pp. 48-50, figg. 31-32, a cui si aggiungano SCHNEIDER 1980, pp. 129-148; CARDINI 1987, pp. 46-53. Per delle osservazioni in merito al problema del culto dell‟asino nella Chiesa primitiva cfr. VISCHER 1951, pp. 14-35.

77 di morte, altrimenti non si spiegherebbe come l‟abbiano potuta riprodurre così minuziosamente, così fedelmente in due luoghi, del tempo e dello spazio, distanti tra loro. E se dobbiamo credere all‟aderenza di queste immagini al vero, bisogna ancora una volta metterne in luce l‟inusuale punto di vista attraverso cui le vittime del servile

supplicium sono raffigurate. Perché? Credo si possa trattare di un livello semantico che

esplicita il punto di vista „vero‟ degli spettatori, di quegli spettatori che, recandosi all‟anfiteatro, sedevano tra gli spalti in un posto da cui non potevano „apprezzare‟ frontalmente, o di ¾ se sotto la curva, lo svolgersi degli spettacoli. Ciò attesterebbe non solo «l‟esistenza nella langue romana- anche se non ufficiale- dell‟iconema della croce=servile

supplicium»66 ma al contempo suggerirebbe una plausibile spiegazione alla presenza di questo inusuale (almeno per noi) punto di vista che caratterizza in maniera singolare le uniche due più antiche raffigurazioni al momento conosciute del suddetto supplicium. Tuttavia esse, pur collocandosi tra I secolo d. C. e la fine II-inizi III secolo d.C., non possono rappresentare, proprio a causa del loro singolare punto di vista, l‟archetipo figurativo della crocefissione di Gesù, e appare chiaro che il „testo‟ a cui si ispirarono fu quindi l‟esperienza diretta del vissuto e non il testo del Vangelo, in cui semmai, la frontalità della croce, ma non solo questa, è sempre cosa ben esplicita e necessaria.