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ATTRAVERSO LO SPAZIO E DENTRO I LUOGHI DEL NO

3.3 FALSA COSCIENZA

Nel porsi in essere come entità totalizzante e assoluta, il potere del dominio finisce per scontrarsi con la sua controparte rappresentata dalla società civile. Controparte perché parto dal presupposto, nonché dalla convinzione, che nessun essere umano abbia scelto liberamente di vivere questa vita in questo modo ne tanto meno a nessuno è stata data la possibilità di scelta tra modelli sociali esistenti. Dal momento in cui nasciamo fino a quando moriamo ci troviamo a vivere in un mondo precostituito e a noi non resta che accettare oppure ritagliare sacche di libertà personali o collettive all’interno di questa umanità in divenire. Cosa rimane nel tempo e chi sopravvive alla temporalità dell’uomo è soprattutto il potere inteso come capacità di controllo e di creare consenso, e le relative strutture e istituzioni, che le società stato-nazione e i modelli economici hanno saputo mettere in atto.

Per sua natura dispotico, il potere sa di non potersi palesare apertamente. Ma un’idea basata solo su questo presupposto risulterebbe sbagliata in quanto si finirebbe per attribuire al potere un’entità a se stante, distaccata e differente dalla società e dall’uomo. Bisogna quindi fare una piccola precisazione: Il potere nasce dall’uomo, il potere guarda l’uomo, il potere è dell’uomo sull’uomo. Ma il potere è anche quel meccanismo che permette il progresso sociale così come il progresso tecnologico occidentale che ha permesso la diffusione di benessere e l’appagamento dei bisogni primari su larga scala. Il primo punto è questo: il potere è tale solo se ha il consenso. Difatti esistono diversi lavori di studiosi ed esperti del settore che hanno analizzato le pratiche e i mezzi di controllo che il potere usa verso dell’opinione pubblica con l’interesse appunto di creare un senso comune condiviso e conforme a quelle che sono le regole che il dominio si da. L’idea dello stato nazione e dei confini identitari, della politica nazionale, l’esercito, la stampa e i giornali, il senso comune e l’opinione pubblica fino ai vari modelli economici, che nell’analisi di T. Negri, riportata più avanti, saranno i veri motori pulsanti del potere globale contemporaneo, sono tutti i fattori che determinano quella modernità fluida (Bauman, 2007) che porta alla società dell’apparenza, della superficialità e dell’accondiscendenza di cui parla Vattimo (1989) e che posso essere visti, se adottiamo un’ottica di questo tipo, come conseguenza di quel sistema di controllo che stiamo cercando di descrivere.

Fatta questa premessa una domanda è quasi d’obbligo, e cioè, come è possibile che l’uomo, una volta realizzato la propria condizione, accetti la sudditanza verso queste entità dispotiche? Come mai i subordinati tendano ad essere accondiscendenti verso il potere e le sue ramificazioni visibili come lo sfruttatore, il datore di lavoro, lo schiavista, il padrone, l’impresario. Come mai si accetta la sudditanza, l’umiliazione? Perché la rassegnazione?

Per Pierre Bourdieu (2000) ogni ordine stabilito tende a produrre (in misura e con mezzi diversi) la naturalizzazione della sua arbitrarietà che è data dall’accettazione dell’individuo verso la propria condizione di subordinato e quindi alla rassegnazione. La teoria non dice che il proprio destino è amato, ma solo che viene accettato o non accettato. Allo stesso modo, questo tipo di atteggiamento, lascia aperte alcune strade prima fra tutte la possibilità del conflitto tra potere e contro potere in quanto, come scrive Scott (2006, p.108):

- Sappiamo tutti che ogni ideologia che aspiri all’egemonia deve, di fatto, fare, qualche promessa ai gruppi subordinati al fine di spiegare loro perché un certo assetto coincida con il loro interesse. E nel momento che le promesse vengono fatte, la strada al conflitto sociale è aperta -

Il punto è che solo nel momento in cui il potere palesa le sue intenzioni sotto forma di promesse, allora, e solo allora, lascia spazio ideale ad una sua riformulazione immaginaria in chiave antagonista. I movimenti rivoluzionari, o che ambiscono a tale scopo, si pongono obbiettivi possibili nell’ambito di quella che concepiscono come l’ideologia dominante, affette da “falsa coscienza” ma pienamente in grado di intraprendere, e formulare, azioni rivoluzionarie. Questo punto è più che mai importante

perché colpisce il cuore del discorso che si vuole affrontare in questo paragrafo: la falsa coscienza è un mezzo attraverso il quale entrare in relazione aperta con il potere nel campo del potere, è un dispositivo culturale di difesa ma allo stesso tempo di resistenza nella misura in cui permette l’incontro/scontro tra le parti. La falsa coscienza del villano, del contadino, dell’operaio, del militante politico, che vive le contradizioni del sistema, che subisce la sudditanza, è un mezzo attraverso il quale mostrarsi al potere senza entrare apertamente in conflitto con questo. Questo escamotage culturale viene visto da Scott sia come un preludio alla pratica della sovversione vera e propria, sia come parte integrante di questa.

Scrive Scott (2006, p.136):

- Tutti i gruppi di potere, nel momento in cui giustificano i principi della disuguaglianza sociale su cui basano la propria rivendicazione di potere, si rendono vulnerabili a una specifica linea di critiche. Poiché al fine di sostenere la disuguaglianza inevitabilmente l’élite dominante sostiene di svolgere una qualche nobile funzione sociale, i suoi membri si espongono alla critica di non svolgere quella funzione in modo onorevole e adeguato. La base su cui poggia la richiesta di privilegio e potere costituisce a sua volta la base di una critica graffiante della dominazione nei termini invocati dall’élite -

Una volta accertato il verbale pubblico delle forme di dominio è possibile definire quali possano essere le richieste della controparte e quindi le strategie dell’insubordinazione in questo contesto. Una classe dominante che giustifica la propria autorità sulla legge e l’onestà, allora dovrà fare un ottimo lavoro di occultazione per nascondere e celare la corruzione e l’ingiustizia, i delinquenti e gli assassini che operano per il potere e nel potere. Insomma, conclude Scott, ogni giustificazione pubblica della disuguaglianza produce una specie di simbolico tallone d’Achille dove l’élite è particolarmente vulnerabile.