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L'ultimo census di questa tradizione manoscritta è stato pubblicato da Phillip de Lacy25. Questi, ricorrendo agli studi di Durling e all'Hippocrates Latinus di Pearl Kibre, indica i seguenti mss.:

Avranches, Bibliothèque Municipale, 232, saec. XII-XIII, ff. 126r-138r Cesena, Biblioteca Malatestiana, dextr. plut. 25.1, a. 1290 ca., ff. 1ra-7rb Leipzig, Universitätsbibliotek, lat. 1184, saec. XIII-XIV, ff. 32r-39r Leipzig, Universitätsbibliotek, lat. 1136, saec. XIII-XIV, ff. 171r-180r

25DE LACY 1996, p. 26.

XL

Münich, Bayerische Staatsbibliothek, CLM 35, saec. XIII-XIV, ff. 55va-60va Oxford, Merton College Library, 218, saec. XIV, ff. 2ra-7va

Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2375, saec. XIV, ff. 91ra- 99va

La mia recensio è stata sistematica e, mirando a individuare tutti i testimoni manoscritti di questo testo, è stata estesa ad ogni indicazione reperibile di un De elementis nei mss. medievali. Ho fatto ricordo a cataloghi manoscritti, a stampa e on-line (come galenolatino.com). Per queste ragioni, mi è possibile aggiungere all'elenco di de Lacy il seguente manoscritto:

Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Raccolta Cicogna 1903, saec. XIV, ff. 200r-202v.

Inoltre, confrontando la parte conclusiva della versione greco-latina del De elementis e ciò che si può ancora leggere in uno dei due fogli superstiti del ms. Graz, Universitätsbibliothek, 1703/143 (utilizzati per secoli come fogli di guardia di altri manoscritti), posso asserire che questi trasmettono la traduzione arabo-latina di Gerardo da Cremona e non quella greco- latina di Burgundio, diversamente da quanto sostenuto dalla letteratura scientifica sino ad oggi26.

Infine, volgendo brevemente lo sguardo alla tradizione greco-arabo- latina di questo trattato, molto più numerosi sono i testimoni manoscritti: 26 quelli indicati sul portale galenolatino.com, ma a questi se ne devono aggiungere altri 10 (per un totale di 36), segnalati in altri cataloghi.

XLI

Il manoscritto più antico della versione burgundiana è il ms. Avranches 232 (A): manoscritto fatticio, è datato tra la fine del XII e l'inizio del XIII secolo ed è composto di nove diverse sezioni. Il De

elementis è tràdito dalla sesta sezione del ms., nello stesso fascicolo della

traduzione di Mesue degli Aphorismi ippocratici27. In questo manoscritto si

trovano anche altri due testi tradotti da Burgundio: il De generatione et

corruptione (ff. 1r-63r) e l'Ethica Nicomachea (ff. 82r-89v). Tutti i fascicoli con

i testi tradotti dal giudice pisano sono datati alla fine del XII secolo, ovvero un periodo estremamente prossimo a quello in cui Burgundio era ancora in vita (morì nel 1193).

Gli altri sette manoscritti sono stati vergati tra il XIII e il XIV secolo: il ms. Cesena, Biblioteca Malatestiana, dextr. plut. 25.1 (C), probabilmente illustrato a Bologna, fu posseduto da Giovanni di Marco da Rimini, che lo acquistò (forse) a Padova; in origine, questo manoscritto doveva essere un

unicum col ms. dextr. plut. 23.1, da cui fu in un certo momento scisso. La

grafia è una gothica textualis.

Due sono i manoscritti conservati presso la UniversitätsBibliothek di Leipzig, rispettivamente con segnatura lat. 1184 (D) e lat 1136 (L), entrambi fattici. Nel ms. D, il fascicolo del De elementis è datato al XIII/XIV secolo e la provenienza di questa sezione del manoscritto dovrebbe essere francese28; in L la parte con il De elementis ha la stessa

datazione di quella in D, ma la sua provenienza dovrebbe essere italiana29.

Il manoscritto Münich, Bayerische Staatsbibliothek, CLM 35 (M) è composto da numerosi fascicoli provenienti da diversi manoscritti e uniti

27 Questa versione degli Aphorismi è stata edita da JACQUART -TROUPEAU 1980. 28 Cfr. NUTTON 2011, p. 44. Sempre a p. 44, n. 136, Nutton informa che un nuovo

catalogo è in preparazione per le cure di Anette Löffler.

XLII

tra di loro nell'attuale sequenza probabilmente da Hartmann Schedel, cui deve essere ricondotto l'indice vergato sul retro della copertina anteriore del codice, dal momento che sua è la grafia e l'indice riporta esattamente quanto è contenuto nel ms. stesso.

Il ms. Oxford, Merton College Library, 218 (O), datato al XIV secolo, ha origini francesi; fu donato alla Merton College Library da Ricardus Fitzjames, “warden” del Merton College dal 1483 al 1507, come si può inferire dalla parte conclusiva di una nota scritta «in the usual secretary hand, c. 1500»30 a f. 1v (“Ex dono domini Ricardi Fitz James nuper

Cistercensis episcopi et custodis istius Collegii cuius anime propicietur Deus amen.”). Nei margini di tutto il manoscritto vi sono note vergate in grafia anglicana dei secoli XIV e XV.

Il manoscritto Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Raccolta Cicogna 1903 (R) è datato al XIV secolo ed è fatticio; tramanda prevalentemente traduzioni latine di Aristotele. Sfortunatamente, il De elementis è incompleto, probabilmente perché chi compose il manoscritto non aveva l'obiettivo di preservare il testo del trattato galenico (peraltro non preceduto da alcun titolo), ma solo le opere aristoteliche. Sembra lecito pensarlo almeno per una ragione: il fascicolo che in questo manoscritto tramanda il De generatione et corruptione è lo stesso che tramanda il De

elementis, ma chi riunì i diversi fascicoli dando al manoscritto l'attuale facies

sembra non essersene curato, dato che il De elementis si interrompe molto prima della fine.

L'ottavo manoscritto della versione greco-latina è il ms. Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. lat. 2375 (V), datato tra fine

30 THOMSON 2009, p. 156.

XLIII

XIII e inizio XIV. Proveniente da Bologna, secondo Tiziana Pesenti è uno di quei manoscritti vaticani utilizzati nelle università italiane31.

Stando ai risultati della mia collazione, si configura una tradizione chiusa originata da un archetipo con varianti. Appena tre i casi in cui l'intera tradizione manoscritta condivide errori minimi e poco significativi, il che ha reso più agevole il processo di constitutio textus. Si delineano due grandi raggruppamenti: da un lato abbiamo i mss. AORV (gruppo α: A e V sembrano discendere direttamente da α, un manoscritto estremamente vicino per qualità e quantità di materiali alla copia del traduttore; OR, invece, discendono da un intermediario, γ), dall'altro i mss. CDLM (gruppo β: D discende da β, mentre per CLM bisogna ipotizzare l'intermediario δ; inoltre, si profila una strozzatura ulteriore, in quanto tra CM ed L sembra doversi postulare ε).

6. L'edizione

L'edizione critica del De elementis che qui si propone è stata stimolante e allo stesso tempo difficile e complessa ed ha preteso il più alto grado di prudenza e precisione - per quanto sta in me -, dal momento che si tratta di un' “opera aperta”: studiandone la tradizione manoscritta, infatti, è possibile comprendere che il traduttore in molti casi non ha fatto scelte definitive, offrendo così ai suoi lettori due o più traduzioni alternative per la stessa parola greca, riproponendo la medesima tecnica traduttiva adoperata con altre traduzioni. Tale scelta ha avuto intricati risvolti nel corso della trasmissione testuale e ciò mi ha indotto a sperimentare una strategia ecdotica che, da un lato, rendesse giustizia a questa particolare

31 Cfr. PESENTI 2001.

XLIV

scelta del traduttore e, dall'altro, tentasse, per quanto possibile, di riprodurre la situazione testuale così com'era all'inizio. Questa è la ragione per cui, ad esempio, il lettore troverà nello spazio interlineare anche delle note (doppie traduzioni d'autore; glosse; elementi utili per la disambiguazione del contesto): sappiamo che questi erano utili strumenti di cui Burgundio si avvalse per arricchire le proprie traduzioni e, dal momento che sono elementi attestati anche nei migliori manoscritti di questa tradizione, non ho potuto ignorarli, decidendo così non di pubblicarli a parte, ma di farli interagire con il testo principale.

I.1

IL TRATTATO GALENICO DE ELEMENTIS EX

XLVII I.1.1 Contenuti

Tra gli scritti galenici, il trattato De elementis ex Hippocratis sententia appartiene alla schiera di testi più orientati a una certa speculazione filosofica, dal momento che in esso l'autore, incardinandola in un'archittettura argomentativa complessa e fondandola su basi quanto più razionali e scientifiche possibile, svolge un'ampia riflessione sulla natura delle cose, sugli elementi primi e più semplici che le costituiscono, sulla loro natura, sulla loro modificabilità e, conseguentemente, sulle ragioni che determinano il processo di trasformazione e deperimento degli elementi primi che costituiscono il corpo umano e sulla cui natura esercitano una sensibile influenza1.

L'articolazione metodica del ragionamento galenico, che procede per tappe ben definite, riflette perfettamente la complessità dell'oggetto trattato ed è al servizio di una dimostrazione che intende distinguersi dalle precedenti (aspramente criticate dal Pergameno) presentandosi scientificamente solida e capace di non cedere a contraddizioni interne: l'autore, infatti, per riflettere sugli elementi primi della natura deve dominare una vasta dossografia che coinvolge esponenti della “Scuola ionica” (Talete, Anassimando, Anassimente), atomisti (Leucippo, Democrito, Epicuro), il criticatissimo Asclepiade di Bitinia e che, all'occorrenza, interpella Platone e Aristotele (per citarne solamente alcuni). Le tesi sostenute dai pensatori antichi in merito agli elementi primi sono esaminate e più volte passate al setaccio di una minuziosa critica, cui

1 A questo, Galeno dedicherà il trattato De temperamentis, articolato in tre libri,

disponibile nell'edizione critica di HELMREICH 1904. Unica traduzione italiana di questo testo galenico è quella di TASSINARI 1997, pp. 71-138.

XLVIII

si aggiunge l'ulteriore filtro del magistero di Ippocrate, unica auctoritas degna di fede secondo Galeno.

La riflessione galenica si articola in più tappe: si concentra dapprima sugli elementi delle res naturales (§§ 1-5), passa per le qualità ad esse connesse (§§ 6-9), per finire con gli umori (§§ 10-14). Chiarito sin da subito che la sensazione non può essere il κριτήριον di discernimento degli elementi2, Galeno avversa in primo luogo il monismo3, precisando che gli

elementi primi sono necessariamente più d'uno, che sono soggetti a mutamenti e che questi possono essere sia percettivi sia non percettivi4.

Anche l'uomo è composto da più elementi; se fosse una cosa sola, non soffrirebbe; e se soffrisse, essendo questi composto da una sola cosa, allora anche la guarigione sarebbe una sola e di un sol tipo. Acqua, aria, terra e fuoco sono indicati come elementi primi e il fatto che essi non siano presenti nel corpo umano nella loro forma pura non è bastevole per negarne la presenza: non esiste alcunché, infatti, che non sia composto da una determinata mescidazione di questi quattro elementi5. Galeno

2 Gal. de elem. 1, 1 (56, 3-7 de Lacy) Ἐπειδὴ τὸ στοιχεῖον ἐλάχιστόν ἐστι µόριον

οὗπερ ἂν ᾖ στοιχεῖον, ἐλάχιστον δὲ οὐ ταὐτὸν αἰσθήσει τε φαίνεται καὶ ὄντως ἐστί - πολλὰ γὰρ ὑπὸ σµικρότητος ἐκφεύγει τὴν αἴσθησιν -, εὔδηλον, ὡς οὐκ ἂν εἴη τῶν φύσει τε καὶ ὄντως ἑκάστου πράγµατος στοιχείων ἡ αἴσθησις κριτήριον.

3 Gal. de elem. 2, 21 (62, 22-25 de Lacy) εἴπερ οὖν ἐξ ἀτόµων τινῶν ἦµεν ἤ τινος

ἄλλης τοιαύτης φύσεως µονοειδοῦς, οὐκ ἂν ἠλγοῦµεν, ἀλγοῦµεν δέ γε, δῆλον, ὡς οὐκ ἔσµεν ἐξ ἁπλῆς τινος καὶ µονοειδοῦς οὐσίας.

4 Gal. de elem. 3, 22-24 (74, 16-23 de Lacy) ἢ τοίνυν ἐξ αἰσθητικῶν τῶν πρώτων

στοιχείων ἢ ἐξ ἀναισθήτων µέν, ἀλλὰ µεταβάλλειν τε καὶ ἀλλοιοῦσθαι πεφυκότων ἀναγκαῖόν ἐστι συνίστασθαι τὸ µέλλον αἰσθήσεσθαι. Ταυτὶ µὲν οὖν, ὅτι τε πλείω πάντως ἑνός ἐστι τὰ στοιχεῖα καὶ ὅτι παθητικά δείκνυσιν· εἰ δ' ἐκ τῶν πρώτων αἰσθητικῶν ἁπάντων ἢ οὐκ αἰσθητικῶν οὔπω δείκνυσιν· ἄµφω γὰρ ἐνδέχεσθαί φηµι. ὅτι µέντοι πάντως ἐστί τινα τὰ µὴ αἰσθητικὰ, πρόδηλον ἐκ τοῦ καὶ τῶν συνθέτων εἶναί τινα τοιαῦτα.

5 Gal. de elem. 5, 31-32 (100, 17-24 de Lacy) (...) καὶ χρὴ θαρρούντως ἀποφαίνεσθαι

XLIX

distingue, poi, gli elementi (aria, aqua, terra, fuoco) dalle qualità (caldo, freddo, umido, secco)6 e dai princìpi primi (caldezza, freddezza, umidezza,

secchezza)7. Il Pergameno prosegue affrontando uno snodo cruciale del

proprio ragionamento: i cambiamenti cui i corpi soggetti a generazione e corruzione sono sottoposti, trovandosi quindi a riflettere criticamente e approfonditamente sulla teoria della ῥύσις e dell'ἀλλοίωσις della materia8.

Chiarito che Ippocrate stesso ricorre al termine “qualità” (ποιότης) per indicare in realtà i quattro elementi9, Galeno afferma che i più semplici

elementi percettibili nell'uomo sono da riconoscersi nelle parti omeomere, formate da una varia combinazione dei quattro elementi che, a loro volta, non provengono da altri corpi ma da un sostrato materiale e dalle qualità10.

ἐστι ταῦτα καὶ ἁπλούστατα σώµατα τῶν ἐν τῷ κόσµῳ. τὰ δ' ἄλλα πάντα καὶ φυτὰ καὶ ζῷα ἐκ τούτων σύγκειται καὶ Ἱπποκράτης οὐ µόνον, ὅτι ταῦτά ἐστι στοιχεῖα πάντων τῶν ἐν τῷ κόσµῳ, προϊὼν αὐτὸς ἀποφαίνεται κατὰ τὸ Περὶ φύσεως ἀνθρώπου βιβλίον, ἀλλὰ καὶ τὰς ποιότητας αὐτῶν, καθ' ἃς εἰς ἄλληλα δρᾶν καὶ πάσχειν πέφυκεν, αὐτός ἐστιν ὁ πρῶτος ὁρισάµενος.

6 L'ampia riflessione in tal senso, arricchita anche dal racconto delle conversazioni

intercorse tra Galeno stesso e Ateneo d'Attalia quando il Pergameno era uno studente diciannovenne, si può leggere in Gal. de elem. 6, 1-35 (102, 1 - 114, 4 de Lacy).

7 Gal. de elem. 6, 37-40 (114, 10 - 116, 5 de Lacy). 8 Gal. de elem. 7 (118, 16 - 122, 3 de Lacy).

9 I luoghi ippocratici commentati in Gal. de elem. 8, 1-4 (122, 4 - 124, 1 de Lacy) sono

due passi tratti da De natura hominis 3, 3 (172, 5-8 Jouanna) e 3, 4 (172, 8-12 Jouanna).

10 Gal. de elem. 8, 11-13 (126, 1-12 de Lacy) Φέρε γὰρ ἵν' ἐπ' ἀνθρώπου διέλθω τὸν

λόγον, ἐκ πρώτων οὗτος καὶ ἁπλουστάτων αἰσθητῶν στοιχείων ἐστὶ, τῶν ὁµοιοµερῶν ὀνοµαζοµένων, ἰνὸς καὶ ὑµένος καὶ σαρκὸς καὶ πιµελῆς ὀστοῦ τε καὶ χόνδρου καὶ συνδέσµου καὶ νεύρου καὶ µυελοῦ καὶ τῶν ἄλλων ἁπάντων, ὧν τὰ µόρια τῆς αὐτῆς ἀλλήλοις ἰδέας ἐστὶ σύµπαντα. γέγονε δὲ ταῦτα πάλιν ἔκ τινων ἑτέρων προσεχῶν ἑαυτοῖς στοιχείων, αἵµατος καὶ φλέγµατος καὶ χολῆς διττῆς, ὠχρᾶς καὶ µελαίνης, ὧν ἡ γένεσις ἐκ τῶν ἐσθιοµένων καὶ πινοµένων, ἃ δὴ πάλιν ἐξ ἀέρος καὶ πυρὸς ὕδατός τε καὶ γῆς ἐγένετο, ταῦτα δὲ οὐκ ἐξ ἑτέρων σωµάτων, ἀλλ' ἐξ ὕλης τε καὶ ποιοτήτων ἐστί. καὶ διὰ τοῦτο πυρὸς µὲν καὶ ὕδατος ἀέρος τε καὶ γῆς ἀρχὰς εἶναι λέγοµεν, οὐ στοιχεῖα, ταυτα δὲ αὐτὰ τῶν ἄλλων ἁπάντων στοιχεῖα· µόρια γάρ ἐστιν ἐλάχιστα τῶν ἄλλων ἁπάντων ἁπλᾶ καὶ πρῶτα. Sul pensiero aristotelico, cfr. almeno REALE 1977; in particolare, rimando alle pagine dedicate alla

L

La sostanza, secondo il magistero ippocratico, è quindi alterata solo dalle qualità, ritenute a ragione costitutive di tutti gli esseri viventi11. Nella

sezione del secondo λόγος, l'autore discute con maggior dovizia di particolari degli umori nell'uomo. Tutte le parti degli esseri sanguigni hanno la loro origine dal sangue materno, che è vettore degli altri tre umori (flegma, bile gialla e bile nera)12; qui, Galeno riflette anche sulla natura del

sangue13. Dopo una forte critica riservata ad Asclepiade, che pretendeva

(dalla prospettiva galenica) di spiegare ogni cosa con la teoria della στέγνωσις e della ῥύσις14, il Pergameno ribadisce che l'uomo è formato

da tutti e quattro gli umori e non da uno soltanto, e che li ha in sé tutti e quattro in ogni momento della sua vita in rapporti variabili tra di essi.

“filosofia seconda” (pp. 72-86) e alla bibliografia critica stampata in calce al volume (pp. 201-241).

11 Alle modalità di questa mescidazione e sulle sue varie combinazioni Galeno

dedicherà un altro trattato, il De temperamentis.

12 Gal. de elem. 11, 1 (= II, 2) (140, 15-17 de Lacy). 13 Gal. de elem. 11, 8-16 (142, 17 - 144, 18 de Lacy).

14 Su Asclepiade di Bitinia, ricordo almeno gli studi diPIGEAUD 1989, pp. 171-196;

ID. 1991; VALLANCE 1990;ID. 1993. Dall'abbandono asclepiadeo della teoria umorale

d'ascendenza ippocratica e dalla sua elaborazione di una nuova teoria medica, secondo la quale lo stato di salute del corpo era determinato dal fluire libero ed equilibrato di microscopiche particelle (ὄγκοι) attraverso i πόροι del corpo umano, mentre lo stato di malattia era da ascrivere al disequilibrio di tale flusso di particelle, scaturì l'impalcatura dottrinale di una delle sectae mediche più avversate dell'antichità, il Metodismo. Chi, tra i metodici, colse l'eredità scientifica di Asclepiade fu Temisone di Laodicea, il quale, pur mantenendone saldi i contenuti, la riformulò e per primo teorizzò le comunità (κοινότητες), l'elemento fondamentale della dottrina metodica: si trattava di stati comuni a diverse patologie, alla luce dei quali elaborare una strategia terapeutica. Il numero delle comunità crebbe con lo svilupparsi della dottrina stessa, soprattutto in seguito al magistero di Tessalo di Tralles. Per l'apporto dottrinale di Temisone e di Tessalo al Metodismo cfr. ancora PIGEAUD 1993; si rimanda anche a K. DEICHGRÄBER, s.v. «Themison» (7), in RE V A, 2 coll. 1632-1638; V. NUTTON, s.v. «Themison» (2), in Der Neue Pauly XII.1, coll. 302-303; H. DILLER, s.v. «Thessalos» (6),

in RE VI A, 1, coll. 168-182. Per una bibliografia complessiva sul Metodismo rimando a quella pubblicata in TECUSAN 2006; indicazioni utili anche in URSO 2005. Sul concetto di comunità nel Metodismo si veda PELLEGRINO 2015.

LI

Esistono farmaci atti a trarre fuori dal corpo uno degli umori, ma l'uomo non può restare in vita se privato completamente di uno dei quattro15.

I.1.2 Struttura

La struttura del trattato e la sua divisione in due libri distinti anziché in due λόγοι giustapposti è dibattuta, così come le modalità compositive che portarono Galeno alla stesura del De elementis16: a sostegno della tesi di

due libri e due momenti compositivi distinti si pronunzia W. D. Smith, il quale ritiene che Galeno abbia composto durante il suo primo soggiorno romano il primo libro del De elementis, completandolo con il secondo intorno al 169 d.C., nell'anno cioè in cui iniziò il suo secondo soggiorno a Roma17. Ciò fu probabilmente reso necessario da una diffusione del testo

inaspettatamente più ampia di quanto non fosse stato inizialmente previsto dallo stesso autore e da un favore che stentava ad arrivare, lasciando invece spazio a qualche perplessità18. A sostegno della tesi di un

unico trattato articolato in due λόγοι, le cui modalità compositive sono da riconoscersi in un unico momento (sempre l'inizio del secondo soggiorno romano di Galeno, 169 d.C.), si sono pronunziati Ilberg prima19, Bardong

poi20; sempre Ilberg ha fatto notare - tra le altre cose - come sia lo stesso

15 Gal. de elem. 13 (= II, 4) (148, 15 - 154, 10 de Lacy).

16 A queste due questioni dedica una riflessione DE LACY 1996, pp. 42-45. 17 SMITH 1979, p. 86, n. 82.

18 Su questo vedi DE LACY 1996, p. 44. 19 ILBERG 1892, 507.

20 BARDONG 1937, p. IX «querendum vero est, quo tempore haec opera creata sint.

Libri περὶ τῶν καθ᾽ Ἱπποκράτην στοιχείων et περὶ κράσεων eo tempore conscripti esse videntur, quo Galenus iterum Romae versari coepit (169), quia in eis indicuntur opera amplius scribenda». Si veda anche ID. 1942, p. 633.

LII

Galeno a parlare di questo trattato ricorrendo al singolare21.

Recentemente, anche Phillip de Lacy, ultimo editore del De elementis, ha sostenuto questa tesi22.