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Danni al DNA

Nel documento L’uso del gadolinio nella NCT (pagine 97-101)

Capitolo 7 Introduzione alla macrodosimetria, alla microdosimetria e alla nanodosimetria

7.11. Danni al DNA

I principali tipi di danno al DNA sono (vedi fig. 7.26):  rottura di una singola catena,

 rottura di una doppia catena,  distruzione di basi,

 creazione di ponti di collegamento spuri.

Fig. 7.26 - Principali tipi di danno al DNA

Si ha una rottura di una singola catena quando ad un danno in una delle due catene corrisponde la catena complementare intatta nella parte opposta. E’ stata dimostrata la correlazione lineare tra le rotture di una singola catena e la dose di radiazioni nell’intervallo 0.2 - 60000 Gy; questo significa che non esiste una dose soglia all’effetto delle radiazioni ionizzanti ma, per quanto piccola, qualsiasi dose può dare un danno. Per la proprietà di complementarietà questo tipo di danno può esser riparato senza ulteriori

conseguenze. Il meccanismo di riparazione è piuttosto semplice: viene asportato il tratto

di catena contenente la rottura e viene ricostruito impiegando la catena integra come riferimento ed infine ricollegato con un enzima denominato ligasi.

Si ha rottura di doppia catena quando 2 rotture su singole catene adiacenti provocano il distacco di una parte del DNA. Una doppia rottura si può avere per un singolo evento ionizzante, che interessa 2 catene contemporaneamente o per la concomitanza di 2 diversi eventi che, casualmente, interessano due punti prossimi di due catene della stessa macromolecola. Il primo caso si ha soprattutto con radiazioni ad alto LET; infatti l’elevata densità di rilascio della dose rende estremamente probabile un evento a doppia rottura. Il

secondo caso si ha quando una radiazione produce la seconda rottura prima che la prima sia stata riparata. Questo avviene con maggior probabilità in presenza di alte dosi ad alta intensità.

Si assume che possa avvenire una rottura singola (SSB) se un deposito locale di energia supera la soglia di ionizzazione dell’acqua liquida (cioè 10,79 eV) [342]. Anche Nikjoo ed altri riportano che la soglia del deposito di energia nel DNA perché si possa verificare la SSB è di circa 20 eV [343]. Con 50 eV di energia depositata nel DNA è possibile che si formino rotture doppie (DSB) [343]. Per avere la probabilità che le DSB si formino nel 100% dei casi occorre che l’energia depositata nel DNA sia di almeno 500 eV [343].

Si segnala inoltre che Boudaiffa ed altri hanno dimostrato che le SSB e le DSB possono essere indotte nel DNA da elettroni con energie molto basse (anche dell’ordine di 5 eV) per mezzo del processo denominato “electron attachment” [344]: sotto i 15 eV gli elettroni infatti possono “attaccarsi” alle molecole e formare una “risonanza” (formazione del

transient molecular anione) con successiva dissociazione dell’elettrone che può

determinare una rottura singola (SSB). L’induzione di DSB ha luogo in questo caso quando i prodotti della frammentazione reagiscono con il legame opposto.

Si è cercato di individuare sperimentalmente la relazione fra dose e numero di rotture doppie; la relazione più accettata è quella lineare quadratica. Una rottura a doppia

catena sembra che non possa essere riparata, esistono però dei meccanismi che

permettono di mantenere la stessa lunghezza della catena, ma non il codice genetico originario eccetto che il frammento distaccato si ricombini spontaneamente.

Il processo di induzione di danno biologico delle radiazioni ionizzanti è intrinsecamente casuale. Infatti, un singolo evento ionizzante può interagire in modi diversi ed il tipo d’interazione non è prevedibile. Anche il meccanismo di riparazione può essere più o meno efficace in funzione di vari parametri, tutti indeterminabili. In generale, quindi, si dovrà associare ad ogni dose di radiazioni non un danno ma una probabilità di danno e quindi si tratterà di effetti di tipo stocastico (casuale). Se però la dose ricevuta da un organismo vivente è molto elevata allora è possibile individuare una correlazione

deterministica tra dose somministrata e danno atteso.

Per danni deterministici s'intendono quelli in cui la frequenza e la gravità variano con la dose e per i quali è individuabile una dose-soglia. In particolare, i danni deterministici hanno in comune le seguenti caratteristiche (fig. 7.27):

 compaiono soltanto al superamento di una dose-soglia caratteristica di ogni effetto;

 il superamento della dose-soglia comporta l'insorgenza dell'effetto in tutti gli irradiati, sia pure nell'ambito della variabilità individuale; il valore della dose-soglia è anche in funzione della distribuzione temporale della dose (in caso di esposizioni protratte la soglia si eleva secondo un "fattore di protrazione");

 il periodo di latenza è solitamente breve (qualche giorno o qualche settimana); in alcuni casi l'insorgenza è tardiva (qualche mese, alcuni anni);

Fig. 7.27 - Relazione tra dose e danno deterministico

Nel caso di dosi elevate il principale danno cellulare è la morte della cellula. Per morte cellulare si possono intendere due distinte cose: la morte vera e propria, che avviene per dosi elevatissime di radiazioni (decine di Gy) e che deriva dalla distruzione delle sue strutture, oppure l’inibizione della sua capacità riproduttiva. In questo secondo caso, quindi, viene considerata morta anche una cellula che non riesce a dividersi un numero sufficiente di volte, dando luogo ad una progenie sterile. Il concetto di morte riproduttiva non può essere quindi applicato a cellule perenni o che si riproducono raramente. Nonostante le limitazioni di questo approccio al problema, la definizione di morte proliferativa è stata mantenuta anche per la sua applicabilità ai trattamenti radioterapici. In questa particolare applicazione delle radiazioni ionizzanti l’inibizione proliferativa di un

tumore equivale alla guarigione. Il metodo di studio degli effetti deterministici sulle

cellule è fornito dall’analisi delle curve di sopravvivenza, curve che mettono in relazione la dose somministrata ad una popolazione cellulare in vitro al numero di cellule sopravvissute. A causa delle incertezze statistiche nella sperimentazione, non è ancora stata stabilita in modo univoco la dipendenza della mortalità delle cellule di mammifero dalle dosi ricevute.

Per quanto visto, oltre che dal tipo di cellula le curve di sopravvivenza dipendono dal tipo di radiazioni, a basso od alto LET (fig. 7.28) , e dall’intensità di dose; esistono vari modelli applicabili ai punti sperimentali nelle varie modalità di irradiazione.

Per radiazioni ad alto LET la curva di sopravvivenza può essere descritta con una esponenziale: 0 D D e S = −

dove S è la frazione di cellule sopravvissute alla dose D e D0 è la dose corrispondente al

37% di sopravvivenza o reciproco della pendenza; infatti se D = D0 allora S = 1/e.

Le radiazioni ad alto LET provocano, per ogni evento ionizzante a bersaglio, un danno non riparabile (doppia rottura del DNA) e quindi il rapporto fra la dose e la percentuale di danno è costante.

Nel caso invece di radiazioni a basso LET è possibile che il danno singolo sia riparato e quindi, per basse dosi, si avranno soprattutto danni riparabili equidistribuiti sulla popolazione cellulare con una parte quasi piatta nella curva di sopravvivenza corrispondente ad un’alta percentuale di cellule sopravvissute. Aumentando la dose quasi tutte le cellule avranno subito un evento ionizzante e quindi le ionizzazioni successive provocheranno danni non riparabili e quindi la curva di sopravvivenza riprenderà un andamento esponenziale inverso.

Matematicamente il modello si può così descrivere:

N D D e S       − =1 − 0

Dove N è il numero di estrapolazione a dose zero e D0 è il reciproco della pendenza della

porzione esponenziale della curva.

La regione iniziale tra 0 e 5 Gy può essere descritta con l’equazione:

S(D) = α D+β D2

con α e β opportuni parametri. Questa formula è nota come relazione lineare-quadratica (LQ model).

Capitolo 8 - Analisi e definizione dei codici di calcolo (MCNP -

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