• Non ci sono risultati.

La responsabilita erariale tra ricostruzioni teoriche e approcci giurisprudenziali

N/A
N/A
Protected

Academic year: 2021

Condividi "La responsabilita erariale tra ricostruzioni teoriche e approcci giurisprudenziali"

Copied!
152
0
0

Testo completo

(1)

Università di Pisa

Dipartimento di Giurisprudenza

Corso di Laurea Magistrale in Giurisprudenza

TESI DI LAUREA

La responsabilità erariale tra ricostruzioni teoriche e approcci giurisprudenziali

La Relatrice:

Chiar.ma Prof. Michela Passalacqua

La Candidata:

Martina Corti

(2)

Ringraziamenti

Alla fine di questo mio percorso è doveroso ringraziare le persone che mi hanno supportata e sopportata nei momenti più difficili.

Un primo e particolare ringraziamento lo rivolgo alla professoressa Michela Passalacqua per la sua professionalità e per la disponibilità dimostratami durante la stesura di questo elaborato.

Ai miei genitori, Matilde e Paolo, che con sacrificio mi hanno permesso di realizzare questo sogno.

Ai miei angeli, Rosaria, Tomaso e Franco: il mio successo è anche il vostro.

A mia sorella, Giada, da sempre colonna portante della mia vita e a mio cognato Francesco, che con pazienza hanno saputo capire i miei “non posso devo studiare”.

Al mio fidanzato, Francesco, la mia pietra miliare, che con amore ha capito i miei silenzi e con costanza ha colmato le mie paure supportandomi e dandomi forza nei momenti più buii. A sua sorella, Claudia, per l’affetto e la vicinanza. E, ai

(3)

suoi genitori, Domenico e Francesca, per avermi accolta in tutti questi anni come una figlia.

Ai miei zii, William e Lisa e alle mie cugine Jennifer e Margareth che hanno sempre fatto il tifo per me dalle Canarie.

Alle amiche di una vita, Azzurra ed Eleonora, che hanno avuto la fermezza di sopportare ogni mio sfogo.

A Valentina, una mamma ed un’amica ineguagliabile.

Ai miei colleghi Luca, Francesca, Carolina, Rossana, Giuseppe, Giovanna, Daniela e Marta per le volte in cui mi avete vista piangere e per quelle in cui mi avete vista ridere.

A Silvia, che attraverso la sua malattia mi ha insegnato che “volere è potere”, sempre.

A Cecilia e Antonella, per avere capito le mie ansie e le mie insicurezze e per avermi aiutata a gestirle.

Ed infine a me stessa per non avere mollato e per essere andata avanti nonostante tutto.

(4)

I

Indice………I Introduzione……….V

CAPITOLO I

LA TUTELA DELLA FINANZA PUBBLICA:

PROFILI AMMINISTRATIVI

1. I caratteri dell’attività finanziaria………1

2. Il danno erariale e la violazione del patto di stabilità interno……….4

3. Il danno cagionato ad un’amministrazione diversa da quella di appartenenza: il c.d. “danno obliquo”……….11

4. L’elemento della colpa………15

CAPITOLO II LA RESPONSABILITÁ ERARIALE 1. Profili di differenziazione tra responsabilità amministrativa e responsabilità contabile………..21

2. Il concetto di “danno erariale”……….28

3. Responsabilità per danno diretto e indiretto...33

4. Le tipologie di danno erariale………35

4.1. Il danno da tangente………36

(5)

II

4.3. Il danno da disservizio……….42 4.4. Il danno da perdita di “chance”………..45 5. La configurazione del danno erariale come danno risarcibile e il c.d. potere riduttivo………..48 6. La prescrizione dell’illecito………..53

CAPITOLO III

ANALISI CASISTICHE DI DANNO ERARIALE

SEZIONE I – GLI APPALTI PUBBLICI

1. Concetto di appalto pubblico e potenziali profili di responsabilità erariale………56 2. Il possibile danno erariale gravante sul responsabile unico del procedimento (RUP)………62 3. (segue) e sul direttore dei lavori, sul progettista e collaudatore dell’opera………..69 4. La normativa anticorruzione………..74

(6)

III SEZIONE II

CONSULENZE E CONTRATTI AUTONOMI DI LAVORO

1. Il D.Lgs. n. 165/2001 e la natura del pubblico impiego……….79 2. Le procedure di reclutamento e il ricorso alle consulenze nella prospettiva del danno erariale……….86 3. L’affidamento da incarichi esterni e conseguente responsabilità erariale………..95 4. Il danno erariale da mobbing nel pubblico impiego……….97

SEZIONE III – LE SOCIETÁ PARTECIPATE

1. Il D.Lgs. n. 175/2016: il T.U. partecipate………99 2. Classificazioni possibili tra le diverse società a partecipazione pubblica……….108 2.1. La differenziazione in base alle quote di

partecipazione……….109 2.2. (segue) e alla tipologia dell’ente titolare delle

quote………115 3. La responsabilità per “mala gestio” nelle società a partecipazione pubblica……….…122

(7)

IV

3.1. Due sentenze a confronto: Sezioni Unite della Cassazione, n. 5848 del 2015 e della Sezione centrale d’Appello della Corte dei Conti, n.

249………125

4. Danno erariale e condanna agli amministratori per mancato controllo sulle società in house………126

Conclusioni………131

Bibliografia………137

(8)

V Introduzione

Negli ultimi anni il legislatore è intervenuto più volte in tema di responsabilità per danno erariale, anche andando ad ampliare l’ambito delle fattispecie soggette alla giurisdizione della Corte dei Conti.

Per questo, nel corso della stesura del seguente elaborato, sono state affrontate le principali tematiche connesse alla responsabilità in questione: le sue caratteristiche, le varie tipologie in cui si articola il danno stesso, nonché i soggetti che ne vengono colpiti.

La responsabilità erariale si compone, come avremo modo di vedere, di un elemento soggettivo (il dolo o la colpa grave); di un elemento oggettivo, costituito appunto dal danno erariale che deve essere certo, concreto e attuale; di un nesso di causalità, che intercorre tra il comportamento del dipendente e il verificarsi dell’evento dannoso; e, infine, dal rapporto di servizio che deve legare il dipendente all’amministrazione danneggiata. Pertanto, quando si parla di danno erariale – quale elemento portante della responsabilità amministrativo-contabile –, si fa

(9)

VI

riferimento al danno sofferto dallo Stato (o da un altro ente pubblico) per effetto della condotta posta in essere da un proprio dipendente, o da un soggetto che agisce per conto della Pubblica Amministrazione, in violazione dei propri obblighi di impiego o di servizio. Da questo punto di vista, allora, il danno è definito “diretto” mentre sarà “indiretto” ogni qualvolta l’amministrazione abbia corrisposto al terzo il risarcimento del danno commesso dal dipendente o dall’amministrazione stessa.

Tuttavia, il concetto di danno erariale è assai mutato nel corso del tempo, prevedendo numerose fattispecie all’interno delle quali una diminuzione o una lesione dell’integrità del patrimonio pubblico causata da esborsi non dovuti o dalla mancata realizzazione di entrate o perdite di valori materiali, si sostanzia in una concreta diminutio

patrimonii dell’amministrazione. Tra le varie fattispecie che

sono state affrontate nella stesura dell’elaborato troviamo in particolare il danno da tangente; il danno all’immagine; il danno da disservizio ed, infine, il danno da perdita di “chance”.

(10)

VII

Occorre però precisare che di responsabilità per danno erariale non si parla soltanto in relazione al danno costituito da una diretta perdita patrimoniale ma anche in relazione ad altri settori quali quelli relativi agli appalti pubblici, alle consulenze e alle società partecipate.

Affrontare il tema in questione, pertanto, si presenta come un’occasione assai interessante in primis per la sua attualità ma soprattutto perché dall’analisi di questo è ben possibile constatare come il pregiudizio economico alla base di questo tipo di responsabilità, si ripercuota direttamente sull’intera collettività, comportando come principale se non unico effetto, il risarcimento del danno a favore della Pubblica Amministrazione.

(11)

1

CAPITOLO I

LA TUTELA DELLA FINANZA PUBBLICA: PROFILI AMMINISTRATIVI

1. I caratteri dell’attività finanziaria

La disciplina concernente l’attività svolta dallo Stato e dalle pubbliche amministrazioni, per acquisire, gestire ed impiegare mezzi finanziari (come le entrate e le spese pubbliche) necessari a soddisfare gli interessi della collettività, è quella relativa alla finanza pubblica1.

Quello della finanza pubblica è un concetto in progressiva evoluzione.

In precedenza, al momento dell’emanazione della Costituzione, con questo termine si faceva riferimento al bilancio dello Stato; oggi, invece, non solo al bilancio statale ma anche a quello di tutti gli altri soggetti pubblici che vanno a costituire la cosiddetta finanza pubblica allargata, ricomprendendo le Regioni e gli enti locali.

Pertanto, oggi, non si parla più soltanto di contabilità di Stato ma anche di finanza pubblica allargata.

1 M. FRATINI, Compendio di Contabilità Pubblica (Contabilità di Stato e degli Enti pubblici), Roma, Nel diritto, 2017, p. 3-4.

(12)

2

A sostegno di questa nozione, si è posta proprio la nostra Carta Fondamentale che all’art. 1192, così come riformato dalla L. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, riconosce l’autonomia finanziaria ai Comuni, alle Province e alle Regioni prevedendo che le stesse stabiliscano e applichino entrate proprie, secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica.

2 Secondo cui: “I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa, nel rispetto dell’equilibrio dei relativi bilanci, e concorrono ad assicurare

l’osservanza dei vincoli economici e finanziari derivanti

dall’ordinamento dell’Unione Europea. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno risorse autonome. Stabiliscono e applicano tributi ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio. La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo, senza vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità fiscale per abitante. Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti consentono ai Comuni, alle Province, alle Città metropolitane e alle Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche loro attribuite. Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona, o per provvedere a scopi diversi dal normale esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse aggiuntive ed effettua interventi speciali in favore di determinati Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni. I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni hanno un proprio patrimonio, attribuito secondo i principi generali determinati dalla legge dello Stato. Possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento, con la contestuale definizione dei piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio. È esclusa ogni garanzia dello Stato sui prestiti degli stessi contratti, con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti di ciascuna Regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio”.

(13)

3

Sebbene riconosciuta a tutti gli enti territoriali in egual misura, questa autonomia, di fatto, risulta differenziata. Questo soprattutto perché le Regioni sono gli unici enti territoriali in grado di imporre autonomamente dei tributi a norma dell’art. 1173 Cost.

Significativa, da questo punto di vista, appare proprio, la Legge 31 dicembre 2009, n. 196, “Legge di contabilità e

finanza pubblica”, volta a dimostrare il reciproco legame

esistente tra i due ambiti dei quali la riforma si fa carico, nel tentativo di loro reconductio ad unitatem4.

3 Secondo cui: “[…] Spetta alle Regioni la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano, nelle materie di loro competenza, partecipano alle decisioni dirette alla formazione degli atti normativi comunitari e provvedono all’attuazione e all’esecuzione degli accordi internazionali e degli atti dell’Unione Europea, nel rispetto delle norme di procedura stabilite da legge dello Stato, che disciplina le modalità di esercizio del potere sostitutivo in caso di inadempienza. La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite. Le leggi regionali rimuovono ogni ostacolo che impedisce la piena parità degli uomini e delle donne nella vita sociale, culturale ed economica e promuovono la parità di accesso tra donne e uomini alle cariche elettive. La legge regionale ratifica le intese della Regione con altre Regioni per il migliore esercizio delle proprie funzioni, anche con individuazione di organi comuni. Nelle materie di sua competenza la Regione può concludere accordi con Stati e intese con enti territoriali interni ad altro Stato, nei casi e con le forme disciplinati da leggi dello Stato”.

4 P. SANTORO, E. SANTORO, Compendio di Contabilità e Finanza pubblica, Rimini, Maggioli, 2016, p. 19.

(14)

4

Proprio perché l’oggetto della contabilità pubblica, comprende tutte quelle attività rientranti nel settore della finanza pubblica (attività di tutto l’apparato dei soggetti che prelevano ed erogano pubbliche risorse), coincide con quello della finanza pubblica5.

2. Il danno erariale e la violazione del patto di stabilità interno

Il Patto di stabilità interno, introdotto in Italia con il provvedimento collegato alla Legge finanziaria per l’anno

1999, ossia con l’art. 286 della Legge 23 dicembre 1998, n.

448, è da considerarsi, per le autonomie locali, il cardine della politica economica.

5 M. FRATINI, Compendio di Contabilità Pubblica (Contabilità di Stato e degli Enti pubblici), op.cit., p. 4.

6 Secondo cui: “Nel quadro del federalismo fiscale, che sarà disciplinato da apposita legge sulla base dei principi contenuti nel documento di programmazione economico-finanziaria per gli anni 1999-2001, le Regioni, le Province autonome, le Province, i Comuni e le comunità montane concorrono alla realizzazione degli obiettivi di finanza pubblica che il paese ha adottato con l’adesione al patto di stabilità e crescita, impegnandosi a ridurre progressivamente il finanziamento in disavanzo delle proprie spese e a ridurre il rapporto tra il proprio ammontare di debito e il prodotto interno lordo. […] Si terrà conto altresì delle variazioni del gettito dell’imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) e delle addizionali al gettito dei tributi erariali […]”.

(15)

5

Esso nasce dall’esigenza di assicurare l’adesione delle economie nazionali degli Stati membri dell’Unione Europea a specifici parametri, comuni a tutti e condivisi a livello europeo nell’ambito di quello che è il patto di stabilità e crescita.

L’obiettivo centrale del patto di stabilità interno è dunque quello di fissare delle regole per il controllo dell’indebitamento degli enti territoriali, regionali e locali.

Fino al 2014, l’impostazione del Patto di stabilità interno delle Regioni è stata incentrata sul principio del contenimento delle spese finali e, per gli Enti locali, sul controllo dei saldi finanziari.

Prima del 2001, il Patto si applicava a tutte le regioni e a tutti gli enti locali.

Successivamente, il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, ha esteso la platea dei soggetti obbligati al rispetto del Patto di stabilità interno, comprendendovi anche i Comuni con popolazione superiore a mille abitanti.

Un’ulteriore modifica si è avuta poi con la Legge 12 novembre 2011, n.183, che ha assoggettato all’obbligo del rispetto del Patto di stabilità interno le Province; i Comuni

(16)

6

con popolazione superiore a 5.000 abitanti; i Comuni con popolazione superiore a 1.000 abitanti e quelli con popolazione inferiore a 1.000 abitanti.

A tale proposito, lo Stato, proprio al fine di raggiungere gli obiettivi del Patto di stabilità interno, all’art. 117, comma 37, Cost., fissa i principi fondamentali, nell’esercizio della potestà legislativa concorrente in materia di armonizzazione

dei bilanci pubblici e coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.

Occorre però precisare che per mezzo della legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1, è stato modificato il testo di cui all’articolo sopra citato andando a separare l’armonizzazione dal coordinamento e trasferendo la prima tra le materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato così come previsto dal comma 28 del predetto articolo.

7 Prima della riforma del 2012 la materia dell’armonizzazione dei bilanci pubblici era concorrente tra Stato e Regioni. Successivamente, a seguito della Legge costituzionale 20 aprile 2012, n. 1 di “Introduzione del principio del pareggio di bilancio nella Carta

costituzionale” è stato modificato l’art. 117, comma 3 della

Costituzione andando a separare l’armonizzazione dal coordinamento e trasferendo la prima tra le materie riservate alla legislazione esclusiva dello Stato.

8 Secondo cui: “Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: […] e) moneta, tutela del risparmio e mercati finanziari; tutela della concorrenza; sistema valutario; sistema tributario e contabile dello Stato; armonizzazione dei bilanci pubblici; perequazione delle risorse finanziarie; […]”.

(17)

7

L’obiettivo di questa riforma è stato, pertanto, la realizzazione di un sistema contabile omogeneo, necessario ai fini del coordinamento della finanza pubblica.

Con il d.lgs. 6 settembre 2011, n. 149, infatti, sono stati introdotti dei meccanismi premiali e sanzionatori nei confronti delle Regioni e degli enti locali.

Per le Regioni, la disciplina concernente le sanzioni per la violazione del Patto di stabilità interno, è dettata dalla Legge 24 dicembre 2012, n. 228, in virtù della quale, in caso di inadempimento, nell’anno successivo in cui si è verificata l’inadempienza, la Regione è tenuta a versare all’entrata del bilancio statale un importo pari alla differenza tra il risultato da conseguire e quello effettivamente conseguito. Oltre a non poter impegnare spese correnti in misura superiore a quella dei corrispondenti impegni degli ultimi tre anni, la Regione, non potrà ricorrere all’indebitamento per gli investimenti né assumere personale9.

Per gli Enti locali, invece, le sanzioni per la violazione del Patto di stabilità interno sono disciplinate dalla Legge n.

9 M. FRATINI, Compendio di Contabilità Pubblica (Contabilità di Stato e degli Enti pubblici), op.cit., p. 211.

(18)

8

183 del 2011, che all’art. 31, comma 2610, prevede che l’ente locale inadempiente si vedrà ridurre il fondo sperimentale di riequilibrio e il fondo perequativo nella misura pari alla differenza tra il risultato registrato e l’obiettivo programmatico predeterminato. L’Ente locale, oltre a non poter impegnare spese correnti al di sopra di quelle medie degli ultimi tre anni, non potrà poi ricorrere all’indebitamento per gli investimenti, né tanto meno ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo; infine, dovrà ridurre le indennità di funzione e i gettoni di presenza dei consiglieri.

Per quanto concerne la durata delle sanzioni, è opportuno chiarire, che le stesse si applicano per il solo anno successivo a quello di accertamento del mancato rispetto del Patto di stabilità interno. Così, ad esempio, il mancato rispetto del patto del 2017, comporterà l’applicazione delle sanzioni nell’anno 2018.

10 Secondo cui: “Restano ferme le disposizioni di cui all'articolo 7, commi 2 e seguenti, del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 149”.

(19)

9

Con il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, sono state introdotte ulteriori misure antielusive delle regole del Patto di stabilità interno.

Con l’entrata in vigore di questo Decreto Legge, i contratti di servizio e gli altri atti di regioni ed enti locali elusivi delle regole del Patto sono colpiti da nullità.

In questo modo, laddove, la Corte dei conti, accerti che il rispetto del Patto sia stato “artificiosamente conseguito

mediante una non corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio o altre forme elusive in virtù di quanto è stabilito dall’art. 31, comma 3111, della legge n. 183 del 2011, gli amministratori e il responsabile del servizio finanziario che li abbiano posti in essere, possono essere condannati, ad una sanzione pecuniaria fino a un massimo di dieci volte l’indennità di carica percepita e

11 Secondo cui: “Qualora le sezioni giurisdizionali regionali della Corte

dei conti accertino che il rispetto del patto di stabilità interno è stato artificiosamente conseguito mediante una non corretta imputazione delle entrate o delle uscite ai pertinenti capitoli di bilancio o altre forme elusive, le stesse irrogano, agli amministratori che hanno posto in essere atti elusivi delle regole del patto di stabilità interno, la condanna ad una sanzione pecuniaria fino ad un massimo di dieci volte l’indennità percepita al momento di commissione dell’elusione e, al responsabile del servizio economico-finanziario, una sanzione pecuniaria fino a tre mensilità del trattamento retributivo, al netto degli oneri fiscali e previdenziali”.

(20)

10

fino a tre mensilità del trattamento retributivo, al netto degli oneri fiscali e previdenziali”.

La possibilità di ravvisare una forma elusiva del Patto di stabilità interno sussiste principalmente laddove l’ente interessato, in modo preordinato, realizzi un’operazione economica che, pur legittima in sé, sia idonea a nascondere il peso finanziario il quale indirettamente, graverà sulle poste debitorie dell’ente.

L’elusione delle regole del Patto di stabilità interno, si realizza, ad esempio, quando alcune spese sono poste al di fuori del perimetro del bilancio dell’ente, evidenziandosi, invece, in quello delle società partecipate, create magari con lo scopo di aggirare i vincoli del Patto stesso.

Questa condotta elusiva del Patto può essere dunque produttiva di un danno erariale.

Tuttavia, oggi non possiamo più parlare del Patto di Stabilità Interno in quanto le norme relative alla sua disciplina e quelle concernenti il conseguimento del pareggio di bilancio da parte delle Regioni sono state abrogate dalla Legge 28 dicembre 2015, n. 208 ossia dalla Legge di stabilità per il 2016.

(21)

11

3. Il danno cagionato ad un’amministrazione diversa da quella di appartenenza: il c.d. “danno obliquo”

Il danno obliquo, ossia il danno cagionato da un

amministratore o dipendente pubblico ad

un’amministrazione diversa da quella di appartenenza, configura una nuova fattispecie di danno erariale.

Questo è stato introdotto dalla Legge 14 gennaio 1994, n. 20, la quale all’art. 1, comma 412, afferma che “la Corte

dei Conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dei dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti pubblici diversi da quelli di appartenenza, per fatti commessi successivamente alla data di entrata in vigore della presunta legge”.

Si è pertanto chiarito che, per fondare la giurisdizione del giudice speciale, si deve avere riguardo al rapporto di servizio tra l’agente e la Pubblica Amministrazione.

12 Secondo cui: “La Corte dei conti giudica sulla responsabilità amministrativa degli amministratori e dipendenti pubblici anche quando il danno sia stato cagionato ad amministrazioni o enti diversi da quelli di appartenenza”.

(22)

12

Ai sensi dell’art. 2813 Cost., infatti, la responsabilità civile dei dipendenti pubblici nei confronti dei terzi, non esclude che anche la Pubblica Amministrazione sia chiamata a rispondere direttamente nei confronti di quest’ultimi.

Questa norma, dunque, nel fissare la responsabilità dei funzionari e dei dipendenti dello Stato e degli enti pubblici per gli atti compiuti in violazione di diritti, ha introdotto un precetto di carattere generale che vede chiamati a rispondere dei danni arrecati al patrimonio pubblico tutti coloro che, nell’esercizio delle rispettive funzioni, abbiano determinato o concorso a determinare un depauperamento erariale.

Il danno obliquo, quindi, ricomprende tutte le ipotesi di distacco, comando od utilizzo di amministratori o dipendenti presso la Pubblica Amministrazione od enti pubblici diversi da quelli di appartenenza e di possibili danni da questi causati all’erario nell’esercizio dei compiti loro attribuiti.

13 Secondo cui: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici”.

(23)

13

Possiamo ben dedurre allora come la responsabilità

della pubblica amministrazione sia subordinata

all’accertamento della responsabilità dell’impiegato.

Tuttavia, in virtù di quanto disposto dall’art. 1, comma 1-bis14 della legge n. 20 del 1994, questa fattispecie

richiede, per configurarsi, la presenza di un vantaggio qualunque, anche indiretto, conseguito dalla pubblica amministrazione in ragione della condotta che ha causato il danno.

Questa norma, dunque, disciplinerebbe un istituto non del tutto estraneo alla compensantio lucri cum damno di cui all’art. 122315 del c.c., in cui si richiede che coesistano un vantaggio patrimoniale per un primo soggetto ed una diminuzione patrimoniale per un secondo.

Risulta, quindi, che questa disposizione ha individuato i presupposti di operatività del vantaggio compensativo: nella

14 Secondo cui: “Nel giudizio di responsabilità, fermo restando il potere di riduzione, deve tenersi conto dei vantaggi comunque conseguiti all’amministrazione: di appartenenza, o da altra amministrazione, o dalla comunità amministrata in relazione al comportamento degli amministratori o dei dipendenti pubblici soggetti al giudizio di responsabilità”.

15 Ai sensi del quale: “Il risarcimento del danno per inadempimento o per ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.

(24)

14

identità oggettiva del titolo, per cui sia il danno, sia il vantaggio devono essere conseguenza dello stesso fatto; sia nella qualificazione soggettiva dell’ente, per cui tanto il vantaggio quanto il danno devono riferirsi alla stessa amministrazione di appartenenza, ad altra amministrazione o alla comunità amministrata, e non a differenti entità patrimoniali e finanziarie.

Nel caso di identità oggettiva del titolo, invece il danno erariale può essere compensato con un vantaggio che può anche discendere da un fattore causale diverso, purché correlato alla condotta illecita causativa del danno e dedotta nel giudizio di responsabilità: il vantaggio entra così in compensazione con il danno anche se è conseguenza indiretta della condotta antigiuridica.

Nel caso, invece, della qualificazione soggettiva dell’ente, l’effetto del vantaggio derivante dall’illecito amministrativo può avere diversi destinatari.

Per questo motivo, la giurisprudenza ha esteso l’operatività dell’istituto del vantaggio compensativo, prediligendo per una visione allargata di amministrazione,

(25)

15

corrispondente alla pluralità degli apparati amministrativi, quali entità distinte dalle rispettive comunità amministrate.

Di conseguenza nell’ambito della responsabilità

amministrativa compare codificata una forma di

compensatio lucri cum damno diversa da quella operante

nella responsabilità di diritto comune, proprio perché caratterizzata da un ampliamento delle dimensioni concettuali sia dell’elemento della identità oggettiva del titolo dal quale derivano il danno e l’utilitas da compensare, sia dall’elemento dell’identità del soggetto danneggiato e beneficiato dell’illecito amministrativo16.

4. L’elemento della colpa

Nell’ambito della responsabilità erariale, occorre distinguere l’elemento oggettivo, ossia l’antigiuridicità del comportamento che cagiona il danno, dall’elemento soggettivo rappresentato invece dal dolo e dalla colpa grave.

16 M. FRATINI, Compendio di Contabilità Pubblica (Contabilità di Stato e degli Enti pubblici), op.cit., p.438.

(26)

16

Ai sensi di quanto affermato dall’art. 1, comma 117, della Legge n. 20 del 1994, la responsabilità è personale: ciò significa che l’azione od l’omissione lesiva devono essere riconducibili all’agente ed ad un suo qualificato coinvolgimento volitivo.

L’illecito contabile deve essere quindi frutto di un fatto del pubblico dipendente: pertanto, ai fini dell’imputazione della responsabilità, occorre verificare tutti quei precisi elementi che consentono di ravvisare nel pubblico dipendente il reale potere di evitare l’evento dannoso nella situazione concreta.

In via generale, il dolo si identifica con la cosciente volontà del soggetto di provocare con la sua condotta un determinato evento; mentre la colpa grave è, invece, la condotta caratterizzata da un comportamento connotato da notevole negligenza o imperizia, posto in essere senza

17 Secondo il quale: “La responsabilità dei soggetti sottoposti alla giurisdizione della Corte dei conti in materia di contabilità pubblica è personale e limitata ai fatti ed alle omissioni commessi con dolo o con colpa grave, ferma restando l’insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali. Il relativo debito si trasmette agli eredi secondo le leggi vigenti nei casi di illecito arricchimento del dante causa e di conseguente indebito arricchimento degli eredi stessi. In ogni caso è esclusa la gravità della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo”.

(27)

17

l’osservanza di quel livello minimo di diligenza che il caso concreto richiede (tenuto conto del tipo di attività e della particolare preparazione professionale dell’agente).

Il giudizio di colpa del pubblico dipendente deve essere allora accertato caso per caso dal giudice in relazione alla natura dell’attività esercitata.

Si deduce, pertanto, che il concetto di gravità della colpa, individua un elemento relativo, dovendo essere correlata alla diversa natura delle funzioni, o mansioni, svolte dall’agente pubblico e alla specificità del contesto organizzativo in cui il responsabile è collocato.

Sussiste la responsabilità, dunque, solo in presenza del danno, inteso sia come lucro cessante che come danno emergente.

La già citata legge n. 20 del 1994 all’art.1, comma 1 prevede anche una specifica causa di esclusione della colpa grave affermando che “in ogni caso è esclusa la gravità

della colpa quando il fatto dannoso tragga origine dall’emanazione di un atto vistato e registrato in sede di controllo preventivo di legittimità, limitatamente ai profili presi in considerazione nell’esercizio del controllo”.

(28)

18

Tuttavia, tra i casi di esclusione della colpa, oltre allo stato di incapacità di intendere e di volere, a quello di necessità, al caso fortuito e alla forza maggiore, rientra anche l’ipotesi in cui si sia agito in esecuzione di un ordine che si era tenuti ad eseguire.

Nell’ipotesi poi in cui alla produzione del danno erariale abbiano concorso alcuni soggetti con dolo e altri con colpa grave, occorre distinguere la misura della responsabilità di ciascun attore e la relativa condanna.

In questo modo, l’obbligazione del soggetto che ha agito con colpa grave riveste carattere sussidiario rispetto a quella del soggetto che abbia agito con dolo.

Tuttavia, in virtù di quanto sancito dall’art. 1, comma 1, della legge n.20 del 1994, non è legittimo porre sullo stesso piano condotte che, pur concorrenti, sono caratterizzate da un differente livello di partecipazione psicologica all’evento dannoso. Si è quindi andata ad affermare l’esistenza di un vero obbligo di ripartizione della condanna, confermato al grado di partecipazione soggettiva dei concorrenti18.

18 M. FRATINI, Compendio di Contabilità Pubblica (Contabilità di Stato

(29)

19

Conseguentemente, in virtù di quanto disposto dall’art. 1-quinquies19 della legge n. 20 del 1994, solo i concorrenti

che hanno agito con dolo o colpa grave o hanno ottenuto un illecito arricchimento sono responsabili solidamente.

Siamo dunque in presenza di quello che è il principio di parzialità in quanto, al di fuori di questa precisa circostanza, ciascuno risponde del danno per la “parte” che vi ha preso, con una perfetta corrispondenza tra apporto causale ed evento dannoso.

Occorre, tuttavia, evidenziare una differenza per quanto concerne tale principio rispetto a quello di matrice civilistica: nella responsabilità civile, infatti, questo principio è caratterizzato dalla regola secondo cui ciascuno dei condebitori è obbligato per l’intero nei confronti del creditore e l’esecuzione della prestazione di uno libera dal vincolo obbligatorio anche tutti gli altri condebitori, salvo l’esercizio del diritto di regresso nei rapporti interni.

19 Secondo cui: “Nel caso di cui al comma 1-quater i soli concorrenti che abbiano conseguito un illecito arricchimento o abbiano agito con dolo sono responsabili solidamente. La disposizione di cui al presente comma si applica anche per i fatti accertati con sentenza passata in giudicato pronunciata in giudizio pendente alla data di entrata in vigore del decreto-legge 28 giugno 1995, n. 248. In tali casi l’individuazione dei soggetti ai quali non si estende la responsabilità solidale è effettuale in sede di ricorso per revocazione”.

(30)

20

Mediante questa diversa ripartizione della

responsabilità, invece, si vuole evitare di porre in essere un trattamento punitivo identico a fronte di condotte di diversa gravità.

Infine, occorre ricordare come, in passato, l’addebito minimo atto a fondare la responsabilità amministrativo-contabile consistesse nella mera colpa lieve, ossia con la mancanza di una diligenza media da parte dell’impiegato.

(31)

21 CAPITOLO II

LA RESPONSABILITÁ ERARIALE

1. Profili di differenziazione tra responsabilità amministrativa e responsabilità contabile

Qualora i dipendenti della Pubblica Amministrazione,

arrechino un danno patrimoniale alla propria

amministrazione o ad altro ente, incorrono in quella che è la responsabilità amministrativa e contabile.

Occorre però fare una distinzione tra le due tipologie di responsabilità.

La responsabilità amministrativa è quella che nasce a causa dei danni cagionati all’ente nell’ambito o in occasione del rapporto d’ufficio. È necessario, quindi, che il soggetto interessato, con una condotta dolosa o gravemente colposa

collegata o inerente al rapporto esistente con

l’amministrazione, abbia causato un danno pubblico risarcibile, che si ponga come conseguenza diretta e immediata di questa.

La responsabilità amministrativa dal punto di vista costituzionale, trae le proprie radici dall’art. 28 Cost., il

(32)

22

quale afferma che “i funzionari e i dipendenti dello Stato e

degli enti pubblici sono direttamente responsabili secondo le leggi penali, civili e amministrative degli atti compiuti in violazione dei diritti”. Questa norma, quindi, garantisce

tutela al cittadino danneggiato da un dipendente pubblico, attribuendogli la facoltà di agire per ottenere il ristoro del danno direttamente nei confronti dell’amministrazione di appartenenza del dipendente1.

A livello normativo, invece, la responsabilità amministrativa, trova la sua unitaria disciplina nelle leggi 14 gennaio 1994, n. 19 e 20.

Gli elementi che caratterizzano tale tipo di responsabilità sono: la condotta illecita; il rapporto di servizio tra danneggiante e ente pubblico; l’elemento soggettivo; il danno ed il nesso di causalità.

La condotta illecita si sostanzia in ogni

comportamento, commissivo od omissivo, posto in essere dai dipendenti pubblici in violazione dei doveri d’ufficio o con inadempimento di obblighi di gestione.

1 M. FRATINI, Compendio di Contabilità Pubblica (Contabilità di Stato e degli Enti pubblici), Roma, Nel diritto, 2017, p. 411.

(33)

23

La responsabilità amministrativa, pertanto, deve essere desunta dalle condotte illecite dei dipendenti e non necessariamente dagli atti illegittimi posti in essere dagli stessi.

L’accertamento della condotta illecita, in virtù di quanto si deduce dallo stesso art. 1, comma 1, della L. n. 20 del 1994, incontra un proprio limite nel principio di

insindacabilità nel merito delle scelte discrezionali, in

quanto il giudice non può sostituirsi all’amministrazione nel valutare quali siano le migliori scelte gestionali e i migliori strumenti da utilizzare per il perseguimento dell’interesse pubblico.

La Corte dei conti, nella sua qualità di giudice contabile, deve quindi verificare la compatibilità delle scelte amministrative con i fini pubblici perseguiti dall’ente ma, una volta accertata questa compatibilità, non può estendere il proprio sindacato al dettaglio della concreta iniziativa intrapresa dal pubblico amministratore.

Per quanto concerne il rapporto di servizio tra danneggiante e ente pubblico occorre precisare che nella responsabilità amministrativa, a differenza di quanto accade

(34)

24

invece nella responsabilità civile, assume rilevanza anche la qualifica del danno, che deve essere legato alla Pubblica Amministrazione da un particolare rapporto. Quindi, il rapporto di impiego va ad individuare l’ambito della giurisdizione della Corte dei conti cui sono sottoposti i dipendenti, legati all’amministrazione da un rapporto organico. Quest’ultimo, dunque, si configura quando una persona fisica o anche giuridica sia inserita a qualsiasi titolo nell’apparato organizzativo pubblico e venga investita, quindi, dallo svolgimento, in modo continuativo, di

un’attività retta da regole proprie dell’azione

amministrativa, così da essere partecipe dell’attività della Pubblica Amministrazione.

Precedentemente abbiamo visto che tra gli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa rientra anche il nesso di causalità. Esso rappresenta il nesso eziologico che consente di valutare l’evento dannoso come conseguenza immediata e diretta dell’azione od omissione e consente, quindi, di identificare e quantificare l’entità della lesione patrimoniale subita dall’amministrazione.

(35)

25

Nell’illecito amministrativo, il nesso causale non presenta problematiche analoghe a quelle che si pongono rispetto all’illecito penale: nel giudizio di responsabilità amministrativa, pertanto, in linea generale, la Corte dei conti, in assenza di una normativa specifica, si richiama al principio di equivalenza delle cause di cui agli artt. 402 e 413 c.p., ritenendo interrotto il nesso causale in presenza di accadimenti imprevedibili o improbabili e come tali da considerarsi straordinari4.

Diversamente la responsabilità contabile, a differenza di quella amministrativa, è una forma di responsabilità in cui possono incorrere solo gli agenti contabili.

2

Secondo cui: “Nessuno può essere punito per un fatto preveduto dalla legge come reato, se l’evento dannoso o pericoloso, da cui dipende la esistenza del reato, non è conseguenza della sua azione od omissione.

Non impedire un evento, che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.

3 Secondo cui: “Il concorso di cause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità fra la azione od omissione e l’evento. Le cause sopravvenute escludono il rapporto di causalità quando sono state da sole sufficienti a determinare l’evento. In tal caso, se l’azione od omissione precedentemente commessa costituisce per sé un reato, si applica la pena per questo stabilita. Le disposizioni precedenti si applicano anche quando la causa preesistente o simultanea o sopravvenuta consiste nel fatto illecito altrui”.

4 A. ALTIERI, La responsabilità amministrativa per danno erariale, Milano, Giuffrè, 2012, p.14.

(36)

26

La sua disciplina è contenuta negli artt. 745, 846 ed 857 del R.D. 18 novembre 1923, n. 2440. Questo tipo di responsabilità differisce da quella amministrativa poiché, mentre in quel caso è la Procura della Corte dei Conti a dover dimostrare la colpevolezza del presunto autore del danno all’erario, qui la colpevolezza si presume, con un’inversione dell’onere della prova.

La qualifica di agente contabile è attribuita ex lege a tutti quei soggetti che maneggiano denaro o altri valori

5 Secondo cui: “Gli agenti dell’amministrazione incaricati delle riscossioni e dei pagamenti, o che ricevono somme dovute allo Stato o altre delle quali lo Stato diventa debitore o hanno maneggio qualsiasi di pubblico denaro ovvero debito di materie, nonché coloro che si ingeriscono senza legale autorizzazione negli incarichi attribuiti ai detti agenti, dipendono rispettivamente dai vari ministeri, a cui debbono rendere il conto della loro gestione, e sono soggetti alla vigilanza del Ministro delle finanze e alla giurisdizione della Corte dei conti. Sono anche obbligati anche alla resa del conto e sottoposti alla vigilanza del Ministro delle finanze ed alla giurisdizione della Corte dei conti gli impiegati, dipendenti dai vari ministeri, ai quali sia dato incarico di fare esazione di entrate di qualunque natura e provenienza. I conti, esaminati dall’amministrazione, vengono trasmessi alla Corte dei conti”.

6 L’art. 84 del R.D 2440/23 invece stabilisce che “La Corte dei conti, quando la regolarità dei conti degli agenti di cui all’art. 74 del presente decreto, ha facoltà di dichiarare il discarico degli agenti stessi senza procedere a giudizio. Quando i conti siano fatti compilare d’ufficio dalla amministrazione, la Corte procede alla revisione giudiziaria dei medesimi ritenendoli compresentati dai contabili, sempreché questi, invitati legalmente a riconoscerli e a sottoscriverli, non lo abbiano fatto nel termine prefisso”.

7 Ai sensi dell’art. 85 del R.D 2440/23:“Nei casi di deficienza accertata dall’amministrazione o di danni arrecati all’erario per fatto o per omissione, imputabile a colpa o negligenza dei contabili o di coloro di cui negli art. 74 e 81, quarto comma, la Corte dei conti può pronunziarsi tanto contro di essi quanto contro i loro fideiussori anche prima del giudizio del conto”.

(37)

27

dello Stato o che possiedono la materiale disponibilità di beni8 pubblici.

Più precisamente, sono agenti contabili: a) gli agenti della riscossione o esattori, aventi il compito di riscuotere le entrate e di versarne all’erario l’ammontare; b) gli agenti pagatori e tesorieri incaricati del pagamento delle spese dello Stato e degli enti pubblici e della custodia del denaro; c) gli agenti consegnatari che ricevono in consegna beni e materiale di appartenenza statuale o di enti pubblici con il compito di conservarli.

Agli agenti di diritto – ossia quelli la cui qualifica è attribuita espressamente da una norma di legge –, vengono equiparati quelli “di fatto”, i quali, nonostante siano privi di questa investitura, maneggiano comunque denaro pubblico nello svolgimento di un comportamento teso a realizzare il pubblico interesse.

Gli elementi costitutivi di questa responsabilità sono dunque identici a quelli della responsabilità amministrativa.

Nonostante le differenze tra i due tipi di responsabilità, l’illecito amministrativo e quello contabile convergono verso

8 M. FRATINI, Compendio di Contabilità Pubblica (Contabilità di Stato e degli Enti pubblici), op.cit., p. 468.

(38)

28

la categoria della responsabilità finanziaria, caratterizzata dalla produzione di un danno erariale da parte di un soggetto pubblico.

2. Il concetto di “danno erariale”

L’elemento centrale della responsabilità amministrativo-contabile è rappresentato dal danno erariale.

Con questo concetto, in particolar modo, ci riferiamo al danno sofferto dallo Stato (o da un altro ente pubblico) per effetto della condotta posta in essere da un proprio dipendente o da un soggetto che agisce per conto della Pubblica Amministrazione, in violazione dei propri obblighi di impiego o di servizio.

Il concetto di danno erariale, pertanto, può essere inteso in senso civilistico poiché, in virtù di quanto si deduce

dall’art. 12239 c.c., può consistere in un danno emergente,

ossia in una perdita per una cosa danneggiata, perduta o

9 Secondo cui: “Il risarcimento del danno per inadempimento o per ritardo deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”.

(39)

29

distrutta; o, ancora, in un lucro cessante, cioè in un mancato guadagno.

Il danno, quindi, non è altro che l’evento conseguente e connesso alla condotta antigiuridica dell’agente che, dato il contrasto con gli obblighi ed i principi di corretta amministrazione, assume il carattere dell’ingiustizia

determinando all’amministrazione una lesione

economicamente valutabile.

2.1. Caratteri e configurabilità

Il danno erariale ha natura tradizionalmente

patrimoniale pertanto, per poter apparire risarcibile, deve essere valutato sotto l’aspetto economico, soprattutto per il fatto che il risarcimento deve consistere nel pagamento di una somma di denaro equivalente alla misura del danno subito.

Oltre alla risarcibilità del danno patrimoniale, è ammessa anche la risarcibilità di quello non patrimoniale, caratterizzato da aspetti peculiari che lo rendono diverso rispetto a quello subito dai soggetti privati; poiché ciò che

(40)

30

qui si va a valutare sono le conseguenze scaturenti dalla lesione a beni giuridici immateriali quali, ad esempio, il prestigio della personalità della Pubblica Amministrazione10.

Il danno non patrimoniale, quindi, contrariamente a quello patrimoniale, è insuscettibile di essere provato nel suo preciso ammontare, per cui, la relativa monetizzazione non può essere compiuta se non con criteri equitativi.

In particolar modo, le ipotesi di risarcimento derivanti da responsabilità extra-contrattuale sono previste dagli articoli 204311 e 205912 del c.c.

In virtù di quanto disposto da tali articoli, possiamo evidenziare una prima differenza tra gli stessi, in quanto l’art. 2043 c.c. fa sempre riferimento nell’ipotesi di responsabilità extra-contrattuale, al risarcimento di natura patrimoniale, poiché tale risarcimento è dovuto per “qualunque fatto” abbia cagionato un danno ingiusto.

10 P.L. MATTA, M. PELLINGRA CONTINO, Brevi considerazioni in materia di responsabilità erariale. Profili dottrinari ed orientamenti giurisprudenziali, in Norma, quotidiano d’informazione giuridica, 2009, p. 21-22.

11 Secondo cui: “Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”.

12 Secondo cui: “Il danno non patrimoniale deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge”.

(41)

31

Quindi, il danno patrimoniale, ai sensi dell’art. 2043 c.c. è un danno atipico, perché per il suo risarcimento è necessario che si sia cagionato un danno ingiusto ossia una lesione a un diritto o a un interesse protetto. Quello non patrimoniale, invece, ai sensi dell’art. 2059 c.c., è un danno tipico poiché come si evince dallo stesso articolo può essere risarcito soltanto nei casi previsti dalla legge.

Vi sono comunque delle ipotesi di danno non patrimoniale che possono essere esaminate ed in particolar modo si tratta delle categorie del danno biologico, morale ed esistenziale13.

13 La definizione di danno biologico è contenuta all’interno del codice delle assicurazioni e più precisamente all’art. 138, comma 2, ove viene definito come “la lesione temporanea o permanente all’integrità

psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla sua capacità di produrre reddito”. Vi sono,

quindi, due componenti per poter qualificare il danno come biologico. Una di natura prevalentemente e strettamente psico-fisica e l’altra che va ad incidere sulle attività relazionali del soggetto. Il danno biologico è, quindi, un danno necessariamente personalizzato poiché i suoi effetti potranno incidere in misura diversa da un soggetto all’altro, pertanto, dovrà essere valutato caso per caso dal giudice. Il danno morale è, invece, definito come la sofferenza soggettiva cagionata da fatto illecito e in sé considerato, di regola un reato ai sensi dell’art. 185 c.p. – “ogni reato obbliga alle restituzioni, a norma delle leggi civili.

Ogni reato, che abbia cagionato un danno patrimoniale o non patrimoniale, obbliga al risarcimento il colpevole e le persone che, a norma delle leggi civili, debbono rispondere per il fatto di lui” –,

sofferenza che può essere sia di natura transitoria che permanente. Il danno deve essere accertato in sede civile. Tuttavia, sebbene riconosciuto dal giudice, è difficilmente quantificabile poiché dipendente da fattori soggettivi molto spesso difficilmente accertabili

(42)

32

In conclusione, i requisiti per poter configurare la risarcibilità del danno sono la certezza; l’attualità; la concretezza e l’effettività.

Il danno è certo quando la sottrazione patrimoniale si è realmente verificata ed è attuale quando esista realmente tanto al momento della proposizione della domanda quanto al tempo della conclusione. Inoltre, è concreto quando la

perdita economico-patrimoniale non sia solamente

presupposta ma attinente alla realtà ed è, infine, effettivo, quando costituisce applicazione del principio di non coincidenza tra illiceità e dannosità.

È necessario, pertanto, che al momento della presentazione della domanda introduttiva di giudizio, il danno presenti tutte queste caratteristiche.

ed individuabili. Il danno esistenziale è definito come il danno arrecato all’esistenza, cioè quel danno che si traduce in un peggioramento della qualità della vita, pur non essendo inquadrabile nel danno alla salute. Tale categoria di danno si distingue dal danno biologico perché non presuppone l’esistenza di una lesione fisica e dal danno morale perché non costituisce una sofferenza di tipo soggettivo. Il danno esistenziale è, quindi, il danno che consegue all’alterazione della personalità del danneggiato e del suo modo di rapportarsi con gli altri nell’ambito della vita comune. Anche in questo caso, così come nel caso del danno biologico, spetta al giudice valutare caso per caso e personalizzare in modo adeguato il risarcimento.

(43)

33

3. Responsabilità per danno diretto e indiretto

Nell’ambito del danno erariale occorre poi distinguere tra danno diretto e danno indiretto.

Il danno rilevante davanti al giudice contabile è quello causato direttamente all’amministrazione per effetto della condotta di un dipendente pubblico. È diretto, quindi, il danno conseguente al danneggiamento di beni o alla sottrazione di denaro pubblico.

Viceversa, il danno indiretto è quello per il quale l’amministrazione viene chiamata a rispondere, ma sulla base del principio della solidarietà passiva esistente tra la stessa e le condotte illecite dei propri dipendenti. Sotto questo secondo aspetto, l’amministrazione subisce allora un pregiudizio per il fatto di essere chiamata a risarcire, ai sensi dell’art. 28 Cost., il terzo danneggiato dal proprio lavoratore durante l’attività di servizio di quest’ultimo, ossia nei casi in cui l’amministrazione sia condannata dal giudice amministrativo al risarcimento del danno da illegittimità del

provvedimento amministrativo14 da questo adottato.

14 M. FRATINI, Compendio di Contabilità Pubblica (Contabilità di Stato e degli Enti pubblici), op.cit., p. 435-436.

(44)

34

Per quanto concerne questa tipologia di danno, rilevanti sono due sentenze del 2015.

La prima è la sentenza della Corte dei Conti del Lazio, Sezione Giurisdizionale, del 8 luglio 2015, n. 33015.

L’altra è, invece, la sentenza pronunciata dalla Corte dei Conti Campania, Sezione Giurisdizionale, del 24 giugno 2015, n. 64016.

15 Con questa, “i direttori pro-tempore della ASL di Latina sono stati citati a comparire per sentirsi condannare a favore dell’erario di questa Azienda Sanitaria, della somma complessiva di euro 312.033,45; oltre agli interessi legali a spese di giudizio, a titolo di responsabilità amministrativa per danno erariale subito dall’Ente in conseguenza di un demansionamento di un proprio dipendente. La contestazione che è stata mossa ai convenuti, infatti, è stata inquadrata come quell’attività che involge anche la violazione del principio costituzionale di buon andamento dell’attività della Pubblica Amministrazione”.

16 “[...] la Procura regionale ha citato in giudizio, i signori [...] per condannarli al risarcimento del danno pari a euro 97.459,22 in favore del Comune di Minori, amministrazione di appartenenza danneggiata. Il giudizio ha ad oggetto l’azione di responsabilità nei confronti del

Sindaco, dell’Assessore con delega ai lavori pubblici e del Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune in questione, per il danno derivato dall’inutile esborso di denaro pubblico. In particolar modo, al rapporto iniziale tra il presunto autore del danno e l’ente pubblico di riferimento e a quello successivo tra quest’ultimo e il terzo danneggiato deve aggiungersi, un terzo rapporto, cioè quello tra l’ente, che ha anticipato quale coobligato in solido quanto dovuto, per conto del proprio

dipendente, ed il dipendente che deve essere chiamato a rispondere in sede amministrativo-contabile. Il Comune di Minori, nel caso di specie, in ottemperanza della sentenza della Corte d’Appello del 13 gennaio 2009, n. 35, ha riconosciuto, la somma su citata, di cui: euro

47.212,21 per indennità di occupazione illegittima; euro 44.247,87 per il valore del frutteto che è stato distrutto ed euro 6.000 per spese di giudizio. Partendo proprio dalla posizione del Sindaco deve essere criticata la sua condotta omissiva, dato che, quest’ultimo insediatosi subito dopo la sospensione dei lavori non ha mai provveduto a rimuoverne la causa, consentendone la prosecuzione e l’ultimazione delle opere, né tanto meno ha provveduto ad emanare un decreto di

(45)

35

4. Le tipologie di danno erariale

Prima di andare ad analizzare alcune delle tipologie in cui si sostanzia il danno erariale, è opportuno precisare che il concetto di danno erariale non deve essere inteso soltanto come una diminutio patrimonii dell’amministrazione, poiché esso può configurarsi anche come una lesione di un interesse funzionale e quindi consistere in un difetto di corrispondenza tra spesa e utilità. Infatti, il mancato conseguimento del risultato costituisce un danno risarcibile. Il danno, in altri termini, si sostanzia in un impiego non funzionale ed efficiente delle pubbliche sostanze ovvero nella mancanza totale o parziale di utilità nella destinazione di risorse pubbliche.

A questa tipologia di danno si riconducono le ipotesi in cui si verifica una distrazione di risorse pubbliche dalle finalità predeterminate17. In particolar modo, in questa sede, parleremo del danno da tangente; di quello all’immagine; da disservizio e da perdita di “chance”.

esproprio. In definitiva, del danno rispondono, il Sindaco e il Responsabile dell’Ufficio Tecnico Comunale [...]”.

17 M. FRATINI, Compendio di Contabilità Pubblica (Contabilità di Stato e degli Enti pubblici), op.cit., p. 441.

(46)

36 4.1. Il danno da tangente

Il danno da tangente rappresenta una delle forme più gravi di illiceità. Esso si collega a un maggior dispendio di risorse pubbliche corrispondendo all’importo della tangente ricevuta dal dipendente infedele18.

In particolar modo, la corresponsione della tangente, soprattutto nei casi di corruzione, si basa su un rapporto sinallagmatico tra il soggetto che effettua il pagamento e il soggetto che lo riceve, nell’ottica da parte del primo di averne un ritorno economico, che non può essere inferiore all’entità di quanto versato, perché in questo caso la tangente costituirebbe per lui una perdita in senso economico19.

Le tangenti pagate da terzi, ad esempio, in relazione alla conclusione di contratti da parte dell’Ente pubblico, non possono configurarsi come atti di liberalità poiché, come affermato anche dalla Cassazione (ed in particolar modo, nella sentenza del 22 dicembre 2003, n. 19661), hanno

18 S. FOÁ, Nuove tipologie e classificazioni del danno erariale alla luce della giurisprudenza contabile, in M. ANDREIS, R. MORZENTI

PELLEGRINI (a cura di), Cattiva amministrazione e responsabilità

amministrativa, atti dell’incontro preliminare AIPDA, Università degli

studi di Bergamo, Torino, Giappichelli, 2016, p.34.

19 M. FRATINI, Compendio di Contabilità Pubblica (Contabilità di Stato e degli Enti pubblici), op.cit., p. 447.

(47)

37

come “controprestazione favoritismi o irregolarità che

espongono la Pubblica Amministrazione a costi superiori a quelli che si sarebbero potuti ottenere e, come tali, rappresentano un minusvalore causato all’erario, in quanto il terzo avrebbe potuto consentire ad uno “sconto” sul prezzo di mercato pari almeno alla somma promessa o versata”.

Colui che versa la tangente, quindi, trasferisce il peso della stessa sulla Pubblica Amministrazione. Pertanto, la determinazione equitativa di cui all’art. 122620 c.c. per la liquidazione del danno sarà basata sull’entità delle tangenti percepite da coloro che sono responsabili del fatto criminoso.

In materia di tangenti, dunque, la prescrizione decorre ad epoca non precedente alla richiesta di rinvio a giudizio, in virtù anche di quanto affermato dall’art. 12921 c.p.p.

20 Secondo cui: “se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare, è liquidato dal giudice con valutazione equitativa”.

21 Ai sensi del quale: “in ogni stato e grado del processo, il giudice, il quale riconosce che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato ovvero che il reato è estinto o che manca una condizione di procedibilità, lo dichiara d’ufficio con sentenza. Quando ricorre una causa di estinzione del reato ma dagli atti risulta evidente che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato o non è previsto dalla legge come reato, il

(48)

38

Dunque, l’azione contabile, potrà essere iniziata soltanto quando il fatto implicante la responsabilità amministrativa verrà ad assumere una qualificazione giuridica. L’inizio del termine di prescrizione; in virtù di quanto affermato dall’art. 293522 c.c., deve allora essere individuato nel momento in cui il danno è stato delineato in tutte le sue componenti.

4.2. Il danno all’immagine

Collegato al danno da tangente troviamo il danno all’immagine della Pubblica Amministrazione, tutelata in base agli articoli 223 e 9724 Cost., concernenti le formazioni sociali (organizzazioni umane frapposte tra lo Stato ed il singolo individuo, e quindi corpi intermedi tra le istituzioni

giudice pronuncia sentenza di assoluzione o di non luogo a procedere con la formula prescritta”.

22 Secondo cui: “la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere”.

23 Ai sensi dell’art. 2 Cost: “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”.

24 L’art. 97 stabilisce che: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari. Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

(49)

39

ed il cittadino come, ad esempio, la scuola; i partiti; i sindacati; le collettività locali; la famiglia; le confessioni religiose) e l’organizzazione della medesima.

Le amministrazioni pubbliche devono organizzarsi ed agire in modo efficace, efficiente, imparziale e trasparente: pertanto, laddove, l’azione di un pubblico dipendente o di un amministratore leda o danneggi questa prerogativa, si viene a creare una perdita di prestigio della Pubblica Amministrazione che, pur non comportandone una diminuzione patrimoniale diretta, è suscettibile di valutazione economica per il ripristino del bene giuridico (efficienza, trasparenza, imparzialità) leso.

Quella del danno all’immagine è stata una delle questioni più analizzate tra quelle trattate nei giudizi di responsabilità dinnanzi alla Corte dei Conti.

Inizialmente, il danno in questione veniva inserito nell’ambito del disposto di cui all’art. 2043 c.c., in virtù del quale si riteneva che il danno risarcibile a fronte della

lesione all’immagine cagionata dal dipendente

Riferimenti

Documenti correlati

Entrambe le ipotesi di controllo di cui al comma 2 dell’articolo 167 del TUIR vanno verificate alla data della chiusura dell’esercizio della società/entità controllata.

Inol- tre, una volta perentoriamente affermata per legge la riconducibilità dei rapporti di lavoro alle dipendenze delle controllate nell ’alveo del rapporto privato, sembra essere

Nota consuntivo 2018 Sono considerati il numero medio annuo di parcometri installati ed i numeri medi annui di stalli blu area ed isole azzurre (gli stalli delle altre aree a

Con deliberazione di Consiglio Comunale n. 73 del 21/12/2016 sono stati approvati fino al 30/06/2018 i contenuti dell'Atto di indirizzo in materia di vincoli assunzionali e

Il conflitto di interessi reale (o attuale) è la situazione in cui un interesse secondario (finanziario o non finanziario) di una persona tende a interferire con l’interesse

Fogli informativi in filiale e sul sito www.mps.it - Gruppo Bancario Monte dei Paschi di Siena - Codice Banca 1030.6 - Codice Gruppo 1030.6 L’istruttoria relativa alle richieste

Al punto 3 delle osservazioni del prefato resoconto (Allegato A) si legge, «valuti il Governo, in conformità con quanto previsto in situazioni analoghe per le altre amministrazioni

La violazione da parte dei lavoratori dipendenti delle singole regole di comportamento previste dal Modello, così come integrato dalle procedure applicative e dal Codice Etico