• Non ci sono risultati.

Cucire una storia: la narrazione delle smart cities

La giustizia spaziale in pratica: il dibattito sulle smart cities

2. Cucire una storia: la narrazione delle smart cities

La narrazione rappresenta da sempre uno degli strumenti privilegiati di cui le persone e le comunità si sono servite per comprendere il mondo e il proprio posto in esso. Le storie hanno il potere di spiegare e giustificare lo status quo, così come di far sentire il cambiamento possibile e urgente. Tra i vari esempi di narrazione, molti sono quelli che hanno a che fare con il concetto e l’esperienza della vita urbana:

there are many tales of the city (in the large sense of the term ‘city’, that is, which encompasses ‘town’, ‘urbanism’ and ‘urban life’ generally). It is hardly surprising that much storytelling should focus on this topic or take it as the setting – by the turn of the millennium, after all, more than half of the world’s people will leave in cities. Tales of the city are thus scarcely marginal, but likely to play a significant role in our experience and understanding.79

Anche il discorso sulla città smart è stato costruito come una vera e propria narrazione, e della narrazione presenta i tratti caratteristici. Più nello specifico, il concetto di

smart city è stato cucito, sviluppato e promosso come una narrazione positiva per la città del

nuovo secolo.80 In quale senso, tuttavia, possiamo configurare il discorso sulla smart city come un esempio di narrazione urbana? L’antropologa Ruth Finnegan definisce “narrazione” la presentazione di eventi o esperienze generalmente raccontata attraverso il linguaggio scritto o parlato. Le principali componenti necessarie alla costruzione di una storia sono: un

framework temporale o sequenziale, una trama coerente e la generalizzazione, che coglie

l’universale nel particolare.

In una storia, il framework temporale non è dato solo dalla successione di eventi passati, ma contiene il riferimento anche a quelli presenti o futuri. Gli eventi non sono necessariamente presentati nella loro esatta sequenza cronologica, ma accade spesso che siano proposti attraverso una serie di flashback e di anteprime: una storia può essere ciclica, tortuosa o lineare. Questa caratteristica, di primo acchito, sembrerebbe assente dal contesto delle teorie urbane: eppure un secondo sguardo rivela che vi è una dimensione temporale in ognuna di esse. A volte, sostiene Finnegan, la storia racconta importanti fasi storiche o salti tra differenti ere (moderno, premoderno, postmoderno); altre volte si tratta di cambiamenti

79 R. Finnegan, Tales of the City: A Study of Narrative and Urban Life, Cambridge University Press, Cambridge

1998, p. 1.

109 graduali nel tempo, descritti attraverso metafore come ‘progresso’, ‘evoluzione’, ‘declino’. Inoltre,

the currently influential stories of urban theory thus do turn out in one way or another to manifest that basic element of story-telling: the presentation implicit or explicit, of temporal sequence. The temporal frame, furthermore, is continually brought to our attention through the clear before and after referencing of constantly used terms like ‘postmodern’, ‘postcolonial’, ‘postindustrial’.81

Osserviamo che la dimensione temporale alla quale Finnegan allude è presente più che mai nel discorso della smart city e si manifesta in primis mediante un duplice riferimento al futuro. Da un lato, infatti, una smart city si connota come una città del futuro nel senso che, rispetto a modelli di città ad essa contemporanei – come ad esempio quello di creative city,

knowledge city, informational city – la proiezione verso il domani sembra esserne un tratto

peculiarmente distintivo, tanto da accomunare molte delle definizioni elaborate sia dalla letteratura accademica e istituzionale82 sia dal mondo imprenditoriale.83

Dall’altro lato, una smart city è un paradigma urbano intenzionato a custodire il futuro

della città. Suo presupposto, infatti, è che la città sia diretta da una politica lungimirante di

sviluppo del territorio urbano84: da amministrazioni, cioè, che siano capaci di riconoscere quali forze debbano rappresentare il futuro nel presente. Nel suo pamphlet intitolato Against

81 Ivi, p. 18.

82 Un esempio fra tutti è la definizione fornita da Francesco Profumo, presidente dell’Osservatorio Smart City

dell’ANCI, che considera una smart city «una proiezione astratta di un’idea di città del futuro, riconducibile a un perimetro applicativo e concettuale che racchiude un fascio di applicazioni e verticalizzazioni ampio e variegato, così come diversi sono i domini cui appartengono le tecnologie che concorreranno alla sua realizzazione» (Cfr. A. Granelli, Città intelligenti?, op. cit., p. 45).

83

A questo riguardo, è interessante notare come alcuni colossi del digitale, nell’ambito delle loro campagne di marketing, abbiano cercato di rafforzare l’idea che la smart city si identifichi con la dimensione temporale futura attraverso la produzione di materiale visivo e interattivo come brevi filmati volti a illustrare la città del domani. Un esempio su tutti è quello creato da Siemens nel 2012 dal titolo Future Cities. Il video intende mostrare come saranno Londra, New York e Copenaghen nel 2050 e rappresenta una provocazione per riflettere su come le città del futuro vengono immaginate ora. https://www.youtube.com/watch?v=zuPIyqUc9oA

84 In proposito, può essere utile riprendere la definizione di smart city di Giffinger e del suo gruppo di ricerca,

già analizzata nel paragrafo precedente. Ad ogni modo, anche altre definizioni hanno messo in evidenza l’aspetto della lungimiranza della politica. Si veda il report sulle smart cities in Italia divulgato dalla multinazionale svizzera di ingegneria ABB

http://www02.abb.com/db/db0003/db002698.nsf/0/c0489342d9f13c82c1257a70002d86c1/$file/REPORT_2012_ParteS econda.pdf download il 30/11/2014 , o quella proposta dal FORUM PA, la società che promuove l’incontro e il confronto tra pubbliche amministrazioni, imprese e cittadini sui temi chiave dell’innovazione, organizzatrice dello Smart City Exhibition: «Una città smart è uno spazio urbano, ben diretto da una politica lungimirante, che affronta la sfida che la globalizzazione e la crisi economica pongono in termini di competitività e di sviluppo sostenibile con un’attenzione particolare alla coesione sociale, alla diffusione e disponibilità della conoscenza, alla creatività, alla libertà e mobilità effettivamente fruibile, alla qualità dell’ambiente naturale e culturale».

110

the smart city85 mette in evidenza come siti come Masdar city o Songdo – città costruite in luoghi desertici o disabitati – vivano perpetuamente in quello che i ricercatori Genevieve Bell e Paul Dourisch86 hanno chiamato “futuro prossimo”: un tempo che è sempre dietro l’angolo ma mai davvero presente.

La seconda caratteristica che, secondo Finnegan, una narrazione deve avere per essere tale è, si diceva, la presenza di una trama: ciò che è capace di trasformare una lista di eventi temporali in una vera e propria storia. Nelle teorie urbane questo aspetto si riscontra spesso, in generale, come quella che Finnegan definisce a tale of rags to riches: è l'impronta per cui la storia illustrerebbe il passaggio “dalle stelle alle stalle”.

Altre però raccontano il movimento contrario, che conduce ad una conclusione infelice anziché felice, dalla buona alla cattiva sorte87. In tali casi si narra di una caduta, rappresentando l’originario stato di natura come sopraffatto dalle nuove oppressioni di alienazione e dalle costrizioni della vita cittadina.

Guardando a come è stata cucita la narrazione sulle smart cities, non si può non rilevare le caratteristiche evidenziate da Finnegan e, analizzando la letteratura di riferimento, è anche facile capire a quale delle due tipologie proposte dall’antropologa inglese il discorso sulle smart cities appartenga. L’affermarsi del discorso sulle città smart emerge, tanto in Italia quanto in altri paesi europei, parallelamente all’inasprirsi delle condizioni di recessione economica provocate dallo shock creditizio del 2007-08 negli Stati Uniti. Anche i paesi più colpiti dalla crisi economica non si sono sottratti dal contribuire al moltiplicarsi delle iniziative sulla città smart. Del resto, sia i policymakers che la letteratura mainstream sugli studi urbani insistono sul fatto che il risveglio e il trionfo del fenomeno urbano in età contemporanea siano capaci di rendere le nostre vita più prosperose, più salutari e più felici, come il titolo dell’opera di Edward Glaeser ricorda.88

Si deve osservare che «il discorso sulla

smart city è tra i pochi, se non forse il solo di una certa entità, a proporre un immaginario di

prosperità e progresso in una fase dominata dal pessimismo indotto dal prolungarsi degli effetti della crisi».89 È chiaro che, nel porsi come strategia per rianimare le economie colpite

85 A. Greenfield, Against the smart city (The city is here for you to use Book 1), Kindle edition, 2013.

86 Cfr. G. Bell, P. Dourisch, Divining a digital future: mess and mithology in ubiquitous computing, MIT press,

Cambridge (MA) 2011.

87 Ivi, p. 19.

88 E. Glaeser, Triumph of the City: How Our Greatest Invention Makes Us Reacher, Smarter, Greener, Healthier

and Happier, Penguin, New York 2011.

89 U. Rossi, Smart city, crisi economica e sopravvivenza del capitalismo, in M. Santangelo, S. Aru, A. Pollio (a

111 dalla crisi90, tale paradigma contenga una certa dimensione messianica e salvifica, dovuta alla promessa di benessere e di tranquillità che la piena adesione al modello implicherebbe.91

La terza caratteristica delle narrazioni è strettamente legata alla seconda, seppur distinta. Si tratta dell’elemento di “generalizzabilità” che è insito, in modi diversi, in ciò che chiamiamo “storia” e che rappresenta l’universale che si incarna, in qualche forma, nel particolare. Le narrazioni urbane implicano sempre qualcosa di universale, tuttavia: «they are not without some concrete referents, of course. Indeed such tales are expected to be transferable, at least in principle, into stories about particularities, providing templates through which the stories of specific events or situations can be told or interpreted».92 I riferimenti concreti al contesto urbano sono spesso generalizzati in espressioni come “la città moderna”, “l’ambiente urbano”, “la comunità”, e anche qualora ci si riferisca al particolare (attraverso concetti come quello di gruppo o di individuo), il riferimento resta comunque generale. Gli attori umani possono essere accennati ma, di solito, rimangono dietro le quinte. I personaggi rappresentati sono "figure", "tipi": come il consumer, l’uomo urbano, il pendolare, il carattere metropolitano, o sono presentati come elementi della categoria di classe, etnia, religione o genere.

The stories bring forward instead those evocative heroes and anti-heroes of ‘industrialization’, ‘urbanisation’, ‘economic forces’, ‘urban environment’, ‘modernity’ or ‘globalisation’; of ‘resistance’, ‘ consumption’ and ‘power’; or, most menacing of all, the witch figure of ‘international capitalism’. There is also ‘progress’, that two-faced fairy, and the insubstantial and ambiguous trickster called ‘postmodernity’.93

Anche in questo caso, il racconto relativo alle smart cities non fa eccezione. Un rapido sguardo alla molteplicità delle definizioni è sufficiente a comprendere come la narrazione delle città smart si avvalga di una semantica ampia e complessa chiamando in causa categorie che, tuttavia, troppo spesso non vengono esplicitate: si parla di città intelligente (non più di città moderna), di smart community e, ad un grado di astrazione inferiore, di capitale umano, di coesione e innovazione sociale senza fornire, tuttavia, definizioni univoche o antropologicamente fondata. Il vocabolario di cui si arricchisce il racconto della smart city è

90

Cfr. J. Peck, N. Theodore, Exporting Workfare/Importing Welfare-to-Work: Exploring the Politics of Third Way Policy Transfer, in “Political Geography”, 20, 4, pp. 427-460.

91 M. Santangelo, Smart city. Ibridazioni, innovazioni e inerzie nelle città contemporanee, op. cit., p. 11. 92 R. Finnegan, Tales of the City: A Study of Narrative and Urban Life, op. cit., p. 20.

112 costituito di concetti astratti in cui il richiamo alla dimensione umanistica è più fittizio che reale, funzionale piuttosto a richiamare consensi e a rendere la storia più appetibile. Anche il riferimento all’individuo è veicolato attraverso concetti che restano generalizzati, come quello di prosumer94, di utente o di smart citizen. In questo caso, ad dover essere messo in discussione non è tanto il bisogno di avvalersi di “tipi ideali”, necessari a far comprendere ai fruitori del racconto chi sono i destinatari di una città smart e quale ruolo possano rivestire: infatti, come chiosa l’antropologa inglese, «explicit generalisability is expected, or, at least, allusions through with participants can evoke the larger stories with they jointly share».95 Ad essere passibile di critica è il fatto che l’universalismo su cui poggia il discorso della smart

city è un universalismo astratto, che non tiene in nessuna considerazione le differenze tra i

cittadini che dovrebbero abitarla e animarla. Dando per scontata l’omogeneizzazione e l’uniformità, il racconto della città del nuovo secolo cela l’immagine di un cittadino che, anziché essere protagonista come gli era stato promesso di diventare, è confinato ad un ruolo marginale, costretto a vivere la città in modo passivo nella misura in cui la sua specificità non è tenuta in considerazione e pertanto costretto a vivere la città consumando scelte che possono essere valide per altri ma non necessariamente per lui.

94 Prosumer è il destinatario di beni e di servizi che non si limita al ruolo passivo di consumatore ma partecipa

attivamente alle diverse fasi del processo produttivo.

113