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DALL'AUTONOMIA AL CENTRO SOCIALE OCCUPATO

Ci vuole una casa per andare in giro per il mondo (Assalti Frontali)

Scrivono Moroni e Balestrini (2011):

- I primi eventi accaddero a Milano tra il 1975 e il 1976 quando consistenti strati giovanili delle estreme

periferie della metropoli danno spontaneamente vita a forme originali di aggregazione a partire dalla critica della miseria del loro esistente: condizioni di studenti per alcuni, di disoccupati per altri, quella di operai precari e sottopagati per i più. Per tutti, indifferentemente, esiste il problema del tempo libero, un tempo vissuto come obbligo coatto al vuoto, alla noia, all'alienazione - (p. 509)

In Italia il primo centro sociale occupato nasce a Milano, è il Leoncavallo, o “Il Leo” come viene affettuosamente chiamato dai militanti. Così vi si legge nella crono-storia del sito ufficiale del centro sociale milanese:

- La prima occupazione, era il 18 ottobre del 1975, fu di un piccolo stabile di via Mancinelli, nella periferia nord-est della città, ad opera di alcuni "Comitati di Caseggiato" (in particolare di Casoretto e Lambrate), dei collettivi anti-fascisti della zona e Avanguardia Operaia, e di qualche esponente dei movimenti Lotta Continua e Movimento Lavoratori per il Socialismo. Erano quindi rappresentate un'ampia gamma di ideologie, dagli "ex-cattolici" libertari ai Marxisti-Leninisti. L'edificio, precedentemente utilizzato da tre aziende, era in stato di abbandono da anni. Solo una volta entrati nello stabile gli occupanti si resero conto dell'enorme magazzino abbandonato adiacente, di oltre 3600 m², che si affacciava su via Leoncavallo e che divenne sede del centro sociale fino al 1994-8

Immediatamente anche a Roma, Torino, Bologna e successivamente Padova, Genova, Palermo, Napoli e Venezia vengono occupate intere palazzine abbandonate, capannoni dismessi, vecchie fabbriche di periferia oppure centralissimi edifici storici. Ogni spazio abbandonato, degradato e dimenticato diventa un potenziale luogo d'aggregazione e di produzione culturale dove si fa concreta la possibilità di vivere l'alternativa, progettare il presente e sognare il futuro. Nascono, all'interno dei C.S.O, veri e propri laboratori sociali orientati alla riscoperta e alla definizione di un tempo altro e uno spazio libero. Corsi di danza e musica, artigianato, officine meccaniche e tessili, ogni cosa è orientata a ricreare, così come ci dicono Moroni e Balestrini (2001), un micro-mondo diverso e antagonista da quello che si vive. La critica alla società contemporanea da parte di chi decide di essere uno squatter9 parte proprio da qui, dalla conquista dello spazio e del tempo della modernità così che l’alternativa ideologica non è più solo in una dimensione astratta e ideale quanto piuttosto una pratica reale da ricreare, progettare e ideare insieme. Se può essere vero, così come sostiene qualche intellettuale, che i C.S.O siano una conseguenza spontanea e “naturale” di una modernizzazione calzante e dirompente che ha saputo, forse per una sua innata e immanente ambivalenza, ricreare al suo interno sacche di malessere giovanile, precariato urbano e potenziale sociale che si è poi riversato nella prassi e nella teorizzazione di una dimensione spazio-temporale altra e alternativa, dall'altra parte, è anche vero che un giudizio e un'analisi che basa le sue fondamenta teoriche esclusivamente su un discorso di questo tipo sarebbe riduttivo e parziale.

Il circuito culturale in questione non può essere ridotto alla sua definizione come rimasuglio o sopravvivenza di quello che fu il movimento rivoltoso degli anni ’60. Naturalmente questo è la culla culturale dove il Noi che si vuole descrivere comincia a prendere forma, ma è anche vero che i semi gettati nel corso della storia sono germogliati e maturati in forme ibride e contaminate. Nello stesso tempo è sbagliato identificare questo movimento culturale come una sotto-cultura giovanile per diverse ragioni. Prima di tutto una sotto-cultura è una definizione parziale nel momento in cui interessa una porzione di società, generalmente definibile per età o sesso, mentre qui si parla di totalità complessiva e trasversale che raccoglie uomini e donne di ogni età ed estrazione sociale. Inoltre una sub-cultura è temporaneamente limitata ad in periodo storico. Il dilemma di “punk is dead” o “punk is not dead” diventa assolutamente irrisorio al fine dell’analisi sul Noi dei centri sociali per la misura in cui ogni tentativo di ingabbiare una complessità sociale che rivendica, e di fatto produce, forme altre di sapere e di pratiche di convivenza, tanto forti da poter vantare una certa dose di

9Il termine squatter viene usato in tutta Europa per indicare chi occupa gli edifici e li abita

indistintamente dal colore politico e dall’ideologia che supporta tale pratica. Nel corso degli anni, però, il termine è andato sempre più identificandosi con gli occupanti libertari e anarchici soprattutto in Italia dove, a fronte di una maggioranza degli spazi occupati di derivazione Autonoma, gli anarchici ci tengono a definire la loro differenza e identità con il termine squatter piuttosto che come occupanti, e i centri sociali sono gli squat piuttosto che i CSO. Il simbolo degli squatter è però ugualmente utilizzato tanto dagli Autonomi quanto dagli anarchici e raffigura un fulmine cerchiato, simbolo di forza, conflitto, radicalità e imprevedibilità che però subisce la volontà collettiva del Noi che, sotto forma di cerchio, rinchiude e determina la pratica dell’agire.

incisività nel potere dominante precostituito, allora un mero dibattito intorno alla categoria interpretativa della sub-cultura militante sarebbe più che mai effimera. I centri sociali, semmai, sono un incubatore di sub-culture giovanili, una complessità di soggettività culturalmente antagoniste. I centri sociali fanno la storia ma anche la subiscono e, spesso, si adattano ad essa. Ecco che allora la cultura antagonista dei CSO è, in un dato periodo, più vicina alla reggae e al mondo culturale africano, ora più vicino al mondo alternativo anglosassone dei punks, ora degli skins ora dei moods. In un certo modo possiamo dire che il Centro sociale è tutto questo perché è oltre questo. Come ogni fenomeno sociale che si rispetti, quindi, la complessità la fa da padrona indiscussa, non esiste un'unica interpretazione ne tanto meno un'unica verità, semmai si può tendere il più possibile al vero solo attraverso una riproposizione accurata della storia e cercando di ridefinire i confini e il contesto dentro il quale decidiamo di cominciare a descrivere il fenomeno in questione. Ed è proprio da qui che vorrei cominciare, ripartendo dall'incipit che ci viene dato dalla crono-storia del Leo quando si accenna a quella galassia politica tanto variegata e multiforme quanto perfettamente inquadrabile e identificabile.

Sono i vari gruppi e gruppetti della sinistra extraparlamentare degli anni '60, come dicevamo, a gettare le basi teoriche e pratiche e a cominciare quel percorso culturale che, parallelamente agli avvenimenti sociali della storia contemporanea, diventeranno i futuri collettivi politici dei centri sociali. Ai fini del focus di questa ricerca ritengo fuori luogo riproporre un'accurata storia di quelli che furono gli anni sessanta da un punto di vista politico; ripercorrere la storia dei partiti e delle sigle extraparlamentare diverrebbe un lavoro faticoso e lungo, sicuramente, però diventa indispensabile descrivere brevemente la storia del movimento italiano antagonista e rivoluzionario per eccellenza che ha determinato la nascita dei primi centri sociali occupati e che continua a presentarsi come un potente immaginario di molti C.S.O in Italia e soprattutto in Veneto.