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L’urgenza di conferire nuova rilevanza alla dimensione spaziale e di farla emergere dal torpore in cui il diciannovesimo secolo, con l’ossessione per il tempo e per la storia, l’aveva relegata, si manifesta in Soja già a partire dai suoi lavori iniziali. Fin da Postmodern

Geographies65, infatti, l’autore, sulla scia delle osservazioni pioneristiche di Foucault66, argomenta in favore della necessità di riaffermare lo spazio nella teoria sociale critica, giacché potrebbe essere questo, ancor più del tempo, a restarci nascosto nelle sue conseguenze, e invece il “fare geografia” più del “fare storia” a rivelarci il mondo teorico e pratico.

L’invito a pensare diversamente il senso e il significato dello spazio – ivi compresi tutti quei concetti che diversamente compongono e dicono l’intrinseca spazialità della vita umana, come il luogo, la localizzazione, il paesaggio, l’ambiente, la casa, la città, la regione, il territorio e la geografia – muove, secondo Soja, dall’importanza politico-pratica che la dimensione spaziale assume nel momento presente ancor più che in quello passato. Ce ne accorgiamo quando tentiamo di far fronte al progressivo intervento dei media elettronici nelle nostre abitudini giornaliere, quando ricerchiamo modi per agire politicamente così da fronteggiare i crescenti problemi della povertà, del razzismo, della discriminazione sessuale, del degrado ambientale o, ancora, quando cerchiamo di comprendere i molteplici conflitti geopolitici che si verificano nel mondo. Secondo Soja, le sfide dell’epoca contemporanea cui siamo chiamati a rispondere non hanno fatto altro che accrescere la nostra consapevolezza di esseri intrinsecamente spaziali e di attivi partecipanti nella costruzione sociale delle nostre spazialità. D’altra parte, però, la comprensione teoretica e pratica dello spazio e della spazialità risulta ancora “viziata” dal bagaglio della tradizione e da definizioni pregresse che ostacolano un’adeguata comprensione dei fenomeni in cui siamo invischiati si adattano più ai contesti mutevoli del momento contemporaneo.

La necessità di una visione alternativa della dimensione spaziale rispetto a quella proposta dalla tradizione non equivale, tuttavia, come è stato in altri secoli della storia

65 E. W. Soja, Postmodern Geographies: The Reassertion of Space in Critical Social Theory, Verso, London –

New York, 1989.

66 È Michel Foucault a rilevare come «la grande ossessione che ha assillato il XIX secolo è stata, come noto, la

storia: temi dello sviluppo o del blocco dello stesso, temi della crisi e del ciclo, temi dell’accumulazione del passato, grandi sovraccarichi di morti, il raffreddamento che minacciava il mondo. è nel secondo principio della termodinamica che il XIX secolo ha trovato gli elementi essenziali delle sue risorse mitologiche. Forse, invece, quella attuale potrebbe invece essere considerata l’epoca dello spazio. Viviamo nell’epoca del simultaneo, nell’epoca della giustapposizione, nell’epoca del vicino e del lontano, del fianco a fianco, del disperso. Viviamo in un momento in cui il mondo si sperimenta, credo, più che come un grande percorso che si sviluppa nel tempo, come un reticolo che incrocia dei punti e che intreccia la sua matassa» (cfr. M. Foucault, Spazi altri. I luoghi delle eterotopie, Mimesis, Milano, 2001, p. 19).

38 dell'umanità, ad arricchire l’immaginazione geografica con altri spazi o a porre, addizionalmente, nuove idee di spazio all’interno di vecchi contenitori; essa richiede, piuttosto, lo sviluppo di un nuovo pensiero, una capacità di pensare lo spazio fatto di interconnessioni, cortocircuiti, fluidità e tensioni dinamiche.

3.1 Alla scoperta del terzo spazio

Con il geografo statunitense tale ricerca approda, in prima istanza, nella formulazione del concetto di terzo spazio che è, prima di tutto, una metafora della necessità di mantenere la consapevolezza e la teorizzazione della spazialità radicalmente aperte.

Tale concetto è l’esito di uno sforzo teorico che si situa nel prolungamento del celebre lavoro di Lefebvre, La produzione dello spazio, di cui Soja offre una lettura alternativa che, senza la presunzione di scavalcare quanto asserito dal filosofo francese, mira piuttosto a chiarificarne idee e contenuti.67

Secondo Soja, Lefebvre fu uno dei primi pensatori a teorizzare la differenza e l’alterità in termini esplicitamente spaziali e a connettere questa teorizzazione spaziale direttamente alla sua critica meta-marxista delle rappresentazioni del potere e del potere delle rappresentazioni. Egli, infatti, sosteneva che le differenze devono essere contestualizzate in pratiche sociali e politiche, connesse alla conoscenza della produzione (sociale) dello spazio (sociale). Lefebvre rivendica la necessità di battersi per il diritto ad essere diversi, contro le crescenti forze dell’omogeneizzazione, della frammentazione e del potere gerarchicamente organizzato che connota la geografia del capitalismo, e situa tali lotte a molteplici livelli (il corpo e la sessualità, la spazialità della famiglia e degli edifici monumentali, il quartiere urbano, la città, la regione fino ad arrivare alle questioni più globali dello sviluppo geograficamente disuguale e del sottosviluppo). Egli incarnò queste lotte per il diritto alla differenza in dialettiche contestualizzate dei centri e delle periferie, del concepito e del vissuto, del materiale e del metaforico e da queste dialettiche aprì un nuovo dominio, uno spazio di resistenza collettiva, ovvero il Thirdspace of political choice, inteso anche come luogo di incontro per tutti i soggetti marginalizzati.

67 Il fatto che il lavoro di Soja avesse come punto di partenza per la propria elaborazione teorica il testo

lefebvreriano ha spesso condotto all’equivoco e all’errore di etichettare rigidamente Thirdspace come uno dei tanti testi su Lefebvre senza valorizzare, invece, le istanze teoriche proposte dall’autore.

39 È in questa prospettiva, secondo Soja, che va collocata la critica del filosofo francese al dualismo predominante in geografia, in particolare a quello che egli rinomina come dualismo spazio percepito/concepito, giudicato riduzionista e responsabile delle difficoltà che tale disciplina incontra nel rispondere adeguatamente alle nuove trasformazioni ed è in quest’ottica che si inserisce il progetto del filosofo francese di introdurre una terza dimensione: quella dello spazio vissuto. Il darsi di una terza dimensione consente di fuggire dalla prigionia della logica binaria e, più specificatamente, dall’egemonia della diade storico- sociale che sussume l’analisi spaziale dentro il suo metodo e le sue ipotesi concepiti come esaustivi.

This dimension, a third possibility o “moment” that partakes of the original pairing, is not just a simple combination or an “in between” position along some all-inclusive continuum but can be understood as critical thirding-as-Othering. It is the first and most important step in transforming the categorical and closed logic of either/or to the dialectically open logic of both/and also. Two terms are never enough: Il y a toujours l’Autre. There is always the Other, a third term that disrupts, disorders and begins to reconstitute the conventional binary opposition into an-Other that comprehends but is more than just the sums of two parts.68

Il risultato di questo critical thirding viene definito da Soja trialettica, ed utilizzato non solo per descrivere una dialettica triplice, ma anche come modo di ragionare dialettico che è più intrinsecamente spaziale rispetto alla dialettica convenzionale definita, secondo parametri di stampo temporale, di Hegel o Marx.69 Questa trialettica è concepita da Soja «come un antidoto a qualsiasi costruzione permanente, a qualsiasi velleità totalizzatrice. Essa si sviluppa a partire da approssimazioni che portano a una forma di sapere accettabile, senza scadere, però, nell’iper-relativismo associato da Soja agli epistemologi dell’apertura radicale».70 Anche per questo il pensare trialettico, a detta del geografo statunitense, si rivela difficile, poiché sfida tutte le modalità di pensiero convenzionali e le epistemologie aprioriste. È disordinato, imprevedibile, in costante evoluzione, instabile; sfugge a dovere a tutte le costruzioni permanenti.

68

E. W. Soja, Thirdspace. Toward a New Consciousness of Space and Spatiality, in K. Ikas, G. Wagner, Communicating in the Third Space, Routledge, London 2008, p. 52.

69 E. W. Soja, Thirdspace. Journeys to Los Angeles and Other Real – and –Imagined Places, Blackwell

Publishers, Cambridge 1996, p. 10.

70

40 Questa trialettica è, in prima istanza, una trialettica ontologica e costituisce «a statement of what the world must be like in order for us to have knowledge of it».71 Articolata in Storicità, Socialità e Spazialità essa può essere applicata a tutti i livelli di formazione della conoscenza, dall’ontologia all’epistemologia, alla costruzione di teorie, all’analisi empirica e alla pratica sociale, laddove fino ad ora si è verificata la tendenza a privilegiare la relazione dinamica tra il “farsi” della storicità e la “costituzione” di pratiche sociali o socialità.72

Questa pronunciata tendenza a focalizzarsi "solo" sulla storicità e socialità dell’essere, portata avanti dalla filosofia, dalla scienza, dalla storiografia e dalla teoria sociale occidentale, non può dirsi priva di conseguenze: ridurre l’essere a tali dimensioni significa confinare la spazialità in secondo piano come riflesso, contenitore, palcoscenico, ambiente o vincolo esterno in cui accade il comportamento umano o le azioni sociali. Al contrario, decostruire il dualismo aprendo a un terzo termine permette di ricostituire un’ontologia sociale che è radicalmente aperta alla spazialità almeno in due modi: mediante la dialettica socio-spaziale (spazialità – socialità) e attraverso l’interazione tra lo spazio e il tempo (spazialità – storicità).

Non bisogna fare di questa prima triade una tipologia in cui i tre momenti possono essere compresi come isolati l’uno dall’altro benché, troppo di frequente, essi siano stati così concettualizzati, in discipline e discorsi “compartimentalizzati”; i momenti della trialettica ontologica, piuttosto, si contengono l’un l’altro.

Come è facile intuire, simili considerazioni hanno ripercussioni anche dal punto di vista antropologico, nella misura in cui si presuppone che l’essere-nel-mondo, il Dasein heideggeriano, l’être-là di Sartre73 sia esistenzialmente definibile come simultaneamente storico, sociale e spaziale: «We are first and always historical- social- spatial beings, actively participating individually and collectively in the construction / production – the “becoming” – of histories, geographies, societies».74

La seconda trialettica proposta da Soja - e costruita sulla scorta di quella ontologica - consente di fare un passo ulteriore verso la chiarificazione dei molteplici significati del "terzo spazio". Se la trialettica ontologica si prefigge l’obiettivo di fornire delucidazioni su come il mondo deve essere affinché noi possiamo esistere come esseri umani, l’attenzione è qui posta verso una più specifica discussione dell’epistemologia dello spazio, vale a dire come

71 E. W. Soja, Thirdspace. op. cit., p. 70.

72 E. W. Soja, Thirdspace. Journeys to Los Angeles, op. cit., p. 71. 73 Ivi, p. 73.

74

41 possiamo ottenere una conoscenza più accurata e approfondita della nostra spazialità esistenziale.

Nella lettura avanzata da Soja, le epistemologie dello spazio si sono sviluppate storicamente secondo tre dinamiche. Quelle del primo spazio (Firstspace) si focalizzano sulla “decifrazione analitica” di quello che Lefebvre ha definito pratica spaziale o spazio percepito. Si tratta di una spazialità materiale che è direttamente compresa in configurazioni empiricamente misurabili: nella locazione assoluta o relativa delle cose e delle attività, dei posti e delle situazioni, nei pattern della distribuzione, nelle geografie concrete e mappabili dei nostri mondi vitali, oscillando da “bolle” di spazio emozionale e comportamentale (che, in modo invisibile, circonda i nostri corpi) alla complessa organizzazione spaziale delle pratiche sociali che modella i nostri “spazi d’azione” nelle case, negli edifici, nei quartieri, nei villaggi, nelle città, nelle regioni, nelle nazioni, negli Stati, nell’economia mondiale e nella geopolitica globale. Le epistemologie del primo spazio tendono a privilegiare l’oggettività e la materialità ed hanno come obiettivo una scienza formale dello spazio in cui sono l’occupazione umana della superficie sulla terra, le relazioni tra società e natura, l’architettonico e le risultanti geografie dell’ambiente costruito, a fornire la fonte per l’accumulazione di conoscenze.

As an empirical text, Firstspace is conventionally read at two different levels, one which concentrates on the accurate description of surface appearances (an indigenous mode of spatial analysis), and the other which searches for spatial explanation in primarily exogenous social, psychological and biophysical processes.75

Le scienze del primo spazio, guidate dalla presunzione dello scientismo, si fissano sulla forma materiale delle cose nello spazio e la spazialità umana è vista primariamente come prodotto o come risultato. Oggi, nella geografia come in molte altre discipline che hanno a che vedere con lo spazio – tra cui l’architettura, l’urbanistica o l’archeologia – questa visione quantitativa è ancora sostenuta e coltivata attraverso le nuove tecniche della raccolta dei dati. Il Geographical Information System (GIS) ne è un esempio, essendo capace di collezionare e

organizzare massicce quantità di dati che descrivono il contenuto del primo spazio ma, più in generale, tali strumenti consentono di adempiere a quello che, «nell’Epoca

75

42 dell’Esplorazione»76

era stato il compito di geografi, avventurieri coloniali e cartografi: accumulare e mappare in modo più accurato, la conoscenza “fattuale” riguardo i luoghi e le relazioni tra di essi sulla superficie della terra. Letture alternative del Firstspace sono state avanzate dalla geografia storica, che insiste sull’immaginazione storica e la storiografia narrativa come sorgente della comprensione delle pratiche spaziali. Su questa linea si collocano anche gli sviluppi della geografia umana e comportamentale: entrambe ricercano le fonti per la comprensione della produzione sociale del primo spazio nelle psicologie individuali e collettive ed anche, più direttamente, nei processi sociali e nelle pratiche che si presume strutturino la produzione di spazialità materiali, facendo ricorso anche a categorie non spaziali come coscienza di classe, preferenza culturale, scelta razionale economica. Uno dei limiti di queste prospettive sta però, ad esempio, nella scarsa considerazione di come le geografie materiali e le pratiche spaziali formino e influenzino la soggettività, la coscienza, la razionalità, la storicità e la socialità. Questa è solo una delle ragioni per cui le scienze del primo spazio, a dispetto della loro ampia portata e della loro impressionante accumulazione di conoscenza spaziale, sono fondamentalmente incomplete e parziali.

Le scienze del secondo spazio (Secondspace) hanno conosciuto la loro nascita e il loro sviluppo in reazione all’eccessiva chiusura e alla forzata oggettività dell’analisi tradizionale del Firstspace e sono immediatamente caratterizzate per la loro attenzione allo spazio concepito piuttosto che a quello percepito, e dall’implicita assunzione che la conoscenza spaziale sia prodotta, anzitutto, attraverso le rappresentazioni dello spazio concepite a livello discorsivo:

In its purest form, Secondspace is entirely ideational, made up of projections into the empirical world from conceived or imagined geographies. This does not mean that there is no material reality, no Firstspace, but rather that the knowledge of this material reality is comprehended essentially through thought, as res cogito, literally “thought things”.77

Anche qui, come per il "primo spazio", ci sono almeno due livelli di concettualizzazione: il primo introverso e indigeno e l’altro estroverso o esogeno nelle proprie prospettive. Gli approcci più indigeni alla conoscenza del "secondo spazio" sono particolarmente soggetti alle visioni illusorie; Soja ricorre all’esempio del crescente interesse,

76 Con questo termine, Soja fa riferimento al periodo che intercorre tra i primi anni del XV secolo e il XVII

secolo durante il quale gli Europei iniziarono ad esplorare il mondo via mare alla ricerca di nuovi partner commerciali, nuovi beni o nuove rotte di commercio o, più semplicemente, per imparare qualcosa di più sul mondo.

77

43 in geografia, per la delucidazione delle “mappe cognitive”, immagini mentali dello spazio che ciascuno porta con sé nella propria vita quotidiana. Sono stati compiuti molti studi per ricavare da queste mappe mentali informazioni rispetto al genere, alla razza, alla classe, chiedendo agli individui di disegnare mappe della città nella quale essi vivevano. Spesso se ne sono ricavati spunti interessanti riguardo la spazialità umana ma, altrettanto spesso, l’interpretazione si riduceva a idealizzazioni categoriche ingenue: le mappe mentali degli uomini si connotavano come più esaurienti, dettagliate e relativamente accurate, a differenza di quelle delle donne che erano, invece, più centrate sulla casa, più compatte e meno accurate in termini di dettagli urbani. In queste rappresentazioni il primo spazio collassa interamente nel secondo spazio; la differenza fra i due scompare e, ancor più, sono perse la storicità e la socialità, ogni reale senso di come queste immagini cognitive sono, esse stesse, prodotte socialmente e implicate nella relazione fra spazio, potere e conoscenza. Gli approcci esogeni alle epistemologie del "secondo spazio" derivano, invece, direttamente dalle filosofie idealiste o da quella che può essere definita l’idealizzazione dell’epistemologia, ovvero dall'idea che la rappresentazione sia l'ordinamento completo della realtà. Lefebvre aveva mostrato particolare attenzione al potere egemonico ascritto a questa epistemologia spaziale per il fatto di considerare le rappresentazioni dello spazio come se fosse lo “spazio dominante”, che, nelle parole di Soja, misura e controlla sia pratiche spaziali sia spazi vissuti di rappresentazione.

È dalla volontà di superare i limiti del "primo" e del "secondo spazio" che Soja deriva la necessità di postulare le scienze che definisce del Thirdspace: un modo di concepire lo spazio che assume, intesi come compenetrati tra loro, materialità, vissuti, percezioni e pensieri, soppiantando dicotomie e categorie d’analisi tradizionali. 78 Queste scienze possono essere descritte come originatesi dalla decostruzione della dualità del primo e del secondo spazio, grazie all’introduzione di un terzo elemento che va a costruire la trialettica Spazialità – Storicità – Socialità; è un esempio di quello che Soja chiama thirding – as – othering.

Il "terzo spazio", così, non è solo l’Aleph79

senza limiti di Borges, ma anche una “macchina delle possibilità”, per usare un’espressione lefebvreriana.

78 G. Attili, Rappresentare la città dei migranti: storie di vita e pianificazione urbana, Jaca Book, Milano 2008,

p.57.

79

Il concetto di "terzo spazio" trae spunto artistico dal breve racconto di Borges intitolato “The Aleph”, e spunto teoretico dal concetto di eterotopia di Foucault.Il racconto dello scrittore argentino si apre con il protagonista (lo stesso Borges) che passeggia lungo le vie di Buenos Aires, ripensando alla morte della sua donna da poco scomparsa. Per onorare la sua memoria, Borges soleva recarsi, nel giorno del compleanno dell’amata, presso la sua casa in cui viveva anche il cugino di lei Carlos Daneri, scrittore anch’egli. Ricevuta la notizia che avrebbe dovuto abbandonare la sua dimora per fare spazio ad una pasticceria, Daneri telefona allarmato al suo amico illustrando la situazione e confidandogli che la sua casa gli era indispensabile per terminare un poema che stava scrivendo perché in un angolo nascosto della cantina vi era l’Aleph: il punto «dove si trovano tutti i luoghi della terra, visti da tutti gli angoli».Sebbene

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Everything comes together in Thirdspace: subjectivity and objectivity, the abstract and the concrete, the real and the imagined, the knowable and the unimaginable, the repetitive and the differential, structure and agency, mind and body, consciousness and the unconscious, the disciplined and the transdisciplinary, everyday life and unending history. Anything which fragments Thirdspace into separate specialized knowledges or exclusive domains – even on the pretext of handling its infinite complexity – destroys its meaning and openness.80

Quello del terzo spazio può sembrare un concetto fluttuante e, anche per questo, è stato spesso oggetto di critiche, in particolare da parte di studiosi appartenenti alla disciplina geografica.

Patricia Price81, ad esempio, contesta il deciso rifiuto di Soja di definire in modo inequivocabile il suo concetto di "terzo spazio" - sfuggendo così a qualsiasi definizione permanente -, ma anche il fatto di affidarsi eccessivamente all’autorità del “maschio bianco” (che la Price associa alle figure di Lefebvre, Foucault e Braudillard) mentre enfatizza marginalità “scelte”, a scapito di quelle imposte con la forza ai gruppi subalterni nella società occidentale. Rob Shields82 sottolinea, invece, il fallimento di Soja nel dimostrare efficacemente l’originalità della sua trialettica dello spazio, nella misura in cui, a suo dire, utilizza la triade solo per potenziare la nostra comprensione di Lefebvre: anziché aprirsi a un più ampio coro di voci alternative, ed essere chiave di comprensione di importanti questioni contemporanee, connesse alla vita in città, alla cultura politica, alla giustizia sociale e inizialmente perplesso, Borges si recò nella casa di Daneri con l’intento di vedere l’Aleph. Lo scetticismo iniziale si sostituì presto alla meraviglia e alla disperazione: benché l’Aleph fosse di esigue dimensioni, «lo spazio cosmico vi era contenuto, senza che la vastità ne soffrisse. Ogni cosa era infinite cose poiché la si vedeva distintamente da tutti i punti dell’universo». L'Aleph, tessuto istoriato di simboli alchemici e cabalistici, è soprattutto una discesa nella vastità della