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resilienza dell’edilizia speciale antica

II.II La Curva: strumento di riconoscibilità e forma / memoria

Negli studi di morfologia urbana, nonostante la parola significhi a livello etimologico “studio della forma fisica”, difficilmente ci si imbatte in studi sul valore che questa ha nello spazio. Le caratteristiche geometriche di una forma urbana, ovvero il modo in cui riconosciamo l’aspetto visibile di una struttura e come si “manifesta” all’interno del costruito possono essere uno strumento alternativo e complementare agli studi tipologico-processuali. Come si è accennato tutte le forme urbane che verranno prese in esame derivano da un sostrato archeologico caratterizzato dall’elemento geometrico della curva. Kandinsky, all’interno della sua ricerca dedita all’astrazione della realtà, intrapresa durante gli anni del Bauhaus, cerca di esplicitare il motivo per il quale la curva cela in sé una maggiore resistenza. Resistenza che ha permesso nella lettura delle forme urbane in esame di riconoscere spesso a prima vista il permanere dell’elemento della cavea attraverso la facciata curvilinea. Secondo l’artista “la differenza interna con la retta è data dal numero e dal tipo di tensioni” che ne fanno una figura geometrica più matura

rispetto a questa anche per la scomparsa dell’angolo7.

In oltre in questa antitesi tra “coppie di linee originarie- antitetiche”, se la retta è una piena negazione della superficie, la curva ne contiene in sé un nucleo: da essa deriva infatti il cerchio, ovvero la superficie al contempo 7 “Scompare l’elemento penetrante dell’angolo, ma nella curva è racchiusa una forza ancora maggiore che, pur essendo meno aggressiva, cela in sé una maggiore resistenza. Nell’angolo c’è qualcosa di sconsideratamente giovanile, nella curva un’energia matura, giustamente cosciente di se stessa”. W. Kandinsky, Punto, linea, superficie. Contributo all’analisi degli elementi pittorici, Adelphi edizioni, Milano, 2017, pag. 86.

più instabile e stabile tra quelle euclidee8. Superficie che diviene il sedime delle trasformazioni oggetto della ricerca. Michael Leyton rafforza il concetto di maturità della curva, superando la geometria euclidea, all’interno della sua grammatica-processuale per la forma: descrive la curvatura come un “dispositivo di memoria” affermando come una grande quantità di memoria possa essere conservata in un particolare tipo di asimmetria: “la curvatura estrema di una forma”9.

Normalmente la struttura lineare viene considerata quella con il più alto grado di ripetibilità e serialità, ma non è così. Se analizziamo la curva, in maniera potenziale, e in particolare la forma circolare, è evidente che la modularità degli spazi radiali e cuneiformi possiede il massimo grado di serialità e ritmicità perché richiudendosi su se stessa è più solidale di quella lineare poiché ogni elemento ha lo stesso valore rispetto a quello adiacente, susseguente e precedente, mentre in quella lineare i moduli d’angolo hanno un valore diverso rispetto agli altri, sia per la posizione che per lo scarico delle forze agenti.

L’anfiteatro, deformazione del circolo, risulta così l’opera architettonica con il massimo grado di organicità in cui il sistema vitruviano delle sei categorie architettoniche dell’ ordinatio, dispositio, eurythmia, symmetria, decor e distributio presentano un rapporto solidale che non può essere sciolto all’interno della conclusività formale e di intento se non mettendo in crisi la sua funzione. Funzione che è il dato primo della memoria della forma: la linea cerca di chiudersi su se stessa per accogliere lo spettatore 8 “Mentre la retta è una piena negazione della superficie , la curva invece, contiene in sé un nucleo della superficie. Se le due forze, restando costanti, fanno procedere il punto in avanti, la curva nascente ritornerà, prima o poi, al suo punto di origine. Principio e fine rifluiscono l’uno nell’altra e scompaiono nel medesimo instante senza lasciar traccia. Ne deriva la più instabile, e, a un tempo la più stabile superficie – il cerchio”. ”. W. Kandinsky, Punto, linea, superficie. Contributo all’analisi degli elementi pittorici, Adelphi edizioni, Milano, 2017, pag. 87.

9 Micheal Leyton, La forma come memoria. Una teoria geometrica dell’architettura, Edilstampa, Roma, 2009, pag. 25.

e permettere un punto di vista sempre radiocentrico all’interno della struttura ludico-scenica.

Conclusività della curva: forma e recinto

La curva è portatrice dunque della caratteristica geometrica di generare superficie e del principio di conclusività che nella circonferenza – o in una sua deformazione come l’ellissi - trova una forma perfettamente raccolta, conclusa, ed è riconducibile ad una delle “strutture tipiche elementari”10: il recinto11.

Isolando gli attributi che le forme urbane in esame hanno sviluppato nel tempo è possibile risalire ai caratteri originali, ovvero alle radici dei tipi edilizi identificabili nelle azioni di appropriazione dello spazio e protezione di esso. Il recinto secondo Giuseppe Strappa coincide

con il livello minimo di tipicità12, ovvero “l’identificazione

dei caratteri più generabili riferibili all’universo di tutti i tipi edilizi, come il riconoscimento delle forme primarie dell’atto costruttivo che precedono la formazione dei tipi edilizi, generate nella primissima fase del processo

di antropizzazione del territorio”13. Si può parlare di

un processo di antropizzazione del territorio anche per l’occupazione di queste forme di sostrato in quanto l’uomo medievale si trovò di fronte a rovine divenute spesso

delle topografie naturali14 in cui persistevano i caratteri

10 Cfr. G. Strappa, Unità dell’organismo architettonico. Note sulla formazione e trasformazione dei caratteri degli edifici, Edizioni Dedalo, Bari, 1995, pag. 77 e succ.

11 “Il recinto può essere definito come il risultato dell’atto di avvolgere con una struttura continua una porzione limitata di territorio, di terreno, di superficie muraria”. Ivi. Pag. 80.

12 Per livello di tipicità di un edificio si intende “la quantità di attributi aventi caratteri comuni (distinguendoli così da gruppi di altri edifici affini) e definendo quindi come livello di tipicità massimo quello che si identifica con un solo edificio”. Ivi. Pag. 77.

13 Ibid.

14 Si fa riferimento ai Montes romani: colline artificiali derivanti da accumulo e sedimentazione al cui interno si celavano i resti di costruzioni romane spesso dimenticate ma che continuavano a influenzare la topografia.

fondamentali della recinzione, del limite esterno ed interno.

Per desumere questa struttura tettonica primaria è necessario un processo di astrazione che arrivi sino ad individuare le forme simboliche originali che non sono rintracciabili allo “stato puro” poiché possiedono il massimo grado di significato universale che non è immediatamente visibile nella realtà della città sedimentata ma desumibile attraverso la lettura delle sue parti.

Interessante il parallelo che Strappa fa con i simboli delle scritture ideogrammatiche: gli antichi egizi della I e II dinastia rappresentavano la parola “città” attraverso due passaggi logici successivi in cui la città coincide con la figura della circonferenza. La circonferenza/recinto racchiude poi la cellula elementare della casa orientata secondo i percorsi.

Il recinto è dunque appropriazione dello spazio, associabile all’azione dell’occupare già individuata nel primo capitolo; la forza di questa forma tipica elementare sta nell’essere anteriore alla forma degli stessi tipi edilizi. Se attraverso Muratori le forme urbane di sostrato in esame appartengono alla categoria delle forme coesive/ unitarie e, nel nostro caso, la curva e la circonferenza sono le forme matrici, è conseguenza che il loro principio generatore, l’essere recinto, sia l’idea di legame a cui seguono i termini di centro e nodo, base del sostrato seriale e ritmico della domus. Il recinto, la perimetrazione di una parte appartenente ad un unità, è così “conclusione” e presente ad ogni scala dell’operare antropico: dalla cornice di un quadro che ne definisce il limite nello spazio, alle mura di una città: limite di un microcosmo. È esclusione e inclusione, è sperimentazione dello spazio concluso.

Indizi di Sostrato: toponomastica

Nell’introduzione è accennato come la linguistica sia una tematica importante per la comprensione del tema e la

Rappresentazioni della parola città (il circolo) e della casa (il recinto) per gli antichi Egizi. Da G. Strappa in “Unità dell’organismo architettonico”. Fig.5

circoscrizione della ricerca. All’interno della disciplina inoltre è possibile individuare uno strumento conoscitivo che ci permetta di localizzare le grandi strutture ludico- sceniche romane anche se assorbite dalle trasformazioni urbane sino a perdere, ad un primo sguardo, la propria riconoscibilità formale: la toponomastica.

Il toponimo - dal greco τόπος, tòpos, “luogo”,

e oνομα, ònoma, “nome” - è il nome proprio di un luogo geografico. Il suo studio, la toponomastica, rientra nella categoria più vasta dell’onomastica, ovvero lo studio del significato e dell’origine di un nome proprio15. Attraverso il significato e l’etimo del nome di un luogo è possibile risalire al suo ritratto storico e ai sui mutamenti socio-economici: è uno strumento non solo di lettura della realtà ma permette anche di interpretarla e definire il rapporto tra l’uomo e il suo territorio in una dato lasso di tempo. La toponomastica così ci ha permesso spesso di individuare facilmente le strutture in esame all’interno del contesto urbano e suburbano ancor prima di una lettura sistematica dell’iconografia e della cartografia storica, riconsegnandoci il valore che il sostrato presenta nel linguaggio e nella memoria collettiva. Il caso più evidente è quello legato alla riconoscibilità degli anfiteatri romani che permette oltre che l’individuazione delle strutture all’interno o meno del tessuto medievale e moderno anche una prima categorizzazione inerente l’area culturale in cui si trovano.

Tra i toponimi più comunemente attestati è possibile individuare in ordine decrescente “perlascio”, “arena” e “colosseo” e a seguire diversi più propriamente locali.

15 All’interno della classificazione dei Toponimi si fa riferimento agli odonimi (dal greco hodós ‹via›, ‘strada’, e onomastikòs, ‘atto a denominare’) ovvero all’insieme dei nome delle strade, delle piazze e delle vie di comunicazione. Per chiarezza si fa riferimento a: A. Zamboni, I nomi di luogo, in Storia della lingua italiana, II. Scritto e parlato, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone, Torino, Einaudi, 1994 pp. 859–878

Dalla toponomastica è possibile desumere uno strumento di riconoscimento delle strutture accentrate “consumate” e suddividere la loro presenza in tre aree diverse. Fig.6

I diversi termini permettono di eseguire una prima rappresentazione grafica in cui l’uso di ognuno appartiene ad una determinata area geografica e culturale della penisola italica e le sovrapposizioni esistenti rappresentano aree critiche di scambi sia economici che sociali. Attraverso la documentazione medievale è possibile evincere che il termine “arena” è stato usato per denominare gli anfiteatri delle città settentrionali come Milano, Verona, Pola, Aquileia, Padova, Bergamo, Luni, etc. Con “colosseo” invece si evincono gli edifici tra Lazio e Campania che hanno mantenuto la loro integrità formale nella veste di rovina e monumento; archeologie visibili come Pozzuoli, Cassino e Minturno16 oltre che il caso più emblematico del Colosseo romano che nonostante riusi e terremoti non ha mai perso il suo ruolo di vestigia dell’antichità.

Nel centro Italia il toponimo “perlascio”, derivazione del termine latino perilasium, ha subito numerose variazioni tra cui perlagio, perlasci, parlassi, perlasium, pierlascio e perolascio e dal VIII secolo ha sempre indicato il topos in cui sorgeva un anfiteatro e mai erroneamente un teatro, un odeon o un edificio con esedre. Le principali città del centro Italia in cui si attesta l’uso di questo termine sono Arezzo, Lucca, Firenze, Pisa, Rieti - l’uso del toponimo è qui documentato dal 791 d. c. -, Assisi, Amelia, Gubbio, Ubisaglia; fa indubbiamente riflettere il fatto che si tratti di un’area culturale di influenza etrusca. Non sono però da escludere i casi settentrionali in cui è attestato l’uso di “perlascio” nelle città di Bergamo, Cremona, Ivrea e Trieste mentre nell’area meridionale della penisola sono certi i casi in cui il termine latino perilasium si sia modificato nelle variazioni di burlasco, verlasco, virilasci e berolassi in città come Capua, Lecce, Minturno, Atina, Formia, Cassino, Venafro e Termini imerese.

16 Diversi i casi di Pollenzo e Venafro dove nonostante l’uso del termine “coliseu” si è persa traccia della loro condizione di monumento all’interno del tessuto urbano.

II.III Città, oggetto, recinto. Le strutture speciali e