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Il d.P.R 11 luglio 1980, n 382: la sperimentazione organizzativa.

3. La Costituzione e l’autonomia universitaria.

3.1. Il d.P.R 11 luglio 1980, n 382: la sperimentazione organizzativa.

Un’importante innovazione organizzativa che ha caratterizzato tale fase fu senz’altro quella scaturita dall’istituzione dei dipartimenti, prevista dal d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, da molti considerato come primo punto di svolta nel panorama legislativo in materia di università.

Questo - emanato in attuazione della legge delega 21 febbraio 1980, n. 28 - risultava incentrato, come gran parte della precedente legislazione in materia, sui profili dello stato giuridico del personale docente, prevedendone una profonda e sistematica riforma. Tuttavia, conteneva altresì norme sulla sperimentazione organizzativa e didattica particolarmente innovative, specialmente riferite all'adozione del metodo della programmazione nello sviluppo delle università; alla previsione di una nuova disciplina contabile; alla ricerca scientifica quale funzione che caratterizza l'attività stessa delle università, cui devono essere destinati specifici finanziamenti e il cui svolgimento da parte dei docenti va necessariamente previsto accanto alla attività didattica; alla creazione dei dipartimenti quali strutture dotate di autonomia amministrativo-contabile con funzioni di promozione e coordinamento dell'attività di ricerca(45).

(45) Più precisamente l’organizzazione in Dipartimenti veniva disposta per le università di nuova istituzione, lasciando invece per le altre tale scelta come facoltativa. Successivamente, di fatto tutte le università, attraverso le Facoltà interessate, hanno costituito Dipartimenti nell’ambito della sperimentazione per promuovere e coordinare l’attività di ricerca. In realtà, come sostenuto da O. SEPE, in Università degli

studi (voce), in Enc. Giur. Treccani, Roma, 1998, p. 11: «Il dipartimento [era] un organismo previsto per risolvere il problema della ricerca associata e degli insegnamenti a carattere pluridisciplinare, impegnando i docenti di discipline affini ad un lavoro comune. Nelle discussioni che si sono svolte per più di un decennio si è più volte proposto di eliminare completamente la facoltà con la creazione di dipartimenti. La soluzione cui si è pervenuti ha carattere compromissorio ma, essendo nella normativa la previsione espressa che le strutture dipartimentali possono essere sperimentate anche limitatamente all’organizzazione di settori determinati dall’università interessata, è da ritenere che il futuro assetto dell’università sarà molto legato ai risultati pratici dell’introduzione dei dipartimenti..[…] Indubbiamente il problema di fondo è connesso ad un

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Gli artt. 83 ss. del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, dettando una disciplina che sarebbe rimasta attuale fino alla recente riforma dell’articolazione interna delle università scaturita dalla legge 30 dicembre 2010, n. 240, prevedevano infatti che le Università potessero organizzare settori di ricerca omogenei ed insegnamenti affini anche afferenti a più facoltà o corsi di laurea in dipartimenti. Questi ultimi, preposti alla promozione e al coordinamento dell’attività di ricerca, andavano costituiti, su proposta della Commissione di Ateneo e previo parere favorevole della facoltà interessata, con deliberazione del Consiglio di Amministrazione di ateneo, poi resa esecutiva dal Rettore.

Al Dipartimento, così come delineato nella riforma del 1980, sarebbero afferiti i professori ed i ricercatori degli insegnamenti e delle attività connesse al medesimo, con facoltà di optare per uno piuttosto che per un altro qualora si fosse presentata la possibilità di inserimento in più dipartimenti.

Per ciascun Dipartimento veniva altresì prevista la facoltà di articolarsi in più sezioni, nonché di disporre di personale tecnico amministrativo e bibliotecario per il suo funzionamento.

Quanto agli organi, l’art. 84 ne configurava la composizione e le funzioni, prevedendo la presenza di un direttore, del consiglio e della giunta.

Il primo doveva essere eletto tra i professori ordinari e straordinari, dai professori di ruolo e dai ricercatori e nominato con decreto rettorale, restando in carica tre anni accademici senza poter essere rieletto consecutivamente più di una volta. A questi era rimessa la rappresentanza della struttura di riferimento, la presidenza del consiglio e della giunta, oltre alla collaborazione per la promozione delle attività del dipartimento, alla vigilanza sul rispetto nell'ambito del dipartimento delle leggi, dello statuto e dei regolamenti; ai rapporti con gli organi accademici, esercitando altresì tutte le altre attribuzioni devolutegli dalle leggi, dallo statuto e dai regolamenti.

mutamento di ottica . Occorre passare dalla logica per facoltà che ha guidato finora l’università, alla logica per dipartimenti».

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Del consiglio di dipartimento dovevano invece far parte tutti i professori ufficiali, gli assistenti di ruolo ad esaurimento ed i ricercatori, insieme ad una rappresentanza del personale non docente e degli studenti iscritti al dottorato di ricerca, con modalità da stabilire.

La giunta, infine, sarebbe stata composta da almeno tre professori ordinari, tre professori associati e due ricercatori, oltre che dal direttore e da un segretario amministrativo, con voto limitato nell'ambito delle singole componenti(46).

Se quindi fino ad allora le riforme del sistema universitario erano state quasi totalmente condizionate e legate a quelle del personale docente, è a partire da questo momento storico che a quest’ultimo aspetto, comunque non messo da parte, si aggiunge e tendenzialmente si sostituisce quello delle trasformazioni strutturali, sebbene si debba attendere la fine degli anni Ottanta per un concreto sviluppo di tali premesse.

La scelta operata dal legislatore della riforma del 1980 è stata così, mantenendo ferma l’autonomia degli atenei nell’individuazione dei contenuti culturali e scientifici, quella di fornire loro la possibilità di sperimentare moduli organizzativi nuovi. In quest’ottica, in riferimento alle funzioni primarie degli atenei, concernenti la ricerca e l'insegnamento, i dipartimenti avrebbero potuto finalmente costituire una forma organizzativa innovativa, in grado di realizzare meglio, rispetto agli istituti e alle facoltà, l'integrazione tra le due funzioni e una riallocazione dei diversi settori tematici di insegnamento.

Ne è seguita ovunque una ristrutturazione degli atenei, che ha rappresentato forse il primo esercizio di autonomia organizzativa sostanziale da parte di essi(47).

La riforma, basandosi principalmente sull’istituzione di queste nuove strutture, era infatti considerata dalla legge come una forma di sperimentazione, in attesa di una più completa svolta autonomistica, a distanza di oltre trenta anni dall'entrata in

(46) Per un’analitica ricostruzione delle caratteristiche dei dipartimenti, così come disciplinati dal d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, si rinvia a N.DANIELE, L’istruzione pubblica, Milano, 2001, p. 220 ss.

(47) Per approfondimenti ulteriori sul ruolo della struttura dipartimentale e sull’incidenza della riforma sull’autonomia universitaria, si v. anche V.ITALIA, Problemi sui dipartimenti delle università, in Studi in

memoria di Vittorio Bachelet, Milano, I, 1987, p. 367 ss.; e D.DI RAGO, Il dipartimento universitario in Italia, in Riv. Giur. Scuola, 1989, p. 505 ss.

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vigore della Costituzione, confermando così l'estrema cautela e incertezza con la quale il sistema universitario si avviava al cambiamento. Accanto ai dipartimenti, inoltre, il d.P.R n. 382 consentiva l'istituzione di nuove strutture organizzative che le università avrebbero potuto creare al loro interno, come i centri di servizi per la gestione comune di compiti afferenti a facoltà, dipartimenti o istituti, le strutture interdipartimentali o interfacoltà, o gli organismi consortili interuniversitari. Peraltro, proprio la partecipazione ad organismi societari ed a consorzi costituiti con altri soggetti pubblici e privati è stata a lungo contestata dai giudici contabili, fino alla riforme conseguenti alla legge 9 maggio 1989, n. 168, a conferma delle difficoltà derivanti dalla realizzazione dell'autonomia.

Il predetto d.P.R. conferiva infatti una relativa autonomia amministrativa, finanziaria e contabile ai Dipartimenti, dotati di un proprio bilancio, laddove invece la contabilità degli istituti rientrava pienamente in quella dell’università(48

).

Alla personalità giuridica, tuttavia, non si affiancava per essi il riconoscimento della piena capacità di stipulare negozi privati, né atti di tipo pubblicistico, come convenzioni e accordi di programma con enti pubblici e territoriali, che consentissero loro di svolgere pienamente le proprie funzioni.

La contraddittorietà della riforma del 1980, quanto al riconoscimento di una maggiore autonomia, trovava tuttavia massima espressione nella disciplina della finanza e della contabilità contenuta nel d.P.R. n. 382, che all'art. 86 riconosceva alle università la facoltà di emanare proprie disposizioni amministrativo-contabili, integrative di un regolamento-tipo governativo, nel rispetto dei principi da questo posti. Una simile concessione derivava anche dalla circostanza che le norme applicabili in questa materia erano ancora quelle del regolamento generale universitario approvato con r.d. 6 aprile 1924, n. 674, sul modello della contabilità dello Stato. L’anomalia si manifestò tuttavia con tutta evidenza con l’entrata in vigore del sopracitato regolamento-tipo, approvato con d.P.R. 4 marzo 1980, n. 371,

(48) Per una efficace lettura e un attento commento all’intera disciplina del d.P.R. 11 luglio 1980, n. 382, annotato con le disposizioni ministeriali e con i pareri del CUN, si v. V. GIUFFRÉ e L. LABRUNA.,

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che prevedeva norme di tale dettaglio da comprimere praticamente del tutto l'autonomia universitaria.

Questa impostazione limitativa risultava in particolare dalla previsione dell'art. 104 del regolamento che, invertendo il rapporto indicato dalla norma delegante dell'art. 86, finiva per restringere il potere di integrazione della disciplina contabile da parte degli atenei ai soli casi nei quali le norme previste dal regolamento-tipo espressamente avrebbero consentito deroghe e integrazioni.

La vicenda, a seguire, ha trovato ulteriore evoluzione nell'art. 7 della legge 9 maggio 1989, n. 168 con la quale è stata rimessa all'autonomia delle università la disciplina dei criteri di gestione, delle procedure amministrative e finanziarie, nonché delle procedure contrattuali, dei controlli interni di gestione, e dell'amministrazione del patrimonio.

Ma di essa sarà fatta disamina nella parte concernente l'attuale fase evolutiva della struttura universitaria e delle sue prospettive.

Non va dimenticato infine dimenticato che, accanto alle disposizioni sulla sperimentazione organizzativa che conduceva all'istituzione dei dipartimenti, il d.P.R n. 382 conteneva altresì la riforma del reclutamento e dello status dei professori, suddivisi nelle due fasce degli ordinari e degli associati, l'istituzione del ruolo dei ricercatori, della figura dei professori a contratto e la disciplina del dottorato di ricerca.

In conclusione, quel binomio tra riforma universitaria e interventi sulla disciplina del personale, con prevalenza dell'interesse per quest'ultimo aspetto, di fanno non risultava smentito neanche dai provvedimenti dei primi anni Ottanta(49) .