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gnato nella lotta contro i consumabili in plastica tradizionale. Abbiamo preferito materiali biodegradabili ed ecocompo-stabili, prodotti detergenti naturali e non inquinati. Tutto questo grazie alla collaborazione con l’azienda Naturalcart con sede ad Altamura. Abbiamo utilizzati prodotti in PLA e microfibra vegetale.

Il PLA (Acido Polilattico) è un materiale derivato dalla trasformazione degli zuc-cheri presenti in mais, barbabietola, can-na da zucchero e altri materiali can-naturali e rinnovabili e non derivati dal petrolio, a differenza della plastica tradizionale.

Lo sai che questa bioplastica si degra-da rapidegra-damente nel terreno una volta raggiunte le condizioni di temperatura e umidità necessarie? Poi per gli sposta-menti di gran parte degli ospiti ci siamo affidati a una mobilità elettrica. Abbiamo

provato a fare il nostro e a farlo bene».

Ma Mauro Bochicchio chi è?

«Un visionario, se dovessi usare solo una parola per descrivermi. Negli ultimi 6/7 anni, da prima che Cultural prendesse il via, ho provato a fare più attenzione a quello che facevo, che mangiavo. Ho ca-pito che ogni piccola azione poteva fare la differenza se messa accanto a quella degli altri. Ho iniziato a riflettere e sono arrivato alla conclusione che occorreva mettere un freno al progresso, nella misura in cui non può, ne deve, dimen-ticarsi del passato e deve essere d’aiuto al futuro, senza mai ignorare le grida di allarme che possono arrivare dall’altro capo del mondo».

Perché l’edizione italiana del Festival che fino a oggi è stato anche francese, si svolge da sempre a Matera?

«La sede è stata individuata nel 2014. Ho scelto Matera per due motivi: si trova in Basilicata, terra dove sono nato e al quale sono legato e poi sentivo il bisogno di creare qualcosa che fosse dedicato all’enogastronomia d’eccellenza e che partisse dal sud. Volevo far conoscere le mie idee, quanti avrebbero portato la loro testimonianza ma anche e soprattutto un territorio».

E quel nome, Cultural, così ruffiano, da dove arriva?

«Facile… è la contrazione di due parole, cultura e alimentare. Volevo poi che fosse internazionale e così da Cultura Alimentare siamo arrivati a Cultural. Non ho intenzione di fermarmi qui!».

L’edizione di quest’anno come è andata?

«Il bilancio è super positivo nonostante ci sia ancora tanto da fare. L’organizzazione di un simile evento è più complessa di quanto si possa pensare, la squadra che vi lavora è piccola ed è dura “tenerla in piedi” tutto l’anno, soprattutto conside-rando che non disponiamo di nessuna agevolazione europea o locale. In questo

“piccolo” evento tutto è autofinanziato:

lo definisco piccolo ma quest’anno vi hanno partecipato quasi 100 aziende e altrettanti ospiti. Sono soddisfatto e

una buona fetta di merito va anche alla location utilizzata che mi ha permesso di fare l’80% di quello che era Cultural nella mia testa».

Sta parlando del Mulino Alvino.

«Si, lo storico pastificio, importante esempio di restauro e di rigenerazione urbana di un’area degradata. Una corag-giosa iniziativa imprenditoriale di Nicola

Benedetto su un progetto di Leonardo Ridola di quello che era un opificio a vapore con mulino per la produzione di pasta e pane».

Perché niente finanziamenti pubblici per Cultural?

«Lo state chiedendo alla persona sba-gliata. Ogni anno busso alle porte della Regione Basilicata, del Comune di

Ma-Mauro Bochicchio

Ristoranti / Biodiversità

tera, dell’Assessorato all’Agricoltura e la risposta è sempre la stessa… e pensare che il tema di quest’anno era la salva-guardia del Mediterraneo. Per rispondere alla sua domanda, credo che non essendo Cultural un evento politico, capace di portare voti, non sia stato preso in con-siderazione. Ma siamo certi che con forza e tenacia ci conquisteremo nel tempo un posto importante, anche perché al territorio, Cultural ha portato tanto e a dirlo non è Mauro Bochicchio ma una serie infinite di testimonianze dirette».

Cultural però non è stato solo cibo.

«È stato forse soprattutto cibo ma anche mostre fotografiche, installazioni artisti-che e numeri, importanti, reali. Parliamo di oltre 5.000 presenze in tre giorni, las-so di tempo in cui las-sono stati distribuiti 6.000 pasti. Parliamo poi di una attenta selezione di oltre 200 etichette di vini:

finalmente prende piede quello che vole-vo fosse Cultural, partito nel 2016 con 15 produttori e 20 ospiti. I numeri ci danno ragione, il festival cresce e sono felice di essere riuscito a coinvolgere tante aziende locali».

I protagonisti, come li ha scelti?

«Sono partito dagli attori locali, volevo far conoscere il loro operato a quanti sarebbero arrivati da fuori, dall’estero.

Volevo creare dei collegamenti, dar vita a degli scambi capaci di far crescere en-trambi gli interlocutori ma non mi sono fermato ai local».

Il prossimo appuntamento quando sarà?

«Sto valutando la data insieme al mio staff. Di solito l’edizione italiana si svol-geva a ottobre, quella francese a marzo/

aprile. Quest’anno abbiamo voluto fare una prova, anticipandola a luglio. La decisione non è presa ma in testa c’è la volontà di creare, come fatto quest’anno con l’area del vino, e le 200 etichette coinvolte, un’area, capace di farsi pun-to di riferimenpun-to per i maestri casari.

Voglio parlare di formaggio, voglio farlo dal profondo sud e so bene che per farlo devo stare lontano dalle temperature alte, poco favorevoli alle materie prime in questione. Potremmo anticipare a giugno… vedremo!».

Cosa l’ha colpito dell’edizione di quest’anno?

«Su tutti un ragazzo che è un talento indiscusso, Michelangelo Mammoliti.

Nessuno come lui ha centrato in pieno il tema dell’edizione di quest’anno. Ha attraversato l’Italia portandosi dietro 60 varietà diverse di pomodori che col-tiva nel suo orto a La Madernassa. Ha capito tutto, contrariamente a quanti hanno preso il nostro invito sottogam-ba, pensando che bastasse presenziare.

Poi mi ha profondamente colpito anche Giovanni Aiello con la sua passione per il vino, finito di recente su Forbes per il suo lavoro; Armatore, con la sua colatura di alici di Cetara, una delle particolarità della costa, parliamo di una azienda che si è fatta ambasciatrice della città di Ce-tara, per non parlare del riso Acquerello, il primo Carnaroli invecchiato, l’unico reintegrato con la propria gemma. Dif-ficile fare solo un nome…».

La cucina italiana come sta?

«Credo bene, sorrido se penso a quanto vi sconvolgerà il tema della prossima

edi-zione di Cultural. Mi piacerebbe che gli chef anziché stare così tanto sui media e sui social riuscissero prima a riempire i loro ristoranti. Ecco cosa manca oggi

alla cucina gourmet italiana:

facciamo tanta ricerca, siamo bravi a valorizzare i prodotti ma spesso quando entro in un ristorante blasonato lo trovo vuoto e questo non va bene.

Dovremmo fermarci e fare in-torno a questo pensiero delle riflessioni per capire cosa cor-reggere, se il nostro pubblico può permettersi di sedersi al nostro tavolo. Ci tengo a farvi

un esempio su tutti, quello della Stella Michelin Quintessenza di Trani: sono 4 fratelli che riempiono un locale, di giovani, grazie a dei menù non ecces-sivamente costosi. Ho capito che era possibile immaginare un nuovo corso per la cucina gourmet: era possibile aprire le porte degli stellati anche a un pubblico meno facoltoso. Capisci che altrimenti te la canti e te la suoni nel giardino di casa tua?».

Quindi è un problema di prezzo se i

ristoranti sono vuoti?

«Si, è un problema di prezzo. Non si può uscire tutte le sere e spendere dalle 180 euro a testa in su. Il nostro paese, l’Italia, non vive un momento fiorente e la pri-ma cosa che tagli sono le uscite fuori la sera a cena. Se invece di avere due tavoli da due e fare 600 euro di incasso, certi ristoranti abbassassero il prezzo, mante-nendo la qualità e portassero a casa un tavolo in più non sarebbe meglio? Non capisco poi che ci fanno in certe cucine dieci ragazzi! Me lo devono spiegare… il problema è legato anche a questo. Ep-pure sono sempre lì i ristoratori, pronti a chiederti se hai qualcuno da mandargli in cucina o in sala. E magari di quei ragazzi non ne pagano neppure uno! Basterebbe avere l’umiltà di fare un passo indietro e non pensare che tutto sia dovu-to solo perché qualcuno ti ha cucito una stella rossa sul petto.

Ogni chef che cucinare di più, non farsi abbin-dolare dalla Tv che promette di trasformarli in delle star. Capite che il problema in Italia è il sistema? In Francia se non fai i numeri chiudi. Non sopravvivi».

Dov’è allora il cortocircuito?

«Conosco Parigi più che la Francia e in Francia ci sono 24 milioni di turisti con-centrati però in una città, dove le attività ristorative sono per forza di cose abba-stanza fortunate. Fino a qualche anno fa il 70% dell’economia mondiale passava da Parigi, tutti i manager erano lì, il potere di quella città era diverso. In Italia ma-gari a cena fai 20 coperti ma a pranzo ne

conti due o tre. Così non può funzionare, perché non c’è business. E se non fatturi non paghi i fornitori, brutta abitudine di tanti chef, anche di tanti nomi eccellenti che non ti aspetteresti mai di trovare in quella lista nera. Ripeto… facciamo un passo indietro e se non possiamo man-tenere più la Ferrari, meglio cambiare stile di vita, tenerla in garage servirebbe a poco se non posso permettermi neppure di fare il pieno».

Quindi nella prossima edizione di Cul-tural intende lasciare il segno.

«Darò spazio alle trattorie, quelle serie.

Ho vissuto per lungo tempo in Piemonte, mangiando bene con 40 euro, ricordo come tornavo a casa felice e sazio. Diamo la possibilità di mangiare alla gente, a prezzi non impossibili e ricordate che al sud tanto è ancora da costruire e da que-sto discorso tengo fuori, per ovvi motivi, l’isola felice che è la Costiera Amalfitana».

Capitolo Stelle Michelin. Nulla più della guida rossa regala tante gioie e tanti patimenti agli chef.

«È un tema molto sentito in Italia e non solo, è un’arma a doppio taglio, alla quale tutti ambiscono, anche se nell’ultimo pe-riodo in tanti preferiscono non pensarci.

Chi ha la capacità, la voglia e la costanza ambisce alla stella perché porta fatturato se riesci a far girare nel modo giusto il ristorante. Penso a un nome su tutti, a Piazzetta Milù: li conosco da sei anni, ho seguito i loro eventi ma dopo la stella tutto è cambiato, in meglio. Chiaramente non puoi passare da un menù a 60 euro a uno a 150 euro perché altrimenti ti bruci, a meno che tu non sia Camanini, ma lui è un genio. Il negativo della stella è che una volta presa, devi mantenerla, insieme al livello alto che ti ha permesso di conqui-starla. Non puoi sbagliare, pensate a chi in Francia per una stella persa si è tolto la vita. Oggi i cugini d’Oltralpe scelgono di ridarle indietro per la troppa pressione che si fa malattia. In Italia rispetto alla Francia c’è più individualismo e questo non sempre è un bene. La conoscenza va passata, non serve voltare le spalle». • Michelangelo Mammoliti

territorio ma volge anche lo sguardo ver-so nuovi e interessanti orizzonti culinari, sia terragni sia marinari”.

Per scoprire le delizie dello chef Filip-po basta sedersi ai tavoli del ristorante dove vengono serviti con educazione e professionalità dal maitre Nedo Marzi, dal sommelier Ibai Iatarola, che propone interessanti proposte con abbinamenti a 45 euro (Iniziando), 65 (Secret Cellar) e 85 (15 anni di studio) ed Elena Andriciuc interessanti proposte culinarie a base di prodotti a km zero.

“Mangiare al Mater deve essere una pia-cevole esperienza e per questo motivo andiamo sempre alla ricerca di materie prime di qualità che vogliamo esaltare con cotture adeguate e giusti abbina-menti – prosegue Filippo – la nostra pro-posta, oltre che alla carta, si articolata su tre menu degustazione: La nostra terra (65 euro), Esplorare (75 euro – percorso gastronomico di 12 portate di cui due e un dessert a scelta dalla carta), Appro-fondire (85 euro percorso gastronomico di 15 portate di cui tre e un dessert a scelta dalla carta). Alla base di molti nostri piatti eccellenze che acquistiamo direttamente da artigiani del territorio, come la Chianina di Simone Fracassi, i volatili di Laura Peri, i formaggi De Magi o il fagiolo zolfino del Pratomagno”.

Una cucina che è riuscita a tradurre nel linguaggio di questo splendido pae-saggio toscano nuove tentazioni, nuovi accostamenti alla riscoperta di sapori autentici, come si evince assaggiando le Cappesante, burro bianco alle mele, midollo di bue, zenzero e finger lime, gli Agnolotti di Chianina e Grigio del Casen-tino ‘Simone Fracassi’ e salsa di coda, gli Spaghetti Mancini, pesto di pistacchio,

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