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Dal “cult of domesticity” alle “housekeepers of the

III. Da Tocqueville a Catharine Beecher: ‘cult of domesticity’

III.6. Dal “cult of domesticity” alle “housekeepers of the

lavoro domestico derivarono conseguenze politico-sociali che Tocqueville non aveva previsto. La prima conseguenza, forse la più interessante, anche se quella destinata a più breve durata, fu l’invasione della sfera sociale da parte della donna: il ruolo di homekeeper e insieme di healthkeeper, che essa era andata assumendo alla fine del XIX secolo, finì per proiettar- la verso la nuova sfera dell’assistenza volontaria e farle vesti- re i panni di housekeeper of the nation92. Una tendenza questa che non sfuggì a John Stuart Mill, il quale in The Subjection of Women (1869) ne diede, tuttavia, un giudizio tutt’altro che positivo93.

Molte donne americane attive nell’ambito del movimento riformista, tra le quali la più nota è sicuramente Jane Ad- ––––––––––

92 Ho ripreso quest’espressione da Mariarosa Dalla Costa che la usa per de-

scrivere il compito che si erano assegnate, tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, donne, quali Jane Addams, impegnate sul fronte del riformismo e del femminismo (cfr. M. Dalla Costa, Famiglia, welfare e Stato tra Progressismo e New

Deal, Milano, Franco Angeli, 1997, p. 20).

93 Scrive Mill: “La massa, ampia e continuamente crescente, della beneficenza

non illuminata e miope, togliendo la cura della vita delle persone dalle loro mani e sollevandole dalle spiacevoli conseguenze dei loro atti, mina le fondamenta del rispetto di sé, della capacità di fare da sé e del controllo di sé: condizioni essenziali sia del benessere individuale sia delle virtù sociali. Questo spreco di risorse e degli effetti negativi piuttosto che positivi della benevolenza viene immensamente aumentato dal contributo delle donne e stimolato dalla loro influenza” (J. S. Mill, L’asservimento delle donne, in J. S. Mill e H. Taylor,

Sull’uguaglianza e l’emancipazione femminile, a c. di N. Urbinati, Torino, Einaudi, 2001

(ed or. The Subjection of Women, 1869), p. 188). La concessione alle donne del pieno riconoscimento dell’eguaglianza giuridica e politica in J. Stuart Mill è congegnata in modo 1) da non mettere fondamentalmente in discussione la distinzione tra sfera pubblica e sfera privata, nella convinzione che la donna che avesse scelto il matrimonio e la maternità avrebbe rinunciato al lavoro, e 2) da far prevalere nella sfera pubblica un ideale di razionalità non contaminato dai valori materni, sebbene disposto ad accogliere positivamente il senso pratico femminile maturato nella gestione dell’economia domestica.

dams94, partirono da una riconsiderazione, più che da un ve- ro e proprio superamento, del culto della sfera domestica. È significativo sotto questo profilo lo stesso percorso biografi- co della Beecher, che “nel 1869 si fece promotrice della cre- azione di case di accoglienza da stabilire in aree urbane pove- re e degradate, nelle quali ‘alcune signore’ […] avrebbero dovuto prendersi cura degli orfani, degli anziani, dei malati e dei peccatori e spendere il loro tempo e i loro soldi per la lo- ro elevazione temporale e spirituale”95. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX molte associazioni femminili estese- ro le loro attività all’ambito delle riforme sociali, promoven- do i valori della morale, della salute e dell’igiene al di fuori delle mura domestiche. Quando la divisione dei compiti tra uomini e donne sarà perfezionata – scriveva, per esempio, Rheta Child Dorr – “la città diventerà come una grande casa, igienica, confortevole e ben ordinata. Ogni cosa sarà pulita come in una buona casa. Ciascuno, come in una famiglia, a- vrà abbastanza da mangiare, vestiti da indossare e un buon letto dove dormire. Non ci saranno catapecchie, né fabbri- che dove i dipendenti sono sfruttati, né casamenti in cui sgobbano bambini e donne tristi. Non ci saranno bambini che muoiono per essere stati nutriti con latte malsano. Non ci saranno “lung blocks” che avvelenano gli esseri umani per- ché i padroni possano ricavare sordidi profitti. […] Ci si prenderà cura di tutte le famiglie, si insegnerà loro a prender- si cura di se stesse, si proteggeranno nei loro compiti quoti- diani e si darà loro un rifugio nelle loro case”96.

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94 Cfr. J. B. Elshtain, Jane Addams and the Dream of American Democracy, New

York, Basic Books, 2002.

95 K. Kish Sklar, Catharine Beecher. A Study in American Domesticity, cit., p. 166. 96 R. Child, What Eight Milions Women Want (1910), cit. in T. Skocpol, Protect-

ing Soldiers and Mothers. The Political Origins of Social Policy in the United States, Cam-

bridge (Mass.)-London, The Belknap Press of Harvard University Press, 1992, p. 332.

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La seconda conseguenza legata all’evoluzione del cult of domesticity fu un effetto dell’alleanza che si realizzò negli Stati Uniti d’America, nel periodo tra Progressismo e New Deal, tra movimento “maternalista”, femminista e riformismo97. Quest’alleanza si tradusse in una legislazione che dava “diret- tive nel campo della salute, dell’igiene, dell’educazione, dell’assetto familiare”, che promuoveva “per la prima volta un sistema di assegni familiari e tassazione differenziata in relazione allo stato maritale e familiare”98. Tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX si passò così negli Stati Uniti – ma lo stesso processo è riscontrabile nel vecchio continente –, attraverso una politica sociale che aveva come destinatario privilegiato la famiglia, e al suo interno la donna e i figli, dal- lo Stato “paterno” allo Stato “materno”. In questo periodo poche donne si resero conto della trappola insita in questa politica sociale, che nascondeva il rischio di una istituziona- lizzazione della segregazione della donna nella sfera familia- re.

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97 Per l’utile distinzione tra movimento maternalista e femminismo durante

l’epoca progressista, cfr. M. Ladd-Taylor, Mother-Work. Women, Child Welfare, and

the State, 1890-1930, Urbana-Chicago, University of Illinois Press, 1994, in parti-

colare, pp. 3-9. Maternalismo e femminismo coesistettero e spesso si sovrappose- ro nell’epoca progressista. Solo intorno al 1920 si divisero sul dibattito intorno all’emendamento che avrebbe portato al riconoscimento del diritto di voto alle donne. Ladd-Taylor distingue tre gruppi di donne attivi nell’epoca progressista: le “sentimental maternalists”, o i club delle madri, riuniti nel National Congress of Mothers e nelle Parent-Teacher Associations; le “progressive maternalists”, allea- te con l’U.S. Children Bureau, e le femministe, molte delle quali affiliate al Natio- nal Woman’s Party. Sebbene anche le femministe di questo periodo facessero spesso uso della retorica della maternità, le loro posizioni rimanevano distinte da quelle delle “maternaliste”. Le femministe lottavano, infatti, per il riconoscimento dell’eguaglianza dei diritti delle donne e in particolare per l’affermazione del dirit- to della donna all’indipendenza economica attraverso il suo ingresso paritario nel mondo del lavoro. A tal fine, esse proponevano – in contrasto con le posizioni “maternaliste” – una trasformazione delle relazioni familiari e dello stesso spazio domestico.

IV. Charlotte Perkins Gilman e i pericoli