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Capitolo I: Il martire tra storia, culto e leggenda

1.2 La nobile morte

l’Impero avrebbe dovuto restituire alla Chiesa i beni confiscati ed i cristiani conquistarono la libertà di culto16.

Appena due anni dopo, nel 313, Costantino e Licinio, incontrandosi a Milano, sottoscrissero un editto che non solo riconfermava l’editto promulgato da Galerio ma che obbligava lo Stato a risarcire, per quel che era possibile, la Chiesa, contribuendo, con il versamento di denaro pubblico, alla costruzione degli edifici di culto distrutti da Diocleziano: il cristianesimo avevano trionfato.

Certo, ci furono tanti, troppi morti17; l’Impero aveva mietuto le vite di quelle donne e di quegli uomini, giovani e anziani, che erano voluti rimanere abbracciati al nome di Cristo e, in nome della sofferenza che Egli aveva patito sulla croce, patirono anch’essi atroci tormenti, sicuri che il difendere e proclamare la Sua Resurrezione avesse donato loro una corona e la palma della vittoria: erano nati i martiri.

1.2 La nobile morte.

La storia narrata sino ad adesso, ha riguardato il punto di vista ‘legislativo’

dell’impero in merito al ‘problema’ cristiano, simbolizzato quest’ultimo, da un avvicendarsi di provvedimenti- gli editti- la cui emanazione doveva, per i cristiani, risuonare come i rintocchi di una campana a morte. Ma, se da un lato, nei duecentoquarantanove anni che trascorsero tra il 64 e il 313 d.C., il susseguirsi dei provvedimenti imperiali decimò per centoventinove lunghi anni la Chiesa in terra18, dall’altro popolò il Regno dei cieli di tanti uomini valorosi, i martiri, che, avendo per amore di Cristo testimoniato il Vangelo sino al sacrificio di sé stessi, vestirono candide

16 TROCMÉ 1976, p. 433 e ss. Sordi 2004, pp. 171-183.

17 Per gli effetti procurati dalle persecuzioni, cfr. DUCHESNE 1910, II, pp. 39-51.

18 Questi, nel totale, gli anni di persecuzioni contro i cristiani secondo la stima di LECLERCQ

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vesti bianche ed occuparono un posto di riguardo accanto all’altare dell’Agnello (Ap 6, 9-11): era nata l’Ecclesia Martyrum19.

L’ammirazione delle comunità cristiane per il coraggio e la dignità mostrati dai loro confratelli ‘disobbedienti’ e ‘non-violenti’20 che, sprezzando la paura e il dolore fisico, andavano incontro alla ‘nobile morte’21, si congiungeva, pur impossibile che possa sembrare, ad un dilagante spirito di euforia e di felicità, forse incentivato anche dalla c.d. letteratura di preparazione al martirio22. Ed il giubilo che si diffondeva tra le chiese locali, scaturito dall’orgoglio per coloro che avevano tenacemente resistito alla lotta, allorquando uno di essi moriva testimoniando, è adesso per noi impenetrabile23. Eppure, per i cristiani delle origini, la professione di fede tinta nel rosso del sangue era non solo la testimonianza più sublime che un uomo poteva offrire a Dio, ma anche, per il martire che faceva del suo corpo il medium della testimonianza, un privilegio esclusivo: testimoniare spettava a pochi eletti, distintisi in terra per le loro virtù e per tale ragione prescelti da

19 Si era sinceramente convinti che le persecuzioni contro i cristiani avevano prodotto una tale ‘folla’ di martiri che il martirio, da individuale, venne vissuto come fenomeno talmente collettivo da generare l’idea della Ecclesia Martyrum: BASTIAENSEN 1995, pp. 337-340.

20 La disobbedienza verso l’ordine costituito, sempre sostenuta dalla forza della non-violenza evangelica, è tratto distintivo della personalità del martire e della sua missione. Sull’argomento, si rinvia principalmente a FERGUSON 1993, pp. 73-83; mentre cfr. CASTELLI 2004, pp. 39-49, per quel che concerne la conflittualità tra il martire e la legislazione penale romana. Il rapporto tra il ruolo sociale del martire e l’obiezione di coscienza è stato analizzato, sotto il profilo esegetico, da BUTTURINI 1990, pp. 36-58

21 Ovvero la morte eroica, violenta e prematura che, alla presenza di tali circostanze, unifica, secondo quanto osservato da VAN HENTEN,AVEMARIE 2002, pp. 1-8, tanto il paganesimo quanto il giudaismo e il cristianesimo. Sullo stesso argomento, cfr. anche XERES 1990, pp. 281-293. Tuttavia il martirio non doveva essere confuso con la malamorte, il suicidio ad esempio, che altrimenti avrebbe rischiato di confondere il martire ed il comune criminale. Per tale ragione il movimento montanista venne severamente condannato: CANETTI 2002, pp. 32-42, in part. p. 35.

22

Cfr. QUACQUARELLI 1982, pp. 170-199.

23 Cfr. BASTIANSEN ET ALII 2007, pp. XXVI-XXVII. La lettura di alcuni passi agiografici, rende lo stato psicologico delle comunità cristiane che vivevano in ‘tempo reale’ l’agonia dei loro martiri. Ad esempio, dal Martyrium Lugdunensium (I, 11-12; 25-26) si evince come alla morte di coloro che hanno testimoniato segua la felicità, laddove risponda immenso rammarico per coloro che abiurando sono rimasti in vita: «Dieci in tutto abortirono nella fede, procurando a noi gran pena e lutto

incommensurabile [..]non che ci spaventassero in sé le punizioni inflitte, ma guardavamo in prospettiva ai risultati e temevamo che qualcuno altro capitolasse». Mentre non è raro che la tortura sia addirittura

utile a far rinsavire i confratelli impreparati alla lotta:«Biblide […] esposta alla tortura, tornò in sé e, per

così dire, si riscosse come da un profondo sonno» (per i rispettivi testi BASTIAENSEN ET ALII 2007,p.67, 73).

17 Dio24. Ed era a questi eletti che Dio aveva fatto un dono molto speciale. Ai martiri, per il tramite dello Spirito Santo o di una visione-sogno 25, era stata data loro la conoscenza della Verità, che è il mistero della morte e della Resurrezione di Cristo, e avendone appreso la pienezza, immolavano con gioia il loro corpo a Cristo, poiché erano certi che la loro anima, presa per mano dagli angeli e accompagnata lungo sentieri di nuvole sino al cielo, sarebbe stata abbracciata da Dio e per sempre dimorata nella luce del suo Regno.

Uomini illuminati dalla grazia divina, i martiri sancti et beati26, seguendo le orme dei profeti e dei primi testimoni eletti da Cristo stesso, erano divenuti, come già i dodici

24 Essere prescelti da Dio equivaleva a ricevere la ‘chiamata al martirio’: sarebbe spettato all’uomo designato quale martire accettare, o meno, il volere del Signore. Si tratta di una scelta ‘apocalittica’: salvare il corpo ucciderà l’anima, uccidere il corpo salverà l’anima ed in entrambi i casi sarà una condizione ad aeternum: LEE 1998, pp. 164-194.

25 Sul concetto di visione-sogno nell’era cristiana e nell’esegesi patristica, cfr. SAINTYVES 1931, pp. 3-27; LE GOFF 2001 [1985], in part. pp. 163- 208, e CONSTAS 2001, pp. 91-124, con ampia letteratura; nell’agiografia, cfr. BITEL 1991, in part. pp. 39-59; NEWMAN 2005, spec. pp. 1-14; per le visioni-sogno dei martiri, avvenute in carcere o sul punto di morire, cfr. DELEHAYE 1927, pp. 100-105; DELEHAYE 1966,pp.213-217; sull’anima del martire accolta da Dio in Paradiso, cfr. DELEHAYE

1933, in part. p. 4; DE GAIFFIER 1967, pp. 21-24. Già s. Stefano, prima di essere lapidato, ebbe una visione: «Ma Stefano, pieno di Spirito Santo, con lo sguardo fisso al cielo, vide la gloria di Dio e Gesù in

piedi alla destra del Padre. E disse: “Ecco, io vedo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo in piedi alla destra di Dio”» (At, 7, 55-56). Tra gli Acta martyrum, significativo il caso della Passio Perpetuae et Felicitatis

(4,2-10; 7,3-10; 8,1-4; 10, 1-15; 11,1-14,3) ove si susseguono ben cinque visioni che annunciano l’imminente morte, nonché la salvazione dell’anima, di Perpetua, Saturo e dei loro confratelli. A proposito MORCILLO EXPÓSITO 1997, pp. 259-272; LE GOFF 2001[1985], in part. pp. 165-167; per il testo della Passio, si rinvia alla traduzione in BASTIAENSEN ET ALII 2007, pp. 115-147. Cfr. infra p. 262, 335.

26 Riassumendo quanto riferito da DELEHAYE 1927, pp. 24-73, è possibile affermare che l’epiteto sanctus, attraversa tre diverse fasi di ‘senso’, ovvero semantiche. Secondo quanto tramandato dal nuovo testamento, è sanctus non solo colui che ha partecipato alla rivelazione di Cristo prima della sua venuta (profeti) ma anche colui che, battezzato, è parte della sua Chiesa (fedeli). Nella prima era cristiana, l’epiteto sanctus, di cui beautus è il suo equivalente, assume valenza collettiva e quando attribuito al martire si riferisce non già alla sua anima ma alle spoglie mortali o al luogo dove esso è sepolto (da cui la dizione ‘ad sanctos’). Nella seconda fase, sanctus indica la santità individuale ma non per questo esclusivamente riferita ai martiri (sono santi anche gli ecclesiastici e gli imperatori); nell’ultima invece, sanctus finirà con l’identificare esclusivamente ‘ciò che è consacrato e che appartiene a Dio’, riferendosi a persone distinte dagli altri cristiani -martiri, confessori- che sono divenute degne di onorificenze pubbliche (sanctus=oggetto di culto). Dunque la santità, seguendo quanto riferito da VAUCHEZ 2009 [1989], pp. 87-214, 427-445, è essenzialmente una virtus riconosciuta e acclamata vox populi. Sull’argomento si vedano anche BROWN 1981, pp. 1-22; BOESCH GAJANO 1999, pp. 3-18. Per quel che concerne più da vicino il rapporto tra martirio e santità, si rinvia a FÉVRIER 1991, pp. 51-80.

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nel Nuovo Testamento, i nuovi discepoli chiamati a proseguire la missione27, poiché attraverso il sacrificio del loro corpo garantivano il perpetuarsi della rivelazione, e con il versamento del loro sangue la redenzione dei peccati28.

In termini simbolico-metaforici, la proclamazione del Vangelo sino al sacrificio di sé, equivale al binomio Parola/sangue –ossia il trascendente e il carnale-sacrificale- il quale sintetizza non solo l’essenza del martirio, ma anche la sua teoresi29. All’origine dell’atto martiriale è, infatti, l’unione mistica (spirituale) e carnale (profusione di sangue) fra il testimone e il primo martire Gesù, un’unione ‘eucaristica’ questa, che trovava pieno compimento nella condivisione tra il martire ed il Signore della morte cruenta, alla quale -si era certi- Gesù avrebbe continuato a partecipare in prima persona, poiché egli abitava

27 Predicare e testimoniare sono il fine della missione apostolica, come confermato dallo stesso Pietro (At 10, 34-43): «[…]Ma Dio lo ha resuscitato il terzo giorno, ed ha permesso che si manifestasse , non

a tutto il popolo, ma ai testimoni che Dio prima aveva scelti, cioè a noi[…]E Gesù ci ha comandato di predicare al popolo e di testimoniare che lui è stato costituito da Dio giudice dei vivi e dei morti[…]». Gli

apostoli sono già essi stessi martiri, ed i martiri, avendo subito la passione, diventano loro pari. A proposito BASTIAENSEN 1995, pp. 340-343.

28 Nel Vangelo, i martiri sono coloro che proclamano la venuta e la Resurrezione di Cristo, senza che ciò, inizialmente, implicasse la morte sofferente. Morte e sofferenza fisica, corrisposte quale pegno della testimonianza resa a Dio, accorrono per la prima volta nella crocefissione di Gesù e successivamente nella lapidazione di s. Stefano: è così che dal testimone nasce il ‘martire’, ovvero colui che, sacrificatosi per la professione della fede, è legato, in una sorta di continuum spirituale, tanto alla missione dei profeti e degli apostoli quanto alla sofferenza del Cristo in croce. Il martire, infatti, porta a compimento la testimonianza attraverso il suo martirio, che è l’imitatio

Christi suggellata nell’effusio sanguinis. Su questi punti, nonché sul senso e l’evoluzione semantica

del termine ‘martire’ dai passi evangelici sino alla letteratura cristiana antica, è imprescindibile la consultazione di DELEHAYE 1927, pp. 76-109 (ma cfr. anche DELEHAYE 1933, pp. 1-23) con le opportune differenze, nonché attinenze, esposte dall’autore in part. alle pp. 85-87, 109-121, tra la figura del santo martire e del santo confessore. Sugli stessi argomenti si vedano principalmente LECLERCQ 1932, coll. 2359-2619; la voce ‘Martirio e martire. I. Concetto’ redatta da PETERSON 1952, coll. 233-236; DE GAIFFIER 1967, pp. 7-13; FÉVRIER 1991, pp. 51-80; BOESCH GAJANO 1999, in part. pp. 3-15 (con ampia bibliografia a fine testo); LUONGO 1999, in part.. pp. 17-22; BASTIAENSEN ET ALII

2007, pp. X-XVI, XX-XXIV; VAUCHEZ 2009[1989], pp. 25-33. Si rinvia invece a TRITES 1973,pp.72-80 eSTRAW 2000, pp. 21-40per l’interpretazione del martirio nel contesto apocalittico-escatologico, e a WALDNER 2007, pp. 193-209, per quel che concerne il rapporto tra la figura del profeta e del martire nella letteratura cristiana dei primi secoli. Per la strettissima relazione tra il ‘testimoniare’ e il ‘profondere sangue’, che fa del martire il perfetto sacerdote il quale partecipa alla redenzione di Cristo, lavando nel suo battesimo di sangue i peccati degli uomini, cfr. DE LORENZI 1984, pp. 1101-1123; VANNI 1987, in part. pp. 855-862.

29 Come osservato, nel suo recente studio di taglio prettamente socio-antropologico, da RECUPERO 2010, in part. pp. 31-37, 47-66. Precedentemente, cfr. DE GAIFFIER 1967, pp. 17-21.

19 ‘invisibilmente’ il corpo del suo testimone sofferente ‘anestetizzandolo’ dal dolore: «Christo in martyre est»30.

È così che i martiri, scudati da Cristo, scendevano sul campo di battaglia miracolosamente insensibili al patimento, ed il dolore che avrebbe dovuto essere loro procurato dai supplizi più sofisticati, ecco che si trasformava, a dispetto dell’acribia dei

carnifices, in «alacrità e piacere» 31.

Eroe, guerriero e atleta di Cristo ad un tempo32, il martire, rigenerando il sacrificio dell’Agnello, rigenerava anche la trasmissione del Verbo perché, essendo Gesù velato dal

30 TERTULLIANO, De Pudicitia, 22. L’apologeta sintetizza il senso di quanto asserito già da s. Paolo (Col. 1, 24-29): «Ora io godo delle sofferenze in cui mi trovo per voi, e completo, nella mia carne, quel

che manca ai patimenti di Cristo a pro del suo corpo, che è la Chiesa […] Ed è per questo che io mi affatico e lotto con l’appoggio della sua forza, che agisce in me potentemente». L’idea che il corpo del martire sia

invisibilmente ‘abitato’ dallo stesso Gesù Cristo è luogo comune dell’esegeti cristiani dei primi secoli. Secondo GIOVANNI CRISOSTOMO, In quadr. Laz. (PG, 50, col. 644), il tiranno, perseguitando il martire, in verità perseguita Cristo, presente seppur invisibile; mentre, come lapidariamente affermato da PAOLINO DI NOLA, Epistl. XII, Ad Sever.: «Crux, corpus, sanguinis martyris, ipse Deus». Il

tema, ovviamente, è oggetto di particolare attenzione nella letteratura agiografica. Nel Martyrium

Polycarpi (2, 2) si legge: «Con le carni consumate dai flagelli […] essi hanno sopportato la tortura[…]nessuno di loro ha emesso voce né gemito[…]erano assenti dalla propria carne i valorosissimi testimoni di Cristo, o, meglio, che il Signore era presente a parlare con essi». Una situazione simile si

ripete nel Martyrium Lugdunensium (I, 23; I, 42): «La sua povera carne […] era tutt’una piaga […] E

Cristo patendo nella carne di lui conseguì gloria grande, annientando l’Avversario e mostrando […] che nulla è doloroso dove c’è gloria di Cristo», e ancora «Blandina[…] che era così piccola e debole e misera aveva potuto assumere le spoglie di quel grande e invincibile atleta che è Cristo per sopraffare più e più volte l’Avversario […]». Per i brani citati BASTIAENSEN ET ALII 2007, pp. 9, 72-73, 81; sull’argomento, cfr. DELEHAYE 1933, pp. 8-10; DELEHAYE 1966, pp. 202-207; DUVAL 1988, pp. 16-18; LUONGO 1999, pp. 22-24; PASQUATO 1984, in part. pp. 1211-1214. Cfr. p. 330.

31 GIOVANNI CRISOSTOMO, Eiusdem in sanctos martyres (PG, 50, col. 572). Come osservato da DELEHAYE 1966, pp. 207-213, al martire è miracolosamente garantita l’immunità ai tormenti. Infatti, gli strumenti/mezzi di tortura possono auto-distruggersi, deviare, scagliarsi contro i carnefici o mutare consistenza, offrendo così al martire sensazioni altrettanto intense ma opposte: è così, ad esempio, che il fuoco, l’olio bollente o il piombo fuso si trasformano in un dolce refrigerio, mentre gli animali feroci delle venatio, al cospetto del martire, diventano mansueti e preferiscono scagliarsi, imprevedibilmente, contro i carnefici. Cfr. anche PASQUATO 1984, pp. 1200-1201, 1226.

32 La prima comparazione letteraria tra eroi e martiri appare, sul finire del II secolo d.C., nelle opere di Tertulliano Ad martyres, Ad Nationes e Apologeticum: INGLEBERT 1994, pp. 305-325; SCORZA

BARCELLONA 2001, pp. 15-31. Le possibili relazioni che sussistono tra l’eroe pagano e il martire, sarebbero molteplici e complesse. Gli studiosi non sono stati sempre concordi nel ritenere il martire quale surrogato cristiano dell’eroe pagano, laddove, invece, è stata riconosciuta la sopravvivenza, nel culto martiriale, dei rituali che nel mondo pagano erano tributati ai morti. In tal senso, la continuità tra paganesimo e cristianesimo, non risiederebbe quindi nell’idea che l’eroe abbia vestito i panni del martire, ma che il martire, nell’immaginario collettivo cristiano, abbia vestito i panni del defunto di famiglia, motivo per cui i rituali, al passaggio tra paganesimo e cristianesimo, rimasero, almeno alle origini, pressoché invariati. La continuità tra eroi/dei e santi è stata tenacemente sostenuta da SAINTYVES 1907, in part. pp. 17-55; ed altrettanto tenacemente avversata da DELEHAYE

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suo testimone, le parole che quest’ultimo avrebbe proferite nelle fasi del processo giudiziario, sarebbero state parole pronunciate non solo ‘per’ ma soprattutto ‘con’ Gesù33. A deporre al cospetto del giudice, o del magistrato, erano ‘due in uno’, Gesù con il suo martire, e per tale ragione, quanto proferito nel corso dell’interrogatorio, assumeva l’aura misteriosa e sacrale dell’oracolo. Il martire, infatti, aveva dato voce alla parola divina, ed i confratelli presenti al processo giudiziario divenivano, a loro volta, testimoni dell’unione avveratasi proprio davanti ai loro occhi tra la terra e i Cieli: ecco perché quanto udito e visto necessitava di un’immediata trascrizione34. Ma non solo. Per i cristiani, la partecipazione accorata all’esecuzione dei martiri, fece ben presto sentire la necessità di tramandare quelle sanguinose vicende non solo alle comunità cristiane più prossime -e questo perché si era una grande famiglia, quella della Chiesa, in cui tanto le gioie quanto i dolori venivano condivisi per darsi vicendevole forza- ma soprattutto ai

1933, PP.25-49,404-417;DELEHAYE 1955, pp. 151-201. Sulla stessa linea di pensiero DE GAIFFIER 1967, pp. 13-17; BROWN 1981, in part. pp. 5-6; BOESCH GAJANO 1999, p. 6; BASTIANENSE ET ALII 2007, pp. XXIV-XXVI; in medio, invece, la posizione critica di RECUPERO 2010, pp. 105-115, secondo cui il cristianesimo avrebbe recuperato dal mito eroico del paganesimo i presupposti della religiosità sacrificale per ‘disfarli e trascenderli’. L’intera questione è, ovviamente, connessa alle stringenti analogie che sussistono tra l’eroismo martiriale cristiano e quello di cultura veterotestamentaria – principalmente Maccabei (2 Mc 6, 18-31; 7,1-42)- sempre mediato dal paganesimo, per cui si veda il puntuale studio di VAN HENTEN 1995, pp. 303-322; a cui è senz’altro utile affiancare la consultazione di VAN HENTEN,AVEMARIE 2002, pp. 42-87, con ampia selezione di luoghi biblici e relativo apparato critico. La vexata quaestio è poi strettamente connessa sia alla metafora agonistica del ‘martire atleta’ -che attraverso l’esercizio spirituale supera, con il martirio, i propri limiti fisici per il raggiungemmo della conoscenza- sia alla metafora del ‘martire guerriero’ -che, essendo parte della Ecclesia militans, lotta in terra per Cristo unico Imperator-. A proposito cfr. principalmente sv. Atleta in TEMI DI ICONOGRAFIA 2000, pp. 131-132 e relativa bibliografia; DELEHAYE 1909, in part. pp. 1-9; DELEHAYE 1955, pp. 200-201; ORSELLI 1993; ORSELLI 1998, pp. 45-52; RECUPERO 2010, pp. 76-82, 135-140. Cfr. p. 297 e ss.

33 Si veda quanto già esposto supra, p. 19, nota 30.

34 Ciò secondo la tesi di HARNAK 1910, pp. 106-125, il quale interpretava i testi degli Acta

martyrum come una sorta di proseguo della rivelazione neotestamentaria. Tuttavia, come osservato

da DELEHAYE 1966, in part. p. 112, e successivamente da BASTIAENSEN ET ALII 2007,pp. XII-XIV,è solo nella Passio Perpetuae et Felicitatis (3,5) 1, 1-3) che i protagonisti ‘si pongono come emissari speciali dello Spirito Santo’. Il fine di questa Passio, viene però esplicitamente chiarito già nell’incipit del testo dal suo anonimo redattore: «Le antiche manifestazioni di fede[…]sono state raccolte

per iscritto affinché, facendo rivivere quei fatti straordinari attraverso la lettura, ne derivasse onore a Dio e conforto all’uomo. Perché dunque non si dovrebbero affidare alla scrittura anche le testimonianze più recenti che ugualmente rispondono ad entrambi i fini?[…]tali testimonianze sono destinate a diventare pur esse, un giorno, venerabili per antichità e di suprema importanza per le generazioni a venire[…]» (1,1-3). Cfr.

21 posteri, affinché non venisse mai dimenticato quanto molti fratelli in Cristo avessero patito per proclamare la resurrezione del Signore: memoria e catechesi sono all’origine di queste storie scritte tanti secoli fa35. Ed è così che nell’ecumene cristiana nasce un genere letterario del tutto inedito e destinato ai fedeli: gli Acta Martyrum.

1.3 „Scrittura di cose sante‟.

Se il martire è sanctus e sancta è la vicenda della sua vita, poiché suggellata nella parola e nel sangue offerti con e per Cristo, allora è necessario che proprio quella vita e gli ultimi suoi istanti, debbano essere perpetuati in terra tra gli uomini affinché essi possano conoscere, nel tempo presente e nei giorni a venire, l’onnipotenza del Dio vivente che, come un raggio di sole attraverso un cristallo, aveva illuminato i suoi testimoni vestendoli di un’aura d’oro.

La metafora dell’alone luminoso36 irradiato dal martire, ben si adatta ad illustrare il concetto, tanto sfuggente poiché polimorfo, della santità che gli è propria37 e che per riflesso ‘illumina’ gli scritti che sono ad esso dedicati. Non a caso, infatti, la disciplina storica che ha per oggetto lo studio delle testimonianze letterarie inerenti la narrazione di

35 DELEHAYE 1966, pp. 109-113, suppone che gli Acta, rappresentino una produzione letteraria di tipo spontaneo, da interpretare quali documenti prettamente storici seppur di valore religioso, il cui fine non è solamente quello di tramandare i fatti accaduti nell’epoca delle persecuzioni, ma anche di istruire i fedeli, i veri destinatari di questa produzione letteraria, attraverso i gloriosi esempi di coraggio e virtù fornite dagli exempla dei martiri. In tal senso, quanto asserito dall’insigne studioso, può essere parzialmente ricondotto alle motivazioni che spinsero il redattore

Passio Perpetuae et Felicitatis a trascriverne il testo. Cfr. BASTIAENSEN ET ALII 2007, pp. XIV- XVI. Più