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4. Paesaggio e pianificazione

4.1. Dall'immagine alla prassi territoriale

Una conoscenza dello spazio reale e rappresentato, visto e vissuto, che vada oltre una semplice misurazione dello spazio è conditio sine qua

non della pianificazione. Se il progetto indica un’elaborazione che

determina forme e dimensioni, materiali e modalità costruttive di una singola opera architettonica, la pianificazione, invece, si riferisce all’organizzazione di tutti gli elementi del territorio (residenziali, produttivi, infrastrutturali) secondo determinate politiche di sviluppo urbanistico ed economico. È evidente che l’importanza del progetto e della pianificazione in funzione paesistica risieda nel sistema di relazioni che li lega, in altre parole, nel significato di un oggetto in funzione del contesto. Il contesto rappresenta anche il grado di complessità dell'immagine essendone il tramite, per cui, a causa delle sue molteplici tensioni e componenti morfologiche può restituire immagini relativamente unitarie, frazionate o discontinue, esteticamente notevoli o mediamente prive di valori a seconda della complessità strutturale del tessuto (Asta, 2011). Il tessuto paesistico, sia in presenza che in assenza di particolari valori monumentali, si costituisce come materia dell'immagine la cui conservazione non può ottenersi senza la conservazione del tessuto stesso nella sua contestualità di valori materiali e immateriali, ovvero tra gli oggetti, segni del paesaggio rappresentato, le loro relazioni fisiche e simboliche, le attribuzioni di significato da parte della componente umana collettiva. Ecco che non può sussistere immagine al di fuori del proprio contesto temporale e territoriale, perciò se l'obiettivo è la valorizzazione dell'immagine, inevitabilmente ogni intervento progettuale dovrà essere teso alla tutela del contesto. La sovrapposizione del tempo storico sullo

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spazio naturale, il mutamento sincronico dello spazio incrociato con la mobilità diacronica del divenire del paesaggio possono essere fotografati dall’intenzione progettuale in un momento determinato in cui si vuole intervenire nell'evolversi temporale di un dato segno paesaggistico. Il dualismo realtà-rappresentazione, perciò, diventa l'elemento chiave della conservazione, gestione e pianificazione paesistica, poiché descrive il paesaggio come struttura e «patrimonio certo della nostra cultura» (Andreotti Giovannini, 1995). La narrazione che scaturisce considerando il segno nella sua veste di interpretante è all'origine della prassi. Vale a dire che la rappresentazione territoriale costituisce l'innesco della prassi. Per l'analisi di questo tema, il principale modello in letteratura è costituito dalla teoria della territorializzazione (Raffestin, 1984; Turco, 1988). Il rapporto fra comunità umane e superficie della Terra viene costruito attraverso la denominazione, la delimitazione, e infine, la pratica dell'intervento sui luoghi. Se prima del Cinquecento la parola territorio indicava il paese abitato, nel corso della storia il termine ha acquisito il senso più specifico di regione. La denominazione è la tappa iniziale del processo di simbolizzazione che si interconnette con i processi materiali. La prassi territoriale si sviluppa su tre piani: il governo, la gestione e la

pianificazione. Dal latino gubernare (reggere il timone), al primo livello

stanno le operazioni che orientano l'azione verso l'obiettivo della territorializzazione. Sul piano intermedio, si colloca la gestione (da gerere, portare, amministrare) che consiste nel coordinamento delle azioni di organizzazione territoriale affinché esse siano coerenti con gli obiettivi del primo livello di governo. In terza istanza, si incontra la pianificazione (da

plan, distorsione del francese plant), che tra Cinquecento e Seicento passa

da indicare un disegno o una rappresentazione a un elaborato, un progetto. Da un punto di vista economico, il termine pianificazione si riferisce a un

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insieme di interventi organici dello Stato realizzati su scala pluriennale, al fine di stimolare e guidare lo sviluppo della produzione. Avviene sia attraverso una rigida regolamentazione di ogni settore della vita economica da parte dell’autorità centrale, sia attraverso un sistema più flessibile di erogazioni, investimenti pubblici, incentivazioni fiscali e creditizie. Si parla di pianificazione in particolare per le economie collettiviste (già tipica dei paesi socialisti, detti appunto a economia pianificata), riservandosi il termine programmazione per quelle dei paesi occidentali. In economia aziendale, la pianificazione non è altro che il processo continuo con cui si stabiliscono obiettivi e azioni per il raggiungimento di risultati. La complessità degli aspetti legati al governo del territorio ci porta a considerare in maniera unitaria le interpretazioni di natura giuridica ed economica della pianificazione. In generale, l’associazione di questi concetti all’idea di paesaggio si riscontra nell’espressione landscape

planning (che correla il paesaggio alla pianificazione), che si fa risalire alla

metà del XX secolo, ma esso inizia ad essere utilizzato comunemente a partire dalla metà degli anni Settanta. In Italia, in realtà, si inizia a parlare di pianificazione paesistica con circa venti anni di anticipo, con la L. 1497/39, ma all’interno della disciplina il termine paesaggio trova ampia diffusione negli anni Ottanta. Proprio dagli anni ’80 «prima in modo timido, poi in modo più chiaro, emerge […] una crisi interna alla categoria: gli urbanisti cominciano a chiedersi se per caso vi sia qualche cosa che non va nel loro operare, intrinseco agli strumenti urbanistici stessi. E ciò non viene neppure addebitato alle carenze della legislazione, come avveniva alla fine degli anni ‘50»30

. Oggi però questa considerazione non è più condivisibile poiché la sensibilità normativa italiana ai temi del paesaggio e

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B. GABRIELLI, in C. MUSCARÀ, (a cura di), Piani, parchi, paesaggi, Laterza, Roma - Bari 1995, pp. 281- 282

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della sostenibilità è cresciuta, grazie anche alla spinta dell’Unione Europea. Infine, un’altra testimonianza di approccio ai temi del progetto, piano e paesaggio risale agli anni Novanta, emerge il landscape urbanism (James Corner e Charles Waldheim) sollecitato da temi e argomenti di più spiccata impronta professionale, con sensibilità verso i temi dello spazio aperto e dell’ecologia, senza però redimere le interferenze tra landscape planning e landscape design.

Muovendo da questi argomenti, si ritiene che lo slancio verso i temi della pianificazione debba essere temperato da una spinta alla conservazione, non tanto come piano della prassi, bensì come elemento trasversale a tutti e tre i suoi livelli. Del rapporto apparentemente antitetico fra conservazione e prassi si tratterà più compitamente nel paragrafo 4.4.