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DAL PERCORSO DEVIANTE ALLA

Nel documento Legalità, responsabilitàe cittadinanza (pagine 85-113)

PRATICA DI UNA

CITTADINANZA

CONSAPEVOLE E

RESPONSABILE

di Giovanna Boda Dirigente Ufficio III della Direzione Generale per lo Studente, l’Integrazione, la Partecipazione e la Comunicazione e Maria Stella Di Tullio D’Elisiis Psicologo Giuridico; Psicoterapeuta; Consulente presso il MIUR

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esperienziale, elaborazione cognitivo-emozionale, possibilità di sviluppo delle proprie risorse, opportunità di apprendimento di nuove e più funzionali stra-tegie per entrare in rapporto con il mondo circostante, nell’intento di conso-lidare, pian piano, percorsi adattivi e gratificanti per sé e per gli altri.

Nell’intento di rendere esplicito quanto sin qui premesso, verranno di seguito presentati: linee guida teoriche utili alla comprensione del fenomeno deviante; approfondimenti metodologici attinenti all’ambiente scolastico operante al-l’interno degli istituti penali minorili; alcune ipotesi operative relative a un progetto sperimentale di riforma del percorso di istruzione in ambiente peni-tenziario minorile; considerazioni conclusive relative alla condizione di rischio evolutivo che i ragazzi in condizione di disagio psicosociale si trovano a speri-mentare, e al piano delle risorse più funzionali a garantire il loro armonico per-corso di crescita.

SIGNIFICATI ESPLICATIVI, IMPLICAZIONI DI SVILUPPO E POSSIBILITÀ DI CAMBIAMENTO DEI PERCORSI DEVIANTI IN ETÀ EVOLUTIVA

Al fine di comprendere appieno la tipicità degli interlocutori a cui il percorso formativo oggetto della presente trattazione si rivolge, appare utile affrontare alcuni concetti chiave attinenti alla devianza minorile, delineando gli approcci teorico-metodologici che ne orientano la comprensione e che rappresentano una significativa griglia di riferimento funzionale a inquadrare il piano più glo-bale degli interventi, nonché lo specifico ambito attinente alla scuola in am-biente penitenziario minorile.

In primo luogo va evidenziato come la devianza possa essere intesa in termini di «risultato» di un processo interattivo tra il soggetto che compie le azioni, le norme che definiscono tali azioni come illecite, la reazione sociale alle infrazioni di tali norme, il controllo sociale, la riconsiderazione di sé da parte del soggetto. Questa visione del problema fa riferimento all’approccio denominato

Intera-zionismo Simbolico (Mead, 1966), che mette in evidenza come il

comporta-mento delle persone sia mediato dai significati che le stesse attribuiscono alla situazione in cui si trovano, a partire dalla peculiare modalità con cui esse per-cepiscono il proprio Sé, gli altri e le interazioni con gli altri, immaginando rea-zioni e giudizi sui comportamenti messi in atto.

In tale ottica, parlare di devianza vuol dire affrontare un discorso molto com-plesso, le cui componenti significative attengono a diversi livelli di attenzione e piani di intervento, come vedremo approfonditamente in questo paragrafo. L’analisi e la comprensione dell’azione deviante si fondano su due presupposti cardine: in primo luogo, le azioni sono il risultato dell’interazione tra le com-ponenti ambiente-persona-condotta e incidono direttamente sull’ambiente, così come questo influenza il comportamento; inoltre, l’individuo ha la

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La devianza può essere intesa come «risultato» di un processo interattivo tra il soggetto, le norme che definiscono tali azioni come

illecite, la reazione sociale alle infrazioni, il controllo sociale, la riconsiderazione di sé da parte del soggetto

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bilità di intervenire in senso causale sulla realtà, potendo fare affidamento su una mente proattiva, in grado di trasformare sia il mondo interno sia quello esterno al Sé.

Ne emerge un quadro personale caratterizzato da essenziali livelli di contenuto, quali:

a) la capacità di simbolizzare (trasformando le esperienze in simboli si arriva alla formazione di modelli interni che consentono di dare significato e conti-nuità al rapporto tra l’individuo e le sue esperienze);

b) la possibilità di anticipare eventi futuri e loro conseguenze;

c) la capacità di apprendere per imitazione (aumento del proprio bagaglio di competenze e comportamenti possibili tramite osservazione del modo in cui gli altri agiscono);

d) la capacità dell’autoriflessione (costante analisi e osservazione di sé, delle proprie esperienze e dei processi del proprio pensiero);

e) il ricorso al processo di autoregolazione, che comporta la capacità di orien-tare il proprio comportamento anticipando gli effetti della propria condotta al fine di realizzare una coerenza tra condotta stessa e standard personali, at-traverso il monitoraggio del comportamento agito (o controllo di ciò che si sta facendo); la valutazione di coerenza e compatibilità delle proprie azioni rispetto agli standard personali e alle circostanze ambientali; l’anticipazione delle possibili reazioni affettive che gli effetti del proprio comportamento possono produrre a livello di soddisfazione personale.

Tutte le componenti sin qui descritte delineano un ritratto competente e po-liedrico dell’individuo che possiede, alla base, tutta una serie di capacità che lo supportano e orientano rispetto alla possibilità di affrontare gli ostacoli e le complessità che la vita propone e/o impone. Procedendo con la crescita e at-traversando le diverse fasi evolutive che man mano lo attendono, l’individuo impara progressivamente a ritarare il proprio comportamento, a filtrare gli sti-moli incontrati, a perseguire con sempre maggiore funzionalità gli scopi pre-fissati, in accordo con le proprie esigenze e nel rispetto di quelle altrui. Quando il percorso di vita esperito si dirige con sempre maggiore pregnanza in una direzione disadattiva per sé e per gli altri – come avviene in tante storie di ragazzi definiti «devianti» –, ci troviamo di fronte a situazioni caratterizzate da una complessità soggettiva, relazionale, interattiva, contestuale tale da me-ritare attenta e approfondita analisi, laddove la ricerca di una causalità lineare (gli «antecedenti» o cause del problema) non offre contributi significativi, es-sendo particolarmente riduttiva l’idea che la realtà del presente possa legarsi direttamente ed esclusivamente a ciò che non ha funzionato in passato. Vediamo dunque meglio come osservare con maggiore perizia un fenomeno complesso quale è la devianza in età evolutiva.

Ci troviamo di fronte a situazioni caratterizzate da una complessità soggettiva, relazionale, interattiva, contestuale tale da meritare attenta e approfondita analisi

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In primo luogo va detto che la devianza rappresenta un ruolo sociale che l’in-dividuo ricopre progressivamente, attraverso la sistematizzazione di un com-portamento a modello di vita, caratterizzato dall’impegno a svolgere sequenze di azioni connotate in senso deviante. Centrale, in tale cornice, è l’aspetto

evo-lutivo: la sequenza di azioni e reazioni che si rinforzano vicendevolmente fa sì

che l’effetto (devianza) non sia più riconducibile a una o più cause (povertà, degrado, disadattamento sociale ecc.), ma a una progressione di passaggi all’terno della quale la persona si trova impegnata in rapporto a situazioni e in-terazioni sociali.

In tal senso, la costruzione del percorso deviante si realizza mediante azioni soggettive e intersoggettive e non attraverso comportamenti dettati da istinti innati e incontrollati poiché, in sostanza, la devianza è un percorso agito e non subìto (Von Cranach e Harré, 1991). Quelli che sono tradizionalmente indi-cati in termini di fattori «predittivi» (tra gli altri, caratteristiche individuali, fa-miliari e sociali) non sono condizioni-causa, ma elementi di rischio di uno sviluppo in senso deviante, diversamente attivi in relazione a fasi e momenti del rapporto di reciprocità che si costruisce tra il soggetto, il piano dell’azione e delle interazioni a essa connesse e il ruolo sociale assunto.

Le situazioni contingenti non hanno dunque in sé la capacità di orientare il proprio divenire in senso deviante. È l’utilizzo che la persona ne fa a trasfor-mare una situazione casuale in un evento causale, cui viene attribuito il po-tere di modificare il percorso che si sta intraprendendo. In tale processo, la persona svolge un ruolo attivo e autodeterminato, effettuando continui bi-lanci psicologici e relazionali che mettono in connessione la valenza per sé dell’azione, gli obiettivi attesi e le conseguenze prodotte, nonché i significati attribuiti dal mondo esterno e i vantaggi e gli svantaggi ottenibili sul piano strumentale ed espressivo.

Vediamo, dunque, di inquadrare i meccanismi dinamico-processuali che orien-tano la costruzione del percorso deviante utilizzando, quale griglia di lettura del fenomeno, un approccio psicologico-giuridico (Becker, 1987; De Leo, 1996; De Leo, 1998; De Leo e Patrizi, 1999a; De Leo e Patrizi, 1999b; De Leo e Pa-trizi, 2002; De Leo e PaPa-trizi, 2006; PaPa-trizi, 1996).

Incamminarsi lungo la strada della devianza significa, per la persona, confron-tarsi continuamente, da un lato, con i significati a mano a mano attribuiti, in-dividualmente o in gruppo, al percorso deviante intrapreso e, dall’altro, con le interpretazioni offerte da chi guarda e rileva l’azione (la reazione degli altri), uti-lizzati quali indicatori del ruolo che, attraverso il comportamento, viene as-sunto all’interno del contesto sociale.

In tale complessa ottica la costruzione e il consolidamento del percorso deviante si snodano attraverso step processuali connotati da peculiari caratteristiche. Nella fase di sviluppo più «arcaica», definibile in termini di «antecedenti storici», appaiono in primo piano situazioni aspecifiche che non implicano linearmente

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Le situazioni contingenti non hanno in sé la capacità di orientare il proprio divenire in senso deviante. È l’utilizzo che la persona ne fa a trasformare una situazione casuale in un evento causale

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un esito necessariamente deviante. Questo esito può infatti determinarsi in re-lazione al modo in cui i sistemi socializzativi e i loro contesti di interazione in-terpretano quelle condizioni di base come probabile substrato di successivi eventi negativi. Si parla, in tal senso, di rischi aspecifici o metarischi (tendenza a porre l’accento su una «causa» anticipando un comportamento negativo e orientando, in tal modo, la probabilità che esso si verifichi).

La fase successiva, denominata «crisi», è caratterizzata dalla presenza di

epi-sodi agiti e sentiti come devianti. Generalmente collocata in adolescenza, la

crisi mette in luce il complesso rapporto tra le esigenze individuali di svi-luppo, le condizioni esterne di sfida che il ragazzo incontra, le competenze soggettive, familiari e sociali funzionali a fronteggiare i cambiamenti che tali esigenze e condizioni richiedono. La difficoltà o l’impossibilità di orientarsi in tale sistema in modo equilibrato ed evolutivamente compatibile può con-figurare un terreno su cui si innestano strategie di azione inadeguate del ra-gazzo e/o dei suoi adulti di riferimento, orientando nel rara-gazzo stesso azioni, che a volte appaiono incoerenti e/o disorganizzate, che possono presentarsi sotto la «veste» della devianza.

Tale fase può, peraltro, collocarsi anche in periodi successivi della vita, qua-lora l’individuo si trovi a sperimentare particolari difficoltà che ostacolano la possibilità di ristabilire equilibri soddisfacenti fra condizioni esterne incon-trate e vissuti emozionali interni al Sé. Ciò accade, per esempio, in situazioni di particolare complessità e non facile gestione, di fronte alle quali la per-sona può avvertire la mancanza delle risorse necessarie ad affrontare quel par-ticolare momento.

Si tratta della fase più rischiosa dell’intero percorso, nell’ambito della quale i rischi aspecifici che si sono manifestati nella fase precedente possono acqui-sire una specificità diretta in termini di esito deviante.

Restano comunque ancora aperte altre strade che si collegheranno al modo in cui la famiglia, i diversi contesti di appartenenza, le istituzioni stesse interpre-teranno il comportamento e vi daranno una risposta (metarischi specifici). Così, in presenza della prima devianza agita (che può, eventualmente, coinci-dere con l’inizio della costruzione del percorso deviante), la situazionalità (spa-zio fisico e sociale in cui l’a(spa-zione trova colloca(spa-zione) dell’atto (scelto quale una delle alternative possibili di fronte alle specifiche difficoltà incontrate) e

l’oc-casionalità del comportamento non configurano ancora l’evoluzione verso un

ruolo sociale negativo.

L’azione deviante assume, in questa fase, una funzione comunicativa che appare prevalente rispetto agli effetti legati all’azione stessa.

In altri termini, nell’azione deviante è insito un peculiare «vantaggio»: quello di amplificare la comunicazione, mettere in evidenza messaggi e attivare l’at-tenzione cognitiva ed emozionale del mondo circostante. In tal senso la de-vianza agita rappresenta, quindi, uno strumento per rendere evidente ciò che

In presenza della prima devianza agita, la situazionalità dell’atto e l’occasionalità del comportamento non configurano ancora l’evoluzione verso un ruolo sociale negativo

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non si riesce in altri modi a comunicare, aumentando la probabilità che signi-ficati soggettivi e intimi possano essere colti intorno a sé.

In quest’ottica, la scelta deviante svolge la funzione di comunicare contenuti sulla storia del suo autore, sul suo stile comportamentale, sul personale focus a cui egli fa riferimento nell’interpretare la realtà. Gli effetti conseguenti sono di diverso tipo:

a) strumentale, se intesi quali obiettivi e vantaggi di tipo pragmatico, antici-pati in modo cosciente e consapevole e capaci di orientare il corso dell’a-zione, organizzandone le tappe;

b) espressivi, se connessi al fatto che il soggetto utilizza l’azione per comunicare a sé e agli altri significati che vanno oltre la specifica azione stessa, rispon-dendo a funzioni più ampie, connesse alla posizione soggettiva dell’autore rispetto ai suoi contesti di riferimento;

c) legati al Sé e attinenti all’identità soggettiva, in termini situazionali e di svi-luppo;

d) relazionali, comunicando messaggi che riguardano le persone direttamente coinvolte nell’azione, nonché i loro gruppi di appartenenza (famiglia, con-testi informali, istituzioni) o di riferimento;

e) di sviluppo, rispetto alla soggettività individuale e al vissuto di chi compie l’a-zione, o del gruppo cui riferisce le proprie scelte, che possono esprimere esi-genze di cambiamento o di mantenimento dello status quo;

f ) normativi e di controllo, attinenti al rapporto con le sanzioni e le regole non formalizzate e codificate, e indicative dell’anticipazione delle reazioni sociali potenzialmente attivabili.

Coerentemente con quanto più sopra esposto, la devianza appare dunque quale fenomeno complesso che vede interagire soggetto, azione, altri e norme, cosicché il comportamento si delinea quale mero «contenitore ester-no» dell’atto.

Il passaggio dalla prima devianza agita alla prosecuzione della messa in atto dei comportamenti devianti passa attraverso una fase di «esercizio» strettamente connessa alla scoperta che, proprio nella devianza, è possibile trovare un

am-bito di gestione delle proprie difficoltà e di esperienza di autoefficacia,

sperimen-tando abilità e competenze utili a comporre un’immagine di sé positiva, nonché riconoscendosi quale persona in grado di portare a termine con successo le conseguenze dell’azione anticipata (Bandura, 1996). Tale concetto è estrema-mente utile ai fini della comprensione delle motivazioni che possono spingere i ragazzi a reiterare comportamenti che appaiono del tutto disfunzionali. La nozione di autoefficacia percepita rimanda alla convinzione che una persona possiede di saper coordinare al meglio i passi che la porteranno con successo verso il raggiungimento di uno scopo prefissato. Tale costrutto si differenzia,

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La scelta deviante svolge la funzione di comunicare contenuti sulla storia del suo autore, sul suo stile del comportamento,

sul personale

focus a cui egli fa

riferimento nell’interpretare la realtà

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dunque, sia dall’autostima – che attiene al giudizio globale che la persona ela-bora su di sé – sia dall’autocompetenza, o consapevolezza di possedere deter-minate abilità. Sentirsi autoefficaci significa pensare di essere all’altezza di specifiche situazioni che si incontrano, di poter risolvere con successo certi pro-blemi, di essere capace di far fronte alle diverse difficoltà che si possono incon-trare, di poter resistere alle avversità che ostacoleranno il cammino. Si tratta, peraltro, di una convinzione che deriva dall’interazione persona-ambiente-comportamento, e le cui credenze si costruiscono e si stabilizzano entro l’ado-lescenza, anche se le esperienze successive e la rielaborazione effettuata dal soggetto intervengono su tali credenze, modificandole.

Ciò significa che un ragazzo che sperimenti la propria efficacia all’interno di un pattern di azione deviante sarà portato a ricercare quella specifica perce-zione di sé, in quanto gratificante e «fortificante», tanto più se la possibilità di accesso a esperienze positive alternative alla devianza stessa appaiono del tutto improbabili.

Altro fondamentale assunto che sostiene il comportamento in esame – alimen-tando la possibilità del suo reiterarsi – è il ricorso all’esercizio del disimpegno

morale, attraverso il quale la persona può permettersi di trasgredire dalla norma

socialmente costituita grazie all’adozione di stili cognitivi caratterizzati da forme mirate di «auto-esonero» che legittimano il compimento dell’azione riprovevole (Matza, 1976). Attraverso questa forma di disimpegno morale così funzionale a razionalizzare il comportamento deviante, la persona riesce a colmare la di-stanza socialmente definita tra questo e i valori condivisi, potendo adottare molteplici meccanismi, quali:

a) la giustificazione morale (giustificare i danni arrecati a terzi facendo appello a scopi altamente morali);

b) l’etichettamento eufemistico (ingentilire eventuali offese e ostilità confe-rendo loro uno status di rispettabilità attraverso il ricorso a eufemismi); c) il confronto vantaggioso (minimizzare i danni prodotti contrastando le

pro-prie azioni riprovevoli con azioni ancora più riprovevoli);

d) la de-umanizzazione della vittima (alleviare la gravità delle proprie azioni con valutazioni negative sulla vittima);

e) l’attribuzione di colpa alla vittima (sollevare dal senso di colpa attribuendo alla vittima la responsabilità dell’offesa);

f ) il dislocamento della responsabilità (rinviare la responsabilità delle proprie azioni ad altri, in genere figure autorevoli, offuscando completamente il pro-prio coinvolgimento personale);

g) la diffusione della responsabilità (estendere la propria responsabilità indivi-duale così che la colpa di tutti in definitiva risulti di nessuno);

h) la distorsione delle conseguenze (alleggerire la gravità delle proprie azioni, svalutandone gli effetti dannosi).

Attraverso questa forma di disimpegno morale la persona riesce a colmare la distanza socialmente definita tra questo e i valori condivisi

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Come è possibile intuire, tale meccanismo rappresenta quindi un potente stru-mento per favorire – a livello cognitivo, affettivo e motivazionale – scelte d’a-zione che altrimenti sarebbero del tutto censurabili alla propria coscienza. Va sottolineato che, in linea con tali approcci teorici, è stato messo in luce come le forme persistenti di devianza si correlino con: un basso livello di au-toefficacia percepita; un alto livello di disimpegno morale; una bassa tendenza a mantenere attiva una funzione di monitoraggio nelle relazioni e nelle comu-nicazioni con gli altri significativi.

Dunque, è in particolare a questo punto del percorso che assume un peso fon-damentale l’esperienza del riconoscimento pubblico del sé come persona deviante. In altri termini, l’individuo che abbia sperimentato la «pratica» della devianza si trova a confrontarsi con un cambiamento che riguarda la propria identità pubblica e che si connette all’aver disatteso le aspettative sociali. Di fronte alla disapprovazione del mondo circostante, i significati comunicativi che conno-tano l’azione deviante perdono peso, mettendo in primo piano la necessità di giustificare il proprio agire attraverso il disimpegno, che diviene progressiva-mente sempre più rilevante. È in questo modo che inizia a costruirsi la «car-riera deviante», specchio di un incastro che fa sì che la persona percepisca come sempre meno probabili per il proprio Sé strade alternative a quella intrapresa. La possibilità di immaginare percorsi altri rispetto a quelli esperiti è, forse, una delle principali sfide che gli adulti devono accogliere quando si trovano di fronte ragazzi coinvolti in percorsi di vita devianti, assumendo scientemente un ruolo fondamentale: quello di fattore protettivo e risorsa inaspettata e scono-sciuta ai loro occhi, eppure presente, in grado di aprire scenari impensati o semplicemente inascoltati.

Poter intervenire in questa fase del percorso significa: mettere a disposizione dei ragazzi un’apertura che è possibile utilizzare appieno, nel qui e ora della rela-zione educativa; restituire il carattere di dinamicità e plasticità alla loro prospet-tiva evoluprospet-tiva, trattandosi di persone che attraversano ancora le fasi iniziali della loro crescita; offrire un’opportunità di cambiamento ancorata alla dimensione della probabilità e del realismo, priva della connotazione legata al piano delle aspettative «impossibili» e al tempo stesso coerente con la possibilità di farcela con le proprie forze, seppur entro limiti dettati dalla difficoltà e complessità del percorso di cambiamento che si sta intraprendendo.

Tutto ciò appare ancor più rilevante se si pensa che, superato il periodo pre-cedentemente descritto come «crisi», subentra un processo di stabilizzazione strettamente connesso alla probabilità che il comportamento deviante di-venti uno stile di vita, in relazione alle modalità con cui la persona e i suoi

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