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IMMIGRAZIONE E CAMPO CULTURALE: MODENA MEDINA COME PUNTO DI OSSERVAZIONE

6.UN FESTIVAL: MODENA MEDINA

1. L’ESPERIMENTO DI BANDA LARGA.

6.2. IMMIGRAZIONE E CAMPO CULTURALE: MODENA MEDINA COME PUNTO DI OSSERVAZIONE

Da un punto di vista generale, ricordiamo che il tema della diversità culturale subisce inevitabilmente gli effetti delle decisioni prese a livello nazionale, che toccano i diritti di base degli immigrati in Italia e i

meccanismi di riconoscimento e cittadinanza, e che incidono pesantemente sulle reali condizioni di vita e di integrazione degli stranieri nel nostro Paese.

Pur tenendo a mente questa come condizione ineludibile, e che al momento appare particolarmente preocuppante, si può riconoscere una “specificità urbana” nel costruire pratiche, se non politiche, di cittadinanza: la città può essere letta come il contesto in cui ruoli e significati dell’essere “cittadini” vengono continuamente erosi o costruiti, discussi o conquistati (Holston, Appadurai, 1996).

Un altro punto da cui partire, riguarda le necessità di considerare la sfera culturale come un ambito critico dei processi di integrazione: almeno nel caso della città di Modena, usi diversi del tempo libero, ma anche linguaggi e rappresentazioni differenti, insieme al significato simbolico che carica di sensi identitari le manifestazioni culturali, contribuiscono a rendere questa parte della vita pubblica uno spazio più frammentato di molti altri.

Le attività culturali e più in generale il modo di vivere ed esprimersi nel tempo libero sembrano costituire un problema o, con più ottimismo, una potenzialità inespressa dei processi di integrazione.

L’esperienza modenese ci induce a riconoscere che l’incontro, la reciproca apertura di canali di comunicazione, non si dia da sé, in modo naturale: un esempio è negli usi dello spazio pubblico, che spesso vedono il costituirsi di nuovi confini, non ufficiali ma chiaramente percepibili, tra vecchie e nuove popolazioni urbane. Come osserva Amin (2002), questi spazi non si costruiscono spontaneamente come luoghi di mutua interdipendenza: talvolta diventano lo specchio di processi di reciproca esclusione.

Concretamente:

“...La domenica si fanno cose diverse: gli stranieri fanno messe, fanno incontri per matrimoni o battesimi, vanno nei parchi a fare le grigliate a trovarsi o mangiare. Sono ancora pezzi che non comunicano. Anzi. Già se non comunicano va bene; spesso è nel tempo libero che si genera la diffidenza. Le donne nei parchi; gli africani che si ritrovano; i 6. Un festival: Modena Medina

filippini che si prendono tutte le panchine al parco Enzo Ferrari... perchè rubano i “nostri” spazi. I nostri di chi, poi.”(A.L.)

La scelta di concentrarci su un evento culturale pubblico che è stato capace negli anni di costruirsi un suo spazio e una sua riconoscibilità in città, muove da queste brevi considerazioni, e dall’ipotesi che, a fianco di altre azioni, questi momenti possano creare occasioni di incontro e di reciproca scoperta che permettano di superare una logica in cui le diverse comunità vivono i momenti collettivi ed espressivi in modo esclusivo e separato. Si è cercato insomma, di utilizzare un punto di vista che mettesse in risalto la capacità dell’evento culturale di generare sorpresa, stupore, e una conoscenza dell’altro al contempo più matura e fresca, proprio perchè inattesa.

Come spiega Amin (op. cit., p.968), se il contatto abituale, la co-presenza - che pure si dà, e su cui resta essenziale lavorare - non basta ad assicurare un cambiamento di attitudine verso l’altro o una conoscenza che superi le reciproche stereotipate rappresentazioni (dell’immigrato maghrebino, del giovane africano, della badante ucraina, del modenese), forse i momenti di “trasgressione” dal ritmo quotidiano della città possono incoraggiare il superamento degli stereotipi, e la realizzazione di momenti di incontro più profondi.

La nascita e lo sviluppo di ModenaMedina, i modi con cui questo evento è stato costruito, le intenzioni degli operatori che l’hanno promosso e gli adattamenti che ha conosciuto nel tempo spingono ad alcune riflessioni che non riguardano tanto l’organizzazione dell’evento in sé, quanto la relazione tra la crescente pluralità urbana e le scelte culturali della città.

La storia che abbiamo ricostruito è innanzitutto la storia di come è stato inteso il mandato di un ufficio comunale, il Centro Stranieri, e della scelta di lavorare sul campo culturale per dare sostanza al diritto di cittadinanza degli immigrati in città.

Ma è anche la storia di una ricerca di spazio sulla scena ufficiale che non ignora o esalta le differenze, ma che chiede di includerle e trascenderle: da questo punto di vista si spiega il lavoro per trovare linguaggi e forme che consentano di uscire da etichette multiculturali, e la soddisfazione per le occasioni di riconoscimento che sono state conquistate negli anni.

Quello su cui si riflette non è una ulteriore opzione tra le molte immagini che la città può dare di sè all’esterno, in questo caso di “Modena come città multiculturale”; né si intende suggerire che le politiche culturali debbano automaticamente schiacciarsi su una strumentalità inclusiva, sociale (i cui rischi e limiti sono ben esposti in Belfiore, 2002).

L’indagine su Modena Medina ci restituisce, come abbiamo detto, un intenso lavoro di ricerca di potenziali inesplorati in città, condotto principalmente dal Centro Stranieri e dal Centro Musica, con alcuni collaboratori volontari. E ci riporta anche ad un lavoro di mutuo apprendimento che conduce questi “potenziali” ad una maggiore coscienza di sé, e alla costruzione di un metodo di lavoro condiviso, alla ricerca di una maggiore qualità.

Da questo punto di vista, Modena Medina ha messo in luce il ruolo chiave di alcuni attori interni al settore pubblico, che hanno letteralmente inventato un nuovo spazio sulla scena culturale locale; ma rimane molto più difficoltoso un riconoscimento ampio, includente, e, nel descrivere il sistema culturale modenese nel suo complesso, Modena Medina rappresenta una storia d’eccezione rispetto a una situazione in cui “ognuno costruisce i suoi teatri” (dall’intervista a Thomas McCarthy, presidente di GhanaCoop). Da questo punto di vista, la città sembra faticare nel farsi carico di questo processo: la condizione di separatezza della vita culturale modenese sembra essere vista in larga misura come una condizione inevitabile, che solo sotto ben precise condizioni, e con molte prudenze, può essere superata.

Un potenziale messo in luce da un lavoro minuzioso e capace di adattamenti progressivi, un sistema di opportunità concreto ma che richiede codici di

accesso che probabilmente non rispecchiano più la realtà plurale della città, una capacità di visione del futuro ancora faticosa, e poco coraggiosa: questo può essere un quadro riassuntivo della situazione della sfera culturale modenese che si confronta con la diversità.