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3.3 Definizione quantitativa del rischio

3.3.2 Curve di rischio

Si ipotizza che nella tabella 2.1 gli scenari siano stati disposti in ordine crescente di gravità di danno. Vale a dire che i danni x seguono la seguente i

relazione:

x1 ≤ x2 ≤ x3 ≤ … ≤ xn

Aggiungendo alla tabella 1.1 una quarta colonna che indica la probabilità cumulativa, che si ottiene sommando dal fondo, si costruisce la tabella 3.2:

Scenario Probabilità Conseguenza Probabilità cumulativa S1 p1 x1 p1 = p2 + p1 S2 p2 x2 p2 = p3 + p2 . . . . . . . . Si pi xi pi = pi+1 + pi . . . . . . . . Sn-1 Pn-1 xn-1 pn-1 = pn + pn-1 Sn pn xn pn = pn

Tabella 3.2: elenco degli scenari con Probabilità Cumulativa

Plottando poi le coppie di punti <x , pi i > si può ottenere una funzione discendente “a scala”. E’ importante notare che quelli che sono stati definiti “scenari”, già a partire dalla tabella 2.1, sono in realtà delle categorie di scenario. Per esempio lo scenario “rottura di una tubatura” comprende un’intera categoria di diversi tipi, e dimensioni, di rotture, che potrebbero essere previste, ciascuna con i danni conseguenti “x” diversi (le categorie di scenario devono, fra l’altro, essere scelte in maniera da escludersi a vicenda, ed in modo che lo stesso evento non venga visualizzato in più di una categoria).

Quindi si può considerare la funzione “a scala” come un’approssimazione discreta di una curva che in realtà è continua. Pertanto, se si traccia una curva R(x), che approssima la funzione “a scala”, si può ritenere che questa curva rappresenti il rischio effettivo. Viene così definita “curva di rischio”, ed un esempio è riportato in figura 3.2 (S. Kaplan e B. J. Garrick, 1980).

Figura 3.2: Esempio di una curva di rischio.

La curva di rischio esprime, quindi, la probabilità di accadimento di un certo evento, o incidente, che presenta una determinata magnitudo.

E’ possibile confrontare curve di rischio diverse, relative ad un generico “sistema”: le curve rappresentano le linee di uguale rischio, ottenuto da diverse probabilità e magnitudo, e sono parametrizzate in funzione di un certo valore di rischio.

La figura 3.3 (S. Canale, 1998) mette in evidenza che se si è valutato di essere in presenza del rischio RA =pA⋅xA, si può decidere di ridurre questo rischio al valore RB =pC⋅xC, oppure RB =pO⋅xO; in altre parole si può cercare di diminuire la probabilità o la magnitudo, o, possibilmente, entrambi.

Figura 3.3: curve di rischio relative ad un generico “sistema”.

Per poter assegnare un valore all’indice di rischio correlato ad un determinato incidente è evidente, ancora una volta, che è fondamentale conoscere la frequenza stimata dell’incidente stesso e la magnitudo delle sue conseguenze (nell’esempio viene espressa in termini di vittime).

Le curve di rischio possono essere riportate anche in scala bilogaritmica, la quale determina la caratteristica forma concava verso il basso. In questo caso gli asintoti, come mostrato nella figura 3.4, sono l’interpretazione del “massimo danno possibile” e della “ probabilità massima raggiungibile”.

3.3.2.1 Danni multidimensionali

In molte applicazioni è opportuno identificare diversi tipi di danno, ad esempio, la perdita di vite umane e di beni materiali. In questi casi, il danno, x, può essere considerato come una quantità vettoriale, o multidimensionale, piuttosto che un singolo numero scalare. La curva di rischio diventa così una superficie di rischio su uno spazio multidimensionale (figura 3.5).

Figura 3.5: Superficie di rischio nel caso di danni multidimensionali.

Un esempio di superficie di rischio, presentato in forma di tabella, è mostrato nella tabella 3.3, presa, a titolo di esempio, da un rapporto sul trasporto, ferroviario, di combustibile nucleare esaurito (B. J. Garrick e S. Kaplan, 1980). Numero di persone Dose (mr) N/D 1 10 102 103 104 105 1 1,17 x 10-5 1,17 x 10-5 1,17 x 10-5 1,16 x 10-5 9,00 x 10-6 4,24 x 10-6 10 1,17 x 10-5 1,17 x 10-5 1,15 x 10-5 8,90 x 10-6 4,54 x 10-6 1,79 x 10-6 102 1,17 x 10-5 1,17 x 10-5 8,65 x 10-6 5,05 x 10-6 1,03 x 10-6 5,45 x 10-7 103 1,17 x 10-5 1,14 x 10-5 6,05 x 10-6 2,63 x 10-6 6,95 x 10-7 1,50 x 10-7 104 1,03 x 10-5 7,40 x 10-6 3,60 x 10-6 1,24 x 10-6 2,96 x 10-7 1,64 x 10-8 105 8,45x 10-6 5,95 x 10-6 2,31 x 10-6 6,70x 10-7 1,14 x 10-7 2,85 x10-10

Questa tabella in ogni sua casella elenca le probabilità che le N o più persone ricevano una dose di D mr, o più, a causa di una spedizione di combustibile.

3.3.3 “Probabilità di frequenza”

Chiamiamo “frequenza” ciò che viene trattato dagli oggettivisti, o frequentisti, mentre chiamiamo “probabilità” ciò che viene trattato dai soggettivisti. Quindi il termine “probabilità” rappresenta una misura numerica di uno stato di conoscenza, un certo grado di convinzione, uno stato di fiducia. “Frequenza”, dall’altro lato, fa riferimento al risultato di qualche tipo di esperimento che prevede ripetute prove.

Detto questo, esistono due modi per descrivere il lancio di alcune monete, che corrispondono a due diverse domande. Infatti in primo luogo, ci si potrebbe chiedere: “Qual è la probabilità di avere testa nel prossimo lancio?”. In alternativa ci si potrebbe chiedere: “ Lancerò la moneta 10.000 volte. Qual è la frequenza, e cioè la percentuale, con la quale avrò testa?”.

Nel primo caso dobbiamo semplicemente rispondere con un numero che rappresenta la nostra aspettativa di avere testa nel prossimo lancio, come per esempio il rischio che si prende con una scommessa.

Nel secondo caso invece, ci viene chiesto di prevedere il risultato, Φ, di un esperimento che verrà eseguito in futuro. Dal momento che, ovviamente, non conosciamo questo risultato, esprimiamo la nostra previsione sottoforma di una curva di probabilità rispetto alla frequenza, come rappresentato dalla figura 3.6.

Figura 3.6: curva di probabilità di frequenza.

Pertanto, nel secondo caso, siamo portati alla nozione di curva di probabilità di frequenza, per esprimere il nostro stato di conoscenza (S. Kaplan e B. J. Garrick, 1980).

Tornando al lancio delle monete, si può notare che la risposta alla prima domanda si può ricavare dalla risposta alla seconda. Per cui, dopo aver ottenuto la curva di probabilità di frequenza, p(Φ), è possibile esprimere la probabilità di avere testa al prossimo lancio, attraverso la seguente relazione:

10

0

p(testa)=

∫φ⋅p( ) dφ

φ

Quindi è evidente che il secondo caso comprende il primo. D’altra parte non si può dire il contrario, e pertanto, il secondo metodo coinvolge una più ampia e più completa discussione del problema.