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4. Le tipologie di danno erariale

4.2. Il danno all’immagine

Collegato al danno da tangente troviamo il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, tutelata in base agli articoli 223 e 9724 Cost., concernenti le formazioni sociali (organizzazioni umane frapposte tra lo Stato ed il singolo individuo, e quindi corpi intermedi tra le istituzioni

giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta”.

22 Secondo cui: “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

23 Ai sensi dell’art. 2 Cost: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

24 L’art. 97 stabilisce che: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

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ed il cittadino come, ad esempio, la scuola; i partiti; i sindacati; le collettività locali; la famiglia; le confessioni religiose) e l’organizzazione della medesima.

Le amministrazioni pubbliche devono organizzarsi ed agire in modo efficace, efficiente, imparziale e trasparente: pertanto, laddove, l’azione di un pubblico dipendente o di un amministratore leda o danneggi questa prerogativa, si viene a creare una perdita di prestigio della Pubblica Amministrazione che, pur non comportandone una diminuzione patrimoniale diretta, è suscettibile di valutazione economica per il ripristino del bene giuridico (efficienza, trasparenza, imparzialità) leso.

Quella del danno all’immagine è stata una delle questioni più analizzate tra quelle trattate nei giudizi di responsabilità dinnanzi alla Corte dei Conti.

Inizialmente, il danno in questione veniva inserito nell’ambito del disposto di cui all’art. 2043 c.c., in virtù del quale si riteneva che il danno risarcibile a fronte della

lesione all’immagine cagionata dal dipendente

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Questo orientamento è stato poi superato dalla lettura dell’art. 2059 c.c., secondo cui il danno all’immagine deve essere inquadrato nell’ambito del danno non patrimoniale, risarcibile quindi attraverso una somma di denaro, a titolo di riparazione della lesione subita.

Per quanto concerne il risarcimento del danno all’immagine, occorre prendere in esame l’art. 17, comma 30-ter25, del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, (c.d. “Lodo Bernardo”), convertito con legge 3 agosto 2009, n. 102. In virtù di quanto qui stabilito, il danno all’immagine di una struttura pubblica può sussistere ed essere perseguibile innanzi al giudice contabile soltanto laddove sia richiesta l’esistenza di una fattispecie di rilievo penale alla quale sia riconducibile il pregiudizio erariale.

25 Secondo cui: “le procure della Corte dei conti esercitano l’azione per il risarcimento del danno all’immagine nei soli casi e nei modi previsti dall’articolo 7 della legge 27 marzo 2001, n. 97. A tale ultimo fine, il decorso del termine di prescrizione di cui al co. 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, è sospeso fino alla conclusione del procedimento penale. Qualunque atto istruttorio o processuale posto in essere in violazione delle disposizioni di cui al presente co., salvo che sia stata già pronunciata sentenza anche non definitiva alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, è nullo e la relativa nullità può essere fatta valere in ogni momento, da chiunque vi abbia interesse, innanzi alla competente sezione giurisdizionale della Corte dei conti, che decide nel termine perentorio di trenta giorni dal deposito della richiesta”.

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Poiché sono state mosse numerose critiche a questo decreto, la Corte Costituzionale con la sentenza 1 dicembre 2010, n. 355, ha escluso l’illegittimità della norma “circoscrivendo oggettivamente i casi in cui è possibile, sul

piano sostanziale e processuale, chiedere il risarcimento del danno in presenza della lesione dell’immagine dell’amministrazione imputabile a un dipendente di questa”.

Con questa decisione, pertanto, si è voluto delimitare gli ambiti di rilevanza del giudizio di responsabilità amministrativa, ammettendo la risarcibilità del danno per lesione all’immagine dell’amministrazione soltanto in presenza di un fatto che integri gli estremi di una particolare categoria di delitti26.

A questo proposito, possiamo prendere in

considerazione la sentenza della Corte dei Conti, Sezione I, 14 dicembre 2012, n. 809.

La Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Lombardia mediante questa sentenza aveva condannato quelli che all’epoca del fatto erano i dipendenti o i dirigenti di ANAS S.p.A. al risarcimento dei danni

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M. FRATINI, Compendio di Contabilità Pubblica (Contabilità di Stato e degli Enti pubblici), op.cit., p. 454.

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patrimoniali e non patrimoniali arrecati alla stessa ANAS e al Ministero dell’economia e delle finanze, in relazione alle condotte illecite poste in essere dagli interessati al fine di assicurare l’aggiudicazione di vari appalti di opere pubbliche in favore di imprese compiacenti, a fronte di illecite dazioni di denaro.

Pertanto, come possiamo ben dedurre, ai fini dell’ammissibilità dell’azione di risarcimento del danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, è sufficiente che il reato, per il quale sia intervenuta condanna irrevocabile in sede penale a carico del responsabile, abbia cagionato un danno patrimoniale.

4.3. Il danno da disservizio

La giurisprudenza della Corte dei Conti ha elaborato la categoria del danno da disservizio collegandolo al mancato raggiungimento dell’utilità programmata in relazione alle risorse investite, capace così di generare uno spreco.

Questo costituisce, quindi, un pregiudizio economico effettivo, concreto e attuale ravvisabile nei maggiori costi

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supportati dalla Pubblica Amministrazione in conseguenza del mancato conseguimento della legalità, dell’efficienza, dell’efficacia, dell’economicità e della produttività dell’azione

amministrativa27, a causa della disorganizzazione del

rispettivo servizio dovuta alla condotta commissiva od omissiva (connotata da dolo o colpa grave) dell’agente o del dipendente.

La determinazione del danno avviene con valutazione equitativa. Ciò significa che il giudice, in virtù di quanto affermato dall’art. 1226 c.c., deve assumere alla base della valutazione l’entità degli stipendi percepiti nel periodo in cui si è svolto il rapporto. Il danno deve, quindi, essere valutato non soltanto in relazione alla corretta individuazione della immotivata retribuzione ma anche tenendo conto delle spese generali di gestione del servizio pubblico.

Collegato al danno da disservizio troviamo poi un’ulteriore tipologia di danno: il c.d. danno da ritardo.

27 A. BUZZANCA, Danni da dissesto, da disservizio, da mancata utilizzazione dei beni, in P. CENDON (a cura di), Danni da reato responsabilità processuale pubblica amministrazione, Padova, Cedam,

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Questa tipologia di danno è contenuta nell’art. 2-bis28 della Legge n. 241 del 1990 e, si determina ogni qual volta la Pubblica Amministrazione ometta di porre in essere un provvedimento richiesto dal cittadino; la prolungata e illegittima inerzia dell’agente pubblico, dunque, cagiona la lesione di interessi del privato meritevoli di tutela sulla cui risarcibilità si concentra il presente lavoro29.

Sotto questa prospettiva risulta rilevante la Sentenza della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Regione Campania, 13 luglio 2017, n. 28030.

28 Secondo il quale: “[...] Fatto salvo quanto previsto dal comma 1 e ad esclusione delle ipotesi di silenzio qualificato e dei concorsi pubblici, in caso di inosservanza del termine di conclusione del procedimento ad istanza di parte, per il quale sussiste l'obbligo di pronunziarsi, l'istante ha diritto di ottenere un indennizzo per il mero ritardo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla legge o, sulla base della legge, da un regolamento emanato ai sensi dell'articolo 17, comma 2, della legge 23 agosto 1988, n. 400. In tal caso le somme corrisposte o da corrispondere a titolo di indennizzo sono detratte dal risarcimento”. 29 C. MANCIA, Considerazioni in tema di danno da ritardo, in www.Ambientediritto.it, 2015, p. 1-4.

30 “[...] La procura erariale contestava cinque fattispecie di danno: euro 1.783,07 per spese processuali sostenute dal Comune di Mondragone a seguito della sentenza del TAR Campania con il quale è stato annullato un provvedimento comunale di rigetto di richiesta di accesso [...]; euro 4.781,24 per un incarico di consulenza legale conferito dal Comune di Mondragone [...]; euro 1.464,00 per spese processuali sostenute dal Comune di Mondragone [...] con la quale è stata dichiarata illegittima l’inerzia del Comune in merito ad una domanda di condono edilizio [...]; euro 8.883,80 per danno non patrimoniale da disservizio. La somma complessiva richiesta dalla Procura erariale è, quindi, pari ad euro 17.767,60 [...]”. Questa

sentenza, dunque, si concentra sulle conseguenze del danno erariale prodotto dal responsabile del procedimento condannato dal TAR per

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4.4. Il danno da perdita di “chance”

L’istituto del danno da perdita di chance, in ambito giuridico, trova collocazione nel campo della responsabilità, andando a designarne una tecnica risarcitoria applicabile tanto alla responsabilità contrattuale quanto a quella extracontrattuale31.

Le origini di questa fattispecie si rinvengono all’interno della giurisprudenza e della dottrina francesi. Il termine

chance non è però di origine francese ma è un termine di

origine latina derivante dalla parola cadentia ossia il cadere dei dadi ed esprime il concetto di “buona probabilità di riuscita”.

Questa tipologia di danno ha rappresentato una delle tematiche in cui, con maggiore, chiarezza sfuma la distinzione tra danno emergente e lucro cessante. Tant’è vero che sia la giurisprudenza che la dottrina sono da sempre oscillanti tra la teoria interpretativa che riconduce alla chance il significato di perdita subita, in termini di

non aver emesso il provvedimento edilizio nei termini previsti dalla legislazione vigente.

31 M.C. IEZZI, La chance: nella morsa del danno emergente e del lucro cessante. Il danno da perdita di chance quale tecnica risarcitoria applicabile alla responsabilità contrattuale, alla luce delle più recenti elaborazioni giurisprudenziali e dottrinali, in www.neldiritto.it, 2008.

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perdita della possibilità di un certo risultato finale; e quella che, invece, le attribuisce i connotati del mancato guadagno32.

Dunque le tesi che occorre porre a confronto da tale punto di vista sono: la tesi eziologica che “spinge” sul profilo del lucro cessante e la tesi ontologica che fa riferimento all’elemento del danno emergente.

La chance, nella tesi eziologica, non viene vista come una utilità a sé stante: per cui, la relativa perdita non costituisce la perdita di un bene patrimoniale, ma l’annullamento di un presupposto necessario per il conseguimento del bene sperato; perciò, così intesa, la

chance viene a configurarsi come una occasione persa.

Contrariamente, nella tesi ontologica, la chance viene valorizzata come un bene giuridico già presente nel patrimonio del soggetto, la cui lesione viene a configurare non un mancato guadagno bensì una perdita, da intendere come incremento patrimoniale che il danneggiato avrebbe conseguito con l’utilizzazione della prestazione inadempiuta.

32 M. FRATINI, Compendio di Contabilità Pubblica (Contabilità di Stato e degli Enti pubblici), op.cit., p. 441.

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In questa prospettiva la chance viene a costituire allora una posta attiva del patrimonio: così, in virtù di quanto disposto anche dalla Sentenza della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale della Lombardia, 13 marzo 1998, n. 436, il danno che si va delineando “non va configurato come danno

futuro, legato alla ragionevole probabilità di un evento, ma come danno concreto, attuale certo, ricollegabile alla perdita di una prospettiva favorevole, già presente nel patrimonio del soggetto”.

Pertanto, il danno che si viene a risarcire è quello riguardante la perdita di una occasione. In particolar modo, una importante caratteristica di tale risarcimento, è data proprio dal fatto che, sul piano probatorio, il creditore- danneggiato deve dimostrare la mera possibilità di raggiungere il risultato sperato. Il danno, quindi, deve essere quantificato sulla base della possibilità di successo che il soggetto aveva al tempo dell’evento lesivo. Laddove la chance sia impostata in termini di danno emergente, la prova non riguarderà dunque il nesso eziologico tra condotta ed evento, ma la percentuale del bene nel patrimonio del soggetto.

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Per quanto concerne, infine, le modalità di liquidazione di tale fattispecie di danno, il coefficiente di riduzione prevede che si quantifichi astrattamente il vantaggio economico che il soggetto leso avrebbe conseguito se non si fosse verificato l’evento dannoso, e lo si riduca percentualmente, in funzione della possibilità di realizzarlo. Qualora non sia possibile la riduzione percentuale, troverà applicazione il criterio equitativo di cui all’art. 1226 c.c., per cui, occorre che il creditore abbia provato l’esistenza del danno.

5. La configurazione del danno erariale come danno risarcibile e il c.d. potere riduttivo

L’elaborazione del concetto di danno erariale quale danno risarcibile, ha subito significativi interventi nel corso del tempo da parte della giurisprudenza, andando sempre più in direzione della tutela di quei danni che si sottraggono all’alternativa tra il danno patrimoniale ed il danno morale. Viene così in considerazione un tertium genus di danno valutabile di per sé, in quanto arrecato al valore della

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persona e quindi nel complesso degli interessi di cui questa è titolare.

Dunque, la verifica della fondatezza del danno consiste in un accertamento dei requisiti della certezza, della concretezza ed dell’attualità idonei a configurarne l’esistenza33. L’evento dannoso, quindi, deve essersi già verificato e risultare irrecuperabile o irreversibile.

La giurisprudenza contabile ha attribuito al giudice il potere di poter ridurre il risarcimento del danno da responsabilità amministrativa, attraverso l’esercizio, del c.d. potere riduttivo.

Il potere riduttivo assume finalità e connotazioni diverse nel caso sia previsto dall’articolo 83, comma 134, del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440; dall’articolo 52, comma 235, del R.D. 12 luglio 1934, n. 1214 e dall’articolo 19,

comma 236, del D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3 (ed è

33 Come introdotto infra, paragrafo 2.1.

34 Secondo cui: “I funzionari di cui ai precedenti artt. 81 e 82 sono sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti la quale, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto”.

35 Secondo cui: “La Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto o parte del danno accertato o del valore perduto”.

36 Ai sensi del quale: “La Corte, valutate le singole responsabilità, può porre a carico dei responsabili tutto il danno accertato o parte di esso”.

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confermato dall’articolo 1, comma 1-bis della già citata Legge n. 20 del 1994).

Questo potere consiste nella possibilità del giudice di poter comminare la giusta sanzione all’autore dell’illecito e di ridurre in sede di condanna il quantum da questo effettivamente dovuto. Si tratta, dunque, di un istituto equitativo che permette al giudice di poter deliberare sull’ammontare del risarcimento del danno tenendo in considerazione tutte le circostanze oggettive e soggettive della singola fattispecie illecita.

Per quanto concerne le circostanze oggettive, occorre precisare che il potere riduttivo attribuito al giudice trova fondamento, non tanto nel principio di equità di cui all’art. 1226 c.c., quanto piuttosto nel principio di rischio e quindi

nella necessità giuridica di lasciare a carico

dell’amministrazione le conseguenze patrimoniali derivanti da fatti organizzativi autonomi e da fatti oggettivi condizionanti le attività dalle quali sia derivata la lesione con conseguenze patrimoniali37.

37 M. SCIASCIA, Manuale di diritto processuale contabile, Milano, Giuffrè, 2012, p. 700-701.

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A tale proposito, possiamo prendere in considerazione la sentenza della Corte dei Conti, Sezione Giurisdizionale per la Sicilia, del 26 ottobre 2005, n. 3120.

Con atto di citazione notificato in data 29 marzo 2005, il Procuratore Regionale, aveva convenuto in giudizio il dr. Giovanni, in qualità di Presidente del Comitato provinciale della Croce Rossa Italiana di Ragusa.

L’azione del Pubblico Ministero contabile si è basata sugli esiti di indagini svolte dal Comando Nucleo Regionale di Polizia Tributaria su fattispecie di danno erariale riscontrate presso i diversi Comitati Provinciali della Croce Rossa Italiana distribuiti sul territorio della Regione Siciliana. In particolar modo, tali indagini, avevano ad oggetto la corresponsione di somme a titolo di rimborsi forfetari al personale impiegato nel servizio di urgenza e emergenza sanitaria 118.

Pertanto, in virtù di quanto emerge dalla decisione di tale sentenza “il potere riduttivo dell’addebito è applicabile

anche alla luce delle riforme normative che hanno ancorato la responsabilità amministrativa alla sola colpa grave, e ben si concilia con il principio dell’integralità del risarcimento,

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trattandosi non di un’affermazione di ridotta colpevolezza dei responsabili, ma di una valutazione del rischio dell’amministrazione quale datore di lavoro. In buona sostanza si vuole dire che il rischio proprio dell’azione amministrativa non può ricadere in toto sul dipendente pubblico”.

Da ciò possiamo quindi desumere che, ai fini dell’esercizio di tale potere, sono rilevanti tutte le circostanze, materiali e psicologiche, della fattispecie concreta, tuttavia, la possibilità di poter ridurre l’addebito è esclusa laddove la condotta colposa o dolosa dell’agente sia caratterizzata da particolare gravità.

Dunque, dove sussistono i presupposti di esercizio, tale potere ha carattere doveroso e ordinario, ciò significa che il suo esercizio deve essere sempre motivato.

53 6. La prescrizione dell’illecito

In virtù di quanto stabilito dall’art. 1, comma 238, della legge n. 20 del 1994, il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno erariale è quinquennale e non più decennale come, invece, era previsto dall’art. 19 del D.P.R. 10 gennaio 1957, n.3.

Il termine di prescrizione inizia, quindi, a decorrere dalla verificazione del fatto dannoso; ma oltre a ciò è necessaria, da parte dell’amministrazione danneggiata, la conoscibilità obiettiva del danno stesso. Questo, soprattutto in virtù di quanto stabilito dall’art. 293539 c.c tenendo conto che il decorso del termine di prescrizione implica la volontaria inerzia del titolare del diritto nell’esercitare il diritto stesso.

Ma la regola secondo cui la prescrizione viene a decorrere dalla conoscibilità del fatto, conosce una rilevante eccezione nel caso di occultamento doloso del danno. In

38 In base al quale: “Il diritto al risarcimento del danno si prescrive in ogni caso in cinque anni, decorrenti dalla data in cui si è verificato il fatto dannoso, ovvero, in caso di occultamento doloso del danno, dalla data della sua scoperta”.

39 Secondo cui: “La prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

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questo caso, infatti, la prescrizione decorre dalla data della scoperta dello stesso.

Dunque, il termine di prescrizione dell’azione della responsabilità amministrativa inizia a decorrere proprio da quando diviene conoscibile il comportamento illecito sotto il profilo contabile del soggetto agente che abbia cagionato un danno erariale, salvo che il comportamento sia stato

eventualmente conosciuto in precedenza40.

Vi sono comunque degli atti idonei ad interrompere la prescrizione, che si distinguono in stragiudiziali, in cui rientrano l’atto di costituzione in mora e il riconoscimento del diritto e giudiziali, quali, la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio e la costituzione di parte civile nel processo penale da parte del danneggiato.

Il termine di prescrizione può essere interrotto dall’amministrazione danneggiata o dal Pubblico Ministero contabile, mediante la messa in mora e con l’intimazione del risarcimento del danno accertato al presunto responsabile dell’illecito.

40 M. DE PAOLIS, Eccessiva durata del processo: risarcimento del danno, Rimini, Maggioli, 2012, p. 229.

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L’ente pubblico danneggiato deve, quindi, esprimere la volontà di far valere il diritto connesso al presunto comportamento illecito e al conseguente danno.

Gli atti stragiudiziali hanno efficacia interruttiva istantanea mentre quelli giudiziali, hanno un’efficacia interruttiva permanente, in quanto la prescrizione rimane sospesa fino al passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio. Pertanto, se il processo si estingue, viene meno anche l’effetto interruttivo.

56 CAPITOLO III

ANALISI CASISTICHE DI DANNO ERARIALE

SEZIONE I – GLI APPALTI PUBBLICI

1. Concetto di appalto pubblico e potenziali profili di responsabilità erariale

La disciplina concernente la materia degli appalti pubblici si trova oggi all’interno del D.lgs. 18 aprile 2016, n. 50 di attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE – rubricato dal D.lgs. 19 aprile 2017, n. 56 “Codice dei contratti pubblici” –, ove all’art. 3, comma 6, gli appalti pubblici vengono definiti come “contratti a titolo

oneroso, stipulati per iscritto tra una o più stazioni appaltanti e uno o più operatori economici, aventi per oggetto l’esecuzione di lavori, la fornitura di prodotti e la prestazione di servizi”1. Ebbene, da ciò si può già evincere

1 Il D.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 rubricato “codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”, all’art. 3, comma 6, definiva l’appalto

come quel “contratto a titolo oneroso, stipulato per iscritto tra una

stazione appaltante o un ente aggiudicatore e uno o più operatori

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