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Schematicamente, le posizioni presentate riflettono modi specifici di intendere la cultura e la città: si basano cioè su premesse, non sempre dichiarate ma abbastanza evidenti, in cui la città va dall’essere intesa come un substrato quasi neutro, da mettere in gioco per stimolare la capacità attrattiva, fino ad essere intesa in modo più ricco, come intreccio di saperi locali che si confrontano con una competizione sempre più internazionale. Analoghe premesse si rintracciano nel modo di intendere la cultura, in connessione alle possibilità che riveste per le promesse di sviluppo urbano: da risorsa magnetica e prodotto, a infrastruttura cognitiva, fatta di beni materiali e immateriali intorno a cui si costruisce il “territorio” come localizzazione riconoscibile e che si auto-riconosce. Una “armatura culturale” che informa di sè lo spazio, e costituisce la base dello sviluppo (Carta, 1999).

In sintesi:

COMPETIZION

E PRODUZIONE INTEGRAZIONE

Città come... substrato, scenografia, fino a milieu rete di istituzioni, cluster di produzione luogo di intersezione tra saperi locali e competizione internazionale

Cultura come... attrattore e prodotto risorsa, capitale cognitivo

infrastruttura cognitiva collettiva; strumento di capacitazione individuale

Parole d’ordine classe/città creativa economia della conoscenza distretto culturale - cultural planning

Il principale limite rispetto agli scopi della presente ricerca degli approcci presentati riguarda il carattere normativo che essi presentano: si situano infatti, pur con modalità e livelli di approfondimento, entro quello che Evans (2009) definisce come un “movimento”, in cui politiche e pratiche sono promosse su scala internazionale attraverso reti di professionisti specializzati, centri di ricerca pubblici o privati, iniziative statali ed europee. E in cui si registra una convergenza che appare “inevitabile” tra le razionalità e i modi in cui le città cercano di affermarsi entro un contesto economico post-fordista. Il rischio è quello di aggirare la questione che è invece al centro del presente lavoro: come viene ri-significata la cultura nei contesti urbani? Come si relaziona un fenomeno così difficilmente afferrabile con un territorio specifico?

In particolare, occorre verificare la relazione spesso poco problematizzata tra produzione culturale e territorio o città: nell’intento di dare risposte ai decisori locali, e partendo dall’assunto che la città è riconosciuta come il luogo della produzione e della fruizione culturale per eccellenza, si tende a dare per scontato, che la produzione culturale sia legata a una specifica dimensione territoriale, la nutra e se ne nutra. Questo non è necessariamente falso, ovviamente: ma nemmeno è così linearmente evidente.

Inoltre, la coincidenza tra produzione culturale e produzione di valore economico mette in secondo piano altre dimensioni, quelle che non si esauriscono in un processo di valorizzazione. Si tende dunque a non considerare l’importanza delle modalità con cui l’azione, l’istituzione, l’evento, la politica culturale si relaziona con la città. Un festival, ad esempio, può avere una grande risonanza extra-locale, ma essere poco conosciuto, vissuto, e collegato con la vita della città in cui si celebra. In un articolo pubblicato per il progetto modenese “Le città sostenibili”4, De

Pieri (2003) ricostruisce il percorso decisionale e le relazioni tra la Fiat e la

2. Le regole della festa culturale

città, evidenziando il manifestarsi di un’egemonia di stampo diverso da quella tradizionale, edilizio-speculativa: la Fiat infatti si propone mediaticamente alla città e sulla scena internazionale5 come un attore

alternativo a quello pubblico, capace di orientare lo sviluppo urbano della città negli anni Ottanta, salvo poi diluire (ma non diminuire) la sua influenza, e di conseguenza spostare l’attenzione verso altri fronti dello sviluppo urbano torinese, negli anni Novanta. Come osserva De Pieri, il caso del Lingotto ci induce da una parte a sottolineare l’inderogabile ruolo dell’attore pubblico, anche e soprattutto in presenza di attori forti sul territorio; dall’altro, ci ricorda il rischio di letture affrettate, di contrapposizioni schematiche tra azione pubblica e privata, tra piano e progetto, spesso incapaci di dare conto della complessità urbana.

Scrive De Pieri, commentando il caso del Lingotto di Torino (2003, p.227):

“… Il caso del Lingotto reca così tutte le tracce di uno dei pericoli che le società urbane sembrano correre con più frequenza: quello di costruire forme di autorappresentazione eccessivamente semplificate, basate su astrazioni la cui utilità per gli attori in gioco e la cui ampia diffusione sono inversamente proporzionali alla pertinenza descrittiva, alla capacità di costruire immagini sufficientemente articolate dei processi di trasformazione. In un mondo spesso genericamente descritto come “complesso”, la semplificazione e l’elementarismo restano mosse analitiche di successo, mentre scarseggiano gli spazi di osservazione capaci di produrre pratiche descrittive complesse e non immediatamente strumentali. La vicenda mostra come quello della circolazione dei saperi e delle rappresentazioni urbane sia uno dei processi su cui la nostra conoscenza del contemporaneo è più carente.”

2. Le regole della festa culturale

5 Ad esempio, realizzando una serie di incontri con esperti internazionali sulla

riqualificazione delle aree industriali dimesse e sullo sviluppo urbano, ponendosi come interlocutore diretto (De Pieri, 2003, p.222)

Convinti della possibilità di “produrre pratiche descrittive complesse”, e della necessità di tale conoscenza per evitare l’appiattimento delle politiche su schemi eterodiretti rispetto ai territori su cui agiscono, nei prossimi capitoli si presenteranno alcune linee critiche che riguardano da un lato i modi di intendere cultura e città, dall’altro la possibilità di costruire descrizioni che aiutino a sfuggire ai rischi della semplificazione.