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IL DISAGIO GIOVANILE

Nel documento Legalità, responsabilitàe cittadinanza (pagine 67-75)

di Patrizia Carrozza Ufficio di Gabinetto – MIUR Il disagio scolastico è un aspetto del disagio giovanile che può manifestarsi con varie modalità

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Difficoltà relazionali/emozionali

In particolare, aggressività di tipo fisico o verbale rivolta a compagni, inse-gnanti, oggetti; iperattività; basso livello di attenzione e di tolleranza alle fru-strazioni; reazioni emotive eccessive (sia in positivo sia in negativo); ansia.

Apatia

Immobilità o riduzione dell’attività, mancanza di curiosità e di interessi, ten-denza a isolarsi, stanchezza generalizzata.

Questi aspetti vanno a influenzarsi reciprocamente e si intersecano alle va-riabili di partenza, determinando una situazione di circolarità che acuisce il vissuto di disagio del ragazzo. Risulta pertanto evidente la complessità del fenomeno, la reciproca influenza delle variabili in gioco, non solo nel senso delle loro possibili interconnessioni, ma anche nel loro essere determinate dalle stesse situazioni di disagio in una circolarità che rende difficile, spesso, definirne i confini causali. Tra i possibili esiti/effetti del disagio scolastico ricordiamo:

• disagio dell’alunno, dispersione, devianza;

• disagio dell’insegnante e disfunzione del sistema-scuola;

• disagio della famiglia (conseguente al disagio del figlio, che può portare la famiglia a colpevolizzare la scuola e ad allontanarsene per evitare ulteriori frustrazioni, o a colpevolizzare il figlio per le aspettative disattese).

DATI

I ragazzi si annoiano, nel tempo libero si dedicano alla trasgressione, non hanno un dialogo con i genitori, attenti troppo al lavoro e troppo poco alla vita dei loro figli.

Secondo i risultati di un’indagine svolta nel Lazio nel corso del 2008 tra gio-vani dai 14 ai 17 anni, il campione degli intervistati vive situazioni di disagio legate alla condizione familiare, a una percezione negativa della scuola, a un cat-tivo rapporto con gli insegnanti. Insofferenze che si manifestano, poi, in una tendenza ad assumere comportamenti a rischio, soprattutto quando ci si trova in gruppo. E le condizioni economiche agiate o il grado di istruzione elevato dei genitori non ‘salva’ i ragazzi.

In famiglia, soltanto il 28,8% degli intervistati disagiati ha un dialogo costrut-tivo con i genitori, mentre nel 15% dei casi il clima famigliare è conflittuale e nell’11% i giovani percepiscono una totale mancanza di comunicazione. Scuola

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Immobilità o riduzione dell’attività, mancanza di curiosità e di interessi, tendenza a isolarsi, stanchezza generalizzata si influenzano reciprocamente e si intersecano alle variabili di partenza, in una situazione di circolarità che acuisce il vissuto di disagio del ragazzo

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e futuro degli adolescenti sono argomenti molto trascurati in casa, dove si pri-vilegia parlare di gossip e personaggi dello spettacolo.

Sul fronte scuola, i giovani a disagio si differenziano fortemente dagli altri loro coetanei: solo il 43,8%, rispetto al 74,2%, ritiene che studiare possa of-frire maggiori opportunità nella vita, e il 13,1%, rispetto all’1%, è convinto che non serva a niente, perché ciò che conta è essere ricchi e famosi. Ampia è la forbice del giudizio anche riguardo ai docenti: solo il 33,9% dei ragazzi a disagio esprime una valutazione positiva, contro l’81,7% degli altri giovani. Dall’indagine, inoltre, emerge che questi adolescenti sono più esposti a epi-sodi di bullismo: il 42,2% ha assistito direttamente a molestie, quasi il 34% a piccoli furti, il 31% alla diffusione di droghe leggere, quasi il 40% a scherzi pesanti, il 27,5% ad aggressioni fisiche, il 36,4% a offese, insulti e minacce, il 16,7% a estorsioni di denaro.

Per quanto riguarda, infine, i comportamenti trasgressivi, quelli più frequenti, sia tra i giovani con disagio sia non, sono fumare sigarette, viaggiare sui trasporti pubblici senza biglietto, ubriacarsi ogni tanto, fare uso di droghe leggere. Ma, in tutti questi casi, le percentuali tra le due categorie non si discostano molto: a fare la differenza sono i comportamenti anti-salutari, come l’assunzione di far-maci per migliorare le proprie performance (41,1% contro 16,9%) e guidare in stato di ebbrezza (43% contro 24,6%).

NORMATIVA

La scuola ha visto crescere al suo interno da oltre un decennio gli interventi di promozione del benessere ispirati dal modello dello sviluppo di comunità: si pensi ad esempio alla diffusione delle esperienze di education, agli interventi volti a incrementare il senso di comunità (Santinello, Davoli, Galbiati), ma anche agli interventi che vanno sotto il nome di Analisi organizzativa multidi-mensionale (Francescato, Tomai, Ghirelli, 2002), che permettono di diagno-sticare la complessità delle problematiche delle realtà scolastiche attraverso il coinvolgimento delle diverse componenti della comunità scolastica finalizzato all’individuazione di priorità di cambiamento in un’ottica progettuale. Nella scuola, essendo un contesto organizzativo peculiare, l’attivazione dei processi di empowerment ha spesso assunto, al di là delle dichiarazioni di intenti, il ca-rattere di un intervento riparativo, volto a ristabilire i livelli «naturali» di effi-cacia ed efficienza all’interno dell’organizzazione (produttività, impegno, collaborazione ecc.), incontrando sostanziali difficoltà nel processo di motiva-zione e coinvolgimento dei suoi membri.

Muoversi in questa direzione richiede l’attivazione di processi di partecipazione e di coinvolgimento di tutto il personale, ma anche percorsi di responsabiliz-zazione, collaborazione e valorizzazione reciproca.

I comportamenti trasgressivi, quelli più frequenti, sia tra i giovani con disagio sia non, sono fumare sigarette, viaggiare sui trasporti pubblici senza biglietto, ubriacarsi ogni tanto, fare uso di droghe leggere

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L’individuo, coinvolto in un tale processo, sviluppa fiducia nelle proprie pos-sibilità, non teme i cambiamenti ma si impegna per gestirli, è disposto a cor-rere rischi, socializza le sue informazioni e può prendere iniziative, favorendo la propria crescita e quella del contesto scolastico.

Le indicazioni del Legislatore rappresentano il riflesso di questa consapevo-lezza e lo stimolo all’assunzione di un ruolo attivo della scuola e dei suoi attori nella promozione del proprio benessere. È infatti a partire dagli anni Novanta che la normativa inizia a vincolare le scuole a una progettazione per promuo-vere il benessere a scuola. Il capostipite di queste esperienze è rappresentato dal «Progetto giovani», un’iniziativa nata nel 1989 e rilanciata negli anni suc-cessivi allo scopo di aiutare le scuole secondarie superiori nell’offrire ai giovani l’opportunità di essere promotori di analisi e protagonisti di interventi, al fine di migliorare la qualità della vita scolastica, con particolare riferimento allo svi-luppo del proprio equilibrio psicofisico e sociale, e di promuovere su questa base un’immagine reale e positiva dei giovani, al di là della cultura dell’emer-genza, assecondando il loro impegno culturale e civile, nel quadro delle fina-lità formative della scuola.

Nel 1994, il Testo Unico delle disposizioni in materia di istruzione (D.lgs.

16 aprile 1994, n. 297, art. 326) affida al Ministero della Pubblica Istruzione

il compito di coordinare e promuovere attività di educazione alla salute nelle scuole di ogni ordine e grado, mentre le Direttive Ministeriali 292/1996 e

463/1998 forniscono le linee di indirizzo per l’attuazione, il monitoraggio e

la valutazione degli interventi volti a garantire lo sviluppo delle potenzialità di ogni alunno, la realizzazione del diritto alla piena scolarità e alla qualità dell’istruzione e della formazione e il recupero delle situazioni che possono determinare comportamenti a rischio, abbandono precoce e dispersione. Tali interventi (educazione alla salute, prevenzione delle tossicodipendenze, con particolare riferimento alle droghe di sintesi, alla lotta all’abuso di farmaci e sostanze per l’incremento artificiale delle prestazioni sportive, e al sostegno agli alunni delle aree maggiormente a rischio), pur differenziandosi per mo-dalità operative, strumenti e in qualche caso anche per riferimenti normativi (per esempio il D.P.R. 309/1990, in particolare l’art. 104, poi ribadito dalla Legge 45/1999), attribuiscono alla scuola un ruolo fondamentale nella preven-zione e nell’educapreven-zione alla salute, attribuendole una funpreven-zione informativa ed educativa da esplicare in modo continuativo e strutturale attraverso le attività scolastiche e prevedendo un’azione concertata e condivisa con le agenzie so-ciosanitarie del territorio anche attraverso l’istituzione dei CIC. La Legge

285/1997, finalizzata alla promozione dei diritti dell’infanzia e

dell’adole-scenza, pur centrandosi sulla famiglia, comprende anche la possibilità di in-tervenire in ambito scolastico, e di fatto molti interventi di promozione del benessere attuati nelle scuole sono finanziati da questa legge. Essa prevede inoltre che la programmazione degli interventi avvenga attraverso accordi di

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Il capostipite di queste esperienze è rappresentato dal «Progetto giovani», un’iniziativa nata nel 1989 e rilanciata negli anni successivi

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programma che devono coinvolgere tutti i soggetti del territorio interessati, devono integrarsi nel complessivo piano dell’offerta formativa della scuola e trovare punti di ricaduta nel curriculum scolastico.

Più recentemente il quadro normativo dell’autonomia scolastica (Legge

59/1997 e D.P.R. 275/1999) indica come finalità della scuola la

progetta-zione e la realizzaprogetta-zione di interventi di educaprogetta-zione, formaprogetta-zione e istruprogetta-zione mi-rati allo sviluppo della persona umana, adeguati ai diversi contesti, alla domanda delle famiglie e alle caratteristiche specifiche dei soggetti coinvolti, al fine di garantire loro il successo formativo, coerentemente con le finalità e gli obiettivi generali del sistema di istruzione e con le esigenze di migliorare l’efficacia del processo d’insegnamento e di apprendimento (D.P.R. 275/1999, art. 1, comma 2).

Tali elementi, confermati e ribaditi anche nelle altre leggi che regolano il si-stema scolastico e formativo, offrono una nuova prospettiva che pone lo svi-luppo armonico dell’identità personale e sociale di tutti gli studenti come finalità generale della scuola, fino ad arrivare all’insegnamento di Cittadi-nanza e Costituzione come previsto dalla legge n. 169/2008.

In questa prospettiva, l’autonomia, il diritto allo studio e l’ampliamento del-l’offerta formativa definiscono un sistema che ha l’obiettivo di estendere a tutti il successo formativo, personalizzando, differenziando e integrando l’of-ferta. Questo implica una costante rilevazione e analisi dei bisogni degli stu-denti e del territorio (anche in termini di disagio), una stretta relazione (interrelazione) con gli altri soggetti rilevanti del territorio (pubblici e privati, del mondo del lavoro, ma anche di quello culturale e sociale), al fine di deli-neare strategie e programmi integrati che garantiscano il pieno sviluppo per-sonale e sociale dei giovani.

La scuola, quindi, attraverso il POF deve tradurre questi principi in azioni con-crete e integrate in un’unica strategia educativa e formativa, che persegue lo sviluppo globale della persona e il suo pieno inserimento sociale e lavorativo (il successo formativo), la dimensione didattica e disciplinare, orientata a formare il lavoratore, con quella più psicosociale, relazionale ed etica, orientata a for-mare la persona e il cittadino.

Si prefigura, così, uno scenario complesso, un sistema che deve essere in grado di differenziare e integrare, di accogliere e far incontrare istanze diverse, biso-gni diversi (di ciascuno degli attori in gioco, interno ed esterno alla scuola) con l’obiettivo prioritario di realizzare il pieno sviluppo della persona e il risultato di conseguire il successo formativo.

Questi aspetti delineano un quadro estremamente coerente nei suoi presup-posti con una cultura della promozione del benessere, riconoscendo il carattere multidimensionale della promozione del successo formativo, l’esigenza di dare centralità alla persona e ai suoi bisogni, di valorizzarne risorse personali, auto-nomia e capacità di azione, ma anche, in un’ottica sistemica, di dare rilevanza

Il quadro normativo dell’autonomia scolastica indica come finalità della scuola la progettazione e la realizzazione di interventi di educazione, formazione e istruzione mirati allo sviluppo della persona umana

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ai fattori di contesto (l’organizzazione e la creazione di reti) e a come questi pos-sono influire nel raggiungimento delle finalità indicate per la scuola.

SERVIZI EROGATI

Nella vita dell’adolescente, il passaggio da un ordine di scuola a un altro è uno snodo fondamentale, ricco di attese ma anche di insidie. In questo frangente, come hanno messo in luce anche ricerche internazionali, il clima di accoglienza che la scuola riserva al nuovo arrivato può generare beni relazionali capaci di contrastare le tendenze anomiche, come dimostrano alcuni casi esaminati che si distinguono in modo particolare per la sistematicità e la qualità delle inizia-tive offerte.

Altro fattore determinante nel successo formativo è la capacità degli educatori di rispondere a problemi che nei ragazzi sono tanto diffusi quanto rilevanti, come la scarsa motivazione allo studio, le carenze nel metodo e l’incapacità di gestire il tempo dello studio. Le azioni in questo ambito sono differenziate, oltre che per metodologie e finalità, anche per soggetti promotori. Si segnalano in primo luogo scuole (statali, paritarie o reti di scuole) attive

nell’accompagna-mento nello studio. Sempre in questo ambito non mancano iniziative ormai

consolidate promosse da soggetti di terzo settore. Progetti innovativi preve-dono anche l’utilizzo dell’e-learning oppure la realizzazione di azioni integrate. Nella relazione con studenti a rischio dispersione, si è dimostrata utile la

fi-gura di un tutor. Il tutor può essere: un docente coadiuvato da personale

esterno alla scuola; un giovane adulto di età compresa tra i 18 e i 25 anni, che si reca a casa del ragazzo; un tutor (professionista) che opera nei centri per l’im-piego secondo quanto previsto dalla Legge 144/1999.

In linea con la Legge 162/1990, e spesso in continuità con esperienze prece-denti dei CIC (Centri di Informazione e Consulenza), presso molte scuole sono operativi gli sportelli di ascolto, una tipologia di intervento che mira a con-trastare la dispersione affrontando in modo prioritario le componenti psicolo-giche e relazionali del disagio giovanile. Un’azione paradigmatica è stata capace di monitorare un progetto di rete che coinvolge tutti gli istituti secondari di se-condo grado di una realtà cittadina.

La necessità di costruire una continuità educativa (richiamata dalla Legge 148/90) tra scuola ed extra-scuola è il filo conduttore di molte iniziative. In questa prospettiva, sono stati assunti come interlocutori privilegiati la famiglia (nella convinzione che è possibile far diventare la relazione fra scuola e fami-glia un agente-collaboratore del successo formativo degli allievi) oppure soggetti presenti nel territorio, come amministrazioni locali, comunità locali e servizi sociali, per offrire servizi educativi ad hoc. Alcune iniziative nascono da una stretta collaborazione con i centri di formazione.

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Nella vita dell’adolescente, il passaggio da un ordine di scuola a un altro è uno snodo fondamentale e il clima di accoglienza che la scuola riserva al nuovo arrivato può generare beni relazionali capaci di contrastare le tendenze anomiche

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I servizi erogati si concentrano anche sul tentativo di orientare la didattica in aula (o predisporre percorsi formativi ad hoc) verso l’acquisizione delle life

skills, in conformità alle linee guida indicate da organismi internazionali. C’è

chi applica il Metodo Feuerstein e chi fa tesoro di un approccio sistemico per proporre a tutti i soggetti coinvolti nell’educazione programmi e inter-venti che affrontano il problema del disagio e della dispersione da un punto di vista organico.

Come hanno mostrato ormai numerosi studi, una scelta erronea nel per-corso scolastico aumenta il rischio di dispersione. Da questo punto di vista si può osservare che se molte delle iniziative considerate integrano gli spe-cifici servizi offerti con una più generale attività di orientamento o

riorien-tamento, c’è un’iniziativa che mette a tema in modo esclusivo l’attività di

ri-orientamento e il passaggio tra scuole. Nei casi di ragazzi dispersi sono av-viate anche attività di rientro formativo o di scuola di seconda opportunità, un tipo di iniziativa promossa dalla Commissione Europea come buona pra-tica per il conseguimento dell’obbligo formativo. In questi casi ci si rivolge a ragazzi già dispersi o ad altissimo rischio di dispersione ed è pertanto ne-cessario elaborare strategie e metodologie che tengano conto della specificità del caso trattato.

Nella relazione con studenti a rischio dispersione, si è dimostrata utile la figura di un tutor

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Il trattamento penitenziario, nella più vasta accezione, comprende quel complesso di norme e di attività che regolano e assistono la privazione della libertà per l’ese-cuzione di una sanzione penale: sono norme dirette a tutelare i diritti dei dete-nuti, i principi di gestione degli penitenziari, le regole che attengono alla somministrazione e alle prestazioni dovute ai privati della libertà.

Qualificandosi il trattamento penitenziario, nella sua nozione più lata, come una «offerta di interventi» (art. 1 Regolamento esecutivo 230/2000), esso risulta carat-terizzato dall’assenza di qualunque carattere impositivo, presupponendo una ade-sione volontaria da parte dei soggetti cui la relativa offerta è destinata. Dall’obbligo di attivarsi, da parte dei componenti organi dell’amministrazione penitenziaria, discende un correlativo «diritto al trattamento» in capo a ogni singolo detenuto. La Legge 354 del 1975 (Ordinamento penitenziario) ha allineato il trattamento ai sistemi più avanzati di privazione della libertà personale, adeguandosi alle re-gole minime dell’ONU (1955) e del Consiglio d’Europa.

I principi del trattamento penitenziario adottato nel nostro Paese traggono origine da un’elaborazione dottrinaria scientifica e criminologica che si salda con le statui-zioni della Carta costituzionale.

Il trattamento rieducativo si pone con il trattamento penitenziario da species a

genus, nel senso che costituisce una parte rispetto al tutto, inserendosi nel quadro

generale dei principi di gestione che regolano le modalità di privazione della libertà personale, come dovere dello Stato di attuare l’esecuzione della pena e della misura di sicurezza in modo da tendere alla rieducazione del soggetto, al fine della riso-cializzazione dello stesso.

Tutto ciò in considerazione di agire in una comunità chiusa, anche se parzialmente, suscettibile di creare una subcultura carceraria, che deforma e dilata la realtà, in-fluenzando negativamente o condizionando spesso l’attività di osservazione. Tra la serie di diritti che il Legislatore ha introdotto e regolamentato all’interno del carcere e il cui esercizio rientra nello scopo rieducativo che la detenzione deve avere, in ottemperanza dell’art. 27 della Costituzione, la normativa penitenzia-ria prevede, oltre ovviamente al diritto al lavoro, anche quello all’istruzione e alla formazione.

Ma se si entra dentro un istituto penitenziario – fatte salve le differenze tra i di-versi istituti –, ci si trova tuttora di fronte a un’espressione emblematica di una

ca-L’ISTRUZIONE

Nel documento Legalità, responsabilitàe cittadinanza (pagine 67-75)

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