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IV. TERRITORIO A UTILIZZO LIMITATO

1.8 CRitiCHe e PUnti Di FORza DeL metODO DeLL’imPROnta eCOLOgiCa

1.9.1 Dati e RiSULtat

I dati, trattati come indicato dalla metodologia riportata nel Living Planet Report 2002, sono stati considerati con il valore complessivo (diviso poi nella quota pro capite) laddove è stato possibile – ad esempio per i consumi energetici –. Nei casi in cui non erano disponibili dati specifici, come nel caso dei consumi alimentari, sono state operate proporzioni ragionevoli.

I risultati ottenuti sono i seguenti:

superficie (gha/ab) energia agricola Per

pascoli Forestale Degradata marina totale Consumi alimentari 0,191 0,721 0,157 0,000 0,000 0,261 1,329 abitazione, energia e consumo del suolo 0,551 0,000 0,000 0,098 0,004 0,000 0,653 trasporti 0,591 0,000 0,000 0,000 0,003 0,000 0,522 altri beni 0,593 0,135 0,026 0,158 0,003 0,000 0,914 Servizi e rifiuti 0,452 0,000 0,000 0,077 0,064 0,000 0,593 totale 2,305 0,855 0,182 0,333 0,074 0,261 4,011

Fig. 9: Impronta ecologica della Regione Toscana. Fonte: Regione Toscana e WWF Italia, 2004, pag. 14. Confrontando questo dato con quello medio nazionale, pari a 3,84 ettari globali pro capite (WWF, 2002), risulta che l’impronta ecologica della Regione Toscana è superiore di 0,171 ettari.

Tale valore è legato per circa la metà alla terra energetica (la terra necessaria per assorbire la CO2 prodotta) e per circa un terzo alla terra necessaria alla produzione agricola.

Dalla seguente tabella appare evidente, come era logico aspettarsi, che, fatta eccezione per le province di Siena e Grosseto, la Regione ha un deficit ecologico rilevante.

Provincia Capacità biologica totale (gha) Capacità biologica pro capite (gha/ab) Deficit ecologico pro capite (se negativo) (gha/ab) Arezzo 921.124 2,86 -1,15 Firenze 1.041.606 1,09 -2,92 Grosseto 1.378.558 6,40 2,39 Livorno 370.188 1,11 -2,90 Lucca 467.982 1,25 -2,76 Massa-Carrara 294.462 1,48 -2,53 Pisa 784.135 2,03 -1,98 Pistoia 264.971 0,98 -3,03 Prato 103.332 0,45 -3,56 Siena 1.186.157 4,69 0,68 tOtaLe 6.812.517 1,03 -2,08

Fig. 10: Capacità biologica totale, pro capite e deficit ecologico pro capite.Fonte: Regione Toscana e WWF Italia, 2004, pag. 18.

Di seguito è riportato il confronto per ogni provincia tra impronta ecologica (rosso), capacità biologica (verde) e superficie provinciale (giallo). Si tenga presente che per l’impronta ecologica delle province si è usato comunque il dato medio pro capite regionale.

Tutte le figure sono prese da: Regione Toscana e WWF Italia, 2004.

Fig. 11 Impronta ecologica della Provincia di Arezzo Fig. 12 Impronta ecologica della Provincia di Firenze

Fig. 13 Impronta ecologica della Provincia di Livorno Fig. 14 Impronta ecologica della Provincia di Grosseto

Fig. 15 Impronta ecologica della Provincia di Siena Fig. 16 Impronta ecologica della Provincia di Prato

Fig. 19 Impronta ecologica della Provincia di Massa-

Carrara Fig. 20 Impronta ecologica della Provincia di Lucca

CaPitOLO SeCOnDO

iL maRKeting SOCiaLe

2.1 intRODUziOne

La risoluzione di problemi sociali come l’analfabetismo, l’abuso di alcol e droghe, la diffusione dell’Aids, richiede la proposizione di campagne sociali che mirino al cambiamento dei comportamenti collettivi. Questo capitolo vuole analizzare la possibile applicazione del marketing sociale a problematiche ambientali che sono, al contempo, sociali e globali. Sono descritti alcuni esempi e saranno analizzate le cause di successo o insuccesso.

2.2 Le CamPagne Di CamBiamentO SOCiaLe

Le campagne di cambiamento sociale esistevano già nell’antica Grecia e a Roma quando furono lanciate campagne per la liberazione degli schiavi. Durante la rivoluzione industriale ve ne furono per abolire il lavoro minorile e, nell’America del XIX secolo, si ricordano le campagne promosse dalle “suffragette” (per far ottenere il diritto di voto alle donne) o quelle per indurre il governo a controllare la qualità del cibo o ancora i programmi di pianificazione familiare in Africa, Asia e America Latina condotti tra il 1967 e il 1980.

Negli ultimi 50 anni le campagne di cambiamento sociale si sono rivolte soprattutto alle riforme sanitarie (per esempio contro il fumo o per promuovere una corretta alimentazione), economiche(per una maggiore sicurezza sul lavoro, per maggiori investimenti in ricerca e innovazione) e ambientali(per la protezione dei parchi o contro l’inquinamento atmosferico o idrico).

“Una camp

agna sociale è uno sforzo organizzato promosso da un gruppo, l’operatore del cambiamento sociale (change agent), che cerca di persuaderne un altro, l’utente designato (target adopter), ad accettare, modificare o abbandonare idee, atteggiamenti, pratiche e comportamenti” (Kotler, Roberto, 1991, pag.8).

Le campagne di comunicazione sociale hanno dunque la finalità di sensibilizzare l’opinione pubblica riguardo a problemi di interesse collettivo partendo dal cambiamento di atteggiamenti e comportamenti degli individui e dei gruppi sociali.

E’ difficile dare una definizione univoca e dettagliata di cosa si intenda per comunicazione sociale; si può affermare che con questo termine si identifica l’attività realizzata dai settori di pubblica utilità, dunque comprende tutte le strategie comunicative legate al settore istituzionale (per avvicinare il cittadino a norme e servizi), al settore sociale come espressione di valori e diritti e al settore socio-economico.

Possono fare comunicazione sociale Ministeri, Regioni, Comuni, associazioni non profit ma anche imprese private che attuano iniziative di carattere sociale e non direttamente orientate ad un profitto economico: l’aggettivo “sociale”, infatti, serve a connotare sia la diffusione di valori contenuti nei messaggi, sia l’assenza di un interesse economico/ commerciale.

Un cambiamento sociale avviene se esiste una modifica degli atteggiamenti esterni ma anche delle idee acquisite interiormente cosa per la quale serve, come verrà ripetuto in seguito, sottolineare i vantaggi che verranno dal cambiamento, dimostrare che altri già hanno adottato quel comportamento, assicurare che, il prodotto o il servizio, può essere

provato e, infine, garantire che il cambiamento proposto è compatibile con le norme sociali vigenti.

I soggetti privati o le istituzioni che la promuovono vogliono, attraverso l’uso dei mezzi di comunicazione di massa, non solo informare il pubblico per renderlo consapevole di certi problemi, ma anche indurlo a cambiare comportamento.

Kotler e Roberto (1991) hanno identificato un modello composto da tre fasi di cambiamento:

1. FASE INIZIALE: è portata avanti da pochi individui particolarmente attenti a un problema sociale che, con abilità e carisma, attirano nuovi sostenitori e acquistano consenso;

2. FASE MANAGERIALE: una volta che il movimento si è accresciuto ha bisogno di trovare finanziamenti e altri leader con capacità organizzative. La capacità dei nuovi leader di ricreare la passione iniziale, facilita la sopravvivenza del movimento;

3. FASE BUROCRATICA: lo scopo iniziale è messo da parte a favore dell’affare commerciale e il capo carismatico è un esperto pubblicitario (poiché è come se si dovesse vendere un prodotto).

Questo modello è, evidentemente, esemplificativo poiché ogni movimento ha un suo ciclo di vita e sono possibili molte variazioni nello sviluppo della campagna. In ogni caso è importante che gli organizzatori abbiano consapevolezza dei problemi specifici di ogni fase per attuare gli interventi più indicati e neutralizzare influenze negative.

Nella tabella 2.1 sono riportate i passi necessari per organizzare una campagna sociale, secondo il Social Marketing National ExcellenceCollaborative (Social Marketing National

Excellence Collaborative, 2003): FASE 1: DESCRIZIONE DEL PROBLEMA

Punti chiave Considerazioni

Controllare la descrizione del problema I dati presentati sostengono l’analisi del problema?

Definire la composizione del gruppo di lavoro

Il gruppo sa lavorare bene insieme? Sono stati inseriti tutti i soggetti necessari?

Applicare il metodo SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities and Threats)

Sono stati presi in esami tutti i punti rilevanti?