di Fabio Ferrari
be preso le notizie dell’imminente arrivo dei fascisti con estrema superfi-cialità. La mia unica certezza è che anche lui perse la vita in quel maledet-tissimo giorno e se avesse potuto fare qualcosa per salvarla lo avrebbe fat-to.
Un fatto emblematico che mi è stato raccontato da mio nonno può mettere in risalto la violenza utilizzata nei rastrellamenti di quei giorni. Un partigia-no, anch’egli appartenente alla brigata “XXIV Maggio”, si era in preceden-za rifiutato di seguire le imposizioni del fascio e contro la volontà del padre, un gerarca, si era aggregato alle file partigiane. Questo partigiano, “Bepi-no”, morì durante la rappresaglia del 25 novembre: la madre si ritrovò sola a piangere il figlio, promettendo una vendetta nei confronti del marito, pro-babilmente al corrente del rastrellamento.
L’elemento che più mi rattrista è il fatto che durante la lotta di liberazione, giovani, magari dello stesso paese, si trovavano a doversi fare la guerra a causa di impostazioni culturali differenti...
Il regime fascista durò una ventina d’anni e gli squadristi di Salò sin dalla loro giovinezza erano stati inquadrati nei “balilla”, la loro impostazione culturale era così rigida che niente avrebbe potuto sfaldarla. La loro perse-veranza nel seguire Mussolini non è altro che una conferma dell’imponente azione di propaganda della cultura fascista. Il giudizio che posso dare su questi giovani non può essere positivo... certo, essi sono morti per la loro patria, però questa patria non era la mia.
Oggi alcune fazioni politiche tendono a eguagliare la memoria dei due schieramenti, mettono in evidenza il fatto che le formazioni partigiane si costituirono in un momento in cui le forze dell’asse ebbero le prime scon-fitte e che invece i “repubblichini” continuarono la loro lotta anche quando ormai tutto era perduto!
Questa posizione va rispettata, tuttavia non la condivido. Nell’ultimo pe-riodo sono riuscito a sviluppare un certo atteggiamento che mi porta a ri-spettare tutti i morti della seconda guerra mondiale. Va ricordato che lo stesso esercito italiano da anni combatteva al fianco dei tedeschi: i morti in Russia, in Albania, in Africa e nelle altre aree di scontro vanno onorati, so-prattutto per la loro tragica fine.
Un dibattito più che mai di attualità è la valutazione dei fatti dell’8 settem-bre 1943, data nella quale convenzionalmente si fa nascere la Resistenza italiana. L’esercito italiano si trova nel caos più totale, le informazioni non arrivano, le pattuglie non ricevono più ordini dai comandi, non si sa più co-sa fare... purtroppo non era la prima volta che un evento simile
condiziona-va le decisioni dell’esercito italiano. Già il 25 luglio, in seguito all’arresto di Mussolini, le truppe erano rimaste in attesa di comandi, fino a quel co-municato da parte di Badoglio che annunciava la continuazione della guer-ra a fianco degli alleati tedeschi.
Le grandi scelte, quelle che per molti vanificarono la possibilità di arrivare alla fine della guerra, si presero dopo l’armistizio. Il comportamento che ri-tengo di gran lunga il più meschino da parte delle autorità statali italiane fu di fuggire da Roma lasciando l’intero esercito in preda allo sbando. La mancanza di ordini da parte del sovrano e dello stesso Badoglio furono di grande vantaggio per le truppe tedesche che riuscirono in poco tempo a di-sfarsi dei reparti dell’esercito italiano le quali opposero resistenza alle trup-pe naziste che si accingevano a occupare la parte italiana non ancora libe-rata dagli Angloamericani.
Sono sicuro che un comunicato del re o di Badoglio incitante alla resistenza alle truppe naziste avrebbe riscosso un effetto positivo e avrebbe tolto dalle mani di Mussolini un ingente numero di soldati, che senza guida e senza più comandi, si erano lasciati trascinare (chi per volontà, chi per minaccia di morte) nel difficile cammino della Repubblica di Salò.
Un altro aspetto che riguarda questo giorno è la valutazione e l’interpreta-zione che ne viene data oggi. Qualcuno dichiara che l’8 settembre rappre-sentò la rinascita della democrazia in Italia, altre persone, ancora legate per qualche motivo alla mentalità fascista sostengono che quel giorno fu l’en-nesima prova della meschinità italiana nei confronti degli alleati tedeschi.
La storia non è riscrivibile, le interpretazioni dei fatti però possono essere opposte: già nella prima guerra mondiale l’Italia si era trovata in una posi-zione scomoda e inizialmente aveva dichiarato la sua non belligenza, suc-cessivamente aveva trattato con le nazioni della Triplice Intesa e aveva vol-tato le spalle agli eserciti austro-tedeschi. Anche questo fu un motivo di propaganda della Repubblica di Salò che cercava di sfruttare la fedeltà dei soldati nei confronti del regime tedesco.
Sono convinto che la Resistenza abbia dato un notevole contributo allo svi-luppo di quello che è oggi la Repubblica Italiana. Non si tratta solo di sen-timenti patriottici, infatti oggi ci troviamo a godere di alcuni diritti fonda-mentali che erano stati soppressi nel periodo nazi-fascista, quali la libertà di parola, di stampa, di pensiero. Se davvero la giustizia e la libertà sono basi fondamentali del nostro vivere quotidiano lo dobbiamo anche alla Resi-stenza, che si è trovata a lottare contro i totalitarismi in prospettiva di un fu-turo che sicuramente sarebbe stato migliore.
ISBN 88-87831-36-X
Centro Storico Culturale Valle Brembana