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VCE: esplosione di una nube infiammabile

5.2 Principali scenari incidentali che possono avere

5.2.2 VCE: esplosione di una nube infiammabile

VCE è l’acronimo di “Vapour Cloud Explosion”, e rappresenta un’esplosione di una nube contenente una miscela infiammabile di gas/vapore ed aria. Se la deflagrazione si verifica in una zona sconfinata, priva di ostacoli, è possibile utilizzare l’abbreviazione UVCE dove “U” indica il termine “Unconfined”, ovvero “sconfinato”.

Lo sviluppo di un VCE richiede che i vapori dei prodotti infiammabili si mescolino con l’aria in modo da formare una miscela compresa tra il L.F.L. (Limite Infiammabile Inferiore) e il U.F.L. (Limite Infiammabile Superiore) in un volume significativo.

Gli effetti del VCE sono principalmente:

• effetti meccanici: risultano dalle onde di pressione prodotte dalle esplosioni;

• effetti di riscaldamento: prodotti dalle fiamme che derivano sempre dalle esplosioni.

Questi ultimi, in genere, non sono molto importanti nel caso di un VCE, in quanto la fiamma è molto breve e solo alcuni materiali subiscono tale effetto essendo direttamente a contatto con i gas dell’esplosione.

Al contrario, alcuni effetti meccanici possono essere osservati anche a grande distanza dal luogo dell’incidente. Tali effetti si ottengono dal lavoro delle forze di compressione. Questo lavoro è omogeneo all’energia connessa con quella chimica rilasciata dalle fiamme dell’esplosione. Quest’ultima energia sarà tanto più elevata quanto maggiore sarà la quantità di prodotto infiammabile coinvolto nell’incidente. Risulta evidente, quindi, che gli effetti meccanici di un VCE, fissati tutti gli altri parametri, rappresentano una funzione crescente del volume V (o della massa M) del prodotto.

5.2.2.1 Modello del “TNT equivalente”

Il principio di questo modello consiste nel confrontare la massa (M) dei gas infiammabili in esame, presumibilmente rilasciata in maniera tale da far

verificare un VCE, con la massa (M’) di TNT (trinitrotoluene), la cui esplosione produrrebbe gli stessi effetti.

Per quanto concerne le esplosioni, il fenomeno che porta alla detonazione di esplosivi è infatti ben noto:

• genera nell’aria un’onda d’urto che è caratterizzata da un fronte positivo di sovrappressione, seguita da una più lenta riduzione che porta ad una pressione inferiore rispetto a quella atmosferica ed infine un ritorno alla normalità;

• la legge di attenuazione di quest’onda di pressione è chiaramente stabilita;

• gli effetti meccanici di un’onda d’urto sulle persone e sulle strutture sono ben noti.

Per i 23 VCE segnalati in tutto il mondo, a partire dal 1948, che hanno coinvolto quantità note di idrocarburo o altro, il professor Andre Lannoy, nella relazione chiamata “Analyse des explosions air-hydrocarbure en milieu libre”, ha analizzato l’ammontare del danno prodotto ed ha assegnato ad esso un equivalente di TNT cioè una massa di TNT la cui detonazione avrebbe prodotto un danno equivalente.

Conoscendo la legge di attenuazione della sovrappressione nell’aria in relazione con la distanza dal centro dell’esplosione e con una stima dei danni prevedibili in relazione al valore di questa sovrappressione, è quindi possibile valutare in modo molto semplice il danno prodotto da un VCE in un determinato punto conoscendo solamente la massa del prodotto che esplode. Esiste anche la possibilità, se necessario, di effettuare il calcolo inverso.

Tuttavia, i limiti di questo modello sono molteplici:

• la modalità di esplosione di un VCE, generalmente, non è la detonazione;

• la detonazione di una miscela di gas è diversa da quella di un esplosivo e questo è dovuto alla differenza di densità tra questi due sistemi. Infatti, considerando la medesima energia la miscela di gas occupa un volume molto più grande rispetto all’esplosivo e la propagazione della fiamma dura più a lungo;

• per un esplosivo l’attenuazione di un’onda d’urto nell’aria si ottiene da una riduzione del picco e dell’allungamento della fase positiva di sovrappressione. L’onda di pressione prodotta da una detonazione di gas può essere considerata simile a quella prodotta da un esplosivo solo al di là di una certa distanza dal centro dell’esplosione.

Queste differenze si ottengono introducendo i concetti di “near field” e “far field”. Rispetto al caso di una detonazione di esplosivo, in ogni punto del cosiddetto “near field” (vicino al centro di esplosione del gas) è possibile registrare un segnale di pressione caratterizzato da una sovrappressione con un picco relativamente limitato ed una durata relativamente lunga della fase positiva.

In questo quadro è difficile definire il limite tra i due campi: il “near field” corrisponde almeno a tutte le zone in cui la miscela infiammabile era inizialmente presente ed a tutte quelle in cui si troveranno i gas bruciati a conclusione del fenomeno.

In ogni caso questo modello può essere considerato come un possibile strumento per la valutazione degli effetti di un VCE solo nel “far field”. Tuttavia, presenta comunque un grande svantaggio: il suo utilizzo presuppone che la miscela esploda violentemente producendo un’onda d’urto simile a quella prodotta da una detonazione di esplosivo; il problema consiste nel fatto che è stato dimostrato che una miscela può esplodere molto poco e produrre un’onda di pressione con picco molto limitato.

5.2.2.2 Modello “Multy - Energy”

I modelli in grado di valutare con maggiore precisione gli effetti di un VCE devono descrivere il fenomeno della propagazione della fiamma in una miscela di gas, ovvero il fenomeno della deflagrazione.

Il modello definito “Multy-energy” è stato elaborato da Van Den Berg. Si basa sull’idea che, contrariamente alla detonazione del TNT, la velocità di propagazione della fiamma di un VCE e quindi il livello di pressione raggiunto, dipende dal livello di ostruzione e contenimento in ogni zona della miscela infiammabile.

Ogni zona è quindi caratterizzata da un’onda di pressione a cui viene associato un certo grado di violenza da “1” a “10” che rappresenta una funzione:

• della reattività del gas in questione;

• del livello di contenimento o di ostruzione della zona in questione; • della configurazione della miscela.

Pertanto, il metodo consiste nel valutare la sovrappressione prodotta in ogni zona, a partire da abachi, che vengono scelti in base al grado di violenza dell’esplosione. Quest’ultima viene definita attraverso il modello di deflagrazione a velocità costante.

Un vantaggio di questo metodo sta nel fatto che è utilizzabile sia nel “near field” che nel “far field”. D’altra parte il modello si ottiene valutando il livello di pressione raggiunto a seconda dello stato di contenimento o di ostruzione della miscela e questo rappresenta il suo svantaggio principale.

La procedura di valutazione degli effetti delle esplosioni viene svolta in due fasi.

La prima consiste nel modellare la dispersione dei prodotti derivanti dalla rottura, in modo da stimare:

• la massa del prodotto corrispondente ad una concentrazione compresa tra i limiti di infiammabilità (LFL e UFL);

• la distanza a cui la nube si trova considerando una concentrazione pari a LFL ed un rilascio sotto vento.

La seconda consiste nel valutare gli effetti della pressione generata dalla deflagrazione di tali quantitativi.